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Autore: Caroline94    03/08/2020    1 recensioni
Tre Regni.
Una guerra che non lascia tregue.
Due ragazzi i cui cammini sono destinati ad intrecciarsi.
La vita o la morte.
🍀🍀🍀🍀
Dal testo:
{Gli uomini intorno al falò si mossero in imbarazzo ma non diedero risposta alla sua domanda.
Solo Wyrda, capitano della terza squadra e veterano di guerra, si decise a prendere la parola: “È un racconto popolare del nostro Regno, una specie di leggenda sulla nascita di Zolfanello City” spiegò, quasi divertito “È una storia che si racconta ai bambini che non vogliono dormire”.
Raf non fece una piega, scavalcò il tronco sedendosi tra Wyrda e Luefra, aggiustandosi la lunga gonna del vestito “Mi piacerebbe ascoltarla” decretò, infine.
Wyrda la fissò intensamente per qualche istante, poi bevve un lungo sorso di idromele: “Molto bene” acconsentì “In quanto promessa Ministrante conoscerete senza dubbio Zar’roc, il demone esiliato sulla terra per i suoi tentativi di rivolta contro Mefisto il Dio delle Tenebre” cominciò. Raf annuì. […]
“Ebbene, si dice che Zar’roc, giunto sulla terra in forma umana, si accoppiò con una sacerdotessa mortale concependo dal suo grembo il primo essere conosciuto metà demone e metà umano: Anya, fondatrice e prima Imperatrice di Zolfanello City…”}
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Raf, Sulfus | Coppie: Raf/Sulfus
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest
Capitoli:
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Il sole volgeva a mezzogiorno, illuminando le chiome degli alberi nel bosco ai confini della città. La piazza fremeva di attività dovute al mercato mattutino, lunghe file di bancarelle occupavano i margini delle strade: pescherie, fruttivendoli, gioiellieri, venditori di pellicce, calzolai… donne in tenute povere o sfarzosamente vestite si aggiravano tra i banchi, chi solo per guardare e chi intente a contrattare prezzi. Una donna con un modesto abito azzurro stava discutendo del prezzo di una collana di opali con un gioielliere delle miniere del sud mentre un giovanotto, con già due sacchetti pieni tra le mani, si guardava curiosamente intorno.
Oltre tutto quel trambusto, giù dove finiva il sentiero, una macchia di vegetazione che si estendeva per iarde segnava la presenza di un bosco ai margini della valle. Lo si chiamava bosco perché non la si poteva definire foresta, per quanto potesse essere grande: gli alberi da frutto crescevano con regolarità lasciando ampio spazio intorno a sé, fiori, funghi e bacche di ogni genere si trovavano sui margini dei radi sentieri e tra le radici degli alberi. Un colibrì volò oltre la chioma di un melo per immergersi nel folto della piantagione, accompagnato dai canti degli uccelli intorno a sé.
Non lontano dal limitare del bosco, sotto un grande ciliegio, un uomo riposava poggiato al tronco della pianta; non poteva avere più di trentacinque anni: i capelli castani tendevano al bianco e la barba rasata gli dava un aspetto poco più giovane. Indossava una semplice divisa di pelle nera con una giacchetta marrone che gli aderiva perfettamente al corpo e degli stivali alti quasi fino al ginocchio. Adagiata accanto a sé vi era il fodero di una spada dall’elsa d’argento che riposava pigramente sull’erba. Le foglie del ciliegio si mossero lievemente, sebbene non vi fosse un alito di vento ma l’uomo non aprì nemmeno gli occhi benché fosse sveglio e vigile. Le foglie si mossero di nuovo ed un ramo scricchiolò, seguito da un sospiro.
Stavolta l’uomo non restò indifferente ma aprì piano un occhio e alzò lo sguardo verso le fronde da cui cadevano petali, danzando lentamente nell’aria come una pioggia di morbidi coriandoli rosa e profumati.
“Principessa?” chiamò, non ottenendo però risposta. Svelto si alzò, poggiandosi al tronco con le mani e cercando di scorgere l’esile figura della ragazza in quel tripudio di fiori. “Principessa, state bene?” chiese, mentre sentiva l’ansia salire: in un attimo di panico credette che la giovane fosse rimasta impigliata tra i rami, ma uno schiocco secco lo fece sussultare seguito da un’esclamazione di trionfo. Un attimo dopo qualcosa piovve giù dai rami a velocità preoccupante. L’uomo fece appena in tempo ad allungare le braccia che si ritrovò a sorreggere la ragazza.
