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Autore: chemist    10/08/2020    1 recensioni
Tyrion Lannister è membro di una delle più potenti famiglie di Westeros, ma deve guardarsi le spalle persino da suo padre e da sua sorella.
Sansa Stark è una figlia del Nord finita nella fossa dei leoni proprio mentre la sua casata viene abbattuta.
La figlia disgraziata e la scimmia demoniaca, uniti per caso contro un mondo che li disprezza e li vuole morti.
Ma con un’anima complementare al proprio fianco.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sansa Stark, Tyrion Lannister
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 14: In pochi istanti


 
E alla fine arrivò il giorno più atteso da tutti: il matrimonio del sovrano dei Sette Regni con quella che, di lì a poche ore, sarebbe diventata a tutti gli effetti la sua regina.
Le celebrazioni iniziarono dal primo mattino, quando Joffrey e Margaery approfittarono della colazione in compagnia degli invitati per ricevere i loro regali di nozze. Per primi arrivarono quelli dei nobili di rango minore, ma i più magnifici erano senz’altro quelli dei familiari dei due futuri coniugi.
“Questa coppa d’oro è il mio dono per voi” affermò giocondo lord Mace Tyrell, il padre di Margaery, stringendo fra le mani l’enorme contenitore. “Vi sono incisi gli emblemi delle più grandi casate dei Sette Regni, che oggi festeggiano l’unione di re Joffrey con la lady mia figlia: un immenso onore per me e per l’intera casa Tyrell. Spero che possa divenire il simbolo d’un regno prospero e felice”.
“Ti ringrazio, lord Mace: è un regalo stupendo” rispose Joffrey con un sorriso di circostanza.
Dopo che il lord dell’Altopiano si fu congedato con un inchino, avanzò Tywin Lannister che prese un lungo oggetto avvolto in un panno dalle mani di un servo.
“Un grande re deve brandire una grande spada” disse solennemente, scostando il panno e svelandone il contenuto: un’eccezionale spada in acciaio di Valyria.
Joffrey si alzò di colpo, spalancando la bocca per la sorpresa; facendo il giro del tavolo, si diresse poi verso suo nonno, traboccante d’entusiasmo.
“Che lama incredibile!”, esclamò sguainandola dal fodero. Il metallo scintillò alla luce del sole.
“Vostra grazia, vi prego di fare molta attenzione: è molto affilata” lo ammonì il vecchio Pycelle, seduto poco distante.
“Una spada così bella merita un nome all’altezza!” continuò il giovane re, ignorando l’avviso del gran maestro. “Come dovrei chiamarla?” chiese quindi indistintamente ai suoi sudditi.
Molti dei presenti suggerirono dei titoli, alcuni banali, altri effettivamente notevoli. Uno in particolare catturò l’attenzione di Joffrey.
“Lamento di Vedova! Mi piace!”. Un lampo crudele attraversò il suo sguardo mentre si avvicinava a Sansa gonfio d’orgoglio. “Ogni volta che la userò, sarà come tagliare di nuovo la testa a Ned Stark!”.
Tutti gli occhi furono sulla ragazza, ma solo Tyrion si accorse del piccolo sussulto che scosse il suo petto quando sentì nominare il suo defunto padre. Escluso quello, però, non disse una parola e non versò una lacrima.
Pareva un guscio svuotato.
 
Successivamente, si fece avanti proprio Tyrion mentre Podrick posò sul tavolo, davanti a Joffrey, un grosso libro dalla copertina marrone.
“Questo, vostra grazia, è ‘Vite dei quattro re’, in cui si raccontano gli anni di regno di alcuni fra i più importanti sovrani di Westeros” spiegò il Folletto. “Un libro che, a parer mio, ogni grande re dovrebbe leggere”.
Il ragazzo fece una smorfia e tutti presagivano il peggio, ma stranamente subito dopo il suo viso si addolcì.
“Ora che la guerra è finita e si avvicinano giorni di pace, dovremmo tutti diventare delle persone più sagge” commentò. “Sono certo che ci sia molto da imparare da questo libro, dunque ti ringrazio per il dono, zio”.
Tyrion cercò di capire dove si nascondesse l’ironia, e rimase dunque basito nell’apprendere che i ringraziamenti del nipote erano sinceri.
Non sapendo come interpretare quel bizzarro cambio d’atteggiamento, si limitò ad annuire e a tornare al suo posto.
 
