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Autore: thors    04/08/2020    2 recensioni
Storia seconda classificata nel contest “In Another Life, In Another World” indetto da fantaysytrash sul forum di EFP (Settembre 2020).
Rin, Yukio, Bon e tanti altri personaggi di Ao No Exorcist si trovano alle prese con una sanguinosa vicenda di mafia in un Giappone che sta attraversando un periodo di protezionismo in stile americano.
Ad osservare pensieroso quella scena attraverso l’ampia vetrata del suo lussuoso salotto mentre accarezzava distrattamente un gatto nero di nome Kuro accoccolato tra le sue braccia, vi era un uomo di ventisette anni, i cui capelli scuri davano bizzarri riflessi dello stesso colore azzurro dei suoi occhi.
Genere: Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Izumo Kamiki, Rin Okumura, Ryuji Suguro, Shiemi Moriyama
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Prefazione

 

Questa storia partecipa al contest “In Another Life, In Another World” indetto da fantaysytrash sul forum di EFP.

Le vicende qui raccontate si svolgono in un ipotetico Giappone durante un clima di proibizionismo molto simile a quello reale e ben noto degli Stati Uniti. Mi rendo conto di non averlo saputo rendere al meglio e non sono sicuro di poter addebitare la colpa di questo solo alla brevità del racconto.

Altre informazioni, perlopiù relative ai ciliegi e al castello di Matsumoto, sono state riportate qui nel modo più fedele a me possibile.

I personaggi che si muovono in questo universo sono quelli che tu, mio ipotetico lettore, potresti già conoscere dall’anime o dal manga “Blue Exorcist” (anche noto come “Ao No Exorcist”). Confido però nel fatto che conoscere una queste opere non sia necessario per apprezzare quella ben più modesta che hai ora sott’occhio. E che confido potrai commentare per farmi conoscere la tua tua preziosa opinione.

 

Ao-No-Exorcist

 

 

***

 

25 Marzo 1953, Maebashi – prefettura di Gunma


Una pioggia scrosciante mista a grandine stava sferzando i rami dell’imponente ciliegio piantato nel centro del giardino, trascinando foglie e delicati boccioli di un pallido color rosa verso la superficie inquieta della piscina poco lontana. Ad osservare pensieroso quella scena attraverso l’ampia vetrata del suo lussuoso salotto mentre accarezzava distrattamente un gatto nero di nome Kuro accoccolato tra le sue braccia, vi era un uomo di ventisette anni, i cui capelli scuri davano bizzarri riflessi dello stesso colore azzurro dei suoi occhi. Quella primavera, lo splendido panorama offerto dal monte Akagi, sulle cui pendici aveva fatto costruire la villa, non sarebbe stato arricchito come negli anni passati dalla regale bellezza di quell’albero in fiore, né i rari passanti avrebbero potuto volgere a quello spettacolo i loro occhi carichi di ammirazione e, talvolta, anche gravidi di invidia. Ma non erano pensieri di questo genere la causa del suo volto tanto scuro da farlo apparire più vecchio di almeno dieci anni.

Pochi minuti prima, il telefono aveva squillato. Izumo, com’era suo compito, si era affrettata a rispondere ed era venuta a chiamarlo. Lei, una bella ragazza con gli occhi rossi e lunghi capelli scuri raccolti in una coda dietro la schiena, indossava con ben poca disinvoltura la vestaglia semitrasparente e scollata da lei stessa scelta come uniforme per il suo servizio di guardia all’interno della casa.

«Devi andare a rispondere, Rin», annunciò, mostrando un sorriso impacciato e poggiando le mani sui fianchi, poco sopra due pistole infilate nella cintura di seta. «Si tratta di una faccenda molto importante.»

