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Autore: Stella Dark Star    06/08/2020    0 recensioni
La seconda parte di questo spin off che vede come protagonisti i figli delle ship più amate di Bungo!
L'incontro fortuito di Hana (figlia di Akutagawa e Atsushi) e Mafuyu (figlio di Mori ed Elise), diviene in breve una relazione sentimentale, che però devono tenere segreta a causa dei pregiudizi che tutti hanno contro di lui. Quando poi Hana incontra i propri genitori nello stesso albergo dove ha passato la notte con lui, teme di essere finita in grossi guai...
Il dolce Sherlock (figlio di Ranpo e Yosano) è in pensiero per la sua migliore amica, a causa del suo comportamento strano, ma non è sicuro di voler sapere chi sta frequentando. Mentre ne parla col gemello Moriarty, però, questi capisce di chi si tratta e, preso da una gelosia cieca, si precipita da Mafuyu per suonargliele di santa ragione e ordinargli di lasciare Hana...
Tutto sembra contro questa coppia, in effetti. Come andrà a finire?
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Atsushi Nakajima, Chuuya Nakahara, Nuovo personaggio, Ranpo Edogawa, Ryuunosuke Akutagawa
Note: Lemon, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo, Violenza
- Questa storia fa parte della serie 'SHIN+SOUKOKU SAGA'
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Bungo Stray Dogs:
Bungo New Generation!
(parte 2)
 
Quel magazzino era inquietante. I vetri alti erano talmente ricoperti di sporcizia che la luce filtrava a fatica, creando all’interno un effetto spettrale, complici le pile di casse impolverate accatastate alle pareti e alcune catene che pendevano dal soffitto come serpenti… Ma questa non era l’unica ragione per cui lei se ne stava ferma immobile, con le gambe serrate come se le scappasse la pipì e le manine strette all’altezza del pancino. Davanti a lei, a poca distanza, il suo papà la stava guardando con occhi cattivi e lei non riusciva a capire perché. Cos’aveva fatto di sbagliato?
“Allora, Hana?”
La voce roca che rimbombava fra le pareti la faceva rabbrividire. Non capiva. I suoi occhioni viola e oro non riuscivano a distogliere lo sguardo da lui.
“Ti ho dato un ordine preciso. Cosa stai aspettando?”
“Ma… Ma Rashomon è mio amico…” La sua vocina assomigliava al pigolio di un pulcino.
Akutagawa assottigliò gli occhi, soppesandola. “Questo è vero. Ma se al suo posto ci fosse un’altra creatura? Pensi che esiterebbe a farti del male solo perché sei una bambina?” Mentre lo diceva, dal suo lungo cappotto nero comparve la striscia nera che sembrava fatta di fumo e pece, la quale scivolò pian piano nell’aria avvicinandosi sempre più alla piccola che ora aveva spostato lo sguardo dal papà a questa. Allungò una mano con precauzione, in attesa che la testa dell’essere prendesse forma e comparissero gli occhi rossi come rubini. Molte volte lo aveva toccato, molte volte aveva giocato con lui da quando era ancora in fasce, talvolta addirittura si era addormentata nella culla stringendolo a sé. E questo lo sapeva bene anche Akutagawa. Ormai la testa era quasi a portata di mano, le piccole dita di Hana si schiusero per accoglierla, ma ecco che la creatura aprì le fauci e sibilò, giusto un avvertimento prima di scattare verso quella mano con tutta l’intenzione di morderla.
“Gyaaaaah!” Hana ritirò la manina, la strinse forte a pugno e la nascose dietro la schiena. Perché Rashomon si comportava così? Voleva davvero morderla? Non lo aveva mai fatto. MAI.
“Come ti dicevo, non devi pensare al Rashomon che conosci. Pensa invece che sia un essere spietato e che tu abbia solo una possibilità di salvarti.”
“E…e tu non mi aiuti, papa?” Chiese speranzosa.
“Devi imparare a cavartela da sola. Io e mama potremmo non essere insieme a te. E allora cosa faresti?”
Gli occhioni della piccola si volsero ad un’altra figura che era presente in quel magazzino.
Ojii-chan?”
A pochi passi da Akutagawa, Dazai osservava la scena in silenzio e con le braccia incrociate al petto. C’era qualcosa di strano anche nei suoi occhi. Erano freddi. Non erano gli occhi del caro nonnino che la faceva ridere, che giocava con lei e che la accontentava in ogni cosa.
Akutagawa sospirò con impazienza, era evidente che la situazione non stava andando affatto come sperava. Attese che Dazai volgesse lo sguardo verso di lui, si scambiarono un’occhiata seria e poi Dazai fece un piccolo cenno affermativo col capo.
“Va bene, allora.” Akutagawa richiamò Rashomon e subito questo si allontanò dalla bambina e cambiò traiettoria. Dapprima avvolse il girovita di Dazai, fasciandolo in alcuni giri, e poi…
Gli occhi di Hana tremarono mentre la scia si faceva strada lungo il suo petto per poi avvolgergli anche il collo.
Akutagawa ripeté con più enfasi. “E’ semplice, Hana. Devi solo attivare il tuo potere, ‘I doni della vita’, per far sì che Rashomon la smetta.”
Il cuoricino prese a batterle più forte nel petto. “Non so come fare!”
“Provaci. Ci sono tanti modi. Fallo sentire in colpa, fagli capire che è una cosa sbagliata. Oppure donagli la gioia, trasforma la sua stretta in un abbraccio affettuoso.”
“Ma io…io…” Si guardò i palmi delle mani. Cosa poteva fare?
“Le mani non ti servono. Ti basta pensarlo perché si avveri.” La riprese subito Akutagawa. Lo vedeva che era smarrita e non era in grado di agire. Eppure doveva esserci un modo per farle controllare quel dannato potere, no? Quando lo voleva era capace di donare gioia o tristezza a chi le era attorno. Allora perché non lo faceva anche adesso che si trattava di una cosa seria? Forse provando a spingerla all’estremo…
“Non mi dai altra scelta, Hana. Non vorrei fare il cattivo, ma…” Non terminò la frase.
Rashomon sollevò il corpo di Dazai da terra, lasciandolo coi piedi penzoloni. Dalla bocca di lui uscì un lamento soffocato, digrignò i denti.
Papa, smettila!”
Nessuna risposta, solo il suo sguardo di ghiaccio che la fissava.
Dazai tentò di dimenarsi, mentre dalla sua gola si levavano strani suoni. Hana notò che il suo viso stava diventando pallido…
“Rashomon, lascialo stare! Cattivo!” Niente, nemmeno lui le dava retta. Aveva paura… Il nonno la guardava con occhi imploranti e lucidi, il suo corpo si muoveva per gli spasmi… E lei aveva tanta paura… Così tanta da non riuscire a pensare a niente. Il suo nonnino stava soffrendo e lei non era in grado di fare nulla. Tranne forse…
Strinse i pugni ai fianchi, il respiro le gonfiò il petto come quello di un uccello. “AAAAAAAAAAAAAAHHHH!”
Il grido fu così forte ed intenso da ferire i timpani ai due uomini.
Akutagawa fece una smorfia di dolore, portandosi la mano all’orecchio, nello stesso istante Rashomon lasciò la presa e si ritirò all’interno del cappotto, facendo cadere la sua preda a terra come un masso. Dazai emise un lamento, puntellò una mano al suolo per cercare di sorreggersi. Per fortuna Hana smise di gridare e si precipitò da lui, scoppiando a piangere. Lui l’avvolse con un braccio. Accidenti, era più stordito da quel grido che non per la mancanza di ossigeno.
“Hana… Sto bene, piccolina.”
Lei continuò a piangere sulla sua spalla.
Akutagawa si avvicinò. “E’ vero, non gli stavo facendo così male come sembrava.” Allungò la mano per andare a sfiorare la testolina dai folti capelli neri, ingentiliti qua e à da piccole ciocche color cipria. Al minimo tocco, Hana sobbalzò dall’abbraccio del nonno, emettendo un gridolino distorto. Quando gli occhi di Akutagawa incontrarono i suoi, tutto ciò che vide fu puro terrore. Sua figlia…aveva paura di lui? Il colpo morale che ricevette lo immobilizzò e Dazai se ne accorse.
In quel momento giunse Atsushi all’entrata del magazzino, il fiato corto per aver corso. Si affacciò, gli occhi spalancati su di loro. “Cos’è successo? L’ho sentita gridare da in fondo alla strada!”
Hana lo chiamò con un grido isterico. “MAAAMAAA!” E gli corse incontro, ricominciando a piangere.
Atsushi accolse quel corpicino tremante e lo strinse a sé. Le stampò un bacio sull’incavo del collo, percependo la pelle ricoperta di sudore freddo. “Shh… Shh… Va tutto bene, amore mio.”
Hana non dava segno di voler smettere, il suo corpo era tutto un tremore, i singhiozzi le stavano distruggendo il petto, il respiro le mancava, eppure dalla gola continuava a levarsi quel lamento infantile e straziante e  le lacrime scendevano copiosamente dai suoi occhi.
Atsushi si rivolse al suo compagno di vita, lo sguardo accusatore che fremeva dal disappunto. “Ryuu, ma che cosa le hai fatto?”
Akutagawa non era in grado di rispondere, in quel momento. Il suo volto era completante livido, i suoi occhi lucidi e tremanti rivolti alla creaturina, sangue del suo sangue, che piangeva disperata fra le braccia della madre. Per colpa sua.
Dazai si rialzò in piedi, provò a posargli la mano sulla spalla per incoraggiarlo, ma non ottenne alcuna reazione. Indubbiamente ci sarebbe voluto del tempo per sistemare quel disastro di cui in parte era colpevole anche lui. Non potendo fare nulla s’incamminò lungo la strada, oltrepassando una mezza dozzina di magazzini appartenenti alla Port Mafia, il suo sguardo si posò sul passeggino foderato di stoffa blu notte dal cui bordo scivolava giù il lembo di una copertina azzurra.
Accanto alla carrozzina vi era Chuuya, nella sua tipica tenuta da lavoro, i lunghi capelli che gli ricadevano sul davanti fino a sfiorare i fianchi. Tra le braccia cullava un fagottino di appena tre mesi di vita, uno scricciolo con una tutina felpata dello stesso azzurro chiaro della copertina, la testolina dai radi capelli neri e corti con un ciuffetto bianco che gli ricadeva sulla fronte. I suoi vagiti erano così teneri da eguagliare il miagolio di un gattino.
“Buono Riku… Buono…” Gli stava sussurrando dolcemente.
Quell’immagine aveva un che di biblico, come una Madonna col bimbo Gesù in grembo. Chuuya possedeva un forte istinto materno nei confronti di quel neonato, lo stesso Dazai pensava sempre più spesso che sarebbe stato una madre meravigliosa se solo avesse potuto generare la vita. Ma questo era impossibile. Per quanto si amassero, non avrebbero mai potuto avere figli loro, senza quella particolare abilità di cui Atsushi era in possesso. Si accorse per caso che Chuuya lo stava guardando. Già, per alcuni minuti aveva dimenticato tutto il resto, assorbito da quell’immagine angelica. Doveva dirgli che l’addestramento di Hana era fallito al primo tentativo. Anzi, non c’era bisogno di dire niente. Ricambiò il suo sguardo, poi chiuse gli occhi e scosse la testa. Era una spiegazione sufficiente.
