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Autore: Ramalilith    03/08/2020    0 recensioni
Questa è una trasposizione a romanzo del videogioco "The Witcher 3 - Wild Hunt", completa di missioni secondarie, cacce al tesoro e contratti.
Genere: Avventura, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ciri, Geralt di Rivia, Triss Merigold, Yennefer
Note: nessuna | Avvertimenti: Non-con, Violenza
Capitoli:
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Per quanto orribili a vedersi – creature vagamente umanoidi, dalla pelle nuda e i denti aguzzi, che si muovevano curve a quattro zampe – i ghoul non rappresentavano un vero problema per due witcher esperti, anche se senza dubbio avrebbero messo in seria difficoltà un uomo qualunque. Come al solito si muovevano in branco; Geralt ne contò cinque o sei, che caddero rapidamente sotto i colpi delle loro spade d’argento e di un paio di Segni ben scelti.

Quando tutto fu finito, il witcher si fermò ansimante, circondato dai corpi senza vita. Chissà se era vero che quelle abominevoli creature erano una volta uomini costretti a ridursi al cannibalismo e che perciò ora erano condannati a nutrirsi di carne umana in putrefazione? Pulì rapidamente la lama della spada sull’erba. Se era così, stavano sicuramente meglio morti.

Vesemir si avvicinò. “Quando passano gli eserciti, i necrofagi li seguono”. Prese una fiaschetta da una tasca e bevve, prima di porgerla a Geralt. “Andiamocene, prima che ne arrivino altri”.

Geralt andò a prendere Rutilia, che si era ritirata dietro a un grosso albero quando lo scontro si era fatto più violento. Mentre finiva di assicurarle la sella, lo sguardo gli cadde su un proclama inchiodato sulla corteccia dell’albero.

 

ATTENZIONE

Alcuni banditi che si fanno chiamare “Soldati di Temeria” si nascondono nei boschi qui attorno.

Sono fuorilegge e rappresentano un pericolo per i sudditi imperiali.

Chiunque offra loro ospitalità o aiuto verrà punito secondo la legge.

A nome dell’Imperatore di Nilfgaard, il capitano Peter Saar Gwynleve

 

Ottimo, pensò Geralt. Oltre che per i ghoul, c’era da stare all’erta anche per scaramucce fra banditi e guardie imperiali.

Il sole iniziava ad alzarsi sull’orizzonte, dividendo il paesaggio in lunghe ombre scure e luce dorata. Geralt stava per salire in groppa alla sua giumenta, quando gli parve di vedere qualcosa luccicare nel prato. Probabilmente non era niente di più che un frammento di mica in un sasso, però… decise di assecondare la propria curiosità e andò a vedere.

Raccolse l’oggetto con attenzione per guardarlo da vicino. Non era affatto un sasso.

“Un teschio d’uccello… di cristallo nero”. Fece un mezzo sorriso. Era strano come una reliquia così bizzarra potesse risultare così familiare. “Perché penso che sia di Yen?”

Lo ripose accuratamente nella bisaccia. Glielo avrebbe restituito. Presto, sperava.

Finalmente Geralt e Vesemir si misero in marcia, galoppando l’uno dietro l’altro giù dalla collina e verso la strada principale, seguendo le tracce di Yennefer.

“Ti ho mai racconto di quel mago che conoscevo?” chiese Geralt. “Quello che parlava continuamente della grande utilità di queste creature?”

“Perché puoi usare il loro sangue per le pozioni?” rispose Vesemir senza voltarsi. Lui stesso ne aveva raccolto un po’ da uno degli esemplari, qualche minuto prima.

Geralt rise. “No. Perché mangiando i cadaveri in decomposizione tengono lontane le epidemie”.

“Mmh. Non sapeva che mangiano anche i vivi?”

“No, ne è rimasto sconvolto… la sua teoria è stata smontata”.

Per qualche minuto cavalcarono in silenzio. Anche nella rigogliosa campagna intorno a loro, le ferite lasciate dalle battaglie erano ben visibili. Forse fu questo pensiero a spingere Vesemir a parlare di nuovo.

“La guerra non sta esattamente volgendo a nostro favore”.

Geralt fece una smorfia. “Perché, abbiamo una fazione?”

“I Regni Settentrionali” rispose l’altro, imperturbabile.

“I Regni di Radovid, vorrai dire. Temeria e Aedirn non esistono più”.

