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Autore: PrincessintheNorth    10/08/2020    1 recensioni
Nuova edizione della mia precedente fanfic "Family", migliorata ed ampliata!
Sono passati tre anni dalla caduta di Galbatorix.
Murtagh é andato via, a Nord, dove ha messo su famiglia.
Ma una chiamata da Eragon, suo fratello, lo farà tornare indietro ...
"- Cosa c’è?
Deglutì nervosamente. – Ho … ho bisogno di un favore. Cioè, in realtà non proprio, ma …
-O sai cosa dire o me ne vado.
- Devi tornare a Ilirea."
Se vi ho incuriositi passate a leggere!
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Morzan, Murtagh, Nuovo Personaggio, Selena | Coppie: Selena/Morzan
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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DEREK
 
Vedere Kate rimettersi era stato un sollievo: nella locanda, quando mi era crollata tra le braccia, avevo davvero temuto il peggio per lei e per il piccolino.
Alla fine, però, tutto era andato come doveva. Nel giro di un paio di settimane aveva ripreso colore ed energie e tutti i medici erano stati concordi: sia lei che il bambino erano fuori pericolo, e dunque poteva tornare a condurre una vita normale, anche se con alcuni limiti. Le passeggiate a cavallo erano ammesse, ma non avrebbe dovuto superare il trotto lento (anzi: meglio che andasse al passo), ed era per quello che avevo deciso di portarla a fare un giro nella foresta. Era rimasta chiusa in casa per troppo tempo ed il suo colorito, così come l’umore, ne aveva risentito: inoltre aveva sempre amato quel bosco, fin da quando era piccola e andavamo al Tridente durante i mesi estivi.
Ovvio, non era quello il solo motivo: proprio quella mattina, nella cattedrale, i membri principali del Congresso si erano riuniti per dare inizio alla votazione riguardo al cambiamento della linea di successione. Katherine, per forza di cose, non era tranquilla, così avevo fatto sì che dei bambini si occupassero Eragon, Roran e Katrina e l’avevo portata a distrarsi.
Avevo dunque sondato la foresta con la mente e, per buona misura, l’avevo sorvolata attentamente con Maegor, per assicurarmi che non ci fosse traccia di Galbatorix. Una volta appurato che era sicura, ero andato a prendere Katie nelle sue stanze: ero andato a comprarle un nuovo cavallo proprio quella mattina, così da aiutarla a ritrovare un po’ di sorriso. Aveva funzionato: non appena aveva visto la meravigliosa giumenta dal manto argenteo, talmente puro che rifletteva la luce del sole (e che mi era costato un occhio della testa) le si erano illuminati gli occhi di meraviglia come quando era bambina e mi presentavo da lei con un nuovo giocattolo. Il resto della mattinata era andato anche meglio, tra chiacchiere, discussioni e battute di caccia (ragion per cui avevo cinque lepri appese alla sella). Il divertimento vero però era iniziato quando aveva iniziato a raccontarmi, scioccata, di tutte le cose “strane” che facevano i piccoli: come potevo non cogliere l’occasione al volo e rinfacciarle che, quelle cose strane, le faceva anche lei da bambina?
La sua espressione sconvolta era stata impagabile, soprattutto nel venire a scoprire che, a tre anni e nel bel mezzo di una cena di corte, aveva atteso che ci fosse un raro secondo di silenzio per poter urlare “io mi gratto il sedere!”, provocando il divertimento sincero degli adulti e una tremenda vergogna in me e sua madre.
«Manca di sale» commentò assaggiando la fetta di carne essiccata che aveva in mano e che faceva parte del suo pranzo. Mi ero affidato alle cuoche di palazzo per il mangiare, visto che quelle rare volte che avevo provato a cucinare per la mia famiglia i miei piatti o avevano provocato nausee e dissenteria o erano stati rimandati indietro, e così quel mattino mi avevano consegnato un cestino con un paio di mele, della carne essiccata, un otre di vino e uno di acqua: alimenti dalla lunga conservazione e rapidi da mangiare, perfetti per la caccia o un giro a cavallo.
«È maiale salato» osservai dubbioso. Ne avevo mangiata una fetta pochi secondi prima e le spezie erano perfettamente bilanciate. «Non può mancare di sale».