La principessa aveva poco meno di tredici anni, una lunga chioma bionda ad ornarle il capo e grandi occhi azzurri. Indossava un vestito semplice, verde, con diversi strati di stoffa trasparente poggiati l’uno sull’altro, creando un effetto vedo-non-vedo molto elegante, mentre il corpetto senza maniche era un incrocio tra il verde e l’azzurro chiaro. La ragazza si tolse i capelli dal viso, nel quale erano rimasti impigliati diversi fiori e qualche rametto, e guardò l’uomo che la scrutava severamente.
“Oh” rispose “Scusa, Adrë.”
L’uomo sospirò e la mise giù, con delicatezza: “È pericoloso, avreste potuto farvi male” la rimproverò. La ragazza sorrise a mo di scusa e osservò il grande fiore violetto che stringeva tra le mani: “Però sono riuscita a prenderlo” rispose, raggiante.
Adrë sembrò sul punto di dire qualcosa ma cambiò idea e si piegò a riprendere la spada per riallacciarsela alla cintura “Sarà meglio tornare a palazzo, si sta facendo tardi” disse.
Raf annuì, prese il cesto pieno di fiori e piante fino a quel momento poggiato sull’erba e vi mise con cura quello appena colto, per poi affiancare l'uomo lungo il sentiero che portava alla città dove i loro cavalli li aspettavano legati ad un arbusto. Due uomini in tenuta militare erano seduti su una roccia lì accanto, persi a in un'allegra conversazione: alzarono lo sguardo alla vista dei due e scattarono in piedi, riprendendo la compostezza che si addiceva a due membri della guardia reale.
“Torniamo indietro, altezza?” domandò uno dei due.
“Sì” rispose semplicemente la ragazza, avvicinandosi al proprio cavallo: una puledra bianca dalla chioma argentea, in netto constrasto con i tre destrieri al suo fianco dal manto marrone. Adrë la prese per la vita e la mise in sella, sciolse le briglie e montò sul suo cavallo, affiancando la ragazza che si addentrava nella cittadina con le due guardie al seguito, poste ai loro lati.
La folla nel mercato si ritirava ai lati delle strade per permettere alla comitiva di passare, alcuni uomini e donne dell'alta borghesia si inchinavano brevemente di fronte la giovane fanciulla, altri si limitivano a guardare, altri ancora continuavano le loro compere indifferenti.
Non era raro vedere la giovane principessa di Angie Town in città, sempre con la sua fidata guardia del corpo al proprio fianco e uno o due membri della guardia reale a proteggerla; chi frequentava assiduamente le strade principali, per lavoro o per compere, incrociava il suo cammino abitualmente ma erano in pochi a poter vantare di aver fatto due chiacchiere con lei.
Nonostante uscisse spesso a Raf non era consentito rivolgere troppe confidenze agli abitanti del regno, più per un fattore di sicurezza che altro (per lei la regola “Non accettare le caramelle dagli sconosciuti” era molto più rigida ed estesa) però, complice la costante vigilanza di Adrë, era riuscita a farsi qualche amico tra i mercanti. Uno di quelli era Corebo, l'erborista del regno, con cui Raf si intratteneva spesso e volentieri: l'uomo aveva quasi sessant'anni ma ne dimostrava molti di meno, aveva passato metà della sua vita a viaggiare in lungo e in largo per il mondo a studiare le piante e i fiori dalle proprietà curative; conosceva qualunque rimedio naturale e preparava ogni sorta di miscuglio e composto con le erbe medicinali, senza contare che era un pozzo senza fondo di storie e leggende. La giovane rimaneva incantata anche per ore, seduta dietro la sua bancarella, ad ascoltare i resoconti dei suoi viaggi e ad assimilare ogni sorta di conoscenza sulle piante medicinali, di cui era una grande appassionata.
Sorrise quando scorse il suo banco sul ciglio della strada, vicino al negozio di seta di proprietà del genero (il marito della sua unica figlia), che aveva come posto fisso da anni.
“Buongiorno Corebo” salutò. Egli alzò lo sguardo dal libro che stava pigramente leggendo e scorse l'allegra brigata: i suoi occhi grigi sembravano più stanchi del solito ma ricambiò il sorriso della giovane da dietro la lunga barba argentea, si tolse la pipa dalla bocca e chinò lievemente il capo.
“Buongiorno, principessa” rispose. Raf fermò il proprio cavallo, seguita immediatamente dalla propria scorta.