Quasi a confermare la sua triste constatazione, un villaggio saccheggiato apparve davanti a loro, e poco dopo si ritrovarono a passare in mezzo alle rovine delle case bruciate. Non c’era un’anima in giro, e l’atmosfera spettrale parlava di morte, odio e disperazione. Qua e là c’erano corpi di impiccati appesi agli alberi.

“Radovid ha promesso di ripristinare i vecchi confini… dopo che avrà vinto la guerra” riprese Vesemir.

“E tu ci credi?” replicò Geralt.

“Bisogna pur credere a qualcosa. È ciò che ci spinge a tirare avanti” disse Vesemir.

Stavano quasi per lasciarsi alle spalle l’aura deprimente del villaggio, quando entrambi udirono qualcosa. Era una voce, e proveniva da uno degli scheletri anneriti che un tempo erano stati case. I due witcher si scambiarono uno sguardo e fermarono i cavalli. Poi Geralt smontò. “Vado io a vedere”.

Vesemir annuì senza parlare, e prese le redini di Rutilia.

 

Geralt avanzò con cautela fra le rovine, e in un attimo individuò l’origine della voce. Un uomo era seduto sulla soglia di una casa, coi gomiti appoggiati alle cosce nude. Gli occhi di Geralt saettarono in giro in cerca dell’interlocutore, ma a quanto pareva l’uomo stava parlando col cane accucciato al suo fianco.

“… smettila di frignare, Hussar. Cercheremo Bastien dopo, quando sarà sicuro”.

Il witcher si fece avanti. “Lo fai spesso? Parlare con il tuo cane?”

L’uomo alzò lo sguardo su di lui. Se l’apparizione improvvisa del witcher lo aveva spaventato, non lo diede a vedere. Aveva lo sguardo infossato, spento. Geralt giudicò che in quello stato di apatia, nonostante le spalle grosse e rotonde e le braccia nerborute, non costituisse una minaccia.

“È di mio fratello Bastien”, spiegò l’uomo. “Ma… credo che ormai sia mio”.

Si voltò verso il molosso, che proprio come il padrone aveva un’aria inoffensiva, nonostante il collare borchiato e le cicatrici sul muso che lasciavano scoperti i denti. L’uomo sospirò, guardandolo, poi alzò di nuovo lo sguardo verso Geralt.

“Vedi… Bastien ha affrontato gli Oscuri in battaglia. Appena fuori dal villaggio. Da allora, non ho più sue notizie. Gliel’avevo detto…” scosse la testa. “Fai come me, perdi un dito o due, così non ti recluteranno… Ma lui aveva troppa paura. Porca miseria…”

Geralt sbirciò le mani dell’uomo. Del dito medio della sinistra era rimasto solo un moncherino. Non commentò. In ogni caso, il problema non sembrava di difficile soluzione.

“Se fossi in te, cercherei sul campo di battaglia”.

L’uomo annuì stancamente. “L’ho fatto. Un mare di cadaveri… e di necrofagi affamati. Qualcuno mi aveva detto che temono il fuoco, così ho portato una torcia e ho provato a scacciarli… Cazzate, credimi. Sarei finito divorato se non fosse stato per Hussar”.

Geralt ripensò al campo di battaglia che aveva esaminato il giorno prima in cerca di Yennefer, e ai ghoul che li avevano attaccati non più di un’ora prima, nonostante avessero preso la precauzione di accamparsi su un’altura.

L’uomo seduto lo stava ancora fissando, come valutandolo. “Ascolta”, disse alla fine. “Immagino che quelle spade non siano solo un ornamento. Vieni con me, tieni a bada i ghoul. Aiutami a trovare Bastien e ti pagherò bene”.

Geralt ci rifletté solo un momento. Certo, non poteva dire di essere entusiasta all’idea di affrontare di nuovo dei ghoul, o di passare al setaccio una distesa di cadaveri – il cui odore non era sicuramente migliorato nelle ultime ventiquattr’ore – ma il lavoro è lavoro, e quell’uomo dall’aria sconfitta gli faceva pena. Era come la personificazione di quel villaggio saccheggiato.

“D’accordo, ti aiuterò. Solo… sono passati parecchi giorni dalla battaglia. Le probabilità di trovare tuo fratello vivo sono scarse. Molto scarse”.

L’altro fece una specie di tentativo di sorriso. “Chi l’avrebbe mai detto. Ma… voglio trovare il suo corpo, almeno. Non voglio che Bastien marcisca sotto il sole insieme agli Oscuri”.

