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Autore: Ella Rogers    11/08/2020    0 recensioni
"Chi non muore si rivede, eh Rogers?"
Brock Rumlow era lì, con le braccia incrociate dietro la schiena e il portamento fiero. Il volto era sfregiato e deturpato, ma non abbastanza da renderlo irriconoscibile, perché lo sguardo affilato e il ghigno strafottente erano gli stessi, così come non erano affatto cambiati i lineamenti duri e spigolosi.
"Ti credevo sepolto sotto le macerie del Triskelion."
La risata tagliente di Rumlow riempì l'aria per alcuni interminabili secondi, poi si arrestò di colpo. L'uomo assunse un'espressione truce, che le cicatrici trasformarono in una maschera di folle sadismo.
E Steve si rese conto che, per la prima volta da quando l'aveva conosciuto, Brock Rumlow si mostrava a lui per quello che realmente era, privo di qualsiasi velo di finzione.
"Credevi male, Rogers. Credevi male."
Genere: Angst, Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: Movieverse | Avvertimenti: Violenza
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- Questa storia fa parte della serie 'The Road of the Hero'
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Give and Take
 
 
 
Era stata una lunga, lunghissima notte. Durante le prime ore aveva camminato per la stanza senza sosta, avanti e indietro, sforzandosi di mettere ordine nei pensieri e nelle emozioni in totale subbuglio. Poi si era seduto sul bordo del letto, aveva tenuto la testa fra le mani e si era concentrato sul martellio cadenzato proveniente dalle tempie. Infine, si era semplicemente lasciato cadere all’indietro, sul materasso, e aveva fissato il soffitto. Per tutto il tempo, il silenzio aveva fatto in modo che l’eco delle parole di Bucky risuonasse con dolorosa nitidezza nella sua testa, senza concedergli un istante di tregua. Ogni volta che aveva chiuso gli occhi, aveva rivisto la rabbia nello sguardo tagliente che il suo migliore amico – suo fratello – gli aveva rivolto. Una strana sensazione di nausea aveva continuato ad accompagnarlo, anche dopo che la luce del mattino aveva bussato con poca gentilezza alla finestra.
Per lui non era una novità passare notti in bianco – ci aveva fatto il callo ormai –, quindi non ne avrebbe risentito poi molto, solo che stavolta la motivazione dell’insonnia era decisamente devastante e non riusciva a gestirla, nonostante si fosse sforzato, per ore e ore, di recuperare la calma.
Si tirò su e scese dal letto, assolutamente insicuro su cosa sarebbe stato giusto fare. Sospirò profondamente e mise le mani sui fianchi. Quando le dita della mano destra andarono a stringersi sul corrispondente fianco, gli sfuggì un gemito sommesso e si ritrovò a contemplare la macchia rossa sul tessuto bianco. Sollevò il bordo della maglietta e individuò un sottile taglio ricoperto di sangue incrostato e da cui stava scivolando qualche goccia vermiglia. La sera prima doveva essere stato troppo distratto per accorgersi di quella ferita, riportata sicuramente dallo scontro con i potenziati e che comunque era poco preoccupante per lui. Probabilmente, dopo che il siero l’aveva parzialmente risanata nelle ore successive alla missione di Seattle, il brevissimo scontro con Bucky l’aveva fatta riaprire.
Sfilò la maglia con un gesto fluido e si diresse verso la porta, intenzionato a raggiungere il bagno per darsi una ripulita. Non appena fu fuori dalla stanza, gli occhi cerulei si fermarono sulla schiena di James, coperta da un’attillata maglia nera.
Steve smise di muoversi e rimase in silenzio, mentre il cuore gli martellava nel petto con insistenza e lo stomaco sembrava volersi accartocciarsi su se stesso. Nemmeno affrontare un pericoloso nemico gli faceva un effetto del genere. Si sentiva vulnerabile di fronte a Bucky, perché lui avrebbe potuto ferirlo come nessun altro e senza nemmeno sfiorarlo. Viste come erano andate le cose la sera prima, aveva il timore che un gesto sbagliato o una parola fuori posto avrebbero potuto inspessire il muro che era venuto a crearsi fra loro. Non poter raggiungere il suo migliore amico faceva dannatamente male.
James si voltò e i loro sguardi si incontrano, o meglio, si scontrarono.
 
“Rogers.”
 
Steve accusò il colpo e prese atto del gelo che James stava utilizzando per tenerlo a distanza. Aprì e chiuse la bocca un paio di volte, ma non venne fuori alcuna parola.
Nessuno dei due osò rompere il contatto visivo per quello che parve un tempo lunghissimo, finché l’intrusione di una terza presenza mandò in frantumi il momento carico di elettricità statica.
 
Tony Stark percepì distintamente un brivido risalire lungo l’intera colonna vertebrale e gli venne parecchio difficile ignorare la tensione fra i due super soldati. Si chiese se li avrebbe visti saltare l’uno alla gola dell’altro da lì a poco e poi lo sguardo gli cadde sul taglio che segnava il fianco destro del Capitano.
Quindi, Tony guardò prima Steve e poi James ed infine di nuovo Steve.
 
“Cosa ho esattamente interrotto?”
 
Diversamente da quanto si sarebbe aspettato Stark, fu Barnes a mettere fine a quell’impasse dalle connotazioni poco rassicuranti.
 
“Non hai interrotto niente, Stark.”
 
Forse non aveva interrotto effettivamente niente, ma doveva essere accaduto qualcosa di grosso, perché tutto quello era surreale. Cosa gli era sfuggito? Cosa diamine stava succedendo?
Tony osservò James lasciare l’appartamento senza esitazione e, una volta sparito dalla sua vista, tornò a concentrarsi sul super soldato numero uno, la cui attenzione era invece rimasta ancorata al super soldato numero due, nonostante quest’ultimo fosse già bello che andato. Si prese qualche secondo per decidere se fosse il caso di farsi gli affari propri oppure no e, alla fine, decise che non era il momento adatto per mandare Rogers fuori fase più di quanto già non fosse, soprattutto perché il biondo avrebbe dovuto occuparsi di altri grattacapi di entità non definibile ma sicuramente tutt’altro che piacevoli.
 
“Senti, Cap, non è mia intenzione rigirare il dito nella piaga stavolta, qualsiasi sia la piaga, però sono costretto a dirti che c’è Ross che ti aspetta. Vuole parlare con te per quanto accaduto ieri e, nonostante ci abbia provato, non mi ha concesso anticipazioni.”
 
Steve parve riscuotersi e passò una mano fra i capelli con fare decisamente nervoso. Guardò Tony e lesse nei suoi occhi scuri una stanchezza che poco gli si addiceva.
Non andava bene. Se avessero continuato così, avrebbero finito per crollare. Nonostante fossero riusciti a gestire in modo decente la situazione per tre lunghi mesi e nonostante fossero riusciti a trovare una specie di equilibrio, gli Avengers stavano venendo prosciugati lentamente di ogni energia fisica e mentale. Bastava guardare le profonde occhiaie di Tony, contare le ore che Sam passava a dormire nei giorni in cui non veniva coinvolto nelle missioni, prendere nota di tutte le volte che Clint faceva conficcare le freccette sul bordo del centro rosso del bersaglio montato nella Sala Comune e poi, il giorno prima, Bruce era arrivato al punto di minacciare non troppo velatamente le persone che erano la causa di quello stato di disagio e tensione generale.
 
“Metto qualcosa addosso e lo raggiungo” convenne il super soldato e, con sua stessa sorpresa, riuscì ad utilizzare un tono fermo e deciso.
“Ti aspetta nei parcheggi sotterranei. Non è voluto salire e non lo biasimo troppo, dopo ieri. Sai, ieri…”
“Non avevi detto di non voler rigirare il coltello nella piaga?”
“Hai ragione. Mea culpa, ma è più forte di me quando si tratta di te” fu la tranquilla risposta dell’inventore, che aveva messo su una perfetta faccia di bronzo e Rogers scosse il capo con rassegnazione, anche se in realtà era confortante constatare che Stark aveva ancora la forza di punzecchiarlo senza ritegno.
 
Tony seguì Steve nella stanza di quest’ultimo e si sedette sul letto, senza troppi complimenti. Lo guardò indossare un paio di pantaloni scuri e prendere un maglia azzurra a maniche lunghe, dotata di un colletto blu e una fila di quattro bottoncini.
“Qualsiasi cosa ti dica Ross, non cercare lo scontro, perché sarebbe un vero disastro e perché...”
“Renderei vani gli ultimi tre mesi” concluse il super soldato, mentre andava a piazzarsi di fronte al compagno.
“Non ho intenzione di perdere di nuovo la calma, quindi non preoccuparti.”
Tony sorrise e tornò in piedi. Si avvicinò a Steve e gli strizzò con intensità la spalla destra con la mano sinistra. Era ovvio che il biondo avrebbe volentieri evitato di vedere Ross, o meglio, avrebbe evitato qualsiasi tipo di situazione che prevedesse una buona dose di stress e un probabile esaurimento nervoso.
“Mi fido di te, Steve, lo sai. Ma ti conosco anche dannatamente bene e quindi mi preoccupo di conseguenza.”
“Farò il bravo. Everett ha già ristabilito i controlli?”
Il Capitano si diresse verso l’ascensore, seguito a ruota da Iron Man.
“Non si è visto ancora nessuno. Comunque, hai intenzione di utilizzare l’arma della seduzione con Ross. Sbattergli in faccia tutta quella roba potrebbe funzionare e lo faresti per un bene più grande.”
“Mi dispiace deluderti, ma sto passando in infermeria per mettere qualcosa su questo graffio così eviterò di macchiare la maglia che ho intenzione di indossare.”
“Peccato. Senti, a proposito di quel taglio…”
 
“Una svista di ieri sera. Non lo avevo notato.”
Rogers lo attestò con estrema fermezza, perché aveva intuito cosa era passato per la testa dell’amico, considerando la scena a cui quest’ultimo aveva assistito quando era arrivato nell’appartamento. In ogni caso, Tony parve soddisfatto della risposta ottenuta.
 
“Io mi fermo qui. Non ho ancora detto nulla agli altri, quindi sarà il caso che lo faccia, giusto perché inizino a prepararsi psicologicamente alla prossima trovata del Segretario.”
 
Dopo aver picchiettato con le nocche sul petto del super soldato e avergli detto che era un vero peccato non sfruttare la mercanzia per le giuste cause, Tony scese dall’ascensore, all’altezza della Sala Comune.
 
 
 
 
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Steve si ritrovò presto circondato dalle mura in cemento del parcheggio sotterraneo e individuò immediatamente Ross, fermo dinanzi un’auto nera dai vetri oscurati. L’uomo era stretto in un completo blu scuro. All’apparenza, aveva un’aria tranquilla e gli rivolse addirittura un sorriso cordiale.
 