“Ho saputo di vostra figlia” disse, decisamente più seria “Come sta ora?”
Il sorriso sul viso di Corebo si affievolì un po' ma non diede alcun cenno di malessere “Decisamente meglio rispetto ai giorni passati” rispose “Ma non dovete preocuparvi, non è nulla di grave.”
Raf scorse l'ombra dietro ai suoi occhi ma non aggiunse nulla “Spero che si rimetta presto, portatele i miei saluti.”
L'uomo annuì “Lo farò, vi ringrazio.”
Raf sorrise lievemente e riprese il proprio cammino, con un peso in più nel cuore.
Era una splendida giornata di sole primaverile, il cielo era limpido e senza nuvole e la capitale era animata dal solito fermento giornaliero. A fare da sfondo all'agglomerato di case e costruzioni varie vi era l'imponente Palazzo Celestiale, erto sopra la collina alle spalle della città, dimora della famiglia reale fin dai tempi antichi. Il castello si estendeva per metri e metri, con torri altissime e splendide vetrate, il tutto dipinto sulle note di un bianco purissimo; i giardini che costeggiavano la reggia si protraevano per chilometri e ospitavano alberi da frutto, piante, fontane e gazebi di ogni sorta.
Ed era proprio lì che erano diretti a passo svelto.
Con all'incirca quaranta minuti di cammino ci si poteva trovare davanti i cancelli del palazzo, prontamente aperti dalle sentinelle alla loro vista. Le due guardie si congedarono per recarsi verso l'armeria mentre Raf e Adrë si diressero nelle scuderie.
La ragazza saltò giù dal proprio cavallo prima ancora che questo si fermasse, guadagnandosi un'occhiataccia dall'uomo, e prese il cestino di vimini.
“Io vado, Adrë” salutò, uscendo dalla stalla a passo svelto.
“A più tardi, principessa. Non correte” si raccomandò lui, prendendo le redini della puledra.
Raf fece il giro del palazzo, attraversando i giardini e il vialetto coperto di ghiaia, entrando dalla porticina che portava alle cucine, attarversandola velocemente e sgraffignando un bigné alla crema da uno dei vassoi per placare il languorino aveva ormai da un po'; mancavano ancora un paio d'ore al pranzo e non le era concesso toccare cibo fuori dai pasti per non intaccare la sua dieta equilibrata e salutare che le permetteva di mantenere quel fisico invidiabile “degno di una principessa”, a detta di sua madre. Uscì da una delle tante porte che circondavano la stanza e attraversò il corridoio, salendo una lunga scala a chiocciola: in cima ad essa vi era un portone di legno nero dall'aria antica a cui lei bussò due volte.
“Avanti” esalò una voce all'interno, calma e profonda. La ragazza spinse una delle ante e si ritrovò in un'ampia stanza circolare: alti scaffali colmi di libri arrivavano fino al soffitto e coprivano quasi tutte le pareti. Un'unica finestra donava luce alla stanza, posta proprio di fronte alla porta, e un grande tavolo pieno di pesanti libri e pergamene era posizionato al centro della stanza. Davanti ad esso, chino a leggere una lunga pergamena, vi era un uomo: era molto alto, con lunghi capelli blu che quasi gli arrivavano alle caviglie e un pizzetto del medesimo colore sul mento; un paio di occhiali rotondi facevano capolino sul naso regalandogli un'aria austera e saggia.
“Ah, Raf” esclamò, alzando lo sguardo e vedendo la ragazza sulla porta “Arrivi giusto in tempo. Vieni, entra.”
Arkan era il Ministrante di suo padre, il re di Angie Town.
Un Ministrante era il consigliere personale di un sovrano, una persona con una preparazione culturale eccellente in molti ambiti; Raf studiava sotto le sue direttive fin da quando aveva cinque anni proprio per diventare, un giorno, Ministrante di Angie Town. Non aveva altre alternative in quanto secondogenita della famiglia: suo fratello maggiore sarebbe diventato re del paese, un giorno, e lei la sua consigliera.