*
 
Hana aprì gli occhi. Man mano che il suo sguardo metteva a fuoco gli elementi dell’ambiente circostante, le sensazioni di paura e disagio si affievolivano dentro di lei. Era da molto tempo che non faceva quel sogno. Si stropicciò gli occhi col dorso delle mani e sospirò nel silenzio di quella stanza d’albergo dove aveva trascorso la notte, un luogo piuttosto raffinato che doveva essere stato ristrutturato di recente considerati gli stucchi sul soffitto e il vago odore di vernice che ancora si odorava nell’aria. Non era stata lei a scegliere, però ricordava quel senso di pericolo che aveva percepito appena messo piede nella hall, simile ad un cattivo presagio di chissà che cosa…e poi c’era stato quel sogno, o meglio, quell’incubo riguardante il suo passato, il ricordo più doloroso che aveva della sua infanzia. Pensandoci a mente fredda, lo sapeva che si era trattato di un malinteso, che suo padre e suo nonno si erano effettivamente accordati per darle una spinta ad utilizzare il suo potere in una situazione di pericolo, però il terrore provato le era comunque rimasto dentro al cuore e qualche volta usciva da una minuscola porticina e si faceva una passeggiata nella sua mente col solo scopo di tormentarla.
“Mmmhhh….”
Udendo il debole lamento si volse e un sorriso inarcò leggermente le sue labbra rosee. Eccolo lì il responsabile di tutto! Si spostò sul materasso e si appoggiò su di lui, il capo sollevato per guardare il suo bel volto addormentato. Mafuyu era il ragazzo più bello che avesse mai visto. La faceva innamorare di continuo riempiendola di attenzioni, portandola nelle migliori pasticcerie della città e trattandola come se fosse l’unica ragazza sulla faccia della terra. Per inteso, si vedevano quasi tutti i giorni e poi il venerdì e il sabato sera sceglievano uno degli alberghi gestiti dalla Port Mafia e vi trascorrevano la notte. Non avrebbe potuto desiderare un fidanzato migliore! Alle volte si chiedeva ancora come avesse fatto a conquistarlo, ma questo quesito era dovuto principalmente alla sua scarsa autostima che ad altro. Fece scorrere le dita lungo il suo petto, soffermandosi sui muscoli definiti dell’addome. Uh uh, quella tartaruga era da urlo!!! E lei era così felice!!! Però, era pur vero che quella relazione era fondata sull’inganno. Talvolta la felicità era equivalente alla tristezza di non poter condividere quel sentimento con la famiglia e con gli amici. Ma non aveva scelta…
Mafuyu si mosse nel sonno emettendo un altro piccolo lamento, le sopracciglia si aggrottarono un po’. D’istinto Hana si allontanò da lui, non voleva trasmettergli la propria ansia causata da quell’unico pensiero negativo. Scivolò fuori dalle coperte e percorse la moquette marrone della stanza fino ad arrivare al bagno. Quando il suo piede entrò a contatto col pavimento, il corpo intero fu attraversato da un brivido. Che cosa assurda, visto che anche lì c’era il riscaldamento alto. Fece spallucce, richiuse la porta dietro a sé e andò dritta alla cabina doccia. Nel mentre che l’acqua si scaldava, ne approfittò per recuperare il suo borsellino e struccarsi. Vedersi allo specchio con tutto quel mascara sulle ciglia e l’eyeliner sbavato attorno agli occhi era piuttosto sgradevole…. Forse era il caso di smetterla con quella roba, visto che prima di cominciare ad uscire con Mafuyu non aveva mai usato nemmeno un lucidalabbra. Man mano che il dischetto si muoveva, dietro al nero ricompariva la sua vera immagine, o almeno quello che ne restava. Di certo ormai non sarebbe più tornata la ragazza innocente di un tempo, ma questo era davvero un male? Aveva provato un nuovo stile per piacergli, per non sfigurare al suo fianco, per non avere nulla da temere quando le ragazze per strada lo guardavano con malizia. Sì aveva trasgredito a delle regole, però lo aveva fatto per amore. Giusto? Terminato il lavoretto, gettò i dischetti sporchi nel cestino, si alzò i capelli sul capo a formare un cipollotto che poi fissò con delle forcine e finalmente poté entrare nella cabina doccia. Il primo contatto con l’acqua troppo calda la fece fremere, eppure rimase lì dov’era, senza regolare la temperatura. La verità era che aveva bisogno di quel calore come una lucertola ha bisogno del sole. Il getto dell’acqua si riversava sui suoi seni tondi e morbidi simili a pesche mature, alcuni zampilli le colpivano le rosee e delicate gemme quasi volessero stuzzicarle apposta per farle inturgidire, poi la scia di acqua scendeva lungo l’addome e si divideva in tre diramazioni, due che seguivano la linea delle cosce e una centrale che le attraversava impudente il morbido triangolo intimo. Era come se l’acqua riconoscesse le tracce lasciate dalle mani e dalla lingua di Mafuyu… Che sciocchezza! Neanche il tempo di pensarlo, quand’ecco che udì il pannello della cabina doccia scorrere e un istante dopo un paio di mani grandi si posarono sui suoi fianchi snelli.
“Ti prego, dimmi che non sono stata io svegliarti.” Bisbigliò ad occhi chiusi, neanche fosse in preghiera!
Sentì il calore del respiro sulla nuca, subito seguito dal tocco di un bacio.
“Stai bene? Credo di aver percepito qualcosa mentre dormivo, ma non sono riuscito a svegliarmi. Scusami.”
Hana era sul punto di piangere. Il suo ragazzo si stava scusando per non averla consolata durante un incubo? Quant’era carino!!!! Ridacchiò e si mosse fra le sue mani per poter essere faccia a faccia con lui, quindi gli intrecciò le braccia al collo e accennò un sorriso: “Ma cos’ho fatto io per meritare una meraviglia come te?”
“…me lo chiedo anche io.” Rispose dubbioso, per poi rivelare lo scherzo mettendosi a ridere e avvolgendola in uno stretto abbraccio. Risero insieme, con complicità. Il loro rapporto si era evoluto in fretta dopo i primi messaggi scambiati su Line. Il loro primo appuntamento, avvenuto in una sala privata di un Karaoke in centro, li aveva visti più rilassati che mai e già in confidenza come fossero sempre stati amici. Da lì il passo verso il primo bacio era stato breve, per poi sfociare in una relazione sentimentale e fisica entro un mese. Avevano festeggiato insieme il Natale, il compleanno di lui e il Capodanno senza essere scoperti da nessuno. Praticamente un miracolo!
Ad un certo punto una mano di Mafuyu sciolse la stretta e si avventurò quasi furtivamente verso il basso, nella zona lombare, dove le dita presero a muoversi facendo una leggera pressione sul punto appena sopra la fessura fra le natiche.
Hana lo guardò dritto negli occhi e disse diretta: “Cosa-stai-facendo.” Non era una domanda.
“Uh? Niente… Volevo sentirti fare le fusa!”
Hana si avvicinò così tanto al suo viso che i loro nasi si sfiorarono. “Quante volte devo dirtelo ancora? Mi succede solo quando mi trasformo!”
Lui sfoggiò un sorriso compiaciuto. “Lo so! Quando facciamo l’amore perdi il controllo e ti spunta quella bellissima coda bianca!” Con le dita premette di nuovo quel punto, quindi riprese: “Allora io l’accarezzo fino alla punta dove è più pelosa e morbida… Poi scendo e afferro l’attaccatura nel palmo della mano e la massaggio con passione. E allora tu cominci a fare le fusa come una gattina…” Sporse le labbra sulle sue, rubandole un bacio.
Ovviamente Hana non era insensibile a certe attenzioni, soprattutto quando queste le risvegliavano quel particolare istinto felino che aveva ereditato dalla madre. Con gesto sicuro trascinò Mafuyu a sé contro la parete e si issò su di lui, incrociando le gambe attorno al suo bacino. In risposta allo sguardo sorpreso di lui, disse con piena sfacciataggine: “La gattina ha voglia di giocare.” E al diavolo tutto il resto del mondo!
*
 
Ohayo! Na na nara na na…mh mh!” Atsushi stava canticchiando davanti allo specchio una canzone che ultimamente ascoltava spesso, dopo averla scoperta per caso navigando in rete. Le sue labbra erano incurvate in un dolce sorriso e i suoi bellissimi occhi brillavano. Quel mattino era decisamente di buon umore! Dal riflesso controllava i movimenti della mano, la quale stringeva un ferro arricciacapelli. Con attenzione, stava dando la piega alla sua ciocca preferita al lato del viso, che non aveva voluto mettere alla pari neanche dopo essersi fatto crescere i capelli in un caschetto grazioso.
Dalla porta aperta del piccolo bagno si affacciò Akutagawa, intento ad allacciarsi i lunghi capelli neri in una coda alla nuca, lasciando come sempre le due ciocche dalle punte bianche ricadere sul petto.
“Il mio Jinko si sta ancora lisciando il pelo?”
“Ho quasi finito! E’ già ora del check out?”
“Tra poco.” Akutagawa andò incontro al suo compagno e lo avvolse in un abbraccio di spalle, facendo attenzione a non urtare il ferro caldo. Il mento poggiato sulla sua spalla, lo guardò attraverso lo specchio. “E’ stata una piacevole avventura, non credi?”
Atsushi lasciò un sospiro sognante. “Davvero! E’ sorprendente pensare che abbiamo vinto la Lotteria indetta dall’albergo che frequentavamo tanti anni fa! Non mi sorprende che tu glielo abbia fatto ripetere tre volte, al telefono, perché non ci credevi!”
“Mh. Fra migliaia di clienti è stato estratto proprio il mio nome….” Il dubbio che risuonò nella sua voce non riuscì comunque ad intaccare il buonumore di Atsushi, infatti riprese a parlare a ruota libera.
“E oltre al pernottamento era compresa anche una succulenta cena! Nella stessa stanza che prenotavamo prima di vivere insieme! E’ incredibile!” Era così raggiante che per poco non rischiò di bruciarsi i capelli. Per fortuna una leggera scia di vapore gli ricordò di togliere il ferro! Lo appoggiò sul bordo del lavandino per farlo freddare e staccò la spina, ma…Akutagawa sembrava intenzionato a voler stare lì abbracciato a lui invece di spostarsi!
“Ci pensi? Stanotte abbiamo fatto l’amore nello stesso letto dove a diciotto anni hai perso la verginità.” Gli sussurrò all’orecchio.
Le gote di Atsushi s’imporporarono all’istante. Nella sua testa presero a turbinare una marea di parole, ma nessuna di queste sembrava adatta da dire. Insomma, che cosa poteva rispondere ad un’affermazione del genere? Poi Akutagawa aggiunse: “Guarda il lato positivo. Sono stato io a trovarla!” E gli mordicchiò un orecchio, provocandogli un brivido di piacere che lo fece muovere come un’anguilla fra le sue braccia.
“Ma…ma…cosa…? Sei ancora sotto l’effetto afrodisiaco dei frutti di mare che abbiamo mangiato ieri sera?”
Akutagawa ridacchiò, il suo fiato caldo entrò nell’orecchio del suo compagno, dandogli un ulteriore brivido. La cosa era seria…se continuava così, presto nei suoi pantaloni sarebbe successo qualcosa. Dopo tanti anni era ancora così sensibile alle attenzioni dell’uomo che amava. Non che fosse un male, però di certo era impensabile fare una sveltina pochi minuti prima di lasciare la stanza! Quindi fu costretto, a malincuore, a dargli una leggera gomitata alle costole per liberarsi.