Rin avrebbe voluto far qualche osservazione su quel vestiario decisamente inammissibile per una delle sue guardie, ma si limitò a gettarle un’occhiataccia e diede la precedenza alla persona che lo attendeva dall’altra parte del filo. Afferrò la cornetta in bachelite appoggiata sul tavolino accanto al telefono ed ascoltò per alcuni secondi la voce di un suo fidato informatore, che usciva metallica e gracchiante dall’altoparlante, per poi chiudere la comunicazione con un sintetico ringraziamento e un addio.

«Cosa sta accadendo?» chiese Izumo, andandogli vicina. Appariva preoccupata dall’ombra che aveva visto scendere sul viso del suo capo durante la breve conversazione.

Rin prese due lembi della vestaglia poco sotto le spalle di lei, li tirò in avanti ed abbottonò un paio di bottoni, coprendo, così, gli splendidi seni che lei aveva deciso di mettere in mostra. «Anche se ti ho dato il permesso di metterti comoda, ti pregherei di indossare qualcosa di più decoroso. Qualcosa che attiri meno gli sguardi dei miei domestici.»

«Stupido!» rispose lei con stizza, indietreggiando di un passo. «Solo sei domestiche prestano servizio nella casa, e ci siamo soltanto noi due in questa stanza. Sai benissimo che non ho bisogno di allontanarmi da qui perché le mie volpi bastano per controllare tutti gli ingressi. E poi… questo intimo mi è costato una fortuna, e sarebbe assurdo non mostrarlo all’uomo che…» Si voltò per nascondere l’imbarazzo che improvvisamente le aveva imporporato le guance. Poi, tornando a fissare Rin negli occhi, con voce timida ma via via più sicura e arrabbiata, aggiunse: «Comunque, non è certo il modo in cui vesto ad averti incupito. Cosa ti ha detto Igor? Ho riconosciuto la sua voce, perciò non tentare di mentirmi. Se ha chiamato lui, deve trattarsi di qualcosa di grosso legato a tuo padre!»

Rin la osservò in silenzio per qualche attimo, incerto su cosa rivelarle. Dopo esser entrata nella famiglia Okumura come galoppino, lei si era fatta strada rapidamente fino a diventare la sua guardia personale. Durante gli ultimi sei o sette anni si erano salvati la pelle a vicenda in ben più di un’occasione, e lui l’aveva sempre considerata come una sorella, senza mai prendere in considerazione l’idea che lei, invece, potesse provare qualcosa di diverso. Persino in quell’occasione non ebbe nessun dubbio a riguardo, tanto più che lei sapeva bene di chi lui fosse innamorato, perciò non diede peso alla sua repentina reazione imbarazzata e le rispose: «Preferirei vedere i miei uomini vestiti con scarpe di vernice, borsalino in testa e completo elegante. E vorrei che lo stesso, ad eccezione del tipo di cappello, valesse anche per le donne. Quando mi hai detto di aver scelto una divisa più confortevole per il servizio in villa, immaginavo gonna e maglietta, ma non… questo! Ed in quanto alla telefonata, non è nulla che riguardi te o nessun altro. Si tratta di una faccenda personale.»

In preda ad una rabbia implacabile, Izumo gli prese la cravatta e lo tirò violentemente a sé. «Ascoltami bene, capo. Ho già intuito quanto basta per non permetterti di fare le cose da solo. Byakko seguirà il tuo odore anche in capo al mondo; perciò, o cambi atteggiamento, o mi farai soltanto arrabbiare di più.»

«Non ho mai capito quale delle tue volpi si chiami Byakko», replicò Rin con un sorriso forzato.

«È una domanda cretina,» rispose lei, dando un leggero strattone alla striscia di stoffa raffinata che stringeva nella mano, «perché è il nome di entrambe. Io, però, sto ancora aspettando».

Lui sospirò, serio e rassegnato. «Temo che non sopporterei di vederti più arrabbiata di così... Facciamo un patto: tu lasciami la cravatta, ed io ti racconterò tutto. Poi, se avrai ancora voglia di seguirmi, allora non avrò nulla da obiettare.»

Lei mollò la presa e gli rivolse un sorriso compiaciuto.

   
 
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