Katie mi lanciò un’occhiata perentoria, per poi asciugarsi il volto dalle impalpabili gocce d’acqua che provenivano dalla grande cascata vicino a cui ci eravamo accampati, e che ci donavano un po’ di frescura. «A me sembra insipida» insistette, per poi prendere dal proprio zaino la scatoletta del sale e delle spezie e condire il proprio pasto come preferiva: nel vedere quanto sale ci mise, ebbi il mio bel daffare a celare il disgusto.
È incinta, mi dissi tra me e me. Quando è incinta fa queste schifezze.
 «Ho deciso di trasferire su di me la gestione dell’Ovest per i prossimi mesi» la informai mettendola a parte della decisione che avevo finalizzato quella mattina. Immediatamente smise di mangiare e fissò il proprio sguardo nel mio, pronta a controbattere: evidentemente pensava che la stessi sollevando dai suoi incarichi per qualche mancanza, così mi affrettai a spiegare. «Non hai fatto nulla di sbagliato, ma visti i problemi che hai avuto col bambino è importante che ti riposi il più possibile. Finché non avrà compiuto i sei mesi d’età, l’unico dovere che avrai sarà fare la mamma».
Per qualche momento nel nostro accampamento cadde il silenzio: la sua espressione era a metà tra il sollevato ed il dubbioso.
Meglio così. Probabilmente i prossimi sei mesi li passerà a prepararsi all’investitura a principessa ereditaria, oltre che a pensare alla guerra e ad educare i bambini a comportarsi come si conviene ad una corte reale.
Il pensiero mi mise un’immane tristezza: né Kate, né Murtagh e tantomeno i loro bambini avevano il carattere per regnare, ma soprattutto per essere dei bravi guitti per la nobiltà. Alec ed Audrey erano perfetti, le maniere di corte gli venivano naturali, anche se ovviamente fingere costantemente non gli faceva piacere. Dare il ruolo che era loro di diritto e per cui erano perfettamente sagomati a Kate e Murtagh era fare a tutte le parti coinvolte un torto enorme e la situazione stava già iniziando a richiedere a tutti e quattro un pesante prezzo. Nonostante la flebile riappacificazione tra di loro erano nervosi, tesi come corde di violino e pronti a scattare alla minima provocazione. Murtagh, soprattutto, aveva da qualche giorno profonde occhiaie violacee sotto gli occhi ed un’aria tremendamente stanca: aveva iniziato a perdere il sonno e, probabilmente a causa della preoccupazione, aveva ripreso a fare il sogno che vedeva Kate combattere fra le schiere nemiche e perire.
Sarebbe stato così semplice lasciare le cose come stavano … eppure, sapevo già che avrei dovuto combattere duramente con il Congresso per mantenere inalterata la successione alla Corona. A darmi speranza c’era il fatto che, molto probabilmente, l’effettiva successione al trono sarebbe avvenuta tra molti, molti anni: avevo tempo per sistemare le cose.
Tempo in cui potrei smantellare il Congresso … non dà altro che problemi, in effetti. Se comandassimo solamente io ed il mio consiglio le cose andrebbero molto meglio.
«Dovresti riposarti» suggerii a Katie, che aveva appena finito la sua porzione tremendamente salata di carne. «Così hanno detto i tuoi zii, piccola. Dormi un po’».
Lentamente lei annuì ed ammise di sentirsi un po’ stanca, così mi alzai ed andai a togliere la sella al suo cavallo: era più morbida della mia, più confortevole per una donna nel suo stato, ma abbastanza rigida da fornire supporto. Sarebbe andata bene come cuscino per un’oretta.
 
 
 
 
«Derek?»
Spalancai gli occhi non appena sentii quella voce, il cuore congelato dall’incredulità e dalla paura.
Katie!
Il mio primo istinto, nel vedere quel volto, fu di portare la mano all’elsa della spada … eppure i miei movimenti furono incredibilmente lenti, e non appena le mie dita raggiunsero il fianco non trovarono altro che la stoffa dei miei pantaloni.
Dovevano avermi drogato … maledizione, sibilai. Nonostante sapessi che era un tentativo inutile cercai la mente di Maegor, senza trovarla.
Come ho fatto a farmi sorprendere così?! Soprattutto con Kate, maledizione!