“Devo finire di mettere le mie cose nella tracolla!” Esordì, con tanto di pugno alzato tipo grido di battaglia! Uscì dal bagno simulando una sottospecie di passo militare, salvo tornare indietro una manciata di secondi dopo e ritrovare Akutagawa a porgergli il ferro arricciacapelli che aveva dimenticato, con un sorrisino divertito stampato in faccia. Per non dargli la soddisfazione di fare commenti, si limitò ad afferrare il ferro e ad uscire di nuovo con lo stesso passo buffo.
Come detto, in pochi minuti furono pronti per andare. Atsushi aprì la porta, mentre Akutagawa dal fondo della stanza chiedeva: “Le chiavi dell’auto le hai prese tu?”
“Sì, le ho qui in tasca!” Rispose, mentre faceva un passo per inoltrarsi nel corridoio, quando, volgendo lo sguardo, gli capitò sotto gli occhi qualcosa che lo fece impallidire.
“Hana?”
Purtroppo era davvero lei la ragazza di fronte alla porta della stanza accanto. Non appena sentì pronunciare il proprio nome, i suoi occhi incontrarono quelli di sua madre. Impallidì a sua volta.
O---okaa-san?
In quel momento anche Akutagawa uscì dalla stanza e, seguendo lo sguardo sorpreso di Atsushi, vide sua figlia.
…Otou-san.. Ma…perché voi siete…?”
“Che cosa ci fai in un albergo? Non dovevi dormire dalla tua amica?”
Fra i tre era difficile dire chi fosse più pallido, tanto erano sconvolti dalla situazione.
“Ehm io…io sono…” Le sembrava di non sentire più il battito del cuore, non aveva idea di cosa dire o cosa fare. Aveva sperato che quel momento non sarebbe mai arrivato e invece…
Lo sguardo di Atsushi la esaminò dalla testa ai piedi, con occhi colmi di tristezza. Indossava un vestitino aderente ricamato di pizzo rosa, dalla scollatura fin troppo generosa che lasciava intendere l’assenza del reggiseno, e così corto che le cosce erano interamente esposte. Un paio di stivali eleganti neri sopra il ginocchio la coprivano più del resto, i capelli pieni di lacca le ricadevano in modo innaturale sulle spalle. Solo il viso era rimasto acqua e sapone, ma solo perché si era struccata da poco.
Era davvero sua figlia quella sciacquetta volgare?
“Ma come ti sei vestita?” La voce gli uscì rauca.
Anche se Hana provvide subito a stringersi addosso il corto giubbino in pelle nera, ormai il danno era fatto.
Okaa-san…io…”
“Hana, con chi stai parlando?”
Non appena Mafuyu fece capolino dalla porta, Akutagawa gli lanciò un’occhiata assassina delle peggiori, la fronte aggrottata con tale forza da divenire un cumulo di rughe. “Mafuyu…” Sibilò tra i denti.
Il ragazzo sollevò le mani in segno di resa, lo sguardo giustamente allarmato. “Posso spiegare tutto, signor Akutagawa.”
“Ti lascio dieci secondi prima di evocare Rashomon e strangolarti.”
Atsushi, sapendo che il suo compagno non era uno che scherzava, fece il gesto simbolico di trattenerlo, poggiandogli una mano sul braccio e l’altra sulla spalla. Doveva tener conto che quel ragazzo era il figlio del Boss, perciò, per quanto si meritasse una bella strigliata, non poteva lasciare che Akutagawa gli facesse del male.
Mafuyu fece un inchino col capo. “Io e Hana abbiamo una relazione. Ci frequentiamo da un paio di mesi, ma non siamo usciti allo scoperto per timore che lei e il suo compagno non foste d’accordo.”
Atsushi rispose a tono. “E’ evidente che non siamo d’accordo. E di certo non è a tuo favore spingere nostra figlia a mentire.”
“Non è stato lui.” Intervenne Hana, facendo un passo avanti. “Ho deciso io così. Dopo il nostro primo incontro alla sede della Port Mafia, l’ho contattato perché volevo conoscerlo e parlare con lui. Ma sapevo che non avreste capito e…”
“Tsk. Chuuya me lo aveva detto. Quell’incontro è stato una dannata sfortuna e queste sono le conseguenze.” La voce di Akutagawa somigliava ad un ringhio, la rabbia gli fece stringere i pugni fino a fargli tremare le braccia. Non era un buon segno.
Atsushi dovette prendere l’iniziativa per evitare il peggio. “Ad ogni modo, ora tu vieni via con noi. Abbiamo molto di cui discutere, signorina.”
Lei fece un cenno del capo, quindi si rivolse a Mafuyu. “E’ meglio così. Chiarirò tutto.”
Sulle prime lui non rispose, dalla sua espressione sembrava spiazzato… Gli ci vollero diversi secondi per riattivarsi e rispondere frettolosamente: “Va bene, come vuoi.”
Lanciò un ultimo sguardo ad Akutagawa, il quale ancora lo stava fissando con odio, poi rientrò nella stanza. Nessuna parola di conforto per la sua ragazza, nessun inchino di saluto o delle scuse…nulla di nulla. Hana trovò molto strana questa cosa, ma forse era una saggia idea che si fosse dileguato, visto lo stato truce di suo padre. Attese che i suoi genitori le fosse affianco e insieme percorsero il corridoio fino agli ascensori. Ogni istante fu un’agonia.
*
 
Dal momento in cui erano saliti sull’elegante auto nera, Atsushi non aveva fatto che parlare e gesticolare per manifestare tutto il suo disappunto. Davvero, non c’era bisogno di specificare che in quei mesi lei aveva mentito spudoratamente facendo credere di aver stretto amicizia con una sua compagna di classe o che nel fine settimana non era vero che si fermava da lei a dormire o che li aveva intenzionalmente spinti a credere di nutrire un interesse amoroso ancora non confessato nei confronti di tale ragazza o che a Natale non aveva pranzato in famiglia per andare ad uno spettacolo diurno con lei quando invece era andata ad un ristorante di lusso con Mafuyu. Tutte queste cose le sapeva bene perché era stata lei stessa ad inventarle. Ma in tutto questo, la cosa che la ferì al cuore fu quando sua madre si voltò a guardarla con occhi che non le aveva mai visto prima.
“Mi hai molto deluso, Hana.”
Un invisibile spillo le si conficcò nel cuore.
Abbassò il viso e disse solo un banale. “Lo so.”
“Tutto qui quello che hai da dire a tua discolpa?”
Questa volta a parlare era stato Akutagawa. Suo padre, che per tutto il tempo era rimasto muto e le aveva lanciato di tanto in tanto uno sguardo tagliente attraverso lo specchietto retrovisore.
Tutto qui? Ovvio che non era tutto qui! Come poteva essere tutto qui? Non era da lui porre una domanda così stupida.
“No…”
“Ciò che hai fatto è vergognoso. Non avrei mai creduto che tu fossi in grado di fare una cosa del genere.”
No. Questo non…non poteva dirlo. Lui non… No, non lo accettava. Che aveva sbagliato era vero, ma trattarla in quel modo era troppo. TROPPO. Quella sensazione le esplose nel petto e le uscì nel peggiore dei modi.
“Una cosa del genere? Per qualche piccola bugia? Proprio tu parli, che alla mia età avevi già ucciso decine di persone!!!”
Oh no… Lo aveva detto. Aveva gridato contro suo padre quelle cattiverie.
“Hana, come ti permetti di parlare in questo modo? Tuo padre…” Atsushi passò subito alle difese del suo compagno, come era giusto, ma lui lo interruppe con aria tutt’altro che turbata o arrabbiata. “Atsushi, ha ragione lei. Io dovrei essere l’ultimo a parlare. Messe a confronto con le cose orribili che ho fatto io, le sue bugie sono un nonnulla.” Poi si rivolse a lei, lo sguardo puntato al riflesso dello specchietto. “Così va bene? Ti senti soddisfatta?”
Era una prova… Non c’era niente da fare, era lei ad avere torto e più cercava di mentire a se stessa più si ridicolizzava agli occhi dei suoi genitori cui voleva un mondo di bene. Quello sguardo grigio chiaro sembrava penetrarla fino in fondo all’anima. Ora che era stata scoperta, che senso aveva continuare a farsi del male e farne a loro? Gli occhi le si riempirono di lacrime, si lanciò in avanti infischiandosene del sedile che li divideva e gli avvolse le spalle in un abbraccio.
“Scusa… Hic hic… Scusa, otou-san…” Volse il viso ormai rigato di lacrime. “Scusa, okaa-san…
Atsushi allungò la mano e andò ad accarezzare i capelli della figlia, senza dire nulla.
“Io volevo solo conoscerlo. Hic… Volevo…hic…solo conoscerlo. Mi avete sempre messo in guardia da lui…hic…ma io desideravo poter sentire la sua storia dalle sue labbra. E poi…poi andavamo così d’accordo e lui era così gentile… Hic…”
“Avresti dovuto dircelo comunque. Non potevi sapere per certo la nostra reazione. Se ci avessi parlato onestamente ti avremmo ascoltata.” Sottolineò Atsushi, seppur con tono molto più mite di prima.
Hana si passò la lingua sulle labbra e deglutì. Ora che quel muro d’inganni era stato abbattuto, le parve di sentirsi meglio. Però c’era ancora da discutere un’importante questione…
Sniff! Quindi ora…cosa farete?”
I due si scambiarono un’occhiata rapida, dato che Akutagawa doveva stare attento alla guida, quindi Atsushi parlò a nome di entrambi. “Be’, per alcuni giorni è meglio che tu non lo veda. Abbiamo bisogno di riflettere con calma su quanto accaduto. Soprattutto tu, che sei sempre stata obbediente, devi capire che cosa ti ha spinta a questo atto di ribellione.”
Hana fece un cenno affermativo col capo e disse timidamente: “Lo farò. Promesso.” Sentì il tocco della mano di suo padre sulle sue, d’istinto guardò il riflesso dello specchietto. Ora i suoi occhi erano decisamente più brillanti, proprio come piacevano a lei. Gli sorrise, ma subito la sua espressione mutò quando un pensiero le sfiorò la mente.
“Ah… Non dite ad ojii-san come mi sono comportata.” I suoi occhi si riempirono di nuovo di lacrime. “Vi prego. Se lo sapesse ne morirei. Non voglio che smetta di volermi bene o di vedermi come la sua piccolina.”
Atsushi accennò un sorriso. “Tranquilla, non una parola uscirà dalla nostra bocca. Né con lui né con altri.”
“Grazieeeeebwaaaaaaahhh!!!” Scoppiò a piangere come una bambina, coccolata dalle carezze dei suoi genitori, mentre il volto sorridente di nonno Dazai le riempiva la mente.