Erano queste le tradizioni e la cosa non le dispiaceva affatto. Non era mai stata molto legata ai doveri di corte, se doveva essere sincera: i balli, le feste, i gala e le cerimonie l'annoiavano a morte; vedeva sua madre sempre perfetta e sorridente, sempre altera e con indosso quegli ingombranti vestiti che seguivano la moda odierna, incastrata in lunghissimi incontri con nobili e sudditi, e si sentiva estranea a tutto quello. Una volta diventata regina non eri più una donna ma un trofeo, un oggetto, qualcosa che serviva a sfornare eredi e perfetta da sfoggiare durante i grandi eventi. Purtroppo, per quanto perfetta esteteticamente ed economicamente, Angie Town peccava di cultura con un sistema estremamente patriarcale: suo padre e i nobili erano molto ligi a quella tradizione, sentivano di dover prendere tutte le decisioni da soli, delegando le mogli e le figlie a far chiacchiera nei salotti mentre loro prendevano in mano le redini del regno. Vi era una sola eccezione all'interno di quel sistema misogino e si svolgeva solo all'interno della famiglia reale, ovvero la posizione di Ministrante. Anche se, in quel caso, la cosa aveva comunque la sua bella dose di maschilismo: al trono poteva salire solo l'erede maschio, in assenza di quest'ultimo avrebbe governato il marito della principessa ereditiera, anche se apparteneva ad un regno diverso; se nascevano due maschi il primogenito sarebbe diventato re e il secondogenito Ministrante; se nascevano un maschio ed una femmina (come nel loro caso) l'età non veniva presa in considerazione poiché ad ereditare il trono sarebbe stato comunque il principe. Poi vi erano una lunga sfilza di altre mansioni a cui delegare altri ipotetici figli, al di fuori dei due prediletti, che comprendevano il cavalierato, il monastero o semplicemente il matrimonio combinato con altri nobili per rafforzare o creare alleanze tra più stati.
Sì, Raf doveva ammettere di essere stata fortunata, sebbene anche essere Ministrante comprendeva la sua bella dose di responsabilità dovendo praticamente contribuire a governare il regno, aveva comunque delle libertà particolari; una di queste era il divieto di sposarsi, onde evitare che la vita familiare le impedisse di svolgere i propri doveri o che il futuro marito ordisse intrighi ai danni del regno o della famiglia reale per trarne vantaggio, e l'ultima cosa che Raf voleva era essere il trofeo di qualcuno. Oltretutto lei amava studiare, adorava sopratutto la storia, la medicina e l'alchimia, cose che non avrebbe mai potuto apprendere come semplice principessa, e amava passare del tempo nei boschi a studiare le piante e i fiori insieme ad Adrë o ad Arkan.
Si chiuse la porta alle spalle e avanzò nella stanza, poggiando il cestino pieno di erbe sul tavolo. Arkan chiuse la pergamena e si sedette, con un sospiro stanco, pulendo gli occhiali con un panno pulito: conosceva quell'uomo fin da quando era nata dato che era stato proprio lui a presidiare nelle stanze di sua madre per tutte le sei lunghe ore di travaglio, dando direttive alle cameriere per affrontare il parto, esattamente come aveva fatto con suo fratello; era stato un mentore per lei ma prima di ogni altra cosa anche un padre, considerato che il suo lo vedeva raramente essendo molto preso dai suoi doveri di regnante. L'aveva sempre trattata con amore e la giusta dose di severità, sebbene non appartenesse alla famiglia (suo padre era figlio unico), e Raf non poteva minimamente immaginare una vita senza di lui.
“Mi dispiace, Raf, ma temo che oggi non potremo fare lezione” la informò lui, ripoggiando le lenti sul naso “Ho un colloquio con il re e non so quanto tempo durerà” spiegò, con la sua solita calma, sebbene non riuscisse a nascondere l'ombra scura nei suoi occhi: evidentemente c'era qualcosa che non andava. “Considerala pure una giornata libera” concluse, con un sorriso, cercando di suonara affabile. Raf capì che doveva esserci qualcosa sotto, qualcosa che lui non voleva dirle per non allarmarla, e sebbene avesse molte domande da porre decise di restare in silenzio per non appesantire la situazione. Annuì, quindi, e si congedò dirigendosi verso la propria camera.
Effettivamente non aveva molto da fare, buona parte delle sue giornate le dedicava allo studio e in determinati giorni della settimana sua madre le faceva fare lezioni di danza, canto e cucito in quanto, nonostante il suo futuro fosse stato già deciso da prima che nascesse, non doveva mai dimenticare di essere comunque una principessa. Non che le dispiacesse cantare, ma il cucito proprio non lo reggeva.