Katherine era a poche iarde di distanza da me, imbavagliata e trattenuta da un bruto che sembrava divertirsi nell’utilizzare troppa forza per tenerla ferma. Non si agitava, ma dai segni bluastri che aveva sulle braccia era chiaro che doveva aver cercato di liberarsi, pagandone il prezzo: quando mi vide sveglio, cercò di svincolarsi dalla stretta del suo carceriere per raggiungermi. Scossi rapidamente la testa nella sua direzione per dissuaderla: non sarebbe mai riuscita a far perdere al bruto la presa sulle sue braccia e quello le avrebbe fatto ancor più male. I suoi occhi si riempirono di tristezza e confusione, ma annuì e smise di muoversi. Aveva le pupille dilatate, notai, e non a causa della paura. Dovevano aver drogato anche lei, per impedirle di usare qualunque tipo di magia.
«Andrà tutto bene» la rassicurai, anche se quelle parole non riuscirono a calmare me. «Non preoccuparti, draghetto».  
Galbatorix emise una risatina divertita, piena di sarcasmo. «Ma certo che andrà tutto bene, mia cara. Dopotutto abbiamo un patto da onorare, vero?»
Quel poco colore che le era rimasto in volto svanì: sembrava sul punto di vomitare.
«Lasciala stare» intervenni. «Falla tornare a casa in sicurezza. Mi assumerò io gli oneri dell’accordo, quali che siano, ma liberala. E fallo in fretta, se ci tieni alla vita, perché ci staranno già cercando. Lei ha un drago, così come me, Morzan e Murtagh. Se la lasci andare giuro di non opporre alcuna resistenza».
«Il tuo drago è poco più che un cucciolo, Antares e Saphira stanno covando le uova … quanto a Murtagh e Morzan, uno è un ragazzino e l’altro ancora ha difficoltà ad usare la mano della spada, da quando l’adorabile ed irascibile principessa Katherine lo ha sconfitto nella Du Weldenvarden. Anche se in realtà sono stato io a manovrarla» il re rispose, con tono annoiato. In mano aveva un pugnale dal manico d’osso e dalla lama di cristallo: Katie, notai, non riusciva a staccargli gli occhi di dosso, fissandolo con un certo timore reverenziale. «Quanto alla tua offerta … mi tenti molto, mio vecchio compagno, moltissimo. Eppure, penso che rinuncerò. Vedi, tu non hai ucciso me, ma il mio drago, la ragione della mia vita, quindi non vedo perché dovrei farti un favore e privarti del dolore che ho vissuto io. Non ho figli, quindi non posso sapere come sia averne, ma penso che il sangue del proprio sangue conti più del proprio drago, della propria metà. E poi non sei il centro del mondo: anche Morzan ha ucciso Jarnunvosk, e la sua progenie mi ha tradito. Non sei l’unico su cui voglio rivalermi, tranquillo … e per fortuna, ho qui tra le mie mani la soluzione ad ogni mio problema. Tu verrai privato di tua figlia, la tua naturale erede al trono, Murtagh della propria moglie e Morzan … come la considera Morzan? Una nipote? Ad ogni modo, la ragazza porta suo nipote in grembo, creaturina che, tra l’altro, sarà molto utile ai miei scopi».
Vuole il bambino, non solo Katherine. Il BAMBINO!
«NO!» Kate iniziò ad agitarsi nuovamente, protestando ad alta voce, anche se dal bavaglio provenivano solamente suoni strozzati.  «Non il piccolo, ti prego! Non il bambino, non mio figlio!»
«Questa creatura è il frutto della progenie di due Cavalieri che a loro volta discendono da stirpi di Shur’Tugal» Galbatorix disse in tono affascinato, come se stesse parlando di un antico e preziosissimo artefatto. «È una meraviglia unica, in cui la magia è parte integrante dell’essere. I tuoi altri figli sono già troppo grandi, hanno già perso la magia primigenia di quando erano più piccoli e di certo imbottirli di inibitori non ha aiutato, ma questo bambino è un’occasione troppo grande per sprecarla. Non penso nemmeno di poter prevedere fin dove potrò spingermi sfruttando un simile potere …»
MORZAN!, lo chiamai in un ultimo, disperato tentativo. Negli ultimi minuti infatti avevo sentito l’effetto delle droghe iniziare ad andarsene: non potevo ancora usare la magia, ma almeno potevo chiamare aiuto.
