Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Elenis9    03/08/2020    0 recensioni
“Senti, ti ho già detto che non puoi usare quell’aggeggio qui dentro. È pericoloso.” Il suo compagno di cappa, poi, era sempre dedito a far rispettare qualsiasi regola o istruzione e sembrava aver preso come un’offesa personale la sua stufetta.
“Devo, se non voglio morire,” replicò in un grugnito cercando di scrollarselo di dosso. Il che non era facile: quel ragazzo sembrava avere occhi anche dietro la testa.
“Ci sono venticinque gradi, Amelia! È importante, stiamo usando sostanze fortemente infiammabili, se per caso… mi stai ascoltando?” No, ovviamente. Detestava le ramanzine, soprattutto quando era debole per il freddo.
“Senti, coso. Com’è che ti chiami?”
“Erik. Siamo compagni di laboratorio da mesi.”
Sì, e lei sapeva perfettamente il suo nome dal momento che avevano passato quei mesi litigando per i dispositivi elettronici che portava in laboratorio, ma voleva comunque irritarlo.
“Senti, Erik, che ne pensi di lasciarmi in pace una volta ogni tanto? Dio, sei proprio fastidioso.”
Genere: Angst, Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Successivamente lei ed Erik non ebbero particolari interazioni. Le vacanze incombenti rendevano più vuote le giornate scolastiche e il professore di chimica si era ammalato rimandando gran parte delle lezioni al mese successivo.
Amelia passava quasi tutto il suo tempo a crogiolarsi nel calore del suo appartamento vuoto, studiando e annoiandosi, talvolta cercando di reclutare un nuovo coinquilino senza grande successo. L’inverno lì era più rigido che a casa, ma non abbastanza perché la gente normale volesse tenere il riscaldamento acceso.
Aveva da poco salutato la sua ultima speranza di trovare qualcuno con cui dividere le spese e stava per dedicarsi a un qualche film deprimente per passare la serata, quando qualcosa sbatacchiò contro la sua porta. Non poteva dire che qualcuno aveva bussato perché fu un solo grosso tonfo e poi nient’altro.
Incuriosita, Amelia cercò di guardare dallo spioncino. Tutto quello che vide fu la punta di un paio di scarpe come se qualcuno si fosse seduto con la schiena alla porta. Che diavolo?
Aprì l’uscio senza alcuna delicatezza, spalancandolo di botto così che chiunque ci fosse appoggiato non avesse il tempo di realizzare. Quando, come previsto, cadde sdraiato all’interno, lei…
“Erik?” Alto, massiccio, capelli biondi tagliati a spazzola… sì. Decisamente quello era Erik. Amelia rimase interdetta per un attimo aspettandosi che succedesse qualcosa, invece lui rimase sdraiato lì, mezzo dentro e mezzo fuori da casa sua. “Erik, mi senti?” Lui non reagì. Era pallido come un morto, ma aveva gli occhi socchiusi e non sembrava del tutto privo di conoscenza. “Che ti prende, ti sei drogato?” Domandò nascondendo il moto di panico dietro un tono stizzito. Lo prese per le braccia per tirarlo dentro, ma nel farlo la felpa gli si aprì rivelando che sotto era coperto di sangue. Non ci aveva fatto caso perché era vestito di nero, ma una volta notato riusciva a scorgerne le tracce sulle mani e addirittura fuori sul pianerottolo. Iniziò a sollevargli la maglietta e allo stesso tempo arraffò a tutta velocità il cellulare per chiamare l’ambulanza.
“Buonas-” il telefono si spese all’improvviso ed Erik si sollevò a metà per bloccarla in modo che non scoprisse la ferita.
“Chi stai chiamando?” Ringhiò con il tono più duro e cattivo che gli avesse mai sentito.
“L’ambulanza, idiota. Ti serve. Che diavolo è preso al mio telefono, io non…”
“Niente ambulanza. Chiudi la porta,” esitò un attimo, strisciando completamente all’interno con un grugnito di dolore. “Per favore.”
Ah, beh, l’educazione prima di tutto.
“Che sta succedendo? Che ci fai qui?” Il tono spazientito che le uscì fu una grande vittoria: era riuscita con successo a non far trasparire neanche un minimo di paura o preoccupazione.