Si alzò in piedi e il cane lo imitò. “Raggiungimi sulla collina che guarda sul campo di battaglia. Da lì, proseguiremo insieme”.

Geralt considerò per un attimo di andare a recuperare Rutilia ed avvisare Vesemir, ma poi cambiò idea. Erano ancora vicini al campo, e in ogni caso l’uomo ci sarebbe andato a piedi. Tanto valeva accompagnarlo.

Rifece la strada inversa verso nord, tagliando per le collinette all’interno. Passò davanti a tre impiccati lasciati appesi fianco a fianco sul ciglio della strada, e fece del suo meglio per ignorarli.

Qualche minuto dopo, erano di nuovo al cospetto del campo di battaglia. La luce del sole faceva splendere qua e là qualche spada o pezzo di armatura che chissà come non si erano sporcati di fango e sangue. Tende e stendardi sbrindellati, decorati con i gigli di Temeria, svolazzavano sinistri nella brezza.

Geralt scosse la testa. “Tutti questi cadaveri… e la guerra è appena cominciata” commentò amaramente.

L’uomo, che stava arrivando da un’altra strada, si accorse della sua presenza e lo raggiunse. “Sei qui, bene”. Lasciò vagare lo sguardo sul campo. “Bastien… il suo corpo dev’essere qui da qualche parte”.

“Tra moltissimi altri”, puntualizzò Geralt. “Vuoi controllarli uno per uno? Potrebbe volerci un po’…”

L’uomo si voltò a fissarlo. Era in controluce, ed era difficile decifrare lo sguardo nei suoi occhi chiari. “Non temere, le reclute di Bianco Frutteto avevano dipinto un piccolo fiore sui loro scudi, in modo da potersi riconoscere in battaglia. Non erano molti. Se cerchiamo i fiori, troveremo Bastien velocemente”.

Geralt scrollò le spalle, scoraggiato. “Senza offesa, ma… molti soldati lasciano cadere lo scudo. Specialmente se stanno perdendo”.

L’altro strinse le labbra. “Se troviamo anche solo lo scudo, Hussar fiuterà l’odore e ci guiderà da Bastien”, insisté cocciuto. “Vieni… prima finiamo, meglio è”.

L’uomo e il witcher avanzarono sul terreno impregnato di sangue. L’odore era pestilenziale. Geralt cercò di rilassare la mente, escludendone tutte le distrazioni, lasciando liberi i suoi sensi di esplorare il terreno in modo automatico, ma dopo pochi istanti dovette tornare bruscamente in se stesso. Tre o quattro ghoul li stavano caricando. L’uomo, che era armato di una mazza, si fece avanti esitante per combatterli, ma Geralt lo trovò più d’impaccio che d’aiuto. Sguainò la spada d’argento e andò all’attacco, uccidendone tre, mentre il quarto veniva sbranato da Hussar. La giornata si preannunciava monotona, pensò.

Quando il pericolo fu superato, Geralt pulì la spada con un ciuffo d’erba e riprese la ricerca. Gli bastarono pochi secondi per trovare uno scudo di legno con un disegno di fiori bianchi. Giaceva nel prato calpestato, a poca distanza da un corpo riverso. Il witcher fece segno al suo compagno di avvicinarsi. “È lui?”

L’altro scosse la testa, girando intorno al cadavere per poter osservare la faccia senza toccarlo. “No. È il figlio del mio vicino”.

Tacque per un po’, poi respirò profondamente e si allontanò. “Forza, Hussar” chiamò. “Senti l’odore di Bastien, bello?” Ma il cane annusava qua e là senza dar segno di trovare nulla d’interessante. “Ancora niente”.

 Il witcher non si perse d’animo. L’intera faccenda era senza speranza, è vero, ma dato che ormai erano in ballo, tanto valeva ballare. Gironzolò qua e là, i sensi all’erta, cercando uno scudo dipinto.

Ne trovò uno mezzo sepolto in un cumulo di armi ammaccate. C’era un unico cadavere a qualche passo di distanza. “È lui?”

“No”, rispose l’uomo. “Non gli assomiglia per niente”.

Per un po’ girarono a vuoto.  Una parte di Geralt pensava al povero Vesemir, rimasto ad aspettarlo in strada. Forse ne stava approfittando per meditare. Un’altra parte ricordava il sogno di quella notte. Era stato così bello rivivere quei momenti di felicità con Ciri. Possibile che fossero già passati sette anni da allora, e che le cose fossero così cambiate? Sperava che il suo incubo non significasse nulla. Lo sperava, ma non ci credeva.