“Molto bene!” esclamò Joffrey al termine della colazione. “Prima di spostarci tutti nel Grande Tempio di Baelor, dove finalmente lady Margaery diventerà mia moglie, vorrei dare un’altra occhiata alla mia nuova spada. Dov’è Lamento di Vedova?”.
Immediatamente un servo si avvicinò e passò l’arma al re, che la sfoderò maneggiandola in maniera grossolana ma esaltata.
Inizialmente sembrava che volesse solo farla vorticare in aria, ma all’improvviso assestò un paio di fendenti sul tavolo che distrussero completamente il libro che gli era appena stato donato.
Dalla folla di invitati si sollevarono quasi all’unisono dei sospiri spaventati, subitanea conseguenza dell’ennesimo accesso d’ira del ragazzo, mentre Tyrion restò a bocca aperta.
“Che peccato, zio!” disse Joffrey, rivolgendosi proprio a lui con il solito insopportabile ghigno. “Il tuo regalo è rovinato! Temo che dovrai trovarmene un altro”.
Il nano serrò i pugni talmente forte da credere che le sue mani si sarebbero frantumate. Se in gioco non ci fosse stata la sua vita, sarebbe andato volentieri a schiaffeggiarlo fino a spaccargli la faccia, umiliandolo davanti alla sua ridicola corte al completo.
Poggiò le braccia sul tavolo per darsi la spinta necessaria a scendere dalla sedia: potevano impedirgli di aggredirlo fisicamente, ma non di strigliarlo a dovere.
Fu però trattenuto da una mano, delicata e decisa allo stesso tempo, che era quella che più di tutte avrebbe meritato il diritto di picchiare Joffrey e proprio per questo l’ultima che Tyrion si sarebbe aspettato di dover eludere: quella di Sansa.
Guardò sua moglie, che ondeggiò leggermente il capo da destra a sinistra pregandolo di non fare avventatezze. Non aveva la faccia di chi voleva proteggere il re, ma quella di chi voleva evitare altre catastrofi.
“Non pensarci. Ignoralo e basta. Tanto con lui ogni causa è persa”.
Era ancora accecato dalla rabbia, ma riuscì comunque a constatare che aveva ragione lei: anche nel giorno del suo matrimonio, Joffrey desiderava solo un pretesto per infliggergli la più dura delle punizioni, e sarebbe stato immensamente stupido darglielo di persona.
Pur non rispondendo a Sansa, la assecondò: rilassò la schiena sulla sedia e desistette dai suoi intenti.
Sarebbe stata una giornata lunga, e chissà quali e quante altre cose sarebbero successe.

 