*
 
La stanza giapponese di casa Edogawa-Yosano era sicuramente la più accogliente per la sua semplicità. Al contrario di tutte le altre dove predominavano le inquietanti tonalità del nero, del marrone e del grigio (per pura scelta della coppia che aveva la tendenza al macabro!) quella piccola stanza era un luogo di pace, composta da tatami verde prato, carta da parati giallo canarino su cui al centro di tre pareti erano stati dipinti degli alberi secolari, una finestra moderna coperta da un paravento raffigurante ‘La Grande Onda Di Kanagawa’ di Hokusai, alcune lampade rosse in carta di riso appese qua e là, la cui luce calda creava un’atmosfera rilassante e, per finire, un piccolo altare contenente una fotografia di Fukuzawa attorniata da piccole statue di Buddha in terracotta, in marmo grigio, in marmo rosso e in legno. Quella era la stanza che Ranpo aveva riservato alla memoria dell’uomo che gli aveva fatto da padre. Fukuzawa si era spento nel sonno cinque anni prima, pur non avendo alcun problema di salute. Aveva cenato assieme alla sua famiglia, ovvero a Ranpo, Yosano e ai suoi amati nipoti Moriarty e Sherlock, poi era andato a coricarsi e non aveva più aperto gli occhi. Un duro colpo per tutti quelli che gli volevano bene, soprattutto per Ranpo, che ancora non riusciva a perdonargli il fatto di non avergli detto addio. A nulla erano valse le parole di Yosano, che spesso lo confortava dicendogli che aveva avuto una morte serena. Lui non era pronto a subire quel lutto, soprattutto così all’improvviso, punto e basta. Ma nonostante ciò non mancava mai di pregare per lui, di parlargli e di confidarsi come aveva sempre fatto quando era in vita. Anche quella sera, una delle tante, se ne stava seduto sui talloni a fissare la foto, mentre tra le dita rigirava la statuina di Buddha in marmo rosso.
“Credo che stia per accadere qualcosa… Gli indizi mi fanno supporre che presto avverrà una catastrofe. Ma spero di sbagliare. Per la prima volta in vita mia, mi auguro di avere torto. Comunque non saprei cosa fare per intervenire.” Distolse lo sguardo per guardare la statuina che ora stringeva nel pugno. Allo stesso modo strinse i denti, fino a restare senza respiro. Quando lasciò andare il fiato, la statuina scivolò dalle sue dita e rotolò sul tatami. Ranpo chiuse gli occhi e inspirò a fondo, quindi li riaprì e di nuovo il suo sguardo si fissò sulla foto. Un sorriso amaro gli incurvò le labbra. “Te ne sei andato troppo presto, vecchio!”
Il rumore del pannello del fusuma alle proprie spalle gli fece voltare il capo. Sulla soglia era Yosano, vestita solo di una camicia da notte di seta a maniche corte e lunga fino al ginocchio, i lungi capelli neri ben spazzolati e sciolti sulle spalle e i piedi scalzi nonostante fosse inverno.
“Scusami, ti ho disturbato?”
Lui scosse il capo: “No, tranquilla.”
Lei fece segno con l’indice in una direzione non ben precisata e parlò a voce bassa, in segno di rispetto per quel luogo. “I ragazzi si sono già ritirati. Hanno detto di essere molto stanchi per via di quella partita a scacchi che hanno fatto nel pomeriggio. E…pensavo di ritirarmi anche io, perciò sono venuta a darti la buonanotte.”
Questa volta Ranpo fece un cenno positivo e disse: “Va bene. Buonanotte, Akiko.”
Lei accennò un sorriso e rispose: “Buonanotte, Ranpo.” Fece per richiudere il fusuma
“Akiko, aspetta.”
“Mh?”
“Vieni qui, per favore.”
I piedi piccoli e sottili avanzarono sul morbido tatami per raggiungerlo. Fece appena in tempo a mettersi in ginocchio accanto a lui che Ranpo l’abbracciò con trasporto, il viso premuto contro i suoi seni floridi. D’intinto, lei sollevò una mano per accarezzargli i capelli. “Stai bene?”
In risposta ottenne un’interessante reazione. Ranpo le stampò un bacio fra i seni, emettendo un piccolo schiocco, poi s’inoltrò un poco oltre la scollatura della camicia e stampò un altro bacio. Le abbassò il tessuto dalla spalla, ritrovandosi così con un seno nudo davanti alla faccia. Era bello tondo e pieno, la mammella di un rosa scuro e acceso era un po’ più grande del normale, da quando lei aveva affrontato la gravidanza. Le sue attenzioni si rivolsero proprio a quella gemma preziosa, la prese fra le labbra e cominciò a massaggiarla con la punta della lingua.
Il calore umido di quel tocco le strappò un piccolo gemito. Yosano si lasciò assaggiare come una caramella, avvolta nel suo abbraccio, stuzzicata dal suo calore…fino a quando non sentì la propria intimità divenire cremosa e calda. Aveva voglia di lui.
“Mmh!!” Si morse le labbra per non gridare, mentre gli stringeva i capelli con la mano.
Ranpo fece schioccare le labbra contro la gemma turgida e umida e risollevò il capo. I loro sguardi ardenti s’incrociarono.
“Nel mio letto o nel tuo?” Gli chiese provocante.
“Nel tuo.”
Si rialzarono e sgattaiolarono fuori dalla stanza giapponese tenendosi per mano. Fra le tante stranezze di questa coppia, c’era il fatto che avessero stanze separate e che non avessero mai voluto unirsi in matrimonio. Solo gli dei sanno perché!
*
 
La pioggia picchiettava incessante contro il vetro dell’ampia finestra, la condensa ancora compatta simboleggiava il contrasto della temperatura tra esterno ed interno. Un contrasto dovuto non solo alla stagione e al meteo… All’interno della cupa stanza composta interamente da mobili in legno scuro in tradizionale stile inglese, l’unica cosa graziosa era una lampada in vetro soffiato a forma di giglio, posta sopra al comodino che divideva due letti singoli, uno con la coperta rossa e l’altro con la coperta blu. Su quest’ultimo, la coperta era di fatto sul fondo del letto, e il materasso era occupato dai corpi in ebollizione dei gemelli. Sherlock, sdraiato in posizione supina, aveva la maglia del pigiama sollevata fino al collo, lasciando così in mostra il petto madido di sudore e saliva, mentre Moriarty sedeva sui talloni e teneva le gambe del fratello sollevate attorno a sé. Per i suoi occhi era uno spettacolo mozzafiato, vedere quel corpo così simile al suo eppure appartenente alla persona che amava, soprattutto gli occhi di smeraldo che lo fissavano come una supplica, mentre dalle labbra socchiuse si levavano timidi gemiti. Il movimento dei fianchi era così intenso e veloce che i capelli gli ricadevano sugli occhi creando un delizioso effetto vedo-non vedo.
“Ah… No… Moriarty! Non…non così forte! AH!”
Wow…lo stava supplicando davvero…! Ma a lui non importava, era quello il ritmo che lo soddisfaceva, era quella la velocità ambita dai suoi lombi infuocati. Esattamente come lo faceva impazzire sentire la propria virilità avvolta dal calore interno del corpo di lui. E di certo sentirsi stringere non faceva che aumentare il piacere! Era possessivo, questo lo sapeva, eppure suo fratello non si era mai davvero ribellato a quelle loro fusioni incestuose.
“Sherlock… Anf anf… Sto per…”
“Ahhh…anch’io…anch’io…MMH!” Si coprì gli occhi col braccio e si lasciò andare all’orgasmo.
Moriarty attese di vedere l’arcuato getto color perla riversarsi sull’addome di Sherlock prima di premere un’ultima volta dentro di lui e terminare a sua volta.
Lasciò ricadere con gentilezza le gambe di lui, quindi si stese sul suo corpo facendo attenzione a dare il peso sul fianco con cui poggiava sul materasso. Erano sfiniti, anche quella sera. Altro che partita di scacchi, si ritiravano presto per sfogare le energie in quel modo e molto spesso dormivano abbracciati nello stesso letto. Sherlock era particolarmente premuroso con lui dopo il sesso e non mancava mai di accarezzargli i capelli per aiutarlo a rilassarsi. Era come…amoreggiare con uno specchio, il che rendeva entrambi incredibilmente narcisisti. Però quella sera accadde qualcosa di nuovo. Di punto in bianco, Sherlock disse...
“Non ti capita mai di pensare a quanto sia sbagliato ciò che facciamo?”
Prego??? Dopo un anno di rapporti, preceduto da altri tre di baci e toccatine, aveva il coraggio di fare una domanda del genere? Era decisamente tardi per avere dei sensi di colpa, che cavolo! Ma cos’aveva? Ultimamente si comportava in modo strano, ma addirittura fare un pensiero come quello…
“Cos’è? Ti sei reso conto di avere una coscienza?” Moriarty non pensò nemmeno di nascondere la propria irritazione, anzi semmai l’accentuò.
Sherlock sospirò. “Non è questo… Scusami. Da quando Hana ha il ragazzo mi sento abbandonato.”
Ma porc--- Moriarty risollevò il capo e lo apostrofò. “Abbandonato? Da Hana? Grazie per avermi reso nota questa informazione.”
Sherlock lo guardò con tanto d’occhi. “Ma cos’hai capito? Non è come credi! Scemo! Quello che sto cercando di dire è che mi manca la mia migliore amica!” Aggrottò un po’ le sopracciglia. “E mi da fastidio il fatto che non voglia dirmi con chi sta uscendo.”
Se le cose stavano così allora… Sì, andava meglio. Ora che era più tranquillo, Moriarty posò nuovamente il capo contro la spalla del fratello. “Avrà le sue ragioni. A te ha sempre raccontato tutto, ma forse stavolta c’è qualcosa di grosso in ballo. In ogni caso potresti scoprirlo da solo, sarebbe un buon esercizio di deduzione.”
“Questo è un altro problema ancora… Il timore di scoprirlo mi impedisce di andare fino in fondo.”
Moriarty ridacchiò. “Quanto sei complicato, fratellino!”
“Ma forse dovrei farlo… Uff… Credo si tratti di un poco di buono.”
“In base a cosa?”
“Prima di tutto perché se lei non vuole farlo sapere a nessuno, soprattutto ai suoi genitori, significa che loro non sarebbero d’accordo con la sua scelta. Poi so che per piacergli si trucca e indossa vestiti provocanti, il che mi fa pensare che lui non le dia la sicurezza di essere amata. Poi dormono fuori tutti i fine settimana, in alberghi costosi, questo lo so perché lei sta collezionando le saponette coi marchi di tali alberghi.”
“Quindi si è messa con un figlio di papà?”
“E’ una certezza, sì. Ciò che mi fa preoccupare di più è la sua auto. L’ho vista qualche volta fuori dalla scuola. Non ho fatto ricerche approfondite, però è un modello parecchio sofisticato, dai vetri oscurati e dalla targa personalizzata. Non vorrei che quel tizio fosse un rampollo della Yakuza…”
Quell’ultima parola fece mancare un battito a Moriarty. Yakuza? O Port Mafia?
“Sherlock…per caso ricordi se l’auto avesse qualcosa di particolare?”
“No, ho cercato di non osservarla troppo… Però, se ti interessa, un giorno mentre uscivo da scuola l’ho beccato con uno spiraglio di finestrino abbassato e ho visto che il ragazzo ha occhi azzurri e capelli biondi.”
Tu-tum. Tu-tum.
No… Non era detto che si trattasse proprio di lui. Di certo Mafuyu non era l’unico biondo della città a possedere un’auto nera con vetri oscurati e targa personalizzata. Giusto? Insomma, le probabilità erano…
Si sollevò di scatto.
Sherlock fu spaventato da quel gesto repentino, il cuore gli mancò un battito. “Moriarty, cosa…?”