Nonostante fosse assorto nei pensieri, questo non impediva ai suoi sensi potenziati di lavorare come sempre, e infatti, pochi istanti dopo, vide un altro di quegli scudi con i fiori. Era in mezzo a uno spiazzo di terra bruciata, e il cadavere lì vicino era stato anch’esso mutilato dal fuoco. Geralt si accosciò per guardare meglio. “Ah… la pelle è ustionata” commentò, osservando il viso del morto. Si rivolse all’uomo, che lo aveva raggiunto nel frattempo. “Non è facile da dire, lo so, ma… potrebbe essere lui?”

Per la prima volta, l’altro sembrò dubbioso. “Io… Bastien era grosso e aveva spalle larghe. Questo mi sembra più piccolo. Ma forse è colpa del fuoco”. Rimase incerto ancora un attimo, poi qualcosa lo distrasse. Hussar, che era stato intento ad annusare lo scudo mezzo carbonizzato, aveva rialzato il muso di scatto con aria eccitata, emettendo un breve latrato. I due uomini si raddrizzarono all’istante.

“L’ha trovato! Hussar ha fiutato il suo odore! Vieni!”

Il cane si era già lanciato nei meandri della boscaglia ai margini del campo di battaglia. Geralt si lanciò alle sue costole, senza mai perderlo di vista nel folto della vegetazione. In breve si erano lasciati l’altro uomo alle spalle. Il molosso procedeva spedito, sulle tracce di qualcosa che Geralt non poteva percepire. Per un attimo si chiese se era questo che i normali esseri umani provavano nei confronti dei witcher.

Finalmente il cane si fermò fuori da una capanna in rovina e palesemente abbandonata. Geralt rifletté che non dovevano essere lontani dal villaggio da cui erano partiti. Si sentivano delle deboli voci provenienti dall’interno. Tese l’orecchio.

“… ma c’è dell’altro… il mio tenente vuole che defechiamo a comando. Dardi di balista che ci piovono addosso, e lui ha avuto il coraggio di dirci Un soldato con lo stomaco pieno non può mettere piede sul campo di battaglia. Ora cagate… è un ordine!... ci crederesti? Il cretino!”

Suono di risate, poi un’altra voce, fievole e più giovanile. “Smettila, sto morendo… le costole… mi fanno male se rido!”

A quel punto Geralt spinse la porta ed entrò. Come si aspettava, la capanna era in pessimo stato. Sul pavimento, appoggiato alla parete di legno sotto a una finestra, c’era un soldato ferito. Sebbene giovane, era completamente calvo, e aveva testa e vestiti macchiati di sangue. Accanto a lui era accovacciato un altro uomo, un po’ più anziano, con indosso un’uniforme da nilfgaardiano. Una delle sue gambe era ripiegata in modo strano.

Entrambi ammutolirono di colpo all’apparire del witcher.

“Avrai bisogno di un laccio emostatico” esordì Geralt, accennando alla ferita. “Ma prima… volete spiegarmi cosa sta succedendo qui?”

L’uomo calvo lo fissò esterrefatto. L’altro aveva abbassato gli occhi. In quel momento il compagno di Geralt entrò nella capanna, ansimante per la corsa. Anche lui fece tanto d’occhi. “Bastien!” esclamò, prima di notare l’uniforme dell’altro ferito. “Lui… questo nilfgaardiano ti ha catturato?” La minaccia era chiaramente percepibile nella sua voce, più ancora del sollievo.

Il nilfgaardiano rimase in silenzio, senza guardarli, ma Bastien si affrettò a spiegare. “No, mi ha salvato la vita. Sono stato ferito a un fianco… poi ho battuto la testa. Non vedevo niente. Rhosyn mi ha trovato mentre… mentre strisciavo sul campo di battaglia. Ha una gamba rotta… eravamo un cieco che guida uno zoppo. Abbiamo trovato questo posto”.

Il fratello non parve molto impressionato. “Ti riporto a casa” disse freddamente. “Dobbiamo curare quelle ferite”.

“Non lascerò qui Rhosyn!” protestò Bastien, con la poca forza che aveva. “Da solo, morirà… e non può tornare dai suoi compagni. Ha disertato, lo impiccheranno”:

 “E se lo scoprono insieme a noi?” ribatté l’altro. “Ci impiccheranno tutti, compresa la mia Liesje! No, l’Oscuro resta qui”.