 
Il banchetto nuziale fu qualcosa di mai visto prima. La quantità di cibo sarebbe probabilmente stata sufficiente a sfamare tutta Westeros e forse persino il continente al di là del mare; invece era tutto destinato ad una cerchia, sebbene piuttosto consistente, di nobili che indossavano abiti pomposi e scintillanti e si mascheravano di buone maniere talvolta eccessive e nauseabonde.
Gli innumerevoli servi continuavano a porgere pietanze tradizionali o esotiche davanti a Sansa, ma lei non faceva altro che piluccare un paio di morsi per poi lasciare il piatto pressoché intatto e concentrarsi nuovamente su suo marito, che sedeva alla sua destra.
Anche Tyrion, d’altro canto, mangiò molto meno di quanto avrebbe potuto e preferì sorseggiare inesorabilmente il suo amato vino, sperando che lo aiutasse a tenere i nervi saldi. In più, osservava seccato l’interminabile sfilza di giocolieri, buffoni, musicisti e saltimbanchi che si esibivano senza tregua, impazienti di riscuotere il loro futile e fugace momento di gloria; al contrario il piccolo Tommen accanto a lui si stava divertendo come un bambino che esplora il mondo per la prima volta.
“Qualcosa non va, Tyrion?” domandò Sansa, chinandosi in sua direzione. Stentava a credere che il Folletto, che tante ingiustizie aveva dovuto subire in quegli ultimi mesi, se la fosse presa tanto per un libro fatto a pezzi.
“No, è tutto a posto” la tranquillizzò infatti lui. “Spero solo che la festa finisca con leggero anticipo: la testa inizia già a dolermi e preferirei ritirarmi nelle nostre stanze per riposare un po'”.
In quell’attimo, come se lo avesse sentito e volesse fargli un dispetto, Joffrey annunciò: “ed ora, che inizi lo spettacolo principale!”.
Le falde del tendone allestito innanzi ai tavoli si aprirono e ne fuoriuscirono una decina di attori, tutti nani. Indossavano costumi e armature recanti gli stemmi delle più rinomate famiglie dei Sette Regni.
I minuti seguenti furono imbarazzanti oltre ogni misura, un vero e proprio scempio: i nani misero in scena una parodia della Guerra dei Cinque Re, che dipingeva qualsiasi rivale dell’attuale monarca come un individuo volgare e grottesco e che faceva goliardia su episodi controversi come le brutali uccisioni di Robb Stark e di Renly Baratheon (sulle quali, tuttavia, neanche i Tyrell si permisero di dissentire). Provò un misto di compassione e ribrezzo per quegli attori, vittime come lui di un destino turpe e beffardo, eppure quasi lieti dell’essersi ridicolizzati per il diletto di uomini e donne ben più disgustosi di loro.
Si voltò poi verso Sansa, e vide che anche lei condivideva la sua amarezza: “ripensandoci, gradirei anch’io tornare alla Fortezza, in un luogo meno caotico”.
“Prometto che non ti tratterrò qui un secondo in più del necessario”, borbottò in risposta.
Fu allora che Olenna Tyrell venne a sedersi di fianco a Sansa.
“Bambina mia, purtroppo non ho avuto la possibilità di fartelo sapere prima, ma sono sinceramente addolorata per le tue perdite” esordì l’anziana lady, percorrendo con le dita rugose la collana d’oro regalatale da Tyrion. “Senza intristire oltre il tuo dolce animo, voglio dirti che il futuro ha in serbo per te giorni più felici o almeno più giusti, ne sono certa”.
“Vi ringrazio, lady Olenna” rispose educatamente Sansa, mentre la Regina di Spine si rialzava rivolgendole un ghigno enigmatico; Tyrion invece le fece cenno con la mano di seguirlo, intenzionato com’era a congedarsi da quell’insulsa situazione.
Sfortunatamente, fu intercettato da Joffrey: “zio! Dove vai?”.
“Vostra grazia, è stata una cerimonia meravigliosa ma io e lady Sansa siamo piuttosto stanchi e speravamo di ritirarci…”.
“Suvvia, non fare così! Anzi, visto che sei in piedi, pensavo che volessi confrontarti personalmente con il qui presente campione!” disse il giovane, indicando il nano che lo aveva interpretato poc’anzi.
“Oh no, vostra grazia: un paio di battaglie mi sono bastate, preferirei conservare ciò che resta del mio già troppo rovinato volto. Potresti invece scendere in campo tu stesso: un re dovrebbe essere sempre in prima linea nella difesa del proprio reame, e credo, in qualità di testimone, che il tuo campione abbia trasposto in maniera esagerata il tuo coraggio bellico. Stai in guardia, dunque: potrebbe rivelarsi un avversario sorprendentemente insidioso”.
I commensali continuavano a vociare; addirittura Varys gli donò un sorrisetto d’approvazione. Soltanto quando Joffrey gli andò incontro a lenti ma inesorabili passi la folla si ammutolì.
Le sue labbra erano serrate, ma Tyrion avvertì chiaramente i suoi denti che sbattevano gli uni sugli altri per l’irritazione. Sollevò macchinosamente il suo bicchiere, versandone tutto il contenuto in testa allo zio.
Sansa lo fulminò con lo sguardo e, per quanto volesse bene a Margaery, una parte di lei sperò davvero che Tyrion trovasse una maniera per guastargli la festa. Quest’ultimo, invece, scelse ancora la via della diplomazia: “un vino delizioso, maestà; che peccato averlo sprecato su di me”, affermò, mentre con la punta della lingua assaggiava un rivoletto rossastro che gli scorreva giù dalla fronte.
“Se la pensi così, mi farai da coppiere per il resto del pranzo” ribatté Joffrey, come quei bambini che inventano idiozie pur di averla vinta in una discussione.
La furia sopita del Folletto non fece che aumentare quando l’odioso nipote aggiunse la beffa al danno impedendogli in ogni modo di afferrare quel dannato bicchiere: prima lo lasciò cadere a terra e poi, quando esso si chinò per recuperarlo, con un calcio lo spedì sotto al tavolo.
Tyrion stava impazzendo, gli sembrava di avvertire chiaramente ogni muscolo di Joffrey, Cersei e Tywin tendersi per far apparire le loro facce il più controllate possibile, ma non poté fare altro che girarsi ed abbassarsi per guardare sotto al tavolo.
Con sommo stupore, vide che Sansa s’era alzata dal proprio posto: la sua inamovibile moglie, talmente composta da sembrare talvolta una statua, si era mossa per lui, per prendere quel bicchiere e porgerglielo con educazione. I suoi occhi si incatenarono a quelli di lei; non disse nulla, ma era un silenzio che esprimeva un’infinità di cose.
Mi dispiace. Non ti merito. Nessuno qui ti merita.
 