“Scusa. Vado un attimo in bagno.” Recuperò da terra i boxer e la maglia del pigiama, li infilò e uscì dalla stanza a piedi scalzi. Aveva lo stomaco in subbuglio. Se davvero quel maledetto stava uscendo con Hana, lui… Un momento. Cosa gli importava? Tra loro era tutto finito. Anzi aveva detto più volte quanto gli dava fastidio che quell’idiota ogni settimana gli facesse visita a scuola. Però…ultimamente non si era più fatto vedere. Era un caso o…? Batté il pugno contro la parete. Era così furioso che avrebbe volentieri pestato qualcuno. E invece non poteva perché nessuno sapeva che lui e Mafuyu in passato erano stati amanti. E adesso quel bastardo osava divertirsi alle sue spalle e lui non poteva fare nulla, salvo fremere di rabbia contro quella maledetta parete del bagno, mentre i piedi gli si gelavano a contatto con le piastrelle.
“Figlio di puttana!” Bisbigliò a denti stretti.
In realtà non era obbligato a soffrire in silenzio. Il giorno seguente era domenica e lui non aveva impegni. Non aveva nessuna intenzione di fargliela passare liscia.
*
 
Buttato a terra in malomodo, sorretto solo dal gomito puntellato a terra, Mafuyu si scostò i lunghi capelli biondi che gli erano ricaduti sul viso, rivelando così alcuni lividi sugli zigomi e un occhio socchiuso che lacrimava, mentre un filo di sangue gli colava all’angolo della bocca. Con l’unico occhio sano, guardò il suo aguzzino, sfoggiando un sorriso strafottente. “Ti sei sfogato?”
Con lui nella stanza vi era Moriarty, in quel momento chino sulle ginocchia per riprendere fiato. I capelli non erano impomatati, quindi la frangia gli ricadeva ai lati della fronte sfiorandogli appena gli occhi, il suo viso era madido di sudore. Evitò di rispondere.
Mafuyu si rimise in piedi e gli si avvicinò, chinandosi per vedere meglio quella mano dalle nocche sbucciate da cui fuoriusciva sangue. Fece per prenderla nella propria, ma subito Moriarty indietreggiò e se la portò dietro la schiena. Lo trafisse con sguardo tagliente più che mai, le iridi viola parvero luccicare. “Pensa alle tue di ferite.” Disse tra i denti, ancora in preda alla rabbia.
Mafuyu lo guardò con tanto d’occhi…anzi, con tanto d’occhio (!), quindi liquidò la faccenda con una risatina e gli voltò le spalle per raggiungere un ampio specchio a muro con cornice dorata in stile barocco.
“E’ in questi momenti che ricordo che sei solo un ragazzino di sedici anni!” Lo sbirciò giusto attraverso il riflesso, per poi tornare serio e concentrarsi su se stesso. Le sue labbra pronunciarono: “Vita Sexualis Reloaded.” E in un istante il suo aspetto mutò. La pelle diafana di natura si fece brillante e luminosa, simile alla luce di un neon bianco, i capelli biondi cominciarono a fluttuare leggermente e gli occhi azzurri assunsero una particolare espressione fissa come quella di un rettile. Quello era il suo altro aspetto, l’altra faccia della medaglia, l’altra natura che aveva ereditato dalla madre Elise e che gli era costata l’appellativo di ‘mostro’. Mafuyu non possedeva un’abilità, era LUI l’abilità stessa rinchiusa in un involucro umano.
Dopo aver analizzato le ferite del proprio volto, sollevò una mano e la portò all’altezza dell’occhio ferito. Dal palmo fuoriuscì qualcosa di simile a dei brillantini dorati, i quali entrarono pian piano dentro l’occhio, guarendolo in brevissimo tempo. Stessa cosa per lo zigomo e la parete interna della guancia lacerata da uno dei tanti pugni che aveva ricevuto. Gli bastò chiudere gli occhi per alcuni secondi ed il suo aspetto tornò ad essere umano. Non ebbe bisogno di verificare allo specchio, sapeva già che piccole ferite come quelle svanivano subito, invece si voltò e raggiunse Moriarty che nel frattempo si era seduto sul bordo del grande letto a baldacchino dalle cortine e le lenzuola ricamate con motivi classici in filo d’oro.
“Adesso posso?”
Moriarty, ora col broncio, gli diede un’occhiata storta, ma poi si rassegnò ad accontentarlo. Di malavoglia gli porse la mano ferita e lasciò che lui la prendesse amorevolmente nella propria. Per curare quella semplice sbucciatura, Mafuyu non invocò la propria seconda natura, solo si limitò a stamparvi le labbra e trasmettere un briciolo di potere curativo sulla lesione. Schioccò le labbra e le nocche tornarono com’erano prima.
Notando che Mafuyu stava temporeggiando oltre il necessario a lasciargli la mano, Moriarty la ritrasse con prepotenza, sibilando: “Lasciami.”
Di nuovo Mafuyu ridacchiò, senza tentare di nascondere quanto si stesse divertendo a vederlo fare i capricci!
“Anche se hai cominciato a picchiarmi appena messo piede qui, credo di sapere il motivo. Però dimmi, te l’ha detto Hana?”
Inutile evitare l’argomento, dopo la figura meschina che aveva fatto comportandosi in quel modo. Lasciò un sospiro e rispose: “No. Sapevo che Hana stava frequentando qualcuno di nascosto, ma non avrei mai sospettato di te se Sherlock non mi avesse fornito maggiori dettagli.” Fece una pausa, abbassò la testa come per nascondersi. “Non hai idea di come mi sono sentito.”
“Non vedo quale sia il problema! Sai bene che ho una dipendenza dal sesso! Con lei o con chiunque altro, che differenza fa? E in ogni caso mi hai scaricato un anno fa, quindi cosa vuoi?”
Moriarty ringhiò: “E’ una mia amica d’infanzia. Dannazione! Non credevo fossi così disgustoso da farmi questo.”
Mafuyu aprì la bocca con sorpresa, per poi accennare un sorriso malizioso. “Attento Moriarty. Potrei pensare che sei geloso!”
“Devi lasciarla.”
“Come dici?”
“DEVI LASCIARLA!” Lo afferrò per la camicia, di nuovo in preda alla rabbia. “Non posso sopportare l’idea che tu abbia una relazione con lei! Non me ne frega niente se ti sei scopato mezzo Giappone, ma non voglio che tu stia con lei!” Gli occhi lucidi tremavano, tradendo così il vero sentimento che lo spingeva a quelle sfuriate. E Mafuyu se ne accorse.
“Va bene.” Disse con tono serio e voce ferma. “Ma voglio qualcosa in cambio.”
Moriarty deglutì, prima di parlare. “Che cosa?”
“Ammetti di amarmi ancora.”
“I-impossibile…”
“Allora fai l’amore con me. Adesso. E ti prometto che romperò con lei.”
Non c’era traccia d’inganno in quelle parole, nessuno scherzo celato nello sguardo. Lo conosceva bene per dubitare della sua sincerità e sapeva che quando faceva una promessa la manteneva. Esattamente come quella volta, quel giorno di primavera in cui avevano fatto l’amore nella serra privata della sede, avvolti dal profumo di rose centifoglie al culmine della fioritura. Quella volta in cui Mafuyu gli aveva promesso di amarlo per sempre. L’unica fregatura era che non gli aveva promesso anche di essergli fedele, dannazione!
“Solo questo? Davvero non vuoi nient’altro?”
Mafuyu gli prese la mano con cui stava ancora stringendo la camicia e se la portò alle labbra per stampare un bacio nel palmo. “E’ un prezzo equo per soddisfare la tua richiesta. Non trovi?”
Quindi…era disposto a dire addio alla sua ragazza solo in cambio di una scopata? …qualcosa non quadrava. Però… “E sia.” Confermò, facendo un cenno col capo. Si lasciò trascinare disteso su quel letto dove molte altre volte avevano unito i loro corpi in passato. Si lasciò togliere quel maglione di lana rossa che aveva indossato in fretta e furia prima di uscire, si lasciò slacciare i pantaloni e non si mosse nemmeno quando glieli fece scivolare dalle gambe, restando così solo con un paio di boxer bianchi il cui gonfiore già rivelava l’erezione.
“Ti sono mancato proprio tanto, eh?” Disse Mafuyu per stuzzicarlo, ma invece di un’occhiataccia o di un’offesa, ciò che ricevette in risposta fu qualcosa di inaspettato. Moriarty si sfilò da solo i boxer, dopodiché gli saltò praticamente addosso come se volesse divorarlo. “Stai zitto e scopami.” Gli sussurrò guardandolo negli occhi, prima di incollarsi alle sue labbra.
Si erano conosciuti ad un circolo di scacchi, quando Moriarty aveva appena compiuto quindici anni e Mafuyu diciotto. Quel giorno Sherlock non era potuto andare perché a letto con la febbre e così Moriarty vi si era recato da solo ed aveva giocato contro un ragazzo che era lì solo per fare una partita a tempo perso. Un tipo borioso che sapeva di essere bello e carismatico. E che se ne approfittava. Quella loro unica partita non vide mai una fine, però da quel giorno cominciarono a frequentarsi assiduamente. Lo stesso Moriarty era rimasto sbalordito dalla mente acuta e brillante di Mafuyu e, non appena aveva saputo che si trattava del figlio del Boss della Port Mafia, era stato attratto da lui ancora di più. A quel tempo lui ammirava la Port Mafia di nascosto, avendo padre e madre nell’Agenzia di Detective Armati era naturale che non potesse confidare loro questa cosa. Così in Mafuyu aveva trovato un amico, un confidente, un ragazzo dalle idee simili alle sue che non aveva paura di esprimersi. Gli si era aperto subito, senza timore di essere giudicato…ed erano finiti a letto. Nonostante il suo cuore appartenesse già al suo gemello, non si sentì nel torto ad avere una relazione fisica con un altro. Mafuyu gli aveva catturato la mente e poi si era impossessato della sua verginità. Il vero errore era stato quello di innamorarsi di lui. Una bellissima illusione che si era frantumata una volta scoperto che lui aveva il vizietto di andare a letto praticamente con chiunque gli capitasse a tiro. Il colpo subìto era stato tremendo, gli aveva spezzato il cuore. Allora lo aveva lasciato e si era rifugiato tra le braccia di Sherlock, giurando a se stesso che non avrebbe mai amato nessun altro. Promessa infranta. I buoni propositi erano andati a farsi benedire, visto che ora si trovava in quel letto a strangolare un povero cuscino, mentre il suo odiato ex ragazzo lo montava da dietro!
Mafuyu cominciava ad annoiarsi, però. Era da un po’ che si muoveva dentro di lui, ma lo sentiva ancora stretto e i grugniti di Moriarty erano una conferma che quel rapporto era doloroso. Che strano…
“Quindi con Sherlock fai l’attivo?”
“Gh…” Strinse un lembo del cuscino e rispose: “Non ho altra scelta. Sherlock è troppo delicato. Già fa un sacco di storie come passivo, non potrei chiedergli di invertirci i ruoli!”
“E’ passato un bel po’ dall’ultima volta che lo abbiamo fatto. Ecco perché sei così stretto.” La frase risuonò come un rimprovero, cosa che fece ribollire Moriarty di rabbia. Gli rispose a tono. “E allora datti da fare, schifoso libertino! O stare con una ragazza ti ha fatto dimenticare come si da piacere ad un ragazzo?”
Se era una sfida, era ben accetta! Mafuyu puntò lo sguardo sui suoi occhi viola, in quel momento così scuri per la rabbia da assomigliare a due ametiste. Ora il gioco si faceva interessante…
Sfoderò un sorrisino malizioso. “Come vuoi, tesoro!”  Lo prese più saldamente per i fianchi e inarcò i propri per entrare a fondo dentro di lui, lasciandolo senza fiato. Ma Moriarty non aveva intenzione di lamentarsi, quella era la punizione che meritava per essere caduto di nuovo nella trappola e aver tradito Sherlock.