“Capitano” salutò il Segretario, una volta che Rogers arrivò a pochi passi da lui, e aprì la portiera posteriore dell’auto, come chiaro invito ad entrare.
“Facciamo un giro.”
 
Rogers rimase abbastanza interdetto, ma non aveva troppa scelta, dunque salì sul veicolo senza protestare e Ross si sistemò sul sedile posteriore, al suo fianco.
L’auto lasciò il parcheggio e si immise nel traffico di New York, senza puntare ad una precisa meta.
Il super soldato attese che fosse il Segretario a prendere la parola e, nel frattempo, lanciò qualche occhiata al di fuori del finestrino e cercò di spingere in un angolino della mente la questione rimasta in sospeso con Bucky.
 
“Allora, Rogers, vorrei che mi ascoltassi attentamente e che mi lasciassi arrivare fino in fondo. Sono qui di mia iniziativa e sempre di mia iniziativa voglio provare ad accordarmi con te, per evitare che la situazioni degeneri ulteriormente.”
Ross utilizzò volontariamente un approccio informale. Attese di avere a sé la completa attenzione del Capitano e, una volta ottenuta, prese la parola in modo definitivo. Il tono della sua voce rimase fermo, calmo e non ci fu segno di agitazione o alterazione durante l’intera conversazione. Neppure sul volto comparve il minimo segno di emozione, ad eccezione di un’affabilità che poco gli si addiceva.
“I piani alti hanno deciso di tagliare fuori i Vendicatori dal caso Hydra e di gestirlo personalmente, chiedendo l’appoggio dello SHIELD. Puoi immaginare che la cosa sia partita da Henry Benson, anche se la sua iniziale proposta è stata parecchio più drastica. Il vostro comportamento negli ultimi tre mesi ha evitato il peggio, ma quanto accaduto ieri ha suscitato un certo allarmismo, come potrai immaginare senza troppe difficoltà.”
Il Segretario fece una pausa e fu soddisfatto nell’appurare che Rogers aveva deciso di rispettare la condizione di lasciarlo parlare senza interrompere. Era evidente la tensione che gli aveva irrigidito le spalle e una leggera ruga aveva preso forma tra le sopracciglia, eppure il Capitano non si azzardò ad aprire bocca.
“Ho una proposta da farti e sono certo che sia la soluzione migliore. Da quando si è concluso lo scontro con Schmidt, voi Avengers avete continuato a occuparvi dell’Hydra per tutto questo tempo, senza concedervi una pausa, sottostando contemporaneamente agli arresti domiciliari e ai controlli continui che abbiamo istituito per limitare la vostra libertà. È evidente che siete tutti stanchi della situazione e io potrei mettere fine a tutto questo, restituirvi la condizione di persone libere.”
 
A Steve sfuggì un mezza risata e la cosa non parve sorprendere Ross più di tanto.
“Qual è il prezzo?” chiese il ragazzo, che non riusciva davvero ad immaginare cosa l’uomo potesse volere in cambio per una concessione di quella portata.
 
L’auto stava adesso sfrecciando sul Ponte di Manhattan. L’East River era increspato da un vento intenso e freddo e la cortina di nubi grigie aveva reso l’acqua più scura.
Ross guardò Rogers dritto in faccia e fece in modo di utilizzare un’espressione spaventosamente seria.
 
“Lavora per me.”
 
Prima che il super soldato potesse aprire bocca, il Segretario lo anticipò per evitare di ricevere un secco rifiuto.
“Se accettassi, attraverso il mio consenso e la mia autorizzazione, potrai continuare la ricerca di Adam Lewis e potrai coinvolgere gli altri Avengers, senza che questi siano vincolati a me a loro volta. Dovrai solo dimostrare di essere degno della mia fiducia. Inoltre, sospenderò lo stato di arresto con effetto immediato.”
Quella proposta era stata costruita appositamente per non poter essere rifiutata, tuttavia Ross non aveva ancora concluso e decise di assestare il colpo finale, sicuro di ciò che stava facendo e consapevole della reazione che avrebbe ottenuto.
“Avete alle spalle tre mesi di reclusione forzata e hai la possibilità di mettere fine a tutto questo. Potrete uscire dalla Tower, riavere indietro una parvenza di normalità nelle vostre vite. Sono certo che siete esausti e non doversi più occupare direttamente dell’Hydra darà ai tuoi compagni un po’ di tregua, non credi?”
Steve non rispose e ciò diede al Segretario la possibilità di parlare ancora, con l’unica intenzione di spingerlo nella direzione voluta.
“Non devi darmi una risposta adesso. Voglio concederti due giorni.”
 
“Cosa comporterebbe lavorare per te?” chiese allora il Capitano e sul volto di Ross comparve l’ombra di un sorriso.
 
“Non sarà molto diverso dal lavoro che svolgevi per lo SHIELD. Ti assegnerò una squadra e ti trasferirai a Washington. Parallelamente, potrai occuparti del caso Hydra e dovrai renderne conto a me soltanto. Ovviamente, vorrò inizialmente accertarmi che tu sia disposto ad eseguire i miei ordini, ma ti garantisco che non sto architettando nulla che possa ritorcersi contro di te o i tuoi compagni. Ti sto venendo incontro, Rogers.”
 
L’auto si fermò e solo allora Steve si rese conto che erano tornati nei pressi della Tower.
Ross gli dedicò una lunga occhiata penetrante e si trattenne dall’esternare compiacimento, perché non aver ricevuto un no categorico come risposta era assolutamente un inizio promettente. Ce lo aveva in pugno, ne era certo, perché Steve Rogers avrebbe fatto qualunque cosa per il bene dei suoi compagni. Doveva solo sperare che quegli stessi compagni non mandassero a monte tutto quanto. Tirò fuori dal taschino della giacca un biglietto e lo porse al super soldato.
 
“Questo è il mio numero personale. Mi farò comunque vivo fra due giorni. Sono certo che prenderai la decisione giusta.”
 
Steve annuì solamente, cercando di non palesare il turbamento. Senza ulteriori indugi, scese dall’auto e, muovendosi per inerzia, raggiunse la Sala Comune. Adesso doveva cercare di fare ordine fra i pensieri e riflettere con calma. Aveva due giorni e in due giorni, che lo volesse o meno, avrebbe dovuto dare a Ross una risposta.
 
“Fai colazione con me?”
 
La voce di Natasha riscosse Steve, il cui sguardo si fissò sulla figura di lei.
La rossa aveva in una mano una caraffa di succo di frutta e con l’altra mano teneva in equilibrio un vassoio contenente muffins al cacao e diverse ciambelle dalla glassa colorata. Indossava una comoda tuta verde militare e una larga maglia bianca, il cui morbido tessuto seguiva la curva tonda della pancia. I lunghi capelli rossi erano raccolti in una treccia che le ricadeva sulla spalla destra e il viso non era più smunto già da un paio di mesi.
Il biondo la raggiunse e la aiutò con la caraffa e il vassoio, che furono sistemati sul tavolo già apparecchiato con qualche bicchiere di vetro, alcuni tovaglioli e diverse posate.
Natasha prese posto su una delle sedie e invitò il compagno a sedersi su quella di fronte.
 
“Stavi aspettando Clint?” le chiese, mentre la osservava versare il succo di frutta in due bicchieri.
 
Lei annuì.
“È andato assieme a Tony e Bruce sull’Helicarrier, da Fury. Pare che bisognerà riaccordarsi con Everett Ross dopo quanto accaduto ieri.”
Natasha si lasciò scappare un sorriso che mise a nudo una sottile ma evidente tristezza.
“Tony ha detto che eri impegnato con Ross. Cosa ti ha detto? Adotteranno misure più restrittive?” chiese, mentre punzecchiava un muffin al cacao con la forchetta.
 
In quel momento, il biondo poté distintamente percepire un vuoto aprirsi nello stomaco. Quando Natasha aveva dato loro la notizia della gravidanza, nessuno era stato in grado di trattenere l’emozione e lei si era quasi commossa dinanzi all’esternazione di tanta felicità da parte dei suoi compagni – la sua famiglia. E i suoi compagni avevano fatto di tutto per tenerla lontana dal campo di battaglia, per tenerla al sicuro, e per farle pesare il meno possibile lo stato di arresto.
Solo che, da un certo momento in avanti, gli Avengers erano stati talmente assorbiti dai problemi con l’Hydra, con Adam Lewis e con il Governo, che non erano riusciti a starle accanto come avrebbero dovuto. La persona che le stava più accanto era Bruce, che non aveva preso parte all’azione sul campo, se non in rare occasioni.
Natasha era stata vicina a tutti loro e li aveva sostenuti in ogni modo. Per sé stessa non aveva fatto poi molto, se non si contavano le visite periodiche dal dottor Mitchell, per assicurarsi che la gravidanza procedesse nel migliore dei modi.
Se Steve si fosse fermato a guardarla dritta negli occhi, con attenzione, almeno una volta negli ultimi due mesi, si sarebbe accorto molto prima di quanto Natasha avesse bisogno di avere vicino la sua famiglia e Clint prima di tutti. Lei era forte, indipendente e perfettamente in grado di badare a sé stessa, ma la gravidanza era una cosa del tutto differente. Natasha aveva rinunciato ad avere Clint al suo fianco in momenti in cui avrebbe voluto che lui fosse presente e, inoltre, alla Tower mancava del tutto la tranquillità necessaria.
 
Steve si accorse di aver fatto protendere il silenzio un po’ troppo, perché fu la Romanoff a riempire quello stesso silenzio.
“Sai, fra un paio di settimane il dottor Mitchell mi dirà il sesso del bambino.”
La rossa infilò in bocca un generoso pezzo di muffin ed emise un verso di apprezzamento. Smise di guardare il super soldato direttamente il viso e si concentrò su quel concentrato di dolcezza dal morbido cuore al cioccolato.
“Dovresti provarlo, è davvero ottimo.”
 
Steve sorrise e si sporse in avanti sul tavolo, finché non arrivò a pinzare fra pollice e indice il naso di Natasha, i cui occhi verdi si fissarono in quelli azzurri dinanzi a lei. La rossa aveva smesso di masticare e aveva le guance ancora piene del pezzo di muffin, che aveva iniziato a mangiare con una certa voracità.
 
“Non ci saranno misure più restrittive. Non ci sarà più alcuna misura. E sarà meglio che ti prepari perché, che sia maschio o femmina, dovrai affrontare l’entusiasmo di parecchie persone che non sanno propriamente come modulare le emozioni.”
Rogers lasciò andare il naso dell’amica e solo allora lei mandò giù il boccone rimastole in bocca.
 