Grazie agli dei, mi sentì. Galbatorix è nella foresta, ha preso me e Kate. Non posso combattere, mi ha drogato, vuole il bambino.
Arrivo, fu la risposta, rapida ed efficace: pochi momenti dopo, sentii l’enorme thud provocato dal battito d’ali di Dracarys, la sua dragonessa, che si era librata in volo.
«Non lo avrai mai» Katherine sibilò riuscendo a liberarsi del bavaglio. «Mai».
«Me lo devi» replicò con semplicità Galbatorix. «Un patto per la vita di Belle, ricordi?»
«Ho fatto un patto per una cosa che mi era DOVUTA!» urlò. Poi sorrise malevola. «Che triste personcina sei … un Cavaliere reietto ed in rovina, un falso re senza mezzi per combattere, che per farsi valere si fa grande sulle spalle di una bambina di tre anni e di uno non ancora nato. Jarnunvosk sarà stata contenta come una pazza di morire, pur di non doverti sopportare un giorno di …»
Il violento rumore di uno schiaffo interruppe la frase: l’attimo dopo, sul volto candido di Kate spiccava un orribile segno rosso.
Smettila, le dissi. Questo atteggiamento è controproducente. Morzan sta arrivando e questo spiacevole inconveniente sarà presto dimenticato. Cattureremo Galbatorix e pagherà per averti toccata.
Ma la situazione precipitò.
Lui la afferrò per un braccio, torcendoglielo fino al punto di farla gridare di dolore. «Pagherai cara la tua insolenza, principessa» ringhiò. «Una settimana nelle celle ti impartirà la disciplina che i tuoi genitori hanno mancato di darti».
Muoviti!
Ci sono quasi.
La sensazione di intorpidimento svanì del tutto: quando riuscii a spostare un rametto con un incantesimo non verbale, l’unico che non mi avrebbe fatto beccare, seppi di poter combattere da solo.
Allargando la mente agganciai una ad una le coscienze dei soldati e dei carcerieri miei e di Kate, spegnendo le loro vite come avrei spento una candela di cera e, prima che Galbatorix potesse rendersene conto, liberai Katherine dal giuramento nei suoi confronti usando il Nome dei Nomi. Sulla formula Morzan ed io avevamo lavorato per lunghe notti insonni e non era ancora pronta alla perfezione, per cui dovetti fare affidamento a tutta la mia esperienza e conoscenza per riadattarla alle nuove esigenze e, con un’unica sequenza di parole, liberare Katherine e proteggere il nascituro. Da come il re mi sibilò contro, come un cobra a cui avessi pestato la coda, dedussi di aver centrato l’obiettivo.
Adesso riprendiamoci Katie.
Galbatorix non aveva minimamente perso la presa sul suo braccio, anzi; l’aveva talmente rinforzata che, dopo qualche momento, il suono disgustoso delle ossa spezzate fu seguito dall’urlo di dolore di Kate.
«Lasciala» gli intimai di nuovo componendo al tempo stesso un incantesimo nella mia mente per liberarla.
«Oh, te la lascerò» rise sguaiato. «Quando le avrò strappato il piccolo bastardo dal ventre avrò cura di rispedirti quel che ne resterà. Sbaglio o lo sai già com’è una donna incinta morta?»
Il riferimento a Mavis fu un colpo basso: in un attimo venni trasportato in un altro tempo, in un altro luogo, dove la mia prima moglie, incinta della prima Katherine, era morta, trafitta da Morzan al ventre.
Non di nuovo. Non lei. NON MIA FIGLIA!
Il dolore e la rabbia mi accecarono, facendomi perdere completamente la testa: l’istinto animalesco che alberga in ogni uomo e che viene inevitabilmente risvegliato quando vede minacciata la propria progenie fece nascere nella mia mente un incantesimo di morte, semplice, efficace, impossibile da sbagliare.
E nel momento in cui pronunciai la parola …
Scomparvero.
Nell’aria e nella mia mente aleggiava solo l’ultimo urlo di Katherine, un disperato “proteggili!”.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
MORZAN
 
Mi resi conto di essere arrivato troppo tardi quando, nella radura, trovai solamente Derek in completo stato confusionale.