Sospirò e suonò uno dei campanelli vicino la porta per chiamare una delle sue cameriere personali, iniziando a togliersi il vestito sporco di erba e terriccio. La donna arrivò in meno di qualche minuto, bussando elegantemente alla porta, e quando entrò Raf le chiese di prepararle il bagno senza troppi complimenti: si sentiva stanca e piuttosto sporca, un bel bagno caldo le avrebbe fatto più che bene. Tuttavia, al contrario di sua madre che necessitava minimo di tre persone che l'aiutassero a lavare i suoi lunghissimi capelli, Raf teneva alla propria privacy ed era convinta che una cameriera fosse già troppo, non a caso era sempre la stessa da anni: la donna (una giovane di quasi trant'anni che lavorava al palazzo da quando ne aveva otto) le preparava la vasca, l'aiutava a lavare e ad asciugare i capelli e, quando doveva indossare abiti particolarmente sontuosi, anche a vestirsi poiché lei non riusciva mai a racapezzarsi tra corpetti, gonne, sottogone e cerchi. In pratica era l'unica delle cameriere ad averla vista nuda, fino a quel momento, le altre erano delegate ad altri tipi di mansioni: c'era chi le lavava e le stirava i vestiti, chi le cambiava le coperte e le metteva in ordine la stanza, c'era addittiura chi andava in città a fare la sua spesa personale... e poi c'era Urié. Quest'ultima aveva undici anni, aveva la pelle ambrata e grandi occhi verdi, ed era la sua dama da compagnia a tutti gli effetti: dormiva nella camera accanto alla sua ed era l'unica amica che le fosse concesso avere, sebbene Raf avesse diverse conoscenze in tutto il palazzo di nascosto dai genitori.
Era una delle poche persone con cui lei sapeva di potersi confidare e poter parlare liberamente di qualunque cosa, aveva la sua completa fiducia. Chiuse gli occhi e si rilassò mentre sentiva le mani di Ruàn massaggiarle delicatamente la cute, intrisa di sapone.
“Sembrate molto stanca, oggi” notò la donna, grattando leggermente dietro le orecchie “Vi siete divertita?”
Raf annuì piano, lasciando che l'acqua calda e profumata dai sali le lambisse il corpo.
“Sono del parere che una giornata di pausa vi farà bene” continuò lei “State studiando tanto, ultimamente, è giusto che vi rilassiate un po'.”
La ragazza annuì di nuovo, sperando che in quel giorno di rilassamento la noia non la ammazzasse, e aprì piano un occhio: “Credo che stia succedendo qualcosa di particolare” ammise d'un tratto, folgorata da un'idea “Arkan sembrava piuttosto preoccupato quando ha parlato della riunione con mio padre. Sai di che si tratta?” chiese.
La donna esitò un attimo: “Solo voci di corridoio, principessa” rispose lei, leggermente turbata “Far parte della servitù ha i suoi vantaggi quando si tratta di pettegolezzi ma non so dirvi se le voci siano fondate e non vorrei allarmarvi inutilmente.”
Raf ci rimuginò per un momento, poggiando le mani sulle proprie ginocchia “Capisco” rispose, infine, cercando di apparire tranquilla sebbene le sue parole avevano solo aumentato il suo stato di ansia: perché mai quelle voci avrebbero dovuto “allarmarla”? Cosa dicevano di tanto preoccupante?
Ruàn iniziò a sciacquarle i capelli, lasciando che l'acqua calda si portasse via tutta la schiuma e finissero nel piccolo scarico situato nel pavimento, proprio dietro la vasca, poi li strizzò ben bene, iniziò a tamponarli con un asciugamano e infine li pettinò.
Erano già quasi asciutti quando Raf uscì dalla vasca e si rivestì. Ruàn si congedò dopo aver rimesso in ordine il bagno e la ragazza si sedette nell'angolo della stanza, accanto alla finestra, sul piccolo sgabello imbottito posto davanti alla grande arpa dorata: le aveva insegnato sua madre a suonarla, più come hobby che per altro, e ogni tanto si esercitava con essa quando aveva del tempo libero.
Non aveva nulla da fare, quel giorno, e il pensiero che stesse succedendo qualcosa di preoccupante nel regno non riusciva proprio ad abbandonarla. Angie Town aveva sempre seguito una politica puramente pacifista, fin dalla nascita del regno. A macchiare quell'onere vi era l'ombra di una sola guerra nella storia dell'Impero, avvenuta più di mille anni prima e durata quasi dieci anni, con un regno al di là delle Terre Rosse e ancora oggi esistente: Zolfanello City, una terra avvolta nel mistero, fondata su una costa nera e lambita dal mare.