“Non lo stai dicendo solo per rassicurarmi o perché magari hai in mente un assalto al Governo, giusto?”
 
“Nessuna delle due cose e sai che sono sempre onesto.”
 
“Colpo basso, Rogers. Colpo basso. Sono costretta a crederti in questo modo.”
 
Risero e Natasha spinse in direzione del compagno il vassoio. Mangiarono insieme, concordando sulla bontà sia dei muffins sia delle ciambelle.
 
“Allora, cosa ti ha detto Ross?” domandò la rossa, che voleva sapere come sarebbe stato possibile attuare l’eliminazione di ogni misura di controllo, soprattutto dopo quanto accaduto il giorno prima.
“Vi dirò tutto una volta definiti i dettagli. Sembra che quanto fatto in questi tre mesi ci abbia portato qualche vantaggio.”
La Romanoff annuì e decise che fosse giusto chiudere lì la questione. Non dubitava di Steve e non avrebbe iniziato a farlo quel giorno.
“Devo vedermi con il dottor Mitchell fra non molto. Perché non porti un paio di queste ad Anthea? Non l’ho ancora vista gironzolare da queste parti e di solito a quest’ora è in piedi da un pezzo.”
 
“Sei preoccupata per lei?”
 
“Nonostante cerchi di non darlo a vedere, neanche per lei è facile tutto questo. Da quando è sulla Terra, non ha fatto altro che combattere ed è stata costretta a sottostare agli arresti, solo perché si è unita a noi. Non è il massimo per adattarsi alla vita sulla Terra, non credi?”
 
Steve rimase in silenzio, preso in contropiede da quanto Natasha gli aveva appena fatto notare. Era stato parecchio disattento e se ne stava realmente rendendo conto solo adesso. Si era concentrato sulle ricerche di Adam Lewis, pensando che trovarlo sarebbe stato l’unico modo per risolvere i loro problemi. Invece, così facendo, aveva perso di vista tante cose importanti e si chiese se lo scontro che aveva avuto con Bucky fosse stato causato, in parte, dal suo atteggiamento distaccato.
Ora aveva la possibilità di sistemare parecchie cose ed era intenzionato a non commettere altri errori dovuti alla scarsa disattenzione rivolta alle questioni che gli erano più vicine.
 
“Grazie, Nat. Se dovesse servirti qualsiasi cosa ...”
 
“Ci conto, Steve. Ti avrei chiesto di accompagnarmi da Mitchell, ma non credo che Clint la prenderebbe troppo bene.”
Natasha gli fece l’occhiolino e bevve l’ultimo sorso di succo di frutta, per poi alzarsi e girare attorno al tavolo, in modo da porsi al fianco del compagno ancora seduto. Gli aggiustò il retro del colletto della maglia e poi strinse le dita affusolate sulle spalle larghe. Steve voltò il capo per poterla guardare in viso e notò quel familiare luccichio nelle iridi smeraldine, segno che la Vedova Nera stava per dirgli qualcosa con soppesata gentilezza mescolata ad intimidatoria fermezza.
“Sai che ti voglio bene, Steve. Però potrei arrabbiarmi con te, se la farai stare male a causa della tua testa dura.”
La rossa posò un bacio leggero sulla guancia del super soldato e poi sollevò un angolo della bocca, arricciando le labbra piene in quel suo modo particolare ed enigmatico.
“Messaggio ricevuto” fu la risposta del biondo, che le dedicò un sorriso sincero e, poco dopo, la guardò andare via.
 
Rogers si appoggiò allo schienale della sedia e abbandonò il capo all’indietro. C’era silenzio, adesso che Natasha non c’era più, e il rumore dei suoi stessi pensieri era quasi assordante. Fissò lo sguardo su un punto indefinito del soffitto, tuttavia vide scorrere dinanzi agli occhi tutto ciò che era accaduto nell’ultimo periodo e questo non fece altro che fargli acquistare maggiore sicurezza su quale fosse la decisione migliore da prendere. Tirò fuori dalla tasca dei pantaloni il biglietto che gli aveva lasciato Ross e se lo rigirò distrattamente fra le dita.
 
Aveva forse altra scelta?
 
 
 
 
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“Sono contenta che tu sia in piedi e, a quanto vedo, anche parecchio in forma.”
 
James sollevò lo sguardo dalle fasciature strette attorno le nocche e di cui si stava velocemente liberando. Abbandonata ai suoi piedi, c’era la maglia nera fradicia di sudore, indossata durante l’intero sfogo violento contro sacchi non abbastanza rinforzati per resistere al braccio di metallo.
“Si torna alla solita routine?” domandò e i tratti del viso si ammorbidirono abbastanza da farlo apparire meno Soldato d’Inverno incazzato e più James Barnes tormentato.
 
“Non sono in servizio. Noi della CIA non abbiamo ancora ricevuto direttive precise. Volevo solo accertarmi che tu stessi bene.”
Sharon sfilò le mani dalle tasche dei jeans e James le venne in contro, fino a fermarsi ad un paio di passi da lei.
“Ho ricevuto un trattamento speciale e non mi è rimasto addosso nemmeno un graffio.”
Barnes dedicò un pensiero ad Anthea e alla sua testardaggine, quando si trattava di aiutare un amico.
“Sono contenta” fu l’unica cosa che la donna riuscì a dire. Non gli rivelò di essere stata terribilmente preoccupata per lui, nonostante Steve l’avesse rassicurata la sera prima.
 
“Come sta Collins?”
 
“Sta bene, grazie a te e a Steve. Mi ha detto che senza di voi, adesso sarebbe ridotto ad un mucchietto di carne bruciata.”
La Carter sorrise mestamente, nel ricordare quanto Daniel fosse stato straordinariamente logorroico dal momento esatto in cui erano rimasti soli, dopo che erano stati costretti a lasciare la Tower per non incorrere nell’ira di Hulk. Lei gli aveva offerto un passaggio in macchina fino al palazzo in cui alloggiavano quasi tutti gli agenti della CIA coinvolti nella sorveglianza degli Avengers.
Il ragazzo, sotto l’effetto dell’adrenalina non del tutto sfumata e di una genuina eccitazione, le aveva raccontato cosa era accaduto a Seattle e non aveva omesso nemmeno ciò che era successo fra Rogers e Barnes. Solo che poi si era accorto di aver parlato troppo, si era pentito, si era dato dell’idiota e le aveva supplicato di mantenere il silenzio sullo scontro che c’era stato fra i due super soldati. Sharon gli aveva promesso che avrebbe mantenuto il segreto e aveva tutta l’intenzione di mantenere la parola data, nonostante avrebbe voluto poter aiutare James in qualche modo. Era evidente che fosse turbato e totalmente incapace di eclissare quanto fosse ferito dentro – c’era da considerare che lui era fra i migliori, quando si trattava di eludere le emozioni, quindi la situazione doveva essere critica.
Il Soldato d’Inverno era stato concepito per essere una macchina assassina perfetta, infallibile e priva di umanità. E lo sarebbe stato, se non fosse esistita una falla che aveva vanificato tutti gli sforzi fatti dall’Hydra per ottenere un’arma capace di cambiare il corso della storia. Quella falla, in grado di penetrare le spesse difese del Soldato d’Inverno, era Steve Rogers. Il Soldato d’Inverno non aveva mai fallito nel portare a termine una missione, soprattutto non quando la possibilità di farlo gli veniva offerta su un piatto d’argento.
Steve e James erano l’uno il punto debole dell’altro, tanto quanto erano l’uno la forza dell’altro.
 
“Quel ragazzino si è rifiutato di mettersi al sicuro. Eppure, sono certo di essere stato parecchio convincente.”
Barnes incrociò le braccia sul petto nudo e scosse il capo.
“Ha detto che hai cercato di intimorirlo” gli fece presente la Carter.
“Se non vuoi ritrovarti ad avere intorno un compagno di squadra con manie autodistruttive, ti consiglio di metterlo in riga prima che sia tardi.”
Sharon non riuscì a trattenersi e rise, perché l’espressione di James la diceva lunga ed era buffo vederlo alzare gli occhi al cielo e, al tempo stesso, sospirare profondamente.
“Pensavo che avessi un debole per quelli come lui e che preferissi aiutarli, non cambiarli.”
 
“Non voglio cambiarli. Vorrei solo…”
 
“È parte di lui. Non sceglierà mai sé stesso, nemmeno se sarai tu a chiederglielo e sai che per te farebbe qualunque cosa. Qualunque.”
 
“Non stiamo più parlando di Collins, giusto?”
 
La Carter scosse il capo.
James non le chiese come sapeva, perché non era troppo difficile immaginarlo e perché si rese conto che parlarne con lei, anche se non così esplicitamente, alleggeriva il greve peso che sentiva nel petto. Ciò che lei gli aveva detto era qualcosa di cui era perfettamente consapevole sin da quando aveva iniziato ad avere a che fare con l’allora piccolo e gracile Steve Rogers. Forse era stato troppo duro con lui.
“Ho fatto quello che andava fatto. Sono in grado di badare a me stesso. Non ho più bisogno della tua protezione.”
No. Non era stato affatto troppo duro. Era ancora incazzato. E scottava, dannazione.
 
Barnes passò la mano destra fra i capelli, tirandoli indietro con un gesto seccato e stanco.
Sharon, vedendolo vacillare, non fu in grado di resistere all’istinto di abbracciarlo. Non fece caso alla sensazione del sudore di lui che le inumidì la maglia, non fece caso all’iniziale rigidezza del corpo che strinse a lei con uno slancio di cui non si credeva capace, almeno fino ad un attimo prima. James ci mise un po’, ma alla fine si rilassò e circondò la vita della donna con le braccia. Lei sollevò appena il capo, per poterlo guardare in viso e dritto negli occhi limpidi e dalle sfumature grigie – quelle iridi ricordavano un mare in tempesta.
Fu allora che Barnes si sporse in avanti e la baciò. La Carter ricambiò senza la minima esitazione, mentre gli circondava il collo con le braccia.
A tentoni, il super soldato spinse la bionda verso l’ascensore, mentre continuavano ad assaporarsi e a stuzzicarsi con crescente audacia. Entrati nella cabina, James si premurò di premere il pulsante relativo al proprio appartamento e poi sollevò Sharon per le cosce. Lei gli strinse le gambe attorno i fianchi e si aggrappò alle sue spalle.
Quando le porte dell’ascensore si riaprirono, i due si divisero e il moro fece tornare la Carter con i piedi per terra. Percorsero il breve corridoio iniziale, assicurandosi di essere soli. Una volta raggiunta la camera di James e chiusa la porta dietro di loro, ripresero da dove avevano interrotto.
 