Fino a quel momento, Geralt era rimasto in silenzio ad ascoltare lo scambio, le braccia conserte. A quel punto decise di offrire il suo parere, e si girò verso l’uomo al suo fianco. “Bastien è sopravvissuto solo grazie all’Oscuro. Forse dovresti dimostrargli che gli uomini del Nord non sono così barbari come ci dipingono i nilfgaardiani”.

L’altro ci rifletté per un po’. Sia Bastien che Rhosyn trattenevano il respiro. Alla fine lui scrollò le spalle. “Be’, potrei dargli dei vestiti di nostro padre, insegnargli a lavorare nei campi… ma quell’accento…” Esitò ancora per un attimo, prima di capitolare. “D’accordo, lo accoglierò”. Si voltò a guardare Geralt. “Grazie, witcher. La tua ricompensa…” gli mise in mano qualche corona. “E che gli dèi ti proteggano”.

 

Sulla strada del ritorno, Geralt si fermò suo malgrado ad osservare i tre corpi di impiccati appesi al lato della strada. Uno dei tre era già ridotto a scheletro, mentre gli altri sembravano morti di recente. Notò un cartiglio appuntato su uno dei pali.

 

Direttiva n. A/280/IX

Seppellire i corpi dei disertori e dei ribelli impiccati è d’ora in poi severamente vietato.

Chiunque verrà colto a disobbedire sarà sottoposto a esecuzione sommaria.

Generale Mairwen Rhosyn, governatore della provincia di Temeria.

 

Fece una smorfia. Rhosyn. Certo, poteva essere una coincidenza. Ma se non lo era, era un gran bel caso di giustizia poetica. Sperò solo che al fratello di Bastien non capitasse sott’occhio quell’avviso nel prossimo futuro.

 

Geralt corse a raggiungere Vesemir. Insieme si rimisero in viaggio, uscendo rapidamente dal villaggio saccheggiato. La strada saliva e scendeva su basse collinette, e alla loro sinistra comparve un fiume.

Proseguirono per un po’ senza incidenti. La temperatura era ancora fresca e i cavalli, riposati, avanzavano senza fatica sulla terra compatta. Geralt continuava a pensare alternativamente al suo sogno e alla guerra che imperversava nelle campagne. Molta gente doveva aver perso i propri cari, e ben pochi sarebbero stati così fortunati da ritrovarli in vita, come era successo a Bastien.

Era così assorto nei suoi pensieri che sulle prime non si accorse delle grida; ma Vesemir, davanti a lui, le sentì e fermò il cavallo.

I due witcher si guardarono. “Andiamo?” chiese Vesemir, ma era una domanda retorica. Entrambi spronarono i cavalli in direzione del suono.

Non dovettero avanzare molto. Pochi metri più avanti, un carro era rovesciato in mezzo alla strada. “Aiutatemi! Aiuto!” gridava l’uomo rannicchiato al di sotto. Ma non era un normale incidente, come si accorsero i due witcher prima ancora di smontare di sella.

Un grifone enorme era appollaiato su quello che era stato il cavallo che tirava il carretto, e che ora era una massa di carne sanguinolenta. La bestia la teneva saldamente con i suoi artigli da aquila, straziandone le viscere col becco affilato.

Vesemir e Geralt fecero allontanare i cavalli con una pacca – meglio evitare che anche loro diventassero spuntini – e si gettarono all’attacco.

Geralt tentò un primo fendente, ma il mostro lo evitò alzandosi in volo. Tuttavia, mentre passava sopra le loro teste, la spada d’argento lo colpì al ventre, facendogli emettere un terribile strido. Il grifone prese quota, lasciando piovere dietro di sé un rivolo di sangue. Le ali enormi facevano un bizzarro contrasto con il robusto corpo da lince. Infuriato, si lanciò su Vesemir, che lo attendeva pronto, e riuscì a sviare il suo attacco. Ma gli artigli giganteschi lo ferirono alla spalla, e il witcher gridò di dolore, crollando sulle ginocchia.

Geralt si fece avanti per colpire di nuovo, ma il grifone si rialzò, descrivendo un ampio cerchio in volo, e invece di avventarsi su di lui lo evitò, planando sulla carcassa del cavallo. In un attimo lo aveva afferrato con le zampe possenti ed era sparito all’orizzonte.

Geralt prese un profondo respiro e ripose la spada nel fodero.