“Comunque…come mai oggi non sei con lei?” Gli chiese, col capo poggiato al suo petto e il suo braccio che gli avvolgeva le spalle. Dopo la botta che si era preso, ormai le uniche forze che gli restavano erano appena sufficienti a muovere le labbra.
“Ieri mattina i suoi genitori ci hanno beccati in albergo. E adesso lei è in punizione.”
“Strano che tu sia ancora vivo. Come minimo avrebbero dovuto farti a pezzi.”
“Già. E invece i signori Akutagawa e Nakajima sono talmente accecati dall’amore per la figlia che hanno deciso di essere comprensivi. Tsk. La debolezza umana.”
Quel tono amaro a cos’era dovuto? Sembrava gli desse fastidio avere avuto fortuna… Be’, non lo riguardava. L’unica cosa che contava, adesso, era che Mafuyu lasciasse Hana. Il resto non aveva importanza.
*
 
Mani che tenevano il volante avvolte nei guanti di pelle, capelli acconciati in una voluminosa scultura che quasi sfiorava il tettuccio, Chuuya sollevò un angolo della bocca in un sorriso provocante.
“Allora, Riku? Sei rimasto turbato da ciò che ho fatto o hai capito il significato del mio gesto?”
Sul sedile accanto, con l’immancabile giubbino bianco in jeans, Riku rispose seriamente: “Ho capito, obaa-san. Quell’uomo stava alzando la cresta e tu sei stata costretta a fargliela abbassare.”
“Esatto! Le ferite del corpo guariranno in pochi giorni, ma… Sono sicuro che non si permetterà più di parlarmi in quel modo!”
I due si scambiarono uno sguardo d’intesa che avrebbe fatto rabbrividire un cieco! D’altra parte il loro modo di pensare e agire era molto simile, pur non essendoci legami di sangue tra loro.
“Credo che chiederò al Boss di sottoporti al test, ormai sei pronto. Tra poco compirai quattordici anni, sarebbe un bel regalo diventare un agente della Port Mafia, no?”
Per quanto si sforzasse, Riku non era in grado di nascondere emozioni come la gioia e la contentezza. Poteva fingere di essere indifferente, ma i suoi occhi brillanti come pietre preziose facevano da specchio alla sua anima. Per questo Chuuya capì tutto solo sbirciandolo un istante. Ridacchiò. “Ne parlerò anche con tuo padre, ma sono sicuro sarà d’accordo con me. Non vede l’ora di averti come sottoposto! E’ sempre stato fiero di te, comunque!”
“Grazie obaa- Mh?” Riku sgranò gli occhi su un punto al di là della strada che stavano percorrendo. “Quella è la macchina di Moriarty. Cosa ci fa qui?”
“Moriarty? Il figlio della Dottoressa  e lo svitato? Un momento…ma non ha sedici anni?”
“Sì, però ha già la patente dall’anno scorso. Grazie alla sua intelligenza ha dato l’esame scritto dopo soli due giorni di frequentazione e quello pratico dopo cinque. Però il Presidente Kunikida ha dovuto chiedere un’autorizzazione al Governo per permettergli di sostenere tali esami.”
“Tsk! Anche un genio si deve abbassare a quei porci del Governo eh? Ad ogni modo, hai idea del perché si trovi in una zona controllata dalla Port Mafia?”
Lui scosse il capo. “No. A quanto ne so non ha conoscenze o frequentazioni in questa fazione. A parte me, voglio dire. E poi…” Si sporse leggermente in avanti e aguzzò la vista: “Mi sembra che con lui ci sia anche Sherlock.”
“Sai cosa ti dico? Meglio dare un’occhiata. Se è solo un caso li lasciamo stare, se invece c’è qualcosa sotto… Be’, allora quei mocciosi mi dovranno delle spiegazioni.”
Prese la direzione dell’auto dei gemelli e li seguì a distanza non troppo ravvicinata. Più s’inoltravano nel cuore della zona portuale, più Chuuya si sentiva irritato.
“Non mi piace per niente…” Disse tra sé, poi vide l’auto entrare nel parcheggio privato di un locale, la cui sbarra era inspiegabilmente alzata. Chuuya frenò e lasciò un sospiro. “Quello è un locale notturno gestito dalla Port Mafia. I minorenni non possono accedere ed inoltre a quest’ora del pomeriggio è ancora chiuso.”
“Ma allora…perché i gemelli ci stanno andando?”
“Questa è una bella domanda, Riku.” Soppesò quelle parole con cura, mentre il suo sguardo da predatore puntava l’ingresso dove l’auto era appena entrata.
Se dall’esterno appariva come un edificio vecchio e trascurato, apposta per non dare nell’occhio, il suo interno era senz’altro un’opera moderna da far girare la testa. Le pareti erano tappezzate di schermi che ogni sera venivano accesi per trasmettere video musicali di ogni genere, il bancone principale del bar era lungo e di marmo bianco scolpito a formare un’onda di spuma, le sedie  ed i tavoli erano fatti in plastica dura dai colori rigorosamente shocking e sul soffitto della sala da ballo era appesa un’enorme palla con LED su cui erano puntati i riflettori di luci colorate. Questo luogo che prendeva vita solo alla sera, quel giorno era stato violato per uno scopo preciso.
Ad uno dei tavoli, precisamente di color arancio, Mafuyu e Hana davano l’aria di divertirsi, stando appiccicati come due piccioncini. Lei sedeva sulle sue ginocchia, mentre Mafuyu tentava di convincerla a bere un liquido di colore blu.
“Mafuyu! Ah ah! No! I miei genitori mi hanno permesso di vederti dopo una settimana, se rientro a casa ubriaca mi chiuderanno in camera e butteranno via la chiave!!!”
“Ahhh quanto è dura essere una brava ragazza!” Disse lui, scuotendo il capo. Il suo sguardo si abbassò contrariato sull’abbigliamento di lei. Dopo due mesi di minigonne e scollature indecenti, non era piacevole vederla con addosso una gonna lunga oltre le ginocchia e un maglioncino abbinato e poco scollato di colore bianco. Poi niente trucco e capelli legati in una coda di cavallo. Che scialbore! Bevve quella strana sostanza tutta d’un fiato e posò il bicchiere vuoto sul tavolo con un colpo secco.
“Sai…è molto carino da parte tua avermi portata qui! Appena avrò l’età per bere alcolici ci verremo ancora, in orario di apertura! Questo posto è fantastico!!”
“E’ il posto in cui ci tenevo a portare la persona che amo!” Disse lui, sfoderando un sorriso da seduttore, cosa che fece arrossire Hana. Stava giusto pensando a cosa rispondere quando…dalla porta che dava sul retro del locale comparvero Moriarty e Sherlock.
Hana balzò giù dalle gambe del suo ragazzo e li guardò con tanto d’occhi. “VOI?? Cosa ci fate qui?”
A rispondere fu Moriarty. “Ci ha invitati Mafuyu.”
“Ma…io non sapevo che vi conosceste!” Disse lei, rivolgendosi a Mafuyu.
Lui si alzò dalla sedia e si lisciò la giacca grigio perla aperta su una camicia azzurro cielo dal colletto sbottonato.
“In verità io e Moriarty ci conosciamo molto bene! Vero?” Fece l’occhiolino al diretto interessato.
Moriarty lo guardò storto: “Forse non è stata una buona idea venire qui…”
“Suvvia, non essere diffidente! Ero desideroso di incontrare il tuo fratellino almeno una volta!” Si portò di fronte a Sherlock e disse sfacciato: “E così tu sei il famoso Sherlock! Moriarty mi ha parlato tanto di te!”
Con evidente timidezza, lui abbozzo un... “Ehm…io invece non sapevo di te. Quando mi ha detto che il figlio del Boss voleva conoscermi sono rimasto senza parole.”
“Mettiti pure a tuo agio, tranquillo!” Notò lo sguardo di Moriarty puntato con ostilità verso Hana. Perfetto. Indubbiamente si stava chiedendo cosa ci facesse lei lì dopo ciò che si erano detti la volta scorsa. Aprì le braccia con fare plateale e si rivolse a tutti. “Oggi vi ho invitati qui perché voglio mettere in chiaro alcune cose. Non ho più intenzione di nascondermi. Tutto ciò che voglio è rendere felice la persona che amo!”
Diede una sbirciata alle espressioni dei suoi ospiti. Erano così facili da leggere! Hana stava pensando qualcosa del tipo “Così mi metti in imbarazzo! Baka!”, Sherlock aveva dipinto in volto un “Ecco chi è il ragazzo con cui lei sta uscendo di nascosto!” e Moriarty…be’ nel suo caso erano una serie di appellativi che è meglio non elencare! Peccato che tutti quei pensieri vennero traditi quando Mafuyu disse: “Questa persona…è Moriarty.”
EEEEEEEEHHHHH?????
Hana cercò di abbozzare una risata, pur non avendone nessuna voglia. “Cosa--- E’ uno scherzo, vero? Hai uno strano senso dell’umorismo.”
“Niente affatto, mia cara!” Si affiancò a Moriarty e gli cinse le spalle col braccio: “Io e lui ci amiamo. Un anno fa siamo stati amanti, ma abbiamo dovuto tenerlo segreto a causa dei suoi genitori dell’Agenzia e…” Chinò il capo in avanti, per sbirciare Sherlock. “Per non ferire il suo debole fratellino.”
Era tutto così incredibile…Sherlock non era in grado di spiccicare parola, mentre Hana era immobile come un manichino. Fino a pochi minuti fa era felice di essere tra le braccia del suo ragazzo, mentre adesso…adesso…
“Ma tu…hai detto di amarmi… Mi…hai fatta sentire importante…”
“In realtà ti ho corteggiata perché è stato mio padre ad ordinarmelo. Sperava tanto che stando con me ti saresti decisa a far parte della Port Mafia! Ah ah ah! Quel vecchio deve essere impazzito! Dice che hai un potere straordinario e invece a me sembri solo una ragazzina spaurita e priva di autostima! Mi sono stancato di te in fretta e volevo sbarazzarmi della tua presenza! Però…non potevo lasciarti, altrimenti mi avresti odiato, allora ho fatto in modo che i tuoi genitori ci scoprissero!”
COSA???
“No…aspetta…tu…tu hai…?”
Mafuyu divenne stranamente euforico. “Questa devo raccontartela! E’ una storia pazzesca!” E si mise a gesticolare, come un attore comico su un palcoscenico. “Stavo facendo delle ricerche su quali luoghi frequentassero i tuoi genitori, così da essere sicuro di farci beccare! Quando mi è capitato sott’occhio questo particolare, cioè che loro prima della tua nascita frequentavano regolarmente un certo albergo e prendevano sempre la stessa camera! Era un’occasione perfetta! Ho obbligato il Direttore a contattare Akutagawa per dirgli di aver vinto una fantomatica Lotteria e quando il pesce ha abboccato ho prenotato la stanza accanto! Ah ah ah ah! Ti rendi conto? Abbiamo scopato tutta la notte coi tuoi genitori che facevano altrettanto al di là della parete!” La sua risata distorta si placò in un macabro intercalare, a cui seguì un attimo di silenzio. Il suo volto si fece serio, il suo tono di voce sprezzante. “Però quei due hanno rovinato tutto. Avrei accettato volentieri di essere malmenato da Akutagawa, l’uomo che stimo più di chiunque altro al mondo! E invece niente…nemmeno questa soddisfazione ho avuto. Poi il giorno seguente Moriarty è venuto da me, furioso, chiedendomi di lasciarti. E mentre facevo l’amore con lui ho capito che era il momento di farla finita davvero.” Si premette una mano sul cuore e parlò con enfasi: “Perché devo continuare ad essere manipolato da mio padre? Ho sofferto fin dal giorno della mia nascita, ho vissuto in un inferno. Adesso voglio prendermi ciò che mi spetta di diritto, voglio vivere il mio amore alla luce del sole!”