Le cronache non erano molto dettagliate a causa del tempo, che aveva fatto perdere molti scritti e testimonianze, l'unica cosa certa è che la guerra non venne vinta da nessuna delle due fazioni. Il motivo era ignoto, tutto ciò che si sapeva di quella storia era mischiato alla leggenda: mentre le truppe si scontravano in un ridosso a sud delle Terre Rosse, l'allora regina di Zolfanello City si gettò dalla rupe che dava sul campo di battaglia, offrendo la propria vita agli dei in cambio della pace tra i due regni. Gli dei, commossi dal gesto, fecero cadere dal cielo una pioggia rossa e azzurra che, scivolando sul corpo della donna, fece sbocciare un'infinità di papaveri rossi. I soldati gettarono quindi le armi e i due re stipularono un'accordo di pace perenne che mantenevano ancora oggi.
Ovviamente la storia era da prendere con le pinze, l'unica cosa certa è che non ci furono né vincitori né vinti in quella guerra ma solo molte vite umane spezzate. Scosse la testa per scacciare quel senso di nausea e pesantezza che le opprimeva lo stomaco e pizzicò delicatamente le corde dell'arpa, creando una breve melodia in scala minore.
Doveva solo stare tranquilla, era sicura che suo padre avrebbe gestito perfettamente la situazione qualunque essa fosse, non aveva nulla di cui preoccuparsi. Suonò per un'altra decina di minuti degli accordi base, giusto per non perdere la mano, e andò avanti con piccoli pezzi di suonate via via sempre più complicate finché uno dei maggiordomi non venne a riferirle che entro dieci minuti avrebbero servito il pranzo. Raf fece una smorfia e, abbandonato lo strumento, iniziò a prepararsi: infilò un'abito azzurro di broccato, rigorosamente senza bustino, e si raccolse i capelli in una crocchia bassa che chiuse con una retina, prima di uscire dalla propria camera; sua madre ci teneva in modo quasi morboso a vederla sempre in ordine e perfetta, per questo ogni volta che doveva presentarsi davanti a lei si premurava di avere un aspetto quantomeno decente.
Era decisamente noioso vestirsi e svestirsi ogni volta ma sua madre avrebbe fatto il diavolo a quattro se si fosse presenata a tavola con un abito sciatto o i capelli sciolti. L'unica cosa positiva di quella situazione era che, fortunatamente, vedeva i membri della sua famiglia abbastanza di rado a causa degli impegni a cui tutti erano soggetti. Voleva loro molto bene, ovviamente, e su questo non ci pioveva, ma molto spesso la loro compagnia era davvero pesante.
Attraversò il salone e si ritrovò nel grande corridoio che portava alla sala da pranzo con, ferme dinanzi al portone, due guardie reali nella loro tenuta ufficiale.
Sorrise quando li raggiunse e fece un cenno col capo all'uomo sulla sinistra “Brent” salutò, per poi rivolgersi al compagno, e il suo sorriso divenne più ampio “Ron, ho saputo che vostra moglie ha partorito. Congratulazioni.”
L'uomo sorrise a sua volta e chinò lievemente il capo, poggiando una mano sulla maniglia del portone “Grazie, principessa” mormorò, aprendola. Il fatto che Raf fosse il membro più amato della famiglia reale, tra coloro che vivevano a corte, non era certo un caso: lei, a dispetto del suo parentado che manteneva il distacco sociale come da protocollo, aveva sempre avuto una certa confidenza con tutti coloro che frequentavano assiduamente la corte, in barba alle regole. Era stato uno dei primi insegnamenti di Arkan: “Un re non esiste senza il suo popolo”, e lei era dell'opinione che trattare con diffidenza i propri sudditi solo perché di una scala gerarchica differente fosse ingiusto oltre che terribilmente controproducente.
Raggiunse la lunga tavolata a piccoli passi, la schiena dritta e la mano che reggeva delicatamente la gonna, e si sedette al centro esatto del mobilio, sulla destra, proprio di fronte a suo fratello già intento a mangiare. Accanto alla propria sedia era ferma Urié, rigida e con le mani giunte sulla gonna, con cui si scambiò una breve occhiata d'intesa. Sua madre, seduta a capotavola che dava le spalle alla porta, stava leggendo un rotolo di pergamena che recava il sigillo ufficiale della nazione, con un lungo abito verde scuro e una mantellina nera che poggiava sulle estremità sui braccioli; i capelli biondi erano stati pettinati in una lunga treccia che aveva poi raccolto alla base del capo. Sempre perfetta e impeccabile, come da etichetta.
