No time for Regrets
Clack
«Allora, cosa vuoi? Perché sei qui?»
La voce di Jungkook era gelida. Non solo: mostrava
una rabbia latente pronta ad esplodere da un momento all’altro, una bomba ad
orologeria che inevitabilmente sarebbe arrivata allo zero. Questo Jimin lo aveva colto nel momento stesso in cui era entrato
nella stanza accompagnato da Namjoon: in quel preciso
istante stava detestando l’essere stato lasciato solo con lui. Perché non
poteva semplicemente fare la sua parte intraprendendo il duro percorso di
training verso la realizzazione del proprio scopo? No, doveva andare a sbattere
ripetutamente contro una figura rigida come la pietra ed empatica come il
ghiaccio. Che aveva fatto poi? Ancora doveva scoprirlo e sapeva che se non ci
fosse riuscito in quel momento esatto, sarebbe esploso.
Inspirò, ricostruì il miglior sorriso di convenienza che sarebbe stato in grado
di gestire e rispose: «Namjoon mi ha detto d’aver
bisogno di me, mi ci ha letteralmente trascinato.»
Bene, ottimo, suonava come una scusa ed era esattamente il contrario di ciò che
aveva in mente. Si trovava lì suo malgrado e cominciò a pensare, in un
recondito angolino della sua testa, che il nuovo compagno l’avesse fatto
apposta, trascinandolo di proposito in una simile situazione per poi darsela a
gambe con Yoongi, abbandonandolo all’interno di una
sala studio. Non ricevette risposta, come s’aspettava d’altronde. Uno guardava
i libri aperti sulla scrivania, le braccia conserte a tentare di dare
attenzione a qualcosa che stava detestando quasi più della presenza inopportuna,
mentre l’altro se ne stava ad una distanza minima di sicurezza non sapendo cosa
aspettarsi di preciso, oltre all’astio apparentemente immotivato. Non conosceva
ancora il ragazzo che gli stava di fronte ma visti i precedenti incontri…
preferì non azzardare. Si soffermò però ad osservarlo: i tratti delicati di
un’adolescenza da poco iniziata erano incorniciati da corti capelli lisci e
mori, la pelle chiara su cui spiccavano occhi ridotti a due fessure scure
rivolte verso il basso tradiva un pallore evidente.
Disagio, ogni singolo centimetro quadro di quella stanza stava soffocando nel
disagio, ma Jimin se n’era accorto: Jungkook non era in grado di reggere il suo sguardo per più
di un paio di secondi. Pareva d’aver a che fare con un animale ferito e
braccato. Avrebbe tentato un approccio diverso per cercare di smuovere lui e la
situazione, prima di doversene andare per evitare di spezzare definitivamente
un gruppo che sembrava non avere poi così tanto bisogno di lui. Ci provò.
«Matematica? Hai problemi con questa materia? Pensavo tu fossi a scuola durante
la settimana.» La dinamica della sua istruzione non gli era ancora chiara, ma
materie simili avrebbero potuto mettere in difficoltà non pochi, figurarsi seguendo
lezioni intere in completa autonomia. Avrebbe potuto farsi avanti nella
speranza di annullare le distanze, o quanto meno accorciarle in un timido
tentativo di rivalsa verso se stesso e il suo modo
passivo e onestamente non molto coraggioso di approcciarsi alle cose.
«Non me la cavavo male, sai? Potrei darti una mano.»
Si spinse fino al bordo del precipizio decidendo di sua spontanea volontà di
proseguire senza il suolo sotto ai piedi. Sarebbe caduto?
Ovviamente.
Lo sguardo di Jungkook si spostò dai libri a Jimin, fulminandolo.
«Stai insinuando di essere migliore di me?»
Precipitava, i metri a distanziarlo dal suolo si stavano accorciando e la
previsione di completo sfacelo sulle pietre acuminate si faceva sempre più
nitida.
«No, certo che no, stavo solo dicendo…»
«Di saperne più di me.»