Vesemir si stava tastando la ferita sulla spalla. Il cuoio dell’armatura era stato strappato, ed era imbrattato di sangue, ma lui fece cenno a Geralt di non preoccuparsi.

“Se n’è andato?” chiese una voce tremante.

Geralt si girò. Si era quasi dimenticato dell’uomo che aveva chiesto il loro aiuto – e che al momento era ancora nascosto sotto al carro.

“Sì. Vieni fuori”.

L’uomo si rialzò, incerto sulle gambe. Non sembrava molto sveglio, e il taglio di capelli a scodella non migliorava l’impressione. Li guardò, e per un attimo parve più spaventato dai witcher che dal grifone. Poi, evidentemente realizzando che il pericolo era passato, riacquistò la favella.

“Per gli dèi… c’è mancato poco. Temevo di finire come la mia giumenta”.

“E saresti stato fortunato” commentò Vesemir asciutto, guadagnandosi uno sguardo sconvolto da parte del contadino.

“Il tuo cavallo è morto rapidamente” spiegò Geralt. “Ma ai grifoni piace giocare con le prede. Le mangiano vive, un pezzo alla volta”.

L’uomo annuì. Sembrava sul punto di vomitare. Poi un altro pensiero lo colpì. “Vorrete… vorrete una ricompensa, immagino?”

Geralt rifletté per un attimo. Non sembrava ricco, e aveva appena perso il cavallo. E poi c’era quello sguardo terrorizzato che stava loro riservando. Decisamente, non avrebbe fatto male migliorare un po’ la sua opinione sui witcher.

“Non ci devi nulla” disse con la sua solita voce ruvida, ignorando l’occhiata di Vesemir. “Avevi bisogno e ti abbiamo aiutato”.

L’uomo annuì con sorpresa ed evidente sollievo. “E poi dicono che i witcher sono senza cuore… dicono che non muovono un dito senza una ricompensa”.

“Dicono anche che i topi nascono dalla paglia marcia” tagliò corto l’altro. Poi si rivolse al compagno. “Torniamo alla pista?”

Vesemir scosse la testa. “Come dicevo, porta alla strada principale e finisce lì. Nel fango”.

Il contadino, che stava esaminando il suo carico rovesciato a terra, si girò all’improvviso. “Cercate qualcuno?”

Geralt era troppo ansioso di avere notizie per sentirsi irritato dall’intromissione. “Sì, una donna. Altezza media, lunghi capelli neri… hai visto qualcuno di simile?”

“No” rispose l’uomo. “Ma… c’è una locanda, qui a Bianco Frutteto, l’unica della zona. Accoglie molti viandanti. Forse lì scoprirete qualcosa”. Si fermò a riflettere per un attimo. “Inoltre, l’oste è mia cugina. Ditele che vi manda Bram, vi tratterà come persone di famiglia”.

Era possibile che Yen si fosse fermata in una locanda? Sembrava improbabile. Eppure era un tipo difficile da ignorare. Se qualcuno l’aveva notata, se ne sarebbe ricordato…

“Non male come idea. E poi dobbiamo ripulire quella ferita”.

“Bah, la bestia mi ha solo graffiato” brontolò Vesemir. “Ma non mi dispiacerebbe un bel whisky. Bello fresco, sai, direttamente dalla cantina”.

Geralt annuì. “Andiamo”.

Lasciarono il contadino intento a riparare il suo carro e rimontarono a cavallo. Prima di riprendere a parlare, attesero di essere fuori dalla sua portata d’orecchio.

“Quindi… un grifone così vicino al villaggio? Strano…”

“L’ho pensato anch’io” rispose Vesemir. “In una foresta o tra le montagne, va bene. Ma qui? E così vicino alla strada principale, per giunta”.

“Forse è colpa della guerra” disse Geralt. “Cadaveri ovunque, odore di sangue e carne bruciata… a volte fa impazzire i mostri”.

Stavano entrando nel villaggio – che per fortuna appariva molto diverso da quello precedente. Muretti e steccati bordavano la strada e i campi, le case erano integre e pontili di legno si protendevano sul fiume, con barchette legate o tirate in secco. Sulla strada c’erano bambini che giocavano.

“Anche gli uomini” aggiunse Vesemir cupo, mentre entravano nel cortile della locanda. “Dobbiamo fare attenzione, a Bianco Frutteto. E dovremmo andarcene non appena scoperto qualcosa”.

   
 
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