La donna non alzò neanche gli occhi su di lei ma a Raf bastò sentire il tono tagliente della sua voce per immaginare un suo ipotetico sguardo: “Sei in ritardo. E non indossi il bustino” la rimproverò.
La ragazza si trattenne dall'alzare gli occhi al cielo e lasciò che il maggiordomo le servisse un piatto di pollo e piselli senza dire una parola; aveva imparato a non replicare ai rimproveri della madre, sarebbe sempre stato fiato e tempo sprecato. Prese coltello e forchetta e iniziò il suo pasto, nel silenzio più assoluto, almeno finché la donna non finì di leggere la missiva e la arrotolò accuratamente, porgendola alla sua cameriera personale, ferma accanto a lei, che, dopo essersi inchinata brevemente, uscì dalla sala. La regina alzò lo sguardo sui propri figli e si schiarì elegantemente la voce: “Fra una settimana esatta riceveremo visite importanti” annunciò, seria, attirando l'attenzione di entrambi “Abbiamo in corso una trattativa con il sovrano di Zolfanello City e suo figlio, il principe, verrà fin qui per fungere da tramite” spiegò, facendo un cenno con la mano alla sua sinistra: il maggiordomo si avvicinò e tolse le stoviglie dal suo posto, poggiandole sotto il carrello portavivande, ben nascoste da una tovaglia, e iniziò a preparare una fetta di torta alla melassa.
“Che genere di trattative?” chiese Raf, sospettando che il tutto c'entrasse con la riunione straordinaria del consiglio e le notizie allarmanti che giravano per i corridoi del castello.
“Il loro regno sta passando un momento difficile” rispose la madre, abbassando lo sguardo per sistemare meglio il piatto con il dolce davanti a sé “Il re ha chiesto il nostro aiuto per superare questa crisi e vostro padre ha accettato. I particolari non devono interessarvi” tagliò corto, prendendo il cucchiaio “Tutto ciò che voglio è che vi comportiate dignitosamente e non ci facciate fare alcuna figura barbina. E per evitare ciò, Raf, da domani e fino al loro arrivo prenderai regolarmente lezioni di danza e ti eserciterai constantemente con l'arpa” ordinò, facendole sgranare gli occhi.
“Perché?!” chiese, allibita, dimenticando per un momento il decoro a cui doveva essere soggetta. Urié, che le stava riempiendo il calice con del succo di mela, s'irrigidì e le tirò un calcio da sotto il tavolo.
Sua madre assottigliò lo sguardo, evidentemente infastidita da quella reazione del tutto priva di contegno e ubbidienza. “Perché...” cominciò, con tono basso e lento “...anche se tendi a dimenticarlo molto spesso, resti comunque una principessa e devi comportarti come tale. Ospiteremo a palazzo l'erede al trono di uno dei più grandi imperi al di là delle Terre Rosse, il minimo che puoi fare è dimostrarti un degno membro di una famiglia reale.
Senza contare che organizzeremo un banchetto di benvenuto a cui parteciperà tutta la corte e se il principe ti chiederà di danzare tu lo farai, e lo farai bene” spiegò, rimarcando con forza l'ultima parola, riferendosi al fatto che in quanto a ballare la ragazza era disgraziatamente impedita “E con questo ho chiuso” concluse, concentrandosi sulla propria fetta di torta, facendo ben intendere che la conversazione era finita e non sarebbero state ammesse repliche di alcun genere, con grande disappunto di Raf.
Sarebbe stata una settimana decisamente infernale.




Arkan non poteva ancora credere a quello che aveva udito uscire dalla bocca del re. Per un attimo aveva pensato, sperato, di aver sentito male... e invece le sue orecchie non lo avevano ingannato, portandolo dinnanzi ad un'atroce realtà. Non era preparato ad una notizia del genere, non era previsto che accadesse una cosa simile, era un'eventualità che nessuno aveva mai preso in considerazione.
Eppure il re aveva accettato, senza indugiare troppo, pensando sin dall'inizio ai benefici che ne avrebbero tratto al livello politico ed economico e non tenendo minimamente conto delle conseguenze. Non aveva pensato a come avrebbe potuto sentirsi lei una volta scoperto tutto ciò.