Già sentiva il vento sussurrargli di sorridere agli ultimi momenti prima dello
schianto e della dipartita.
«No, dai. Ammetto di andare bene sulle materie scientifiche, ma l’ho detto solo
per poterti aiutare.»
«E chi cazzo te l’ha chiesto?»
Impatto avvenuto.
«Allora?»
Jin aveva raggiunto Namjoon
e Yoongi, dopo aver stressato i due colleghi con
continui messaggi curiosi – impiccioni, fastidiosi, continui – nel tentativo di
aggiornarsi rispetto la situazione attuale.
Intervenne Nam con una pacatezza fuori dal comune:
«sono fiducioso sai? Credo proprio che quei due possano cominciare ad andare
d’accordo.»
Lo sbuffo dell’amico uscì con tale cinismo da ferirlo moralmente, ferire colui
che tanto appoggio stava dando al progetto, se così poteva chiamarsi, che aveva
ideato con Jin per poter permettere una buona
convivenza.
«Niente. Questo qui ritiene basti farli parlare qualche minuto per risolvere la
faccenda. Ridicolo.» Yoongi ne sapeva più degli altri
per puro intuito, e per un fortuito incontro notturno al momento giusto nel
posto giusto. Tutte le supposizioni a cui aveva tentato di dare senso se le era
tenute per sé approcciandosi in modo sempre più diretto a Jungkook
senza mai ottenere altro che piccoli indizi, rare disattenzioni evase dall’ego
di quel ragazzino che stava iniziando a diventare pedante ed esagerato nelle
proprie reazioni. Non solo nei confronti del nuovo arrivato. «Vi siete fermati
a riflettere? Vi siete seduti un momento chiedendovi perché il nostro Jungkook abbia cambiato atteggiamento così, su due piedi?»
Il silenzio fu una risposta più che valida.
Jin si sentì punto nel vivo da quelle parole tinte da
una pennellata di superiorità. «Un giovincello che cambia umore fin troppo
facilmente può essere spinto dagli ormoni, no? Chissà, potrebbe stare meglio
col passare dei giorni. Io ancora adesso sono così, e non ho nemmeno la scusa
dell’età a reggere il gioco. Se dovesse continuare però, inizierebbero a girarmi
davvero i coglioni.»
«Delicatissimo, grazie.»
«Senti Nam, questa storia deve finire. Non lo sai? Ai
piani alti si sono pure lamentati della condotta scolastica del nostro
piccoletto.»
Esattamente come il leader scelto aveva inscenato nelle sue peggiori ipotesi:
non c’era da stupirsene. Ingoiò il boccone amaro, aveva sperato in un unico
momento di distrazione; un calo nello studio poteva caratterizzare chiunque, ma
non potevano certo permetterselo. Dovevano lavorare sodo comunque, senza
mollare, ed il fatto che uno di loro stesse incespicando inesorabilmente verso
le insufficienze, non era buon segno. Si voltarono in due in direzione
dell’altro aspettando un verdetto.
«Non ci arrivate proprio? Potrebbero sbatterlo fuori.»
Jin lo squadrò come a pesare la veridicità delle
parole appena ascoltate per poi scuotere la testa con rabbia in entrambe le
direzioni, aprendo la porta della sala con una spinta a palmi aperti. Entrò a
passo rapido travolgendo letteralmente Jimin per poi
raggiungere lo stesso Jungkook che si stupì della sua
presenza in quel frangente teso e particolarmente fastidioso. Guardò
quest’ultimo con un bagliore per nulla rassicurante a rilucere nelle iridi.
«Adesso gli spieghi che cazzo hai, senza tante storie.»
Il più giovane spalancò gli occhi incredulo.
«Come?»
Il ragazzo invece di ripetere l’affermazione impulsiva avvicinò Jimin spintonandolo verso l’altro portandolo a pochi
centimetri dal suo petto.
«Ecco, ora potete chiarirvi.» Concluse così recuperando la chiave dalla toppa
interna e portandosela via.
Clack.