Cla clap clap clap…
Il rumore del battito di mani venne poi accompagnato da quello di tacchi che battevano sul marmo del pavimento. Tutti si voltarono verso la figura che fece il proprio ingresso dalla sala da ballo, con un’entrata in scena ad effetto. Nakahara Chuuya era lì.
“Devo farti i miei complimenti, Mafuyu. Ogni volta che penso che tu non possa cadere più in basso, ecco che mi sorprendi!”
Mafuyu sorrise e fece qualche passo verso di lui.
“Chuuya! Ma che splendida sorpresa! Ti ho invitato così tante volte qui per bere insieme, ma tu hai sempre rifiutato! Sono felice di vedere che hai cambiato idea!”
Chuuya gli puntò il dito contro: “Ti porto dritto dal Boss, preparati psicologicamente.” Poi puntò Hana: “Tu vieni in auto con me fino alla sede e poi chiamo tuo padre.” Ed infine ai gemelli: “Voi due mocciosi fate quello che vi pare, basta che spariate dalla mia vista.”
Hana, troppo sconvolta per dire o fare qualsiasi cosa, da ragazza obbediente si incamminò a testa bassa verso sua nonna e si lasciò prendere a braccetto.
“Vedi di stare al passo, idiota.” Disse Chuuya rivolto a Mafuyu, quindi si voltò e mosse i primi passi da dove era venuto, però…
“Ahhhh mio bel Chuuya! La mia Prima Donna! Ti ho mai detto che a dodici anni, la prima volta che mi sono masturbato, ho pensato a te?”
Chuuya rallentò la camminata.
“Sei stato il protagonista delle mie fantasie erotiche per tanto tempo! La mia preferita è quella in cui ti lego le mani e ti prendo da dietro sul mio letto! …mentre quel buffone di tuo marito ci guarda!”
La scarpa di Chuuya batté pesantemente sul pavimento, provocando un’incrinatura. Una risatina appena percettibile gli fece tremare le spalle, quindi sospirò e lasciò il braccio di Hana. Fu un attimo. Si voltò e scattò verso Mafuyu in velocità con la gamba bella dritta puntata al suo stomaco, ma prima che potesse sfiorarlo, lui attivò il proprio potere, gli afferrò la gamba e lo scaraventò oltre il bancone, facendolo finire contro le mensole in vetro dove erano le bottiglie degli alcolici. Il colpo fu tale che l’enorme ‘CRUSH’ rimbombò per tutto il locale. Il corpo inerte di Chuuya venne travolto dai vetri rotti.
Obaa-san!!!” Gridò Hana, il corpo tremante che le impediva di muoversi per andare in suo soccorso.
“Non preoccuparti! Più tardi sarò lieto di curare le ferite su quel bel faccino!” Infierì Mafuyu. Fece giusto in tempo a finire la frase, quando fu obbligato a fare un salto acrobatico per schivare due tentacoli bianchi che altrimenti lo avrebbero trafitto.
“Ah ah! Oggi le sorprese non finiscono mai!” Allungò lo sguardo verso Riku, il quale stava avanzando con sguardo truce e un’evidente aria assassina.
Riku diede uno sguardo a sua sorella, immobile e sconvolta, poi lo rivolse a Chuuya, al suo corpo che giaceva fra i vetri rotti. Sentì la rabbia salire come un mare in tempesta.
“Te la farò pagare, maledetto. Sia per aver offeso mia sorella, sia per aver ferito mia nonna.”
Mafuyu accennò un sorriso divertito e gli fece cenno con la mano di farsi avanti.
Lo scontro ebbe inizio, nessun altro aveva il coraggio di muoversi.
Mentre li osservava combattere, Sherlock si ritrovò a stringere i pugni. Si odiava per non essersi accorto che il suo gemello aveva un amante, si odiava per non aver protetto Hana da un simile mostro…e si odiava perché non aveva ancora mosso un dito. Era il momento di rimediare. Concentrò tutta la propria potenza interiore, facendo così innalzare l’aura oscura dal proprio corpo, sempre più compatta. Fin che da questa non si levò un sinistro ringhio.
Moriarty si volse di scatto. “Sherlock, no! Possiamo risolvere le cose in un altro modo.”
Gli occhi di smeraldo di Sherlock, ora erano diventati color rubino come quelli della creatura che si levava sopra di lui.
“Un altro modo? Vuoi aspettare che faccia del male anche a Riku prima di deciderti a fare qualcosa?” Gli diede una gomitata. “Se non vuoi intervenire, togliti di mezzo.”
Lo oltrepassò, quindi distese le braccia e recitò: “Il Mastino dei Baskerville!” La massa nera delineò meglio la propria forma, tramutandosi appunto in un grosso cane infernale dai denti aguzzi e dagli artigli d’argento, una creatura fatta di tenebre che si fondeva con l’aria stessa. Ad un movimento di Sherlock, il mastino saettò verso Mafuyu e si unì al combattimento assieme a White Rashomon. Per un normale occhio umano sarebbe stato quasi impossibile seguire la lotta fra quelle creature, svolta con una velocità incredibile, ma essendo tutti i presenti dotati di poteri, i loro sguardi erano come ipnotizzati dal susseguirsi di colpi tra i tentacoli bianchi di White Rashomon, le fauci e gli artigli argentei del Mastino dei Baskerville e le scie di luce dorata emesse dalle mani della vera natura di Mafuyu.
Gli occhi sbarrati, Moriarty dimenticò quasi di respirare. Tutto quello che stava succedendo era…colpa sua? Volse lo sguardo ad Hana, anche lei con gli occhi puntati sull’incredibile scena che aveva davanti. Lui voleva solo che la lasciasse. Non voleva questo…
“Hana!”
Lei tremò visibilmente e lo guardò.
“Perdonami. Non avevo idea che potesse succedere tutto questo.”
Le labbra di lei tremarono, gli occhi le si riempirono di lacrime. Scosse leggermente il capo. “Non è colpa tua…”
E invece sì. Se non si fosse lasciato divorare dalla gelosia e non fosse andato da Mafuyu, quel combattimento non sarebbe mai avvenuto. Doveva fare qualcosa per rimediare. Esattamente come aveva fatto Sherlock poco prima, invocò il Mastino dei Baskerville e si affiancò al fratello. I loro occhi di rubino si scambiarono uno sguardo d’intesa e anche il secondo mastino si unì al combattimento.
Mafuyu, incurante dello sforzo e dei colpi che stava subendo, trovò il coraggio di scherzare. “Amore mio, ti sei unito alla festa? Mi fa piacere!”
Quell’essere non poteva neanche definirsi umano. Come aveva fatto lei a lasciarsi abbindolare? Era stata una stupida, aveva ignorato tutti gli avvertimenti dei suoi familiari, aveva giocato col fuoco. Ed ora suo fratello e i suoi amici d’infanzia stavano lottando per lei, per difendere il suo onore macchiato. Indietreggiò, sentendosi mancare la terra da sotto i piedi. La sua schiena finì col sbattere contro il bordo del bancone.
“Hana…”
Sentendo quella voce rauca, si voltò e vide Chuuya che la guardava, gli occhi socchiusi, lo sguardo sofferente. Hana balzò oltre il bancone con un‘improvvisa ritrovata agilità e andò ad assisterlo, per quanto poco potesse fare. Lo sostenne mentre insieme cercavano di spostare il suo corpo altrove, in un punto dove non vi fossero vetri rotti, però avendo delle schegge conficcate su tutto il retro del corpo, Hana dovette farlo stendere prono sopra il bancone in marmo bianco. Per estrarle tutte sarebbe servito l’intervento della Dottoressa Yosano, non c’erano dubbi.
“Hana…ascoltami.” Anche parlare era uno sforzo.
Lei si avvicinò, gli scostò una ciocca di capelli dal viso, rivelando così dei graffi sanguinanti.
“Tu sei più forte di quanto immagini. Non devi ascoltare chi ti deride dicendo che sei inutile.”
“Ma è vero, obaa-san. Senza il mio potere non sono niente. Ho deluso le aspettative di mio padre che per me sognava un futuro nella Port Mafia e mi sono fatta ingannare da un mostro, come una bambina di fronte ad una torta al cioccolato!”
Chuuya sorrise nonostante le ferite. “Te ne preparerò a centinaia se adesso tu farai ciò che devi. Fagli vedere il tuo valore, Hana.”
“Ma il mio potere-”
“Non hai solo un potere. O sbaglio?”
La bocca della verità. Era stata così scema da non prendere in considerazione il fatto che lei aveva ereditato un potere simile a quello di sua madre. La tigre bianca era parte di lei. Era così abituata a farsi spuntare gli artigli e la coda solo in determinate situazioni, da non aver mai pensato a usare quell’abilità per uno scopo serio.
Vedendo il suo sguardo grintoso, Chuuya sorrise. “Fai assaggiare i tuoi artigli a quel figlio di puttana!”
Sì, era quello che andava fatto. Era quello che lei voleva fare. Strinse i pugni ed evocò con la mente il Potere della Tigre. Circondato da un bagliore azzurro, il suo corpo mutò. I suoi piedi, le sue mani ed il suo viso assunsero un aspetto felino, nei suoi occhi per la prima volta si accese la fiamma dell’odio.
“DOVETE IMMOBILIZZARLO!”
Gridò, attirando l’attenzione dei combattenti. Per ovvie ragioni non potevano permettersi di distrarsi, perciò scambiarono giusto una rapida occhiata con lei, ma bastò per capire al volo. Erano tre contro uno, per quanto Mafuyu fosse potente e finora fosse riuscito a tenergli testa, dovendo difendersi dagli attacchi in contemporanea gli era impossibile attaccare, perciò era logico che non potesse continuare così  a lungo…
Prendendolo un po’ per sfinimento e un po’ per strategia, non ci volle molto perché i ragazzi riuscissero a fare quanto richiesto da Hana. I gemelli si occuparono del lato destro, bloccandogli braccio e gamba tra le fauci dei due mastini, mentre Riku si occupò del lato sinistro, stringendo i restanti arti con i tentacoli di White Rashomon. Immobile e con gli arti tesi fino al limite, il corpo di Mafuyu sembrava doversi spezzare a metà da un momento all’altro. Eppure, quel dannato sorriso strafottente ancora era fisso sulla sua faccia.
“Non c’è niente di più letale di una femmina arrabbiata! Ah ah!”
Le sopracciglia di Hana si aggrottarono, un luccichio sinistro attraversò i suoi occhi felini. “Lo hai detto.” Balzò verso di lui, sfoderando gli artigli delle zampe, e quando fu all’altezza del suo viso, senza esitare mosse le braccia a formare una ‘x’.
Un istante e sul viso di Mafuyu si disegnarono i segni delle artigliate, i suoi occhi vennero trafitti irrimediabilmente.