Nessuno dei due tentò, nemmeno per un secondo, di razionalizzare ciò che stava accadendo.
Tre mesi prima, erano stati costretti ad interagire fra loro a causa delle circostanze. Si erano ritrovati a passare parecchie ore a stretto contatto, avevano finito per partecipare insieme alle missioni e, con il tempo, erano passati dal discutere di lavoro al parlare di cose più personali. Senza rendersene troppo conto, avevano imparato a conoscersi e a capirsi. Non l’avevano dato troppo a vedere e, fra tutti, solo Natasha si era fatta scappare qualche sottile commento a riguardo.
 
Sharon sapeva che aveva appena oltrepassato il limite consentito e che se Everett fosse venuto a conoscenza di tutto quello, per lei sarebbero stati guai molti seri, serissimi. Non che fosse mai stata imparziale. All’inizio non lo era stata per Steve, ma poi le cose avevano preso una piega diversa e, in qualche modo assai contorto e difficile da spiegare, ora lei era distesa sul letto di James Barnes, completamente nuda.
Il tocco delle fredde dita di metallo la facevano rabbrividire, mentre quelle di carne ed ossa quasi scottavano a contatto con la pelle. Quelle sensazioni contrastati la stavano facendo impazzire, ma mai quanto le scosse elettriche che le percorrevano l’intera colonna vertebrale ad ogni spinta di James, il cui sguardo intenso e penetrante le faceva sentire tanto vulnerabile quanto desiderata.
 
Ci sarebbero state delle conseguenze. Eccome se ci sarebbero state.
Eppure, tramite un tacito accordo, entrambi decisero di fregarsene delle conseguenze, almeno temporaneamente.
 
 
 
 
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“Ehi, Cap.”
 
Sam era ancora mezzo addormentato e una parte del bordo della maglia rossa che indossava era rimasta erroneamente infilata nei jeans. Erano quasi le undici di mattina ed era evidente che gli sarebbe servita una bella tazza di caffè.
Dopo una missione impegnativa, Wilson era solito dormire parecchie ore per poter recuperare appieno le energie.
 
“Ciao Sam. Sai se Anthea è sveglia?”
Sam gli rivolse uno sguardo interdetto e anche abbastanza confuso.
“Lei è qui?”
“Dovrebbe esserlo” fu l’esitante risposta di Rogers, che iniziava effettivamente a preoccuparsi e a chiedersi se magari non fosse accaduto qualcosa la sera prima.
 
Steve salutò Sam, che si trascinò nell’ascensore, mentre lui ne usciva per raggiungere la stanza dell’oneiriana. Bussò un paio di volte, ma non ottenne risposta. Allora si decise ad aprire la porta e si immerse nella penombra della camera. La finestra era quasi del tutto oscurata e la luce riusciva a sgusciare all’interno solo tramite una fessura lasciata nella parte più bassa.
Anthea era lì, sulle lenzuola stropicciate, distesa su un fianco e gli dava le spalle. La giovane aveva addosso solo delle mutandine celesti e un top dello stesso colore. I capelli erano sparsi disordinatamente sul cuscino e Steve notò un filo bianco che partiva dall’orecchio coperto da qualche ciuffo e che spariva al di là del suo corpo.
Se respirava piano, il biondo poteva percepire un suono sottile rompere il silenzio. Si avvicinò finché non fu in grado di vedere il cellulare che lei teneva debolmente in una mano. La luce fioca dello schermo le illuminava il viso dai tratti rilassati e le lunghe ciglia tremolavano appena.
Sullo stesso schermo lesse ‘The show must go on’ e pensò che ci fosse sicuramente lo zampino di Sam. Da quando Anthea aveva imparato che ascoltare musica era un ottimo modo per alleggerire la tensione e per zittire pensieri poco piacevoli, Wilson ne aveva approfittato per consigliarle diverse playlist.
Steve posò il piatto con le dolci offerte di Nat sul comodino e tornò ad osservare la ragazza.
All’apparenza, Anthea sembrava stare bene e il super soldato dovette ammettere che non gli era affatto indifferente quella vista così scoperta. Le appoggiò una mano sulla spalla e si sorprese nel constatare quanto fosse calda la pelle.
La ragazza si riscosse e si voltò verso di lui, ruotando appena i fianchi. Tolse gli auricolari dalle orecchie e si sforzò di sorridere, mentre si tirava su a sedere.
 
“Stavo per raggiungervi” disse, con poca convinzione, e la mossa successiva fu quella di alzarsi dal letto, quasi si fosse resa conto di essere in ritardo per un qualche appuntamento.
 
Rogers le impedì di andare alla ricerca dei vestiti, piazzandosi proprio davanti a lei, e le prese il volto fra le mani, in modo da costringerla a guardarlo dritto negli occhi, dato che stava palesemente cercando di evitare il suo sguardo.
“Scotti terribilmente.”
 
“Effetti collaterali più fastidiosi del previsto, ma niente di preoccupante. Starò… sto bene.”
 
Adesso che Natasha gli aveva aperto gli occhi, Steve riusciva ad interpretare con maggiore facilità i comportamenti ben pesati e non troppo spontanei di Anthea.
Tutto si riduceva al fatto che lei avesse camminato in punta di piedi fino ad allora, per non far pesare su di lui qualsiasi tipo di problema la riguardasse. Gli era rimasta accanto, ma si era fatta da parte quando aveva ritenuto opportuno lasciargli più spazio, a prescindere di cosa avesse davvero bisogno lei.
Quando era tornata sulla Terra per rimanerci, si era mostrata decisa, forte e perfettamente equilibrata e Rogers aveva trovato un decisivo sostegno in quella nuova versione di lei.
Anthea aveva fatto in modo di essere considerata, in tutto e per tutto, l’elemento della squadra che aveva il compito di proteggere gli altri e che non aveva bisogno di alcuna protezione. E aveva fatto un lavoro eccelso a riguardo. Era diventata brava a gestire le emozioni e poche volte si era fatta sfuggire espressioni o atteggiamenti che avrebbero potuto impensierirlo più del necessario.
 
“Io sono terrorizzata da cosa sarei capace di fare per te. Vorrei che tu evitassi di mettermi troppo alla prova, anche se non intenzionalmente.”
 
Okay, c’erano buone probabilità che lei arrivasse a odiarlo. L’aveva praticamente costretta, non intenzionalmente, a modellare se stessa in modo che potesse essergli di aiuto ma non d’intralcio.
Non le avrebbe più permesso di eclissarsi per lui.
Inoltre, fino ad allora, non aveva preso in considerazione la possibilità che lei potesse averne abbastanza delle dinamiche in cui si era trovata immischiata. Non seppe bene il perché, ma gli parve di sentire nella testa la voce poco gentile di Andras.
Adesso però aveva la possibilità di sistemare le cose, di restituire ai suoi compagni la libertà e la tranquillità che erano mancate tanto a lungo.
 
“È per questo che hai voluto dormire qui stanotte?” le chiese, per spingerla a scoprirsi una volta per tutte, e Anthea morsicò d’istinto l’interno della guancia.
“Volevo lasciare te e James da soli e, a proposito, come...”
“Stai cambiando discorso” la fermò subito e fece scivolare la mani sulle sue spalle nude.
 
“Steve, andiamo, io...”
 
La ragazza cominciava ad esternare un certo nervosismo e si sottrasse di nuovo al suo sguardo.
Se lo voleva, Steve aveva tutte le carte in regola per demolire la dura scorza dietro cui l’oneiriana si premurava di tenere nascosta la parte meno forte e decisa di sé. Per questo, lei tentò di filarsela, scivolandogli di fianco, tuttavia venne prontamente afferrata per un braccio.
Senza darle il tempo di capire cosa avesse in mente, il biondo la sollevò da terra e se la caricò in spalla. La sentì trattenere il respiro per un istante.
 
“Ti concedo tre secondi per mettermi giù volontariamente o ti costringerò a farlo.”
Si era messa sulla difensiva, utilizzando l’atteggiamento da dura. Era uno stratagemma che funzionava, ma non con lui.
“Mi stai seriamente minacciando?”
Il biondo usò un tono tranquillo e Anthea era certa che stava sorridendo in quel momento.
 
“Ti detesto, Idiota.”
 
Steve rise e decise comunque di non tirare troppo la corda, quindi la mise giù, poggiandola sul letto con uno slancio improvviso. Prima che lei gli rivolgesse parole poco gentili – cosa intuibile dall’espressione contrariata con tanto di naso arricciato –, le porse il piatto che aveva messo sul comodino.
 
Anthea sospirò, ma poi piegò le labbra in un sorriso leggero, incapace di fingersi offesa.
Era ancora parecchio intontita dalla mancanza di sonno e aveva una cerchio alla testa non indifferente. Gli era sembrato di andare a fuoco per tutta la notte ed era riuscita a prendere sonno solo nelle ultime ore. Sentiva ancora caldo e si sarebbe volentieri in una vasca piena di cubetti di ghiaccio. Osservò il biondo adoperarsi per far entrare la luce nella stanza e togliere le scarpe, in modo che potesse sedersi sul letto, al suo fianco.
“Questi sono davvero fantastici” convenne, dopo aver addentato un muffin.
 
“Mi dispiace per averti tagliata fuori.”
 
L’oneiriana tentò di non dare a vedere quanto quelle parole l’avessero colpita. Steve era stato parecchio distante nell’ultimo periodo. Cioè, era stato fisicamente presente, ma mentalmente lontano anni luce.
 
“Non sono stato molto presente e ho intenzione di rimediare, in qualche modo. E a proposito, ho bisogno di parlarti di una cosa importante. Non l’ho ancora detto agli altri. Non credo ti piacerà.”
 
Rogers le raccontò dell’incontro con Ross e le parlò dell’accordo che il Segretario gli aveva proposto.
Anthea avrebbe voluto dirgli che no, non le piaceva, che non era sicuro accettare quel compromesso, che anche gli altri sarebbero stati contrari e che avrebbero sicuramento trovato un altro modo per sistemare la situazione. Eppure, non diede voce a niente di quello che le passò per la testa. Sospirò profondamente e lo guardò con fermezza, dritto negli occhi.
 
“Non me ne hai parlato per sapere cosa ne penso. Hai già preso una decisone.”
 
Il sorriso desolato che tese la bocca del super soldato fu per lei solo un’ulteriore certezza.
 
“Sarà più difficile per te rimediare” lo prese in giro ma, nel profondo, un po’ lo pensava davvero.
 
 
“Capitano Rogers, miss Reyes, il signor Stark richiede con urgenza la vostra presenza nella Sala Comune.”
 