Riempì nuovamente il bicchiere con del vino e lo passò a Joffrey con fare spazientito: voleva solo andarsene e gettarsi sul suo maledetto letto, sperando che gli servisse a sfumare tutta la bile che aveva dovuto mandar giù…ma evidentemente il ragazzo aveva altri piani.
“E adesso, inginocchiati” ordinò il re, fregandosene del gesto servile appena compiuto nei suoi confronti.
Tyrion non aveva alcuna intenzione di ubbidire; studiò invece le espressioni degli altri presenti, da Tywin che scuoteva il capo a Cersei che cercava, senza successo, di reprimere uno sberleffo, da Olenna Tyrell che fissava indecifrabilmente il bicchiere alle povere Sansa e Margaery che palpitavano nel timore di uno scontro dal quale non si sarebbe più potuto tornare indietro.
Quando capì che non avrebbe ricevuto solidarietà da nessuno, sussurrò un mesto ma ringhiante “no”.
“Ti ho detto…di inginocchiarti davanti al tuo re!”.
Nessuno dei due arretrò di un millimetro, ma per fortuna la sposa spezzò la tensione un attimo prima della catastrofe: “guarda, amore mio, la torta! È arrivata la torta!”.
Nell’indifferenza generale, infatti, dei servi stavano reggendo l’ultima portata: una gigantesca torta a tre piani, alla vista della quale tutti gli invitati si abbandonarono ad un giocondo applauso.
Una forchettata, qualche sorso di vino ed ogni cosa pareva sistemata.
Nessuno poteva immaginare la follia che stava per verificarsi.
 
Un primo colpo di tosse, lieve, a cui nessuno diede peso; poi un secondo, accolto come una reazione a catena; poi un terzo, che molti attribuirono alla secchezza della torta. Dal quarto in poi, divenne chiaro che ci fosse qualcosa di strano, ma era troppo tardi: nel giro di pochissimi istanti, la faccia di Joffrey passò da rosa a rossa a viola, mentre egli affondava le unghie nel suo stesso collo per poi starnazzare al suolo.
Il caos si impossessò di quel luogo e di chiunque stesse assistendo a quella sciagura. I primi a correre da lui furono, ovviamente, Jaime e Cersei, e quel che toccò loro era una visione raccapricciante: il suo viso stava contorcendosi per il dolore, due fiotti di sangue schizzarono dalle sue narici e la sua bocca iniziò a produrre una disgustosa schiuma giallastra.
E quella fu la fine di re Joffrey Baratheon.
 