“Aaaaaaarghhhhh!” Un grido straziante si levò dalla sua gola, mentre il sangue cominciava a colare dal suo viso sfigurato…
Moriarty, credendo che il combattimento fosse giunto alla fine, dato che ormai Mafuyu era stato sconfitto, fece per rilassare le braccia con le quali comandava il proprio mastino, ma…
Il movimento d’aria gli mosse i capelli. Volse leggermente il capo. Vide Hana balzare in aria ancora una volta e chiudere una zampa a pugno, mentre ritraeva il braccio per prepararlo al colpo.
Il cuore gli mancò un battito.
“Hana NOOOOO!!!”
Troppo tardi. Dopo aver caricato il colpo, Hana direzionò il pugno verso gli organi vitali di Mafuyu e lo colpì così forte da trapassarlo da parte a parte. Sorpresi da quell’inaspettato gesto, i ragazzi ritirarono le proprie abilità. Il corpo di Mafuyu ricadde sul pavimento.
Riku si precipitò dalla sorella, l’afferrò prima che questa cadesse priva di forze. Notò il suo sguardo tremante rivolto alla mano piena di sangue che ora era tornata ad avere un aspetto umano.
“Hana?”
Tremava come una foglia. Era la prima volta che usava il proprio potere per combattere. Era la prima volta che…si sporcava le mani di sangue.
Moriarty si avvicinò lentamente al corpo di Mafuyu. Invero era ancora vivo, seppur con il respiro ridotto ad un rantolo. Il buco che aveva in corpo era la prima cosa che si notava, subito seguito da un braccio e una gamba trafitti dalle zanne che quasi glieli avevano staccati dal resto del corpo, il viso come una maschera di sangue e i bulbi oculari che fuoriuscivano dalle orbite come albumi d’uovo poco cotto. Era uno spettacolo raccapricciante.
Strinse i pugni. “Cosa…stai aspettando?”
Il respiro di Mafuyu si bloccò un istante, per poi riprendere con un rumore ancora più ghiaioso. “Mo-moriarty…”
“Datti una mossa a guarire le ferite, idiota.”
“Mo-moriarty…” Ripeté lui, per poi cercare di sollevare una mano verso la direzione da dove proveniva la voce.
Qualcosa non andava. Se non si affrettava ad attivare il potere per cicatrizzare quelle ferite, lui…lui…
Moriarty si buttò in ginocchio accanto a lui e afferrò la mano che lo stava cercando. La voce gli uscì stridente ed isterica.
“Allora?? Attiva il tuo potere, bastardo!”
“Anf-anf… N-nooo…”
“Cos-? Che significa ‘no’? Se non lo fai subito, morirai!”
“E’--cough cough---“ Degli schizzi di sangue gli uscirono dalla bocca. “E’…anf--è quello…che voglio…”
Lo sguardo di Moriarty tremò e anche la mano con cui teneva quella di lui. Gliela strinse.
“Non…non te lo permetto! E’ troppo comodo morire dopo aver fatto questo gran casino! Adesso tu devi guarire e prenderti la responsabilità delle tue azioni! Hai capito, razza di-sniff! Di…hic….” Delle lacrime ricaddero oltre le ciglia e gli solcarono le guance. “Ti prego…hic hic…ti prego….”
Le labbra di Mafuyu s’incurvarono in un lieve sorriso. Un sorriso rosso sangue. “Ti…faccio sempre piangere…amore… Perdonami.”
“Non voglio le tue scuse!!! Voglio che attivi quel maledetto potere!!!”
“Ormai è tardi… Lo vedi…cough cough…”
Moriarty affondò il viso nella mano di lui. Si stava lacerando all’interno tanto quanto il corpo di Mafuyu lo era all’esterno…
“Non voglio che tu muoia. Hiiichhh….io ti amo. Non lasciarmi.”
Era la prima volta che mostrava la propria debolezza e le proprie lacrime. Lo stesso Sherlock che gli era accanto da quando erano nello stesso grembo, non lo aveva mai visto ridotto in quello stato. Era come se stesse vedendo suo fratello per la prima volta.
“Io…non ti sto lasciando. Anf anf… E’ l’unico-cough… E’ l’unico modo…per stare con te…”
“MODO?? Quale modo??? Lasciarmi le tue ceneri per farmele mettere in un vaso da tenere sopra un altare??? Sei un deficiente se pensi che possa bastarmi!!!” Le lacrime uscivano senza sosta, il cuore gli batteva forte nel petto come se volesse squarciarglielo.
E poi accadde qualcosa di meraviglioso…
Nel momento in cui Moriarty sentì la mano di Mafuyu cadere nella sua, priva di vita, ecco che dal suo corpo cominciò  a levarsi una luce. Dapprima fu lieve e bianca, ma poco a poco, man mano che saliva e si espandeva, diventò di una sfumatura gialla e al suo interno comparvero dei brillantini dorati. Lo sguardo di Moriarty ne fu incantato, senza accorgersene lasciò scivolare via la mano che stava tenendo. Gli occhi di tutti i presenti si fissarono su quell’aura dorata e luminosa che librava nell’aria, partendo dal corpo privo di vita di Mafuyu. Perfino Chuuya, sofferente e disteso sul bancone, si ritrovò a fissare quella scena.
La massa luminosa cominciò a prendere forma, a delineare una sagoma umana disegnata nell’aria e dalle linee piuttosto stilizzate. Di fatto solo la parte superiore del corpo si definì totalmente, soprattutto la testa i cui capelli si libravano come incantati e il viso che aveva indubbiamente i tratti di Mafuyu. La sua seconda natura. La figura si riversò in avanti, chinandosi verso Moriarty, il braccio si allungò e le dita sottili andarono a sfiorargli il viso con gentilezza. Sembrava un angelo.
Le labbra sottili si dischiusero e ne uscì una voce dolce come il tintinnio di campanellini.
“Invocami e io apparirò.” E la figura prese a dissolversi riducendosi ad una scia dorata, per poi penetrare nel corpo di Moriarty passando dalle labbra socchiuse di lui.
Un rumore improvviso squarciò il silenzio e in un attimo la porta principale del locale venne fatta  a pezzi da dei tentacoli neri. Dallo squarcio fece il proprio ingresso Akutagawa.
“Riku! Hana!”
I due ragazzi si rialzarono da terra con uno slancio. “Otou-san!” E si precipitarono su di lui, abbracciandolo come fosse stato la loro ancora di salvezza. Hana scoppiò a piangere sul suo petto.
Akutagawa li strinse entrambi a sé e impresse un bacio fra i capelli della figlia, sussurrando: “E’ tutto finito, tesoro.” Poi scambiò uno sguardo d’intesa col figlio. “Hai fatto bene a chiamarmi prima di passare all’attacco, altrimenti non avrei mai saputo che eravate qui.”
Riku non ebbe il tempo di rispondere, dall’esterno arrivò l’inequivocabile rumore di una frenata fatta ad alta velocità, a cui seguirono una serie di grida. Da lì vi fu un rapido susseguirsi di arrivi.
Il primo a varcare la soglia fu Atsushi, il quale raggiunge di corsa i suoi figli  e il suo compagno e si unì all’abbraccio, accertandosi che stessero bene. Subito dopo entrò Dazai. Vagò con lo sguardo in cerca di sua moglie e, non appena l’ebbe adocchiata, si precipitò verso il bancone con espressione più seria che mai.
“Chuuya!”
Fu quasi per toccarlo, ma rendendosi conto delle sue condizioni, si ritrovò con le mani per aria in un movimento incerto.
“Cosa ti hanno fatto?”
Chuuya abbozzò un mezzo sorriso. “Mi hanno scambiato per un puntaspilli!”
Per ultimi, ma solo perché stavano spingendo il carrello della barella, giunsero Ranpo e Yosano.
“Ranpo, vai dai ragazzi, qui ci penso io!” Un ordine che non ammetteva repliche.
Ad ogni modo, Ranpo corse verso i figli e li abbracciò esattamente come aveva fatto Akutagawa coi propri.
“State bene?”
Sherlock gli lanciò un’occhiata sorpresa. “Otou-san…il tuo cuore…”
“Sta battendo all’impazzata? Sì, lo so. E’ così da quando ero in ufficio.” Passò lo sguardo dal volto di un figlio all’altro, mentre spiegava. “Ero tranquillamente seduto sopra la mia scrivania con un pacchetto di patatine fra le mani, quando Atsushi ha risposto al telefono e ha messo il vivavoce. Nel sentire la voce di Akutagawa dire che eravate in pericolo mi sono così spaventato che mi è caduto il sacchetto. E le patatine si sono sparse sul pavimento. E ora sono immangiabili!!!”
Quindi la preoccupazione principale erano le patatine…ok… Comunque, a modo suo, era un padre che voleva bene ai propri figli. Il modo in cui li stringeva a sé, la testa di ognuno premuta contro una sua spalla, era senza dubbio una manifestazione di affetto.
A poca distanza, Yosano stava dando una prima occhiata alle ferite di Chuuya.
“Hai vetri dappertutto. Quelli più grandi che hanno la punta sporgente li tirerò via facilmente. Mi preoccupano tutte le schegge che si sono conficcate nella carne. E dal sangue che stai perdendo, alcune sono piantate bene in fondo.” Scosse il capo e volse lo sguardo a Chuuya. “Te lo dico chiaro e tondo. Sarà un’operazione lunga e dolorosa.”
“Tsk. Farmi togliere i vetri dalle chiappe da una donna, ecco cosa sarà doloroso! Il mio orgoglio ci metterà molto più tempo a guarire!”
Suo malgrado, Dazai abbozzò una risata, mentre gli teneva la mano. “Come fai a scherzare in un momento simile?”
“Credevo sapessi che ho un grande senso dell’umorismo. Infatti ho sposato un idiota come te!”
Per quanto critica fosse la situazione, quei due non potevano fare a meno di battibeccare! D’altronde si sa che l’amore non è bello se non è litigarello!
Con enorme cautela, Yosano e Dazai spostarono l’esile e leggero corpo di Chuuya sulla barella, ma quando lei fece per mettersi in posizione per spingerla verso l’uscita, Dazai la fermò parandole un braccio davanti.
“Lo porto io al furgone. Tu vai dai tuoi figli.”
Anche senza dire nulla, la luce che attraversò gli occhi viola di lei equivalse ad un ringraziamento. Fece un cenno col capo e scivolò via come un libellula.
“Perché siete venuti qui di nascosto, brutti idioti? Avete idea di come mi sono sentita nel sapere che stavate lottando contro un pazzo?” Il tono severo venne smorzato da un nodo alla gola, i suoi occhi si riempirono di lacrime. Attirò a sé i ragazzi, cercando di trattenere il pianto.
“Grazie agli dei state bene!”
“Akiko…” La voce di Ranpo attirò la sua attenzione. Seguì il suo sguardo e vide il corpo martoriato e senza vita di Mafuyu. Scorse rapidamente i volti dei ragazzi e li rassicurò. “Non preoccupatevi, qualunque cosa sia successa, voi avete agito solo per difendervi. Non permetterò a Mori di toccarvi neanche con un dito.”
Ranpo subentrò con un dubbio. “Però, quello che è morto è suo figlio…”
“Non è morto.” Moriarty si sciolse dall’abbraccio della madre, gli sguardi dei suoi familiari giustamente perplessi.
“Lui…non è morto.” Si portò le mani al petto e aggiunse: “E’ dentro di me. E’ diventato la mia abilità.”
E questo avrebbe creato guai seri.
  
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