La voce metallica di JARVIS infranse il silenzio venuto a crearsi fra loro e li costrinse ad uscire dalla stasi in cui erano scivolati.
 
 
C’era forse altra scelta?
 
 
 
 
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Silenzio e stasi erano state le reazioni iniziali dei suoi compagni. Silenzio e stasi si stavano prolungando più di quanto si sarebbe aspettato e la superficie liscia e scura del tavolo era diventata improvvisamente parecchio interessante. Si mosse appena sulla sedia e incrociò le braccia al petto, in attesa di qualsiasi cosa avrebbe dovuto affrontare, ora che le carte era state messe in tavola – metaforicamente, nonostante fossero di fatto seduti attorno a un tavolo.
Una stretta decisa sulle spalle lo riscosse e si irrigidì nel momento in cui Tony fece gravare parte del suo peso su di lui.
 
“Troveremo un’altra strada per uscirne. Siamo arrivati fin qua e non cederemo adesso.”
“Tony” cercò di richiamarlo, perché il modo in cui riprese fiato era segno che aveva tutt’altro che finito. Stark però lo ignorò e la stretta sulle spalle si intensificò.
“Se Ross pensa di potersi approfittare della situazione, allora rimarrà parecchio deluso. È ovvio che vuole dividerci ed è ovvio che non sarà la sua ultima richiesta.”
“Tony.”
“Non venirmi a dire che hai preso in considerazione la cosa, Steve.”
 
Di nuovo quel silenzio. Un silenzio teso e pesante. Avrebbe tanto voluto che ci fosse il solito chiasso, l’accavallarsi instabile di parole, frecciatine e opinioni discordanti.
 
“Non ha preso in considerazione la cosa. Ha già deciso di accettare.”
 
Steve sollevò il capo e incrociò lo sguardo di James, in piedi e appoggiato con le spalle al muro. Fece di quello sguardo un appiglio e fu lui stavolta a rompere il silenzio.
“Ho già lavorato per il Governo e Washington non è così male. Inoltre, Bruce ha ragione. Finché saremo tenuti sotto controllo, sarà impossibile arrivare a Lewis. Se io accettassi, voi riotterrete la vostra libertà e riusciremo a chiudere questa storia. In seguito, troverò il modo di uscirne. Per me non cambierà poi molto rispetto la situazione attuale.”
 
“Adesso non lavori per Ross, Rogers. Non sai cosa potrebbe chiederti di fare o non fare. La sua offerta può sembrare vantaggiosa e questo basta per non accettarla.”
La presa di Tony sulle spalle di Steve si era fatta quasi spasmodica. Era sul punto di perdere la pazienza e lontano dal volersi rassegnare. Il biondo sapeva che doveva affrontarlo con maggiore decisione e si alzò dalla sedia, sottraendosi alla stretta.
 
Una volta faccia a faccia, Stark sembrò realizzare che, qualsiasi cosa avesse detto o fatto, non sarebbe servita a far cambiare idea a Rogers.
 
“Portami con te a Washington.”
 
L’attenzione generale ricadde sulla persona che aveva smorzato il nuovo momento di tensione e Sam quasi si sentì intimidito, però non abbastanza da voler ritirare ciò che aveva detto.
Steve sorrise in direzione dell’amico e, nonostante lo avrebbe senz’altro voluto al proprio fianco, non voleva coinvolgerlo in quel patto privo di concrete garanzie.
 
“Sam, non…”
 
“Imponi delle condizioni. Ross non le rifiuterà, o almeno, le prenderà in considerazione.”
Natasha era seduta a capotavola e Clint era dietro di lei, con le mani poggiate sullo schienale della sedia. La rossa stava cercando di celare quanto detestasse l’intera dannata situazione. Steve era stato onesto, perché sarebbe scomparsa ogni misura restrittiva senza fare ricorso ad azioni estreme. Tuttavia, il Governo non era intenzionato a mollare del tutto la presa e questo la faceva arrabbiare parecchio, quindi avrebbe fatto almeno in modo di portare quanta più acqua possibile al loro mulino. Se Ross credeva di potersi portare via il Capitano come e quando voleva, allora si sbagliava di grosso, perché lei non aveva intenzione di lasciarglielo fare.
“Ascoltami, Steve. È evidente che le condizioni dell’accordo sono state definite in modo che fosse esclusa la possibilità di un rifiuto da parte tua. Quindi, se avanzerai delle richieste appropriate, lui farà in modo di venirti in contro.”
 
“Tu sei davvero d’accordo con questa cosa, Natasha?” si intromise allora Stark, che non voleva ancora del tutto rassegnarsi. Per lui quella era una sconfitta, soprattutto dopo aver sopportato i controlli imposti da Ross e Benson per interi mesi.
 
“Io…” Natasha esitò “Sto solo cercando di trarre un qualche vantaggio dalla situazione, Tony.”
 
“Avevamo concordato di rimanere uniti” protestò l’inventore.
 
“La situazione attuale ci sta portando all’esasperazione e abbiamo la possibilità di uscirne. Questa cosa non ci dividerà” fu la ferma risposta di Rogers, il cui tono di voce si era fatto più fermo.
 
“Puoi assicurarcelo?”
 
“Ve lo assicuro, Tony.”
 
Stark scosse il capo e rise in modo non troppo rassicurante. Stava per ribattere ancora, quando Everett Ross fece il suo ingresso nella Sala Comune. Con lui c’erano sei agenti della CIA, fra cui la Carter e Collins.
Per un breve attimo, gli occhi di James incontrarono quelli di Sharon, rimasta in fondo al gruppo al fianco di Daniel.
 
“Ben ritrovati. Siamo qui per garantire ai piani alti che non vi immischierete nelle faccende che riguardano l’Hydra, da ora fino a nuovo ordine. Verranno montate delle telecamere di sorveglianza agli ingressi dei vostri appartamenti, qui e nella palestra. Dobbiamo essere certi che non pianificate un’altra uscita non autorizzata.”
Everett si sarebbe aspettato qualche commento poco delicato o un minimo segno di protesta. Invece, i Vendicatori si limitarono a scambiarsi sguardi parecchio intensi, senza dire una sola parola.
 
“Andiamo a bere qualcosa su da me?”
Tony si guadagnò l’approvazione dei compagni, che lo seguirono verso l’ascensore.
“Niente di personale, Ross, ma non siamo in vena di compagnia e vorremmo stare da soli, almeno finché non farai partire il reality show sulle nostre vite.”
 
Everett, perso in contropiede, si limitò ad annuire e lasciò che i Vendicatori gli sfilassero di fianco, senza opporsi in qualche modo. Evitò persino di rispondere a tono a Stark.
 
 
 
Non c’era altra scelta.
 
 
 
 
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Bucky era seduto su una delle panche appoggiate alle pareti della palestra. Era impegnato a fasciare le mani con maniacale precisione e, dai movimenti lenti e vistosi del torace, era facile capire che stava respirando profondamente.
Rivide in lui ciò che era stato negli anni successivi allo scongelamento e questo non fece che far aumentare la sensazione di vuoto nel petto. L’idea di dover lasciare New York senza riuscire a riparare la spaccatura fra loro lo stava torturando.
Nelle precedenti ore, gli Avengers avevano cercato di individuare le condizioni da sottoporre a Ross, per fare in modo di avere qualche garanzia in più.
Rogers aveva davvero apprezzato il fatto che i suoi compagni – Tony – avessero smesso di provare a dissuaderlo dopo la prima ora. Avrebbe chiamato Ross quella sera stessa, in modo da evitare che Everett, sotto ordine del Consiglio Mondiale della Sicurezza – Henry Benson –, portasse avanti quell’assurda intenzione di monitorare le loro vite ancor più strettamente di quanto non avesse già fatto negli ultimi mesi.
James gli concesse l’attenzione, solo quando gli si piazzò di fronte, a poco più di un passo di distanza.
 
“Ehi” iniziò, sperando di non venire brutalmente respinto nell’immediato.
 
Barnes si alzò in piedi e, dopo avergli dedicato un’occhiata parecchio penetrante, gli passò di fianco e raggiunse il centro della sala.
Rogers lo seguì e giunse nuovamente di fronte a lui. Tentò di iniziare una conversazione per la seconda, tuttavia fu costretto a parare un pugno diretto in faccia. Bloccare il braccio di metallo era sempre parecchio arduo, soprattutto quando Bucky decideva di fare sul serio.
Senza alcuna esitazione, James fece susseguire una serie di dritti e rovesci, alternando l’uso del braccio umano con quello di metallo. Era diventato più veloce e più forte rispetto l’ultima volta che si erano scontrati senza trattenersi e, visto il tempo che passava ad allenarsi, era assolutamente plausibile che il Soldato d’Inverno fosse salito di livello.
Bucky voleva spingere Steve a contrattaccare, a combattere come se dinanzi a lui ci fosse un nemico intenzionato a fargli male, e Steve glielo concesse, perché avrebbe fatto qualsiasi cosa per risanare la frattura che lui stesso aveva generato comportandosi da stronzo.
Certo, il Capitano non aveva i vestiti adatti per affrontare uno scontro di quel calibro, ma l’abbigliamento non era mai stato un ostacolo per lui – e di roba assurda ne aveva indossata. Imprigionò il polso destro del Soldato nella mano sinistra e protesse la parte destra del volto dal pugno metallico utilizzando l’avambraccio. Allora gli piazzò un calcio in pieno addome e lo scaraventò all’indietro. Aprì così uno spiraglio e ruotò i fianchi con forza e rapidità, mentre sollevava la gamba destra. L’intento era quello di colpirlo dritto su una guancia con il dorso della scarpa, ma la sua caviglia finì intrappolata fra le dita di metallo e James gli sottrasse l’ultimo appoggio rimasto – la gamba ancora libera – con un calcio piazzato sul ginocchio.
Rogers si ritrovò con la schiena a terra e rotolò di lato per non essere calpestato. Arcuò la schiena e saltò in piedi.
James non volle concedergli tregua, ma non si aspettava di riuscire a colpirlo dritto nello stomaco con tanta facilità. Incassare il colpo permise a Steve di avvolgere il Soldato con entrambe le braccia e di ricambiare il favore tramite una serie di ginocchiate dritte nello stomaco. Quei colpi Barnes li sentì, eccome se li sentì. Per uscire dalla situazione di svantaggio, il moro gli assestò una testata dritta sul naso e il Capitano mollò la presa, finendo per ricevere un secondo colpo nello stesso identico punto, ma stavolta da parte delle nocche metalliche.
Il ghigno che si allargò sul viso del Soldato d’Inverno fu una chiara provocazione e un invito a fare di meglio.
Rogers caricò a testa bassa, afferrò Barnes per le cosce e riuscì a sollevarlo quel tanto che bastò per sbatterlo con la schiena sul pavimento. Il Soldato allora allacciò le gambe attorno al collo del biondo e riuscì così a bloccarlo in una morsa ferrea.
 