I segni della magia, in quel luogo, erano chiari: il fetore della magia nera, quasi sicuramente operata da Galbatorix, era insopportabile, e accasciati per terra c’erano almeno una ventina di cadaveri che indossavano armature imperiali. L’erba era calpestata e schiacciata in più punti, dove Katie e Derek erano stati trattenuti. Di lei, non c’era alcuna traccia.
I bambini … mormorò piano Dracarys, colma di tristezza. I piccoli draghetti-bipedi non meritavano un dolore simile.
Nessuno lo meritava.
Sentii Murtagh cercare di raggiungermi con la mente, ma lo tagliai immediatamente fuori. Sapevo che era preoccupato (dopotutto mi aveva visto volare fuori dal castello in fretta e furia ed in direzione della foresta), ma non doveva scoprirlo così.
Sta con i bambini, gli dissi senza rispondere alla sua domanda inespressa. È fondamentale che tu stia con loro.
Anche se non lo sapevano avevano appena perso la madre, e chissà per quanto tempo: era il caso che si godessero l’unico genitore che gli era rimasto.
«KATHERINE!» Derek urlò chiamandola, cercandola in ogni angolo della radura. Di lei non c’era traccia, però, se non la sella del suo cavallo malamente scaraventata in un angolo ed uno straccio annodato che doveva essere stato utilizzato per imbavagliarla: i resti di un incantesimo di trasporto, simile a quello che doveva aver fatto Arya sull’uovo di Saphira, erano evidenti. Galbatorix doveva aver sfruttato la magia, la sua o quella di Kate, per portarla via, quasi sicuramente ad Uru’Baen.
«Derek, non c’è» gli dissi, anche se farlo mi costò moltissimo. Nel pronunciare quelle parole, la cruda verità divenne ancora più reale, obbligandomi a farci i conti: Katie, a cui volevo bene quasi come ad una figlia, essendo il suo padrino, era stata rapita da Galbatorix. Era una realtà tremendamente dolorosa, ma faceva ancor più male il saperla completamente sola ed incinta nelle grinfie di quel mostro. Almeno, quando si trovava al Tridente con Belle ed in attesa di Killian, era protetta ed era lì per sua scelta: non poteva correre alcun pericolo, segregata in casa sua. Ma Galbatorix aveva detto senza mezzi termini di voler sfruttare il piccolo …
Ce la riprenderemo. Non c’è da preoccuparsi, mi dissi. Qualcuno doveva pur mantenere la ragione e gestire la cosa: Murtagh sarebbe stato estremamente occupato con i bimbi, ora, e Derek non mi sembrava in sé, com’era logico che fosse. Lasciarsi andare al dolore non era un’alternativa contemplabile. È una ragazza sveglia, non farà sciocchezze.
Derek rimase ammutolito nel sentire l’orrenda verità. «Non possono essere andati lontani» fece poi, dopo qualche momento. Sembrava perfettamente lucido, ma era chiaro che non lo era: in balia del dolore e della furia non si può aver la mente libera. «Ha fatto un incantesimo di trasporto … erano in due persone. Non possono aver fatto molta strada».
«Se ha sfruttato la magia di Katherine, con le conoscenze a sua disposizione può essere andato anche a Tronjheim» sospirai sforzandomi di mantenermi il più calmo possibile. «Ce la riprenderemo, d’accordo? Ma non è qui, Derek. Non è nascosta in un cespuglio. Dobbiamo andare a casa e spiegare quel che è successo».
Lui deglutì, annuendo e recuperando la propria spada da terra. Non piangeva, ma la sua espressione indicava che quella che provava era una sofferenza che andava oltre le lacrime. «E come faccio a dare un dolore simile a sua madre?» mormorò a bassa voce, come se stesse parlando a sé stesso. «Katherine … lei è stata l’unica delle gemelle a sopravvivere. Ne morirà».
«Non morirà nessuno. Adesso però dobbiamo andare».
 
 
La situazione al Tridente era stranamente silenziosa per quando arrivammo: non c’era nemmeno il tipico rumore del viavai di domestici e servitori che si occupavano di cucinare, pulire, rammendare. Su tutto il castello sembrava essere calata una pesante cappa funebre, sensazione accentuata dalle nubi temporalesche che lo sovrastavano: alcune arrivavano dal mare, ma altre, più oscure e di natura magica, giungevano dalla montagna. Non ci voleva molto a capire che erano opera di Murtagh.