“Ho visto il tuo indirizzo fra gli annunci del campus, qualche giorno fa. Non… non sapevo dove andare.” La fissò per un attimo, poi distolse lo sguardo. “Lo so, è stata una pessima idea.” Fece per alzarsi e le luci cominciarono a sfarfallare per poi stabilizzarsi quando tornò cautamente a sedersi. “Merda.”
“Quanto gravemente sei ferito?” Amelia si decise a chiudere la porta. Una rapida occhiata all’esterno le disse che effettivamente non sembrava ci fosse in giro nessuno, ma, se non voleva che i vicini si facessero strane idee, avrebbe fatto bene a pulire le macchie di sangue alla svelta. Non subito, però: prima doveva convincere Erik che morire sul suo pavimento non sarebbe stato di buon gusto. Gli si inginocchiò accanto e allungò la mano verso la maglietta con intenzione, quasi sfidandolo a bloccarla di nuovo. Non lo fece. Strinse le labbra in una linea sottile e distolse lo sguardo da lei, ma non la fermò quando staccò delicatamente la stoffa, appiccicaticcia e rigida per il sangue rappreso, scoprendo una ferita circolare sul fianco sinistro. Era piccola ma profonda, sembrava che qualcosa avesse scavato attraverso la carne.
“Ti hanno sparato,” realizzò all’improvviso. Anni e anni di serie tv poliziesche guardate con sua madre non l’avevano affatto preparata a vedere una vera ferita da arma da fuoco e per un istante si trovò a deglutire freneticamente sull’orlo del vomito. Non che sangue e dolore le avessero mai fatto impressione, ma la lesione di un proiettile non era la stessa cosa. La spaventava. Deglutì per l’ennesima volta, poi si impose di calmarsi: se lei era spaventata non riusciva neanche a immaginare che cosa provasse lui con un buco in pancia.
“Non voglio dirti cosa è successo, è meglio se non sai nulla,” si decise a borbottare Erik dopo quello che era sembrato un tempo infinito.
“Allora vattene.” Amelia lasciò ricadere la maglietta a coprire la ferita. Quando fu ragionevolmente certa di non mostrare esitazioni alzò lo sguardo a incontrare quello di lui. Fu difficile tenere duro di fronte all’espressione profondamente disperata che gli balenò in faccia, ma si impose di non vacillare. Sperava solo che lui non decidesse di andarsene sul serio, non sarebbe riuscita a buttarlo fuori in quelle condizioni.
“Non voglio coinvolgerti, lo faccio per proteggerti?” Erik balbettò nel dirlo e suonò più come una domanda che come una vera e propria affermazione.
“Sono già coinvolta, sei a casa mia. Ho il diritto di sapere in cosa mi sto cacciando se decido di aiutarti,” tentò di ammorbidire la voce per suonare persuasiva e conciliante, ma lei non era nessuna delle due cose e finì solo per sembrare burbera.
“Ero in macchina, stavo tornando dalla pizzeria con la cena quando sono stato fermato a un posto di blocco.” Le parole eruppero fuori dalla sua bocca come se non avesse aspettato altro che il momento di pronunciarle, ma allo stesso tempo chiuse gli occhi come per non vedere la sua reazione. “Ero in regola, quindi non avevo niente di cui preoccuparmi. Durante il controllo della patente, però, il poliziotto ha visto che sono un Evoluto e sulla mia scheda c’è scritto che le mie capacità influenzano gli oggetti elettronici. Ha cominciato ad accusarmi di aver falsificato il test alcolemico e mi sono agitato. Non mi controllo bene quando non sono calmo, perciò ho involontariamente fatto impazzire il computer di bordo di entrambe le macchine. Lui si è spaventato e ha cominciato a minacciarmi, solo che io mi sono agitato ancora di più e la mia capacità ha influenzato anche un lampione. Lo pregavo di lasciarmi calmare un attimo, ho cercato di spiegargli che non gli avrei fatto del male, ma lui mi ha puntato contro la pistola e io ho avuto paura. Ho mandato in corto sia le macchine che la luce. Lui mi ha sparato. Non sapevo che fare, sono scappato e sono andato in una direzione a caso per un po’, non avevo idea di dove andare, ma avevo il tuo indirizzo. Non sarei dovuto venire qui. Mi dispiace.”