“Mi dispiace… per ciò che… ho detto… non lo pensavo…” si sforzò di dire Rogers, mentre tentava di sottrarsi alla morsa.
“Non sei nella posizione per parlare” lo riprese Barnes, provocando così una risposta decisamente violenta da parte del compagno.
Difatti, le posizioni si invertirono in un’azione piuttosto rocambolesca e Steve riuscì a bloccare James sotto di sé, senza lasciargli scampo. Avevano entrambi il fiato corto.
“Ho detto che mi dispiace. Io… ti ho perso già una volta e… ti ho perso perché hai cercato di proteggermi.”
La presa del Capitano si fece meno salda e questo permise al Soldato di rompere la stasi, perché fu in grado di spingere via l’avversario e di tornare in piedi.
James approfittò poi della prolungata distrazione di Steve – rimessosi anche lui in piedi – per piazzargli pugni precisi sul costato indifeso.
Rogers incassò quei colpi con palese sofferenza e si ritrovò presto con le spalle al muro. Le dita di metallo andarono a stringersi attorno al suo collo, tuttavia non gli venne sottratta la possibilità di respirare.
 
“Detesto i tuoi dannati istinti autodistruttivi e detesto il fatto che rinunceresti alla tua vita senza pensarci due volte se lo ritenessi necessario. Non posso e non voglio cambiare quello che sei ma tu, Steve, non puoi impedirmi di proteggerti.”
 
James colpì Steve con una ginocchiata dritta nell’addome. Non ottenere alcune reazione, gli impedì di assestare un secondo colpo. Il biondo aveva smesso di combattere – come quella volta sull’Helicarrier – e sembrava che le parole appena ascoltate lo avessero scombussolato molto di più delle botte prese.
 
“Ti ho sempre protetto e continuerò a farlo, fino alla fine. Non mi importa quanto forte tu sia diventato.”
Fu allora che Bucky ritrasse il braccio di metallo, liberando il compagno.
 
“A quanto pare non abbastanza forte da metterti con le spalle al muro.”
Steve piegò le labbra in un mezzo sorriso teso e rilassò le spalle.
Lo sguardo di James non era più terribilmente freddo e distaccato, anche se era ancora visibile una vivida scintilla di rabbia.
 
“Tu non vuoi mettermi con le spalle al muro, a meno che non sia costretto da serie motivazioni imprescindibili.”
 
“Io…”
 
“Ogni volta che venivi rifiutato da un centro di arruolamento, non riuscivo ad evitare di provare un certo senso di sollievo. Era più forte di me. Potevo proteggerti da bulli o da bastardi malintenzionati con cui attaccavi briga senza esitazione. Ma il campo di battaglia non era nemmeno lontanamente paragonabile ai vicoli di Brooklyn e io non avrei potuto proteggerti.”
 
Steve rimase in silenzio. Non disse niente nemmeno quando Bucky si lasciò sfuggire una breve e risata, esternando una tensione non indifferente.
 
“Poi sei venuto a recuperarmi. Quando ho capito che eri tu, non sapevo se essere disperato o felice di vederti. Perché nonostante lo straordinario cambiamento, per me sei rimasto il piccoletto di Brooklyn tanto scemo e sempre a caccia di risse. Solo che adesso non lo sei più.”
 
“Buck…”
 
James gli afferrò la spalla con la mano destra e la strinse con decisione.
 
“Sei cambiato. Sei maturato. Avere la possibilità di vedere chi sei diventato in mia assenza…”
Bucky esitò, ma non distolse lo sguardo dalle iridi azzurre e liquide del compagno.
“Sono fiero di te, Stevie, nonostante il tuo spirito di conservazione faccia più schifo di quanto ricordassi.”
 
Fu istintivo da parte di Steve muoversi per poter stringere Bucky in un abbraccio tremendamente sentito.
Tuttavia, il moro poggiò con decisione il palmo della mano umana sul petto del compagno e lo spinse indietro, di nuovo con la spalle contro il muro.
 
“Sono ancora arrabbiato con te.”
 
Steve, suo malgrado, sorrise.
“Allora lasciami solo dire che ti vorrò sempre al mio fianco e che avrò sempre bisogno di te. Non hai idea dei grossi casini che ho combinato dal momento in cui mi hai lasciato solo.”
 
“Ti sbagli. Ho idea, dato che la volta in cui ti ho lasciato solo per un po’ più di tempo del solito, ti sei arruolato.”
 
Risero.
Niente era stato in grado di dividerli. Gli eventi ci avevano provato a tenerli lontani e ci erano riusciti per settant’anni, ma alla fine si erano ritrovati e si erano salvati a vicenda, come avevano sempre fatto e come avrebbero continuato a fare, fino alla fine.
 
 
 
 
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Quando il Triskelion era crollato e con esso sia l’Hydra sia lo SHIELD, Daniel aveva provato sentimenti contrastanti, non tanto riguardanti la necessità di un’azione tanto drastica, ma per quello che sarebbe stato il suo futuro da quel momento in avanti.
Non si era mai considerato un tipo brillante e dalle capacità eccelse. Eppure, in qualche modo, era stato notato dallo SHIELD.
Ancora oggi si chiedeva cosa avesse effettivamente spinto lo SHIELD a reclutarlo. Okay, aveva ottime qualità atletiche, sapeva lavorare sodo senza lamentarsi e non si tirava mai indietro di fronte ad una situazione difficile.
Prima dello SHIELD, si era infilato parecchie volte in situazioni difficili, a causa della grossa insofferenza verso bulli, sbruffoni e malintenzionati che credevano di avere il diritto di giocare con le vite delle persone. Ne aveva prese e date parecchie. Una volta si era rotto persino il naso e il setto era rimasto leggermente deviato verso destra.
Non era mai stato capace di starsene in disparte. La superiorità numerica o fisica degli avversari non l’avevano mai spaventato. La sensazione di essere riuscito a difendere qualcuno gli bastava per ignorare ogni conseguenza delle sue azioni – a volte decisamente avventate.
Entrare a far parte dello SHIELD era stata la grande svolta della sua vita e la convinzione che quella fosse la strada giusta non l’aveva mai abbandonato, almeno fino al crollo del Triskelion. Quel giorno aveva perso parecchie certezze, soprattutto perché l’idea di aver aiutato l’Hydra in qualche modo lo aveva logorato a lungo.
Aveva accettato di lavorare della CIA più per inerzia che per desiderio. Non se l’era passata troppo male, anche se fidarsi del prossimo era diventato alquanto difficile.
Sharon lo aveva aiutato parecchio e si era trovato bene a lavorare con lei. Il capo, Everett Ross, era un uomo che rispettava, nonostante potesse apparire duro, maniaco del controllo e antipatico a tratti. Everett aveva saldi valori, rispettava i superiori, evitava contrasti con i piani alti e sapeva prendersi cura dei suoi sottoposti.
Da quando era alla CIA, però, Dan si era reso conto di aver perduto la determinazione che lo aveva sempre contraddistinto. Inoltre, aveva preso parecchio male il fatto di dover fare da carceriere ai Vendicatori. Tuttavia, dal momento in cui aveva messo piede alla Tower, aveva smesso di provare il pensante senso di apatia che l’aveva accompagnato come un’ombra. Aveva ripreso ad allenarsi nei momenti liberi e, ora che sapeva dell’esistenza del nuovo SHIELD, aveva tutta l’intenzione di tornare a farne parte una volta concluso il contratto con la CIA. O almeno, quello era stato il suo piano, finché la sera prima non aveva ricevuto una chiamata da Ross in persona.
 
Adesso, Dan era seduto sul letto della sua camera a New York, quella messa a sua disposizione dalla CIA per poter svolgere il compito che gli era stato assegnato.
Non aveva chiuso occhio per tutta la notte, a causa dell’eccitazione, e stava ancora cercando di metabolizzare la notizia ricevuta, ma continuava a fallire abbastanza miseramente. Difatti, iniziò a ridere come un perfetto idiota e ci mancò poco che prendesse a saltellare sul letto.
Poco dopo aver ricevuto la notizia, si era dovuto pizzicare le guance un numero sorprendentemente elevato di volte e aveva finito per indolenzirle. Poco male, perché così aveva almeno avuto la certezza che non stava sognando.
 
Non si era mai considerato un tipo brillante e dalle capacità eccelse.
Era un disastro in tante cose e le sue capacità di relazionarsi si incartavano spesso in balbettii sconnessi o in momenti logorroici. Nonostante tutto, doveva essere bravo nel lavoro che aveva scelto di fare, altrimenti non si spiegava perché Capitan America aveva scelto lui.
Gli era infatti stato comunicato che, sotto richiesta di Capitan America, faceva adesso parte della squadra che avrebbe affiancato il Capitano stesso durante il periodo in cui quest’ultimo avrebbe lavorato per Ross.
Daniel avrebbe lavorato al fianco di Steve Rogers.
La cosa lo stava facendo uscire fuori di testa e già iniziava a sentire l’ansia da prestazione. Avrebbe fatto in modo di non deludere Steve e di non fargli rimpiangere di averlo scelto. Si sarebbe guadagnato il suo rispetto e la sua fiducia, eccome se lo avrebbe fatto. Era pronto a tutto.
 
Mentre si perdeva fra brodi di giuggiole ed elucubrazioni mentali un po’ troppo esagitate, non fu abbastanza attento da sentire un deciso bussare alla porta e nemmeno notò la persona che, senza attendere il permesso, entrò nella stanza.
 
“Metti via quel sorrisetto da ebete e prepara i bagagli, Dan. Dobbiamo partire fra qualche ora. Tutta questa sovraeccitazione potrebbe mandarti in tilt il cervello, sempre che non l’abbia già fatto.”
 
Daniel si riscosse e quasi gli venne un colpo nel ritrovarsi Sharon a pochi passi. Cercò mettere su un’espressione che fosse seria e concentrata. Non gli riuscì molto bene.
“Io... Sì... No... Cioè...”           
 
“Prendi un bel respiro, Collins” lo riprese allora la collega, trattenendo a stento una risata.
 
Il ragazzo obbedì e solo allora riacquistò un certo equilibrio mentale.
“Ci sarai anche tu? E come farai con James Barnes? E i controlli alla Tower?”
 