Doveva aver capito, anche se non gli era stato detto niente né da me né da Derek: dopotutto Antares, la dragonessa di Katherine, doveva aver percepito quel che era successo alla sua compagna. Potevo sentirne i lamenti strazianti persino a quella distanza.
La sensazione d’immobilità permaneva anche all’interno del palazzo: non si vedeva anima viva e tutte le porte erano chiuse, sbarrate. L’unica nota di vita era data dal rumore e dal chiacchierare dei bambini di Murtagh, quelli di Alec e quelli di John che giocavano nella nursery, ignari di tutto.
Derek, di fianco a me, sospirò e si allontanò, diretto alle proprie stanze, dove Miranda lo aspettava. Già pochi momenti dopo sentii che lei iniziava a singhiozzare.
Selena fece capolino dalla porta dei nostri quartieri due secondi dopo: come immaginavo, fu costernata nel non vedere Kate nei paraggi.
Galbatorix l’ha rapita, la informai rapidamente, evitando di urlare la notizia ai quattro venti per far sì che i nostri nipoti, che avevano le orecchie lunghe nei momenti sbagliati, sentissero qualcosa. Come … punizione per Murtagh, Derek e me. Vuole sfruttare la magia del bambino non appena sarà venuto al mondo.
Lei rabbrividì d’orrore, portandosi istintivamente una mano al pancione.
Bisogna tirarla fuori da lì. Il piccolo … povera creatura, bisogna salvarli ad ogni costo.
È esattamente quel che faremo.
Selena sospirò: aveva gli occhi lucidi di lacrime. I bimbi … per gli dei, i bimbi. E Murtagh? Farà qualche sciocchezza non appena lo verrà a sapere, vorrà salvarla …
Murtagh non andrà da nessuna parte, le promisi. Ora che ha la totale responsabilità dei bambini non può lasciarli.
Come glielo diciamo?, chiese dopo qualche secondo. Come si fa a dire ad una persona che ha appena perso la moglie incinta?
Glielo si dice e basta.
Restai con lei ancora un po’, il tempo di trovare la forza ed il coraggio di fare quel che andava fatto, e poi uscii, diretto poche porte più in là. L’ingresso agli appartamenti padronali era sorvegliato da due armigeri, ma venni lasciato passare senza troppi problemi: a detta loro, Murtagh aveva espressamente ordinato (e nemmeno tanto gentilmente) di essere lasciato da solo, ma lui era pur sempre mio figlio. Non poteva dare ordini a suo padre.
Mi bastò entrare nello studio per capire che lui si trovava lì vicino: la finestra che dava sull’ampio balcone circolare era spalancata ed il vento della tempesta aveva inevitabilmente portato la sua opera distruttiva all’interno, scaraventando da una parte all’altra tutte le pergamene ed i documenti.
Murtagh era sul balcone, immobile, occupato ad accarezzare pigramente Mellie sulla testolina: la sua mano destra era completamente avvolta da un bagliore rossastro, sintomo della magia. Se mi serviva una controprova del fatto che la tempesta che in questo momento si dirigeva verso sud l’avesse creata lui, eccola lì.
«Murtagh?»
Non si scompose minimamente quando lo chiamai.
«Lo so già» disse. Sembrava perfettamente calmo, ma un osservatore attento o una persona che lo conosceva bene avrebbe subito percepito la furia nella sua voce. L’attimo dopo un fulmine colpì un albero, mandandolo a fuoco: per fortuna la pioggia spense subito le fiamme, impedendo che la foresta prendesse fuoco.
In un momento diverso gli avrei detto di interrompere subito quell’incantesimo, ma sapevo che non avrebbe avuto alcun effetto. Non poteva fermarlo, perché era una perdita di magia: e poi, avevo la sensazione che non lo volesse fare.
«Non penso sia saggio fare certe dimostrazioni con Galbatorix ancora in giro» dissi dunque.
«Che veda» sibilò. «Che sappia che ora mi sono stancato di farmi torturare. Che sappia che sto arrivando».
   
 
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