Tyrion, sconvolto come chiunque altro, afferrò il bicchiere per osservarne il fondo, e ciò fu sufficiente a Cersei, piangente e affranta, per far scoppiare la bolla surreale in cui era finita.
“Ha ucciso mio figlio, il suo re…lo ha avvelenato! Assassino!” urlò in direzione di suo fratello minore, ancora inebetito.
“È stato lui! Quel viscido piccolo mostro! Guardie, prendetelo!”.
Prima che potesse solo pensare di difendersi, il Folletto venne afferrato e strattonato da due omoni, ma Cersei non trovò pace.
“Aspettate…dov’è Sansa?”.
Tutti gli occhi puntarono verso il posto dove fino a poco prima sedeva la giovane Stark.
Però, a quanto pare, Sansa era scomparsa.

 

 
Era avvenuto tutto così in fretta...
Sansa aveva visto Joffrey farsi assalire da uno strangolamento invisibile sempre più vigoroso, fino a quando non cadde a terra.
In quel momento, una grossa mano le strinse un braccio; lei si voltò e scoprì che era quella di ser Dontos Hollard, l’ex cavaliere diventato buffone di corte.
“Presto, mia lady, dobbiamo scappare!”.
“Come?!”, boccheggiò la ragazza, incredula e disorientata.
“Ci sarà tempo per le spiegazioni, ma ora devi seguirmi se ci tieni alla vita!”.
Sansa non era convinta, ma non poté far altro che assecondarlo.
 
Iniziò così un forsennato percorso a ostacoli fra le strade di Approdo del Re, già invasa dal suono delle campane che annunciavano la morte del sovrano.
Non posso crederci. È tutto vero. Joffrey è…
“Fermi dove siete!”.
Erano sulla banchina portuale, di fronte ad un mare scuro e agitato, quando vennero circondati da tre membri della Guardia Cittadina.
“Re Joffrey è appena stato assassinato, nessuno può lasciare la città” esclamò uno di loro.
“Idiota, questa qui è Sansa Stark!”, lo rimbeccò un altro, “è probabile che abbiano a che fare con la faccenda!”.
In quel marasma, Dontos diede sfogo alla sua ultima spinta di impavida incoscienza: con una finta provò a sfuggire agli avversari, ma ottenne soltanto una rapida e fredda pugnalata nel petto da parte dell’unica cappa dorata non impegnata nel diverbio, che mise la parola fine anche alla sua semplice e paradossale esistenza.
 
Sansa, rabbrividendo, stava per gridare all’infame fato la propria disperazione, ma la stessa mano che aveva appena vibrato il colpo di pugnale le tappò la bocca e la trascinò indietro, verso lo scenario del misfatto.

Salve a tutti!
Lo so, lo so: anche stavolta aggiorno con tremendo ritardo, ma se siete arrivati fin quaggiù…intanto complimenti, perché il capitolo è lunghissimo, e inoltre credo che avrete compreso quanto sia stata dura scriverlo!
Le Nozze Viola sono un’apoteosi di piccoli particolari che conducono poco alla volta ad un disastro immane, e non potevo proprio esimermi dal narrarli nella maniera più congeniale possibile.
Ho preferito descrivere la scena del banchetto senza rivederla né nel libro, né nella serie, basandola unicamente sui miei ricordi; di conseguenza l’ordine cronologico degli eventi potrebbe essere differente da come lo conoscete, ma tant’è.
Joffrey è morto (finalmente! 😂), ma il finale ci lascia con tanta suspance: cosa accadrà ora che anche Sansa è stata catturata?
Lo scopriremo presto…almeno spero!
P.S.: l’immagine incollata è una reinterpretazione delle Nozze Viola realizzata da Conor Campbell.
Alla prossima! 😁
   
 
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