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Autore: queenofpeace    02/08/2020    1 recensioni
[ 5x18: Lagertha vede e vive la morte di Ragnar in una visione. ]
La vede, così come l’ha sempre vista nei suoi sogni. La perdona e si perdonano perché hanno imparato a farlo, anche se non sentono di meritarlo. Si erano promessi nessun rimpianto, eppure ciascun rimpianto è ancora lì.
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Lagertha, Ragnar Lothbrok
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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« Ti sogno sempre. La scorsa notte ho sognato che mi davi da mangiare del sanguinaccio. »
« Che cosa significa? »
« Significa che mi stavi donando il tuo cuore. »

 

···

 

 Sono tutti lì.
Non è una cantilena quella che sente, ma le parole di preghiera di Athelstan: egli si rivolge al suo Dio, lo chiama Padre Nostro come se fosse il padre di tutti gli dèi; Ragnar lo segue con la propria voce e con i propri pensieri, perciò fa ancora più male accorgersi di come il suo cuore si sia spaccato a metà all’improvviso, con al centro quella croce cristiana che lo ha accompagnato a Parigi e anche oltre.
È stanca, ma vorrebbe continuare a correre e non fermarsi più. Dio non esiste, gli dèi sì. Lagertha si ferma, ma una parte di lei è già corsa via.
Non verrà nessun Regno per Ragnar e non sarà fatta la Sua volontà, lei questo lo sa bene. Lo sente nelle urla infingarde dei sassoni mentre deridono il prigioniero, il Re dei Re di cui tutti temono il nome. Lo vede in quel cerchio formatosi intorno alla fossa dei serpenti, una trappola perversa di Ælle che sembra essere stata creata appositamente per diventare la tomba di un grande uomo e il principio di una formidabile vendetta. Ragnar è lì sopra, parla di Odino e di come le valchirie lo scorteranno fino al Valhalla per permettergli di banchettare insieme a lui.
Tutto si trasforma in uno spettacolo e Lagertha ne fa parte. Solleva le braccia e con esse uno dei pitoni di quel fossato, si preoccupa di mostrarlo ai presenti e subito diventa l’attrazione principale, una ragione in più per schernire il più temuto dei norreni. Al contempo, nascosta in mezzo alla folla concitata, ella congiunge le mani fino a sfiorare il viso e recita una preghiera al Dio cristiano, lo cerca disperatamente e nei sussurri vi è la voce straziata di Ecbert.
       
 « Io non entrerò nella sala di Odino pieno di paura. »
       
 Lagertha corre ancora, però non scappa. I piedi le bruciano come la pelle martoriata dalle innumerevoli perdite e battaglie. Sospira, mentre una lacrima le riga il volto ferito e il peso del rimorso pare momentaneamente andar via. Non si trova a Kattegat né ha voltato le spalle al suo amato quando le ha chiesto di partire con lui un’ultima volta. Non è la regina e neppure il re, ma diventa qualcos’altro quando il trono avido della Northumbria diventa il suo: stringe con ipocrisia e bramosia di potere quei pomelli di ottone, osserva da lontano i deliri pagani di un demone indomabile; vorrebbe lavarsene le mani come Ponzio Pilato fece con Gesù Cristo, in parte lo fa e rammenta di aver finto cecità e sordità dinanzi alla condanna a morte di Ragnar Loðbrók. La corona pesa sulla sua testa, eppure non la vuole più togliere.
Lagertha è esausta, non vuole più avere a che fare con i nemici. Ha combattuto per tutta la vita, rinunciando ad amanti e amici perché non vi è nulla di più crudele del tradimento. Ricorda perché ha smesso di credere in Ragnar e nelle sue promesse, si volta verso quel trono e trova in esso un cumulo di paura: la propria è lì, si cela dietro una richiesta decisa fatta a un dio in cui non crede; scorge anche la codardia che le ha fatto smarrire la strada e che l’ha fatta correre via, veloce come il vento anche se ferita nel corpo e nell’anima. Quand’è diventata sia vittima che carnefice?

 , Ragnar. Da quella parte.

 Vorrebbe salvarlo, ma è troppo tardi. Cerca il suo sguardo col proprio, il sudore cola dalle loro fronti e il sangue ribolle come nell’epilogo di una lunga battaglia. Non vi è nulla di glorioso in quella gabbia aperta. Cade Ragnar e cade anche Lagertha, quest’ultima sprofonda nella consapevolezza di aver peccato di negligenza. Non ha mai creduto nel peccato, ma il tonfo del corpo del suo amato che si scontra al suolo di quel fossato è come una lama di vergogna che le trapassa il cuore.
Le lacrime corrono viscide sul viso di lei come i serpenti sopra, sotto e intorno a lui. Lagertha non può raggiungerlo perché è chiusa in quella gabbia e sa bene di essersi chiusa lì da sola. Vorrebbe tendergli una mano e liberarlo, oppure soltanto manifestargli la propria presenza fino all’ultimo istante di vita. Si piega in basso e assiste inerme, finché il proprio sguardo non si mescola a quello di Ragnar.
La vede, così come l’ha sempre vista nei suoi sogni. La perdona e si perdonano perché hanno imparato a farlo, anche se non sentono di meritarlo. Si erano promessi nessun rimpianto, eppure ciascun rimpianto è ancora lì. Il fato nel suo filo invisibile e imbevuto nel loro stesso sangue non ha mai smesso di legarli, portandoli a quel momento, fino alla fine.

 « Ragnar… »

 Né Dio né tutti gli dèi riusciranno a separarli, non finché terranno stretti tra le dita i loro cuori pulsanti. Si aspetteranno a vicenda e gli occhi di Lagertha diverranno quelli di Ragnar, mostrandogli la vita prima della morte. Ad attenderli nel conforto dell’eternità vi sarà una porta, ma non sarà quella del Valhalla o del Paradiso: essa si aprirà e sarà come rientrare nella fattoria ove tutto è iniziato, riscoprendo all’infinito quell’amore che li ha prima uniti, poi separati e infine ricongiunti. E il cielo resterà sereno, perché nessun altro verrà a prenderli. Di tutto questo, Lagertha ne è fermamente convinta. Solo con una tale consapevolezza potrà rinascere ancora.
 

   
 
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