Amelia sospirò. Non sapeva cosa pensare del racconto, ma non aveva poi molta importanza, non l’avrebbe mandato via in ogni caso. “Quindi sei stato tu a farmi saltare la stufetta e il telefono.”
“Mi dispiace. Il telefono dovrebbe potersi riaccendere. Credo.” La maschera di calma che aveva indossato fino a quel momento si era incrinata da qualche parte durante la conversazione e Amelia non sapeva bene come reagire a tutte quelle scuse. Di solito era lei a doversi scusare, era strano riceverle.
“Dimmi la verità, Erik, come ti senti? Potresti essere sotto shock, hai freddo?” Cambiare argomento era una buona strategia, in più aveva bisogno di capire quanto profondamente stavano sprofondando nella merda. Non sapeva quasi nulla di ferite, shock e quant’altro, aveva giusto imparato le due cose necessarie a passare il test per la patente. L’unica cosa che sembrava sensata era chiamare un’ambulanza e portarlo da un medico. Non poteva, però. Gli aveva sparato un poliziotto, che cosa gli sarebbe successo se lo avesse portato in ospedale? Magari tutto sarebbe andato per il meglio, ma più probabilmente lui sarebbe stato talmente spaventato da mandare in tilt altra roba e la situazione sarebbe precipitata.
“Sto bene…,” attaccò per poi notare lo sguardo di lei. “Okay, fa male. Parecchio, mi sembra di avere un ferro rovente nel fianco che brucia come l’inferno. Oltre a questo, però, penso di stare abbastanza bene. Mi sento un po’ debole, ma non ho freddo.”
Amelia si mordicchiò un labbro per qualche secondo, cercando di decidersi: doveva fare qualcosa. “Va bene, vediamo di pulire e disinfettare la ferita, la bendiamo e preghiamo che tu non muoia per non aver voluto chiamare un’ambulanza. Che ne pensi?”
“Vorrei che la smettessi di parlare della mia probabile morte imminente.”
Per quanto il momento fosse serio e lui probabilmente fosse davvero a disagio per la sua insistenza sul tema, Amelia non riuscì comunque a fare a meno di sorridere. Lo aiutò a tirarsi in piedi e lo guidò fino al bagno osservandolo senza farsi notare. Camminava da solo ed era lucido, anche se quando le era caduto in casa non le era parso del tutto in sé. Probabilmente fargli sbattere la testa sul pavimento non era stato il benvenuto migliore per uno nelle sue condizioni. In ogni caso, era piuttosto certa che assecondarlo ancora per un po’ nell’attesa che si calmasse e decidesse che andare in ospedale era la scelta migliore non l’avrebbe ucciso. Se non altro lo sperava davvero, davvero tanto.
Si lavò le mani fino quasi a scorticarle, poi deterse gentilmente la zona intorno alla ferita.
“Non mi aspettavo che fossi così grosso,” buttò lì, afferrando il disinfettante.
“Intendi che sono grasso o tentavi di farmi un complimento?” Erik aveva la tensione nella voce e la luce del bagno aveva già fatto strani scherzi un paio di volte, ma era rimasto immobile e docile mentre lei cercava di medicarlo.
“Non dirmi che esiste davvero qualcuno che ti ha lisciato l’ego dicendoti quanto sono belle le tue spalle larghe o scolpiti i tuoi addominali.” Si finse scandalizzata all’idea e fu soddisfatta di sentirlo ridacchiare.
“Lisciarmi l’ego? Perché no. Ogni ragazza che incontro non vede l’ora di farlo. Persino alcuni ragazzi, sai.” L’ironia era evidente nella sua voce e Amelia gli lanciò uno sguardo divertito.
“Mi spiace, ragazzone, i complimenti non sono il mio campo. Ora tieniti forte, non so quanto faccia male il disinfettante su una ferita del genere.” Se gli fece male, fu bravo a nasconderlo. Tutto quello che gli uscì dalle labbra fu un sibilo acuto, ma Amelia non era certa che non fosse più per la paura o per la sensazione del liquido nella ferita che per altro. Il foro non sanguinava molto, probabilmente avrebbe anche smesso del tutto una volta finito di medicare. Probabilmente. Non averne la certezza la rendeva nervosa, ma per fortuna l’ospedale era vicino ed era certa che in caso di necessità sarebbero riusciti ad arrivarci in fretta, perciò voleva lasciare che si calmasse un po’; aveva paura che insistere sulle preoccupazioni per la ferita lo avrebbe innervosito tanto da spingerlo ad andarsene.