Aveva provato ad obbettiare, ad avanzare altre soluzioni che non prendessero in considerazione una soluzione così drastica, ma il consiglio era stato irremovibile: nessuna trattativa scritta avrebbe potuto ottenere un risultato migliore di un matrimonio.
Purtroppo erano molto scettici riguardo quell'alleanza, nonostante l'accordo di pace stipulato centinaia di anni or sono i rapporti tra Angie Town e Zolfanello City erano sempre stati molto tesi, tanto da rendere quasi impossibile qualunque trattativa politica e commerciale tra i due stati. Molti ministri temevano un tradimento, una ritorsione personale, se non addirittura una seconda guerra.
Esagerazioni, a parer suo: se Zolfanello City avesse voluto far loro guerra avrebbe potuto farlo in qualunque momento, non avrebbe mai chiesto il loro aiuto in un momento per loro tanto delicato e non li avrebbe, a sua volta, aiutati durante la grande carestia che aveva colpito il paese trent'anni prima. Quello non era altro che una restituzione del favore, un aiuto per un aiuto, che non nascondeva nulla di intentato. Ma l'ultima parola non spettava a lui e i sovrani di entrambe le fazioni avevano ormai fatto la loro scelta, nulla avrebbe impedito il compiersi di quella decisione.
Sospirò, camminando a passo lento per gli immensi corridoi del palazzo, assorto nei propri infausti pensieri. La sua mente andò alla protagonista di quella storia, ancora ignara della sorte che altri avevano deciso per lei, e gli si strinse il cuore: l'aveva educata ed amata come una figlia, l'aveva vista nascere e crescere, e saperla tutta sola in un paese sconosciuto e circondata da estranei, sapere che non avrebbe più visto il suo volto sorridente e che non avrebbe più fatto lezione con lei gli faceva male. Ma non era un dolore fisico, era un dolore emotivo che lo toccava nel profondo.
La cosa peggiore di tutta quella faccenda era che avrebbe dovuto essere proprio lui a darle la “lieta notizia”, e non sapeva se ne avrebbe avuto la forza.
Entrò nella propria stanza e si chiuse la pesante porta alle spalle con stanchezza, come se avesse perso tutta l'energia che aveva avuto in corpo fino a quel momento in quell'unica, interminabile e infernale riunione. Si abbandonò sul letto massaggiandosi le tempie e chiuse gli occhi, deciso a riposare un po' prima di dover compiere al suo triste dovere, come era giusto che fosse.






























Note:
E chi è quella in un ritardo bestiale che si meriterebbe i peggiori insulti? Io, ovvio.
Non vi dico neanche cosa mi è successo in 'sti tre anni altrimenti inizio ad imprecare, e la cosa potrebbe risultare molto poco elegante, spendo solo due parole su questa storia che ha più volte rischiato la cancellazione in questo lunghissimo lasso di tempo.
Ebbene, tanto per cominciare l'idea attuale è un bel po' diversa da quella che avevo in mente quando ho iniziato a scriverla. Il mio modo di scrivere è maturato, io sono maturata, e ho deciso di far diventare questa storia qualcosa di più della mera favoletta d'amore tra principi e principesse che avevo pensato all'inizio.
Mi sono documentata tanto, ho attinto da diverse fonti storiche e mi sono ispirata anche ad alcuni personaggi d'epoca per arrivare ad un risultato che mi soddisfasse tanto da dire “Ok, tutto questo merita di esistere.”
Una delle più grandi differenze è senza dubbio l'età dei personaggi: inizialmente dovevano essere quelli del cartone animato e avere tutti all'incirca diciotto anni ma, alla fine, ho optato per usare quelli del fumetto che, in quanto ad età, sono decisamente più realistici per i canoni dell'epoca in cui è ambientata. Quindi Raf ha all'incirca tredici anni e sarà questa l'età con cui convolerà a nozze: anche se al giorno d'oggi la cosa è abbastanza scandalizzante, nel contesto storico del racconto è perfettamente normale.
Ci tengo a precisarlo ora giusto per evitare commenti fuori luogo e indignazioni varie che mi è già capitato di leggere altrove. Ovviamente non dubito delle vostre capacità di contestualizzare un racconto, ma meglio prevenire che curare. Ve voglio bene a tutti e lo sapete.
Beh, detto questo spero di non aspettare altri due/tre anni per pubblicare il prossimo capitolo, con me non si sa mai (purtroppo).
Baci.
   
 
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