“Ci sarò anche io. Per il resto, ti spiegherò tutto mentre raggiungeremo la Tower. Quindi muoviti a preparare le tue cose.”
La Carter si lasciò sfuggire un sorrisetto divertito. Sapeva quanto fosse importante quel momento per Daniel, ma doveva essere certa che lui rimanesse concentrato. Riponeva grande fiducia nelle abilità del ragazzo, perché sul campo tirava fuori capacità invidiabili, sia di gestione della situazione sia di combattimento. E poi era riuscito ad attirare l’attenzione di Steve e questo era un gran dire.
 
“Okay, sarò una scheggia!”
 
“Certo, Scheggia. Ci vediamo fra un po’, allora.”
 
 
 
 
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“Queste dove le metto? Borsone o valigia?”
 
“Valigia.”
 
Anthea sistemò le maglie, precedentemente piegate ed impilate, in un angolo della valigia, la quale si stava lentamente riempiendo, mentre armadi e cassetti si svuotavano.
Osservò Steve sistemare la divisa stealth nel borsone, assieme ai guanti e alla cintura. Era dalla sera prima che non riusciva a sciogliere un fastidioso nodo formatosi nella gola e lo stava odiando con tutta se stessa quel maledetto nodo. Le riusciva difficile anche parlare, dannazione.
Raccolse dal pavimento l’elmetto e si avvicinò a lui per porgerglielo.
 
“Grazie” le disse il biondo, che si limitò a toglierlo dalle sue mani e a poggiarlo sul letto, senza staccarle gli occhi di dosso.
 
“Senti, Anthea...”
 
“No, non farlo. È tutto okay. Starai via un mese, non stai mica scomparendo per sempre. E poi ti raggiungeremo presto e comunque dovremmo occuparci dell’Hydra quindi riusciremo a vederci di tanto in tanto, basta che tu stia attento… e poi possiamo sentirci quindi non c’è nessun problema e qui ci sono tutti gli altri… andrà bene e devo assolutamente smetterla di blaterale come una pazza.”
 
Steve rise e si chinò a baciarla, mentre l’afferrava per i fianchi per attrarla a sé. Anthea gli circondò il collo con le braccia e lo tirò a sua volta contro di lei.
 
“Questo mi fa stare peggio, ma continua pure” gli disse, ad un soffio dal viso. Il nodo in gola pareva essere divenuto più stretto e iniziò a percepire un certo senso di nausea.
 
“Andrà bene e ...” iniziò il super soldato, ma venne prontamente interrotto.
 
“Direi che ho già parlato abbastanza per entrambi, quindi sta’ zitto e torna a fare ciò che stavi facendo.”
 
Steve non se lo fece ripetere e riprese a baciarla con trasporto. Riusciva a capire il turbamento che l’aveva resa più emotiva del solito, perché era lo stesso che stava provando lui, solo che si era ripromesso di esternare tranquillità e sicurezza, in modo da renderle le cose meno complicate. Solo il giorno prima le aveva detto che voleva rimediare, supportarla come lei aveva supportato lui, invece stava andando via.
Quando le aveva parlato della proposta di Ross, Anthea aveva assunto un’espressione di semplice e pura rassegnazione. Non si era opposta, in nessun modo. Durante il confronto avuto con gli altri Vendicatori, non aveva spiccicato parola e si era limitata ad ascoltare.
Quella notte avevano entrambi faticato a prendere sonno e avevano rinunciato a parlare di qualsiasi cosa praticamente da subito. Anthea aveva preferito fargli capire quanto fosse frustata e quanto le sarebbe mancato in altri modi. Steve sperava che anche lei fosse riuscita a capire quanto gli era costato prendere quella decisione.
La distanza che li avrebbe separati sarebbe stata niente, rispetto quella che li aveva tenuti lontani per quasi tre anni. Era necessario, almeno all’inizio, fare in modo che Ross non avesse nulla da ridire o da recriminare, quindi dovevano assicurarsi di seguire le regole concordate.
Quando la sera prima aveva chiamato Ross, Steve non si era aspettato tanta calma e accondiscendenza da parte dell’uomo.
Gli aveva comunicato di voler scegliere lui alcune delle persone che lo avrebbero affiancato e di cui si sarebbe quindi potuto fidare. Una volta fatti i nomi delle suddette persone, Ross aveva acconsentito.
Ovviamente, Steve ne aveva prima parlato con Sharon e, una volta venuta a conoscenza della situazione, lei aveva accettato senza esitare e gli aveva garantito che Collins sarebbe stato assolutamente d’accordo.
Per quanto riguardava il caso Hydra, qualunque azione sarebbe dovuta passare sotto l’approvazione di Ross e su quel punto Rogers non aveva potuto insistere troppo. Allora aveva chiesto di poter avere a Washington alcuni dei suoi compagni. Il Segretario aveva immediatamente affermato che avrebbe preso in considerazione la cosa, solo dopo aver valutato il suo rendimento nel primo mese di servizio. Praticamente, Ross non voleva altri Vendicatori fra i piedi durante il primo mese, a meno di un’approvazione di un intervento richiesto dal Capitano e che necessitasse della loro presenza.
Il mese di prova – così lo aveva chiamato Tony – sarebbe servito a Ross per verificare che Rogers fosse effettivamente disposto ad eseguire i suoi ordini. Se Rogers avesse fatto il bravo soldato, allora Ross gli avrebbe concesso di più.
Steve aveva evitato di pensarci troppo su, perché quell’idea del dare e avere non lo faceva sentire molto in pace con se stesso. Aveva poi chiesto al Segretario se sarebbe stato possibile incontrarsi con gli altri Vendicatori e lui gli aveva riposto che sì, sarebbe stato possibile, a patto che rimanesse a Washington e che non fosse di intralcio al lavoro.
 
“Devi stare al suo gioco. Comportati come quando eri nello SHIELD, prima che iniziassi a dubitare” aveva detto Natasha.
Poteva farlo, giusto? Doveva. Non sarebbe stato vincolato a Ross a vita e, per i suoi compagni, si sarebbe sforzato di essere più collaborativo. Sarebbe potuta andare molto peggio e contava sul fatto che, magari, Ross avrebbe iniziato a dargli più ascolto e ad essere più collaborativo a sua volta – a detta di Bruce, doveva tenere le aspettative a riguardo parecchio basse.
 
“Sam ha detto che mi farà visitare New York, dato che non saremo più agli arresti domiciliari.”
 
Anthea lo distolse dal corposo flusso di pensieri e quella novità gli fece sollevare un sopracciglio.
“Ha detto così?”
 
“E ha detto che convincerà anche James.”
 
Nonostante stesse cercando di simulare un’espressione offesa, perché lui non avrebbe potuto unirsi, Rogers sperava che Sam riuscisse davvero nell’impresa di far vedere a quei due qualcosa di diverso dalle basi dell’Hydra. Sapere che i suoi compagni sarebbero stati liberi di muoversi a loro piacimento e sapere che avrebbero potuto prendersi una pausa da tutta la complicata situazione iniziata tre mesi prima, lo rendeva più sicuro circa la decisione presa.
 
“Se tu dovessi scoprire che quella di Ross è solo una farsa per riuscire dove Lewis e Benson hanno fallito, non esitare a metterti in contatto con me in qualsiasi modo.”
Agli occhi di Anthea, Ross non era troppo diverso da Benson. Lei proprio non riusciva a fidarsi e poteva dimenticarsi sonni tranquilli per un po’.
Sapeva di essere iperprotettiva in alcune occasioni, ma aveva tutte le ragioni per esserlo, considerando gli ultimi eventi che avevano coinvolto Steve.
Era più forte di lei. Non era in grado di tenere a bada l’istinto di porsi fra lui e chiunque volesse fargli del male.
“Sembra che non riusciamo a stare nello stesso posto per troppo tempo” aggiunse alla fine l’oneiriana e, con un gesto impacciato, sistemò dietro l’orecchio una ciocca di capelli, tornati ad essere abbastanza lunghi da coprirle interamente le scapole.
 
“Ma stiamo migliorando” affermò sicuro Steve e le strappò un sorriso.
 
Finirono di sistemare tutto il necessario. Rogers indossò gli stessi vestiti – lavati dopo lo scontro con Bucky – del giorno prima, mentre Anthea si limitò a infilare un paio di scarpe da ginnastica, dato che aveva già addosso una tuta nera non troppo attillata e una maglietta grigia appartenente al Capitano – c’era persino scritto Rogers sul bordo della manica destra. Quando lei aveva fatto per toglierla, in modo da poterla sistemare in valigia con le altre, lui le aveva detto di tenerla.
 
Uscirono dalla stanza e trovarono James ad attenderli, anche lui comodamente in tuta come l’oneiriana e con il ciuffo moro che gli ricadeva disordinatamente sulla fronte.
 
“Niente allenamento alle prime luci del mattino?” domandò Steve, mentre posava a terra il borsone e lasciava il manico della valigia.
 
“Passo. Ieri ho dato abbastanza.”
James indicò il naso leggermente livido del biondo e sorrise in maniera abbastanza compiaciuta.
 
“In realtà si allenerà con me più tardi. Devo ancora finire di perfezionare lo stile di combattimento, visto che tu hai lasciato il lavoro a metà” fece presente Anthea e si finse profondamente oltraggiata dalla mancanza di Steve, tanto che lui le rivolse uno sguardo dispiaciuto.
 
“Quindi diventerai metà Capitan America e metà Soldato d’Inverno? Sarai il Capitano d’Inverno. Potrebbe essere il tuo alias.”
 
“Non ho bisogno di un alias, Sam, ne abbiamo già parlato.”
Anthea incrociò le braccia sotto il seno e accolse Wilson con un sorrisetto divertito.
 
“Cosa ci fai tu in piedi a quest’ora?”
 
“Colpa vostra, Steve. State facendo troppo rumore.”
 
“Lo penso anch’io. C’è gente che vorrebbe riposare al piano di sopra.”
In qualche modo, anche Tony spuntò dal breve corridoio di ingresso dell’appartamento che Rogers e Barnes condividevano, arrivando nel piccolo soggiorno riempito da un divano e qualche mobile di contorno.
 
“Anche ai piani di sotto, in realtà.”
Le parole di Clint seguirono quelle di Tony. Con l’arciere c’erano Natasha e Bruce.
 
“Questo posto si è fatto parecchio affollato.”
Anthea era contenta di vederli riuniti lì – l’assenza di Thor si faceva sentire in quel momento – nonostante la sera prima Steve aveva fatto intendere che non erano necessari saluti, considerato che sarebbe stato solo a quattro ore di auto e, passato il primo mese, sarebbe stato possibile vedersi al di fuori del lavoro. Non c’era affatto bisogno di farne una specie di dramma.
Di fatto, non ci furono saluti. Si limitarono a parlare di quanto fosse presto e del fatto che Rogers avrebbe almeno dovuto far trovare loro una colazione decente, dato che era lui la causa che li aveva tirati giù dal letto. Discussero su chi avrebbe preso il comando e Stark fu piuttosto convincente sul perché avrebbe dovuto essere lui – la minaccia di sfratto sortì gli effetti desiderati.
Passata una mezz’ora, senza che ci fossero troppi convenevoli o momenti di tensione, gli Avengers lasciarono l’appartamento uno dopo l’altro.
 