“Ecco fatto. Spostiamoci in camera, dovrei avere una felpa che potrebbe starti.” Erik si alzò da solo. Senza tutto il sangue sul torace e il foro nascosto sotto la garza aveva un aspetto molto migliore, ma non le sfuggì che fosse ancora pallido e stravolto. Sotto gli occhi aveva occhiaie scure che non avevano nulla a che fare con la mancanza di sonno.
“Una felpa da uomo? Ti farò passare dei guai col tuo ragazzo per questo?”
Amelia rise. “Ragazzo? Divertente, ma no. È di mio fratello, quando mi sono trasferita qui volevo qualcosa che mi facesse sentire meno la sua mancanza e gli ho rubato questa. È uno scimmione gigantesco quasi quanto te e gli piacciono le cose larghe, quindi dovrebbe andarti.”
“Hai mai pensato che sei tu a essere piccola e non gli altri a essere grossi?” Domandò Erik infilandosi con un po’ di fatica la felpa pulita. Gli stava per davvero, anche se forse tirava un po’ sulle spalle. Checché ne dicesse lui erano davvero grosse.
Non che non fosse vero che lei era piccola. Diede un’occhiata allo specchio che li rifletteva entrambi. Lei era una ragazzina minuta che arrivava a malapena al metro e cinquanta con un caschetto di capelli neri, grandi occhi verdi e la pelle pallidissima; lui un ragazzo di un metro e ottanta, atletico e dai lineamenti gentili. Accanto sembravano una bambina delle elementari e suo fratello maggiore.
“È l’ora della nanna, ragazzone. Riposati un po’, d’accordo?” Erik fissò il letto per un attimo, come se non fosse convinto che non avrebbe cercato di morderlo, poi alzò di nuovo gli occhi su di lei.
“Non chiamerai la polizia mentre dormo, vero?”
Amelia sentì immediatamente una vampata di stizza, ma la risposta acida e offesa che le era salita alle labbra morì quando notò l’espressione spaurita e vulnerabile sul viso di Erik. Di solito era così calmo e stoico che sembrava impossibile potesse apparire fragile. A quel pensiero un po’ della rabbia che si era accesa dentro di lei tornò ad ardere, ma non più contro di lui bensì verso l’uomo che l’aveva spaventato e ferito fino a quel punto. “Non lo farò. Per la cronaca, non sono così subdola e sottile da tenderti un tranello del genere. Se avessi voluto consegnarti alla polizia lo avresti saputo.”
“Scusa,” borbottò lui, togliendosi di nuovo la felpa prima di stendersi sotto le coperte. In casa c’erano circa trentasei gradi, era una scelta saggia.
“Senti, se vuoi sto qui finché non ti addormenti. Chiacchieriamo un po’, ti tengo compagnia.” Offrì, notando che lui era a disagio e cercava di nasconderlo. Gli lesse in faccia la gratitudine per quell’offerta e, fingendo di non essersene accorta, si buttò accanto a lui sul letto a due piazze. “Mi sento come a un pigiama party. Parliamo di cose da ragazze?”
“Non ti facevo una da pigiama party.”
“No, vero?” Ridacchiò, prendendogli la mano e giocherellando con le sue dita. Sperava di farlo stare meglio con la vicinanza. “Però a casa avevo delle amiche, quindi era più facile. Qui la gente è molto più difficile da avvicinare e ho sempre problemi col freddo, non riesco a trovare un modo per gestirlo al meglio quando sono fuori.” Cercò di mantenere un tono allegro e cambiò rapidamente argomento cominciando a parlargli delle sue amiche, di suo fratello, del cane del vicino che aveva trovato il modo di passare nel loro giardino. Lasciò che le parole uscissero senza preoccuparsi troppo di fare un discorso sensato, voleva solo che Erik la ascoltasse chiacchierare mentre si addormentava così da avere qualcosa con cui tenere occupata la mente. Solo quando fu assolutamente sicura che lui fosse profondamente immerso nel sonno si alzò dal letto. Doveva pulire il sangue sul pianerottolo e in cucina, per non parlare del fatto che era troppo agitata per addormentarsi.

  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Elenis9