A parte James e Anthea, fu Tony quello che si trattenne ancora un po’.
“Tienimi aggiornato” disse, mentre si premurava di guardare Rogers dritto negli occhi.
“Lo farò. Lascio il resto a te, Tony.”
Dopo essersi scambiati un ultimo sguardo, tramite cui riuscirono perfettamente a comunicare senza bisogno di scomodare ulteriori parole, Tony seguì i passi dei compagni che si erano ritirati prima di lui.
 
 
James e Anthea accompagnarono Steve fino al parcheggio sotterraneo, dove trovarono Sharon e Daniel in attesa.
Erano appena le sette del mattino e c’era una calma quasi surreale.
 
“Gli uomini di Ross sono già qui?” chiese il Capitano, dopo aver saluto i due agenti.
 
Sharon scosse il capo.
“Non ancora. Potrei sfruttare l’occasione per la firma di fine rapporto con James? Ho con me i documenti e dovrei avere una penna nell’auto.”
La donna indicò l’Audi A1 grigia messa a disposizione degli agenti della CIA. Era in un angolo del parcheggio abbastanza distante da dove si trovavano.
“Nessun problema” risposero all’unisono i due super soldati e la Carter rispose con un “Ottimo” arricchito da un sottile ma percepibile entusiasmo.
 
Una volta che James e Sharon si furono allontanati, fu Daniel a rompere il silenzio, non senza una certa agitazione.
“Capitano Roge... Steve, volevo ringraziarti per questa opportunità. Darò il massimo.”
Il giovane si trattenne dall’abbracciare Rogers, perché aveva la quasi certezza che non fosse molto professionale, e si limitò ad una energica stretta di mano.
Steve sorrise e ricambiò la stretta, mentre Anthea tratteneva a sento una risata, perché la faccia di Daniel Collins, decorata da un paio di profonde occhiaie da insonnia e illuminata da un sorriso a trentadue denti, era qualcosa di buffissimo.
L’oneiriana si prese un momento per studiare il ragazzo. Doveva avere solo qualche anno più di lei e i tratti del viso non erano ancora quelli propri di un uomo maturo. Aveva occhi azzurri, limpidi e dal taglio morbido, impreziositi adesso da un luccichio di puro entusiasmo. I capelli scuri erano stati sistemati con scarsa attenzione e il corto ciuffo sbarazzino puntava ostinatamente verso l’alto. Era leggermente più alto di lei e aveva un fisico slanciato, coperto ora da cargo neri e da una felpa rossa che gli calzava leggermente grande.
Il ragazzo le trasmetteva sensazioni positive.
Doveva averlo osservato con un po’ troppa insistenza, perché Dan spostò lo sguardo su di lei e le rivolse un sorriso impacciato.
 
“Non assecondarlo troppo o si monterà la testa. Quando esagererà, e lo farà, ricordagli che è un idiota avventato” disse allora lei, con tranquillità, e fece a Daniel un occhiolino di complicità, provocando il colorirsi repentino delle sue guance.
 
“Reyes” si sentì in dovere di richiamarla Rogers e il suo tentativo di ostentare una certa autorità gli riuscì piuttosto bene.
Peccato che Anthea rise e Dan, un po’ per la tensione che si sciolse e un po’ per il fatto che la risata di lei risultò contagiosa, si lasciò sfuggire una mezza risatina, che soffocò non appena incontrò lo sguardo di Steve.
“Anche quelle occhiatacce... non farti intimorire troppo. Però se la ruga fra le sue sopracciglia si fa profonda, come in questo momento, meglio battere in ritirata.”
L’oneiriana lasciò un’amichevole pacca sulla schiena del super soldato, come chiaro segno di tregua.
 
La prima volta che Daniel aveva visto Anthea era stata quando lei era sbucata dall’ascensore insieme a Steve, con indosso vestiti un po’ troppo grandi per la sua corporatura. Aveva incrociato lo sguardo con lei per un brevissimo attimo, eppure era rimasto impressionato dalla profondità delle sue iridi magnetiche. Dopo quel giorno, l’aveva vista parecchie volte negli ultimi due mesi, a causa della sorveglianza svolta alla Tower, e lei era sempre stata cordiale con lui.
Era indubbio che fra la Reyes e il Capitano ci fosse un rapporto particolare, ma non li aveva mai beccati – non che andasse in giro per la Tower a fare lo stalker, ovviamente – mentre scambiavano effusioni di qualunque genere. Però, qualche commento poco discreto di Tony Stark l’aveva sentito. Inoltre, c’era il fatto che lei indossasse di tanto in tanto – e anche in quello stesso momento – indumenti che Dan era certo di aver visto addosso a Steve. E poi esistevano altre prove abbastanza evidenti, come il loro modo di interagire, le occhiate che scambiavano e i contatti apparentemente casuali.
La Reyes aveva sempre conservato un’aura di mistero ai suoi occhi. Dai fascicoli aveva appreso che non era del tutto umana e diverse volte si era interrogato sulle sue reali abilità, dato che non l’aveva mai vista in azione. Di certo, il suo fisico sembrava essere stato progettato e costruito in modo da conferirgli una forza ed una elasticità invidiabili e forse quell’ultimo pensiero era leggermente inficiato dal fatto che lui fosse pur sempre un venticinquenne con ormoni funzionanti - e lei era attraente e magari poteva anche evitare di pensarlo in momenti poco opportuni.
Forse ci sarebbe stata occasione per lavorare con la Reyes un giorno, considerando che lei lavorava con Steve, cosa che da oggi avrebbe fatto anche lui.
 
 
Nel frattempo, chiusi in macchina, James e Sharon avevano sistemato le carte che avrebbero riportato tutte le informazioni raccolte dalla donna durante il periodo di supervisione.
 
“Quindi da adesso non abbiamo più alcuna relazione professionale” constatò Barnes, mentre restituiva la penna alla Carter.
“Esattamente.”
Lei prese la penna e la mise via, senza fare troppa attenzione a dove l’abbandonava.
“Bene.”
James baciò Sharon senza il minimo preavviso e lei ricambiò non appena registrò ciò che stava effettivamente accadendo. Si divisero dopo un lungo istante.
“Ci sentiamo allora” disse lei, con il fiato ancora corto e gli occhi liquidi.
James annuì e scambiò con Sharon un ultimo bacio. Poi si ricomposero ed uscirono dall’auto.
Furono sollevati nel vedere che gli altri stavano ancora parlando fra loro e non esternarono alcun segno di sospetto.
“Tienilo d’occhio per me” le sussurrò il moro, prima che fossero notati.
“Contaci” rispose la donna, mantenendo lo sguardo dinanzi a sé.
 
 
La macchina mandata da Ross giunse pochi minuti dopo. Era ora di andare.
 
“State lontano dai guai e non fate niente di stupido.”
“Dici a noi?” chiesero quasi nel medesimo istante Bucky e Anthea. Le occhiate che rivolsero a Steve furono piuttosto eloquenti.
“Non vedo altre persone nei paraggi.”
“Divertente” celiò la ragazza e, prima che Rogers potesse allontanarsi, si avvicinò a lui e lo baciò con un certo trasporto, fregandosene del fatto che non fossero soli.
 
Il sorrisetto di Bucky fu impagabile.
 
 
 
 
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Il passaggio che sfrecciava fuori dal finestrino non era nuovo per nessuno di loro. La macchina era parecchio spaziosa e in tre si stava abbastanza comodi sui sedili posteriori. Dan si era ritrovato in mezzo fra Steve e Sharon.
I sedili anteriori erano occupati da una donna – al volante – e un uomo, mandati da Ross per scortarli fino a Washington.
 
Viaggiavano da una mezz’ora, quando il cellulare di Collins iniziò a riprodurre la voce di Bon Jovi che intonava It’s my life.
Dan si affrettò a rispondere, cercando di celare l’imbarazzo dietro un atteggiamento che fosse professionale, peccato che l’interlocutore non glielo permise più di tanto.
 
“Sì, sto bene. So di non essermi fatto sentire molto, ma ho avuto tanto da fare.”
Dan rimase in silenzio per qualche attimo, in ascolto.
“No, non posso passare a trovarti questo fine settimana. Mi trasferiscono in una filiale a Washington.”
Un altro lungo silenzio.
“Non ho fatto alcun... danno” l’ultima parola, Collins la disse a voce molto bassa.
“Il lavoro a Manhattan è semplicemente finito” aggiunse, piccato.
Non molto dopo, il moro sbuffò e pinzò il proprio naso fra pollice e indice.
“No, non ho ancora una ragazza e la mia vita sentimentale non è un disastro. Sono solo troppo occupato.”
 
Steve sorrise dietro le nocche della mano su cui aveva poggiato il mento, mentre il gomito era ben piazzato sul bordo del finestrino.
 
“Prometto che verrò a trovarti presto e sì, ti chiamerò più spesso.”
Dan rimase in ascolto qualche altro istante, prima di parlare ancora.
“Non preoccuparti troppo per me e ti voglio bene anch’io, mamma” ammise, con tono più morbido, per poi salutare e chiudere la telefonata.

“Le dici sempre che ti farai sentire più spesso, ma non lo fai mai” disse a quel punto Sharon e si godette appieno l’imbarazzo che colorò di rosso le guance del moro.

“La chiamo almeno una volta a settimana e poi non è così facile inventarsi balle su una vita che non esiste. Sono costretto a raccontarle del mio lavoro da consulente aziendale e a trovare giustificazioni sulla mia non rintracciabilità prolungata quando affrontiamo lunghe missioni sotto copertura. E io sono pessimo a mentire” si giustificò Dan.
 
“Deve essere dura non poter parlare del lavoro che fai con la tua famiglia” convenne a quel punto Rogers.
 
“A volte lo è… ma non ho intenzione di mollare. Questa è la mia strada.”
 
La determinazione di Collins era palpabile e Steve fu ancora più certo di aver fatto la cosa giusta nel voler portare il ragazzo con sé.
 
“Posso chiederti una cosa?”
Daniel si rivolse direttamente al Capitano e assunse un cipiglio serioso.
 
Steve annuì.
 
“È vero che durante la missione della Lemurian Star ti sei lanciato dal Quinjet in volo senza il paracadute?”
   
 
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