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Autore: T612    18/08/2020    0 recensioni
L'unica cosa che desidera Kobik è avere una "vita normale": purtroppo tale definizione non tiene conto di una Zarina come madre, un Soldato attaccabrighe come padre ed una intera famiglia adottiva di casi umani.
[What if? - WinterWidow + Kobik]
Genere: Angst, Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: James ’Bucky’ Barnes, Natasha Romanoff/Vedova Nera
Note: AU, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'M.T.U. (Marvel T612 Universe)'
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Codice VIOLA
Protocollo:
Papà paranoico
Missione: Ragno velenoso
Status: (ancora) in corso



 

«Banner, è possibile che mi stia subendo in un colpo solo tutte le influenze che non mi sono preso in ottant'anni?» 

«боже мой, sei proprio un bambino…» sbuffa spazientita Natasha all'ennesima esternazione insofferente del marito, il quale non demorde e la placa per tempo, puntando lo sguardo febbrile ai piedi del letto prima di colpirla alla coscia con un movimento leggero del piede. 

«Sono fuori allenamento con questo genere di cose… nemmeno un raffreddore dai tempi del bunker ed ora mi sento uno zerbino.» brontola James con tono volutamente vittimista e fin troppo consapevole di non racimolare nemmeno un grammo di compassione da parte della donna, inghiottendo a secco le pasticche che Banner gli porge al momento prima di puntarlo come un segugio in attesa di una risposta. «Allora?» 

«Allora la febbre è scesa a quaranta, ma starai da schifo per un altro paio di giorni-…»

«Fino a quando non si rigenerano i litri di sangue persi e la schiena non guarisce del tutto, lo so.» sbuffa l'uomo schiantandosi di peso contro i cuscini, palesando una spiccata irritazione per la sua attuale condizione clinica, pentendosi del gesto compiuto quando le vertebre protestano e scricchiolano alla pressione improvvisa contro il materasso. 

«Visto che lo sai, possiamo tornare a concentrarci?» lo interroga la compagna scoccandogli uno sguardo in tralice che prometteva una morte lenta e dolorosa alla prossima interruzione, torcendosi le dita per trattenersi dal stampargli una cinquina in volto. «Qual è l'ultima cosa che ricordi?» 

«Te, любовь моя, e il tuo meraviglioso gancio destro che mi ha fatto vedere le stelle.» ribatte l'uomo svogliato, premendosi i palmi contro le orbite trattenendo una smorfia di dolore alla fitta lanciatagli dal cervello quando i neuroni scorrazzano liberi in cerca di una risposta e finiscono per scontrarsi contro un muro, puntando poi lo sguardo sul drappello di impiccioni che piantonava apprensivo il suo capezzale. «Ve l'ho già detto cosa ricordo, non ha senso ripetermi… ora mi lasciate dormire?»

«Prima mangia qualcosa.» interviene Steve anticipando la preannunciata sfuriata di Natasha, la quale si limita a comprimere le labbra e posare lo sguardo sul vassoio di cibo salutare e intonso abbandonato a sé stesso sul comodino. 

«Non ho fame.» replica l'uomo laconico, rigirandosi su un fianco e scontrando lo sguardo contro gli occhi curiosi e analitici di Kobik, la quale scalcia nel vuoto annoiata, appostata di vedetta sulla poltroncina a fianco della branda, mettendola a fuoco per la prima volta da quando James si era svegliato quella mattina. «Tu non dovresti essere a scuola, Pulce? Il venerdì hai mate-…» 

«È sabato, papà.» lo ferma Kobik conciliante prima che lui possa ricapitolare il suo intero orario scolastico pur di sfuggire dalla conversazione in corso, trovando un alleata in Yelena, la quale per solidarietà clinica suggerisce scorbutica una pausa pranzo per lasciarlo riposare qualche ora. 

Il corteo se ne va silenzioso, avviato pian piano da Steve quando chiude la custodia del tablet con cui stava prendendo appunti, Yelena si era accodata con aria stanca ed un pallore preoccupante a segnarle ancora l'incarnato, mentre Bruce si era rassegnato a riassumere l'ordine di assunzione dei farmaci picchiettando con il dito contro il tappo dei flaconi arancioni prima di andarsene. 

«Tu non hai fame, моя дорогая?» chiede Natasha prima di chiudere il drappello oltrepassando la porta, puntellandosi allo stipite riservando le proprie attenzioni esclusivamente alla figlia, ancora intestardita nel ignorare James. 

«Adesso arrivo.» concede la piccola affidandosi alla deduzione logica della sua mamma nel credere che lei volesse semplicemente assicurarsi personalmente dello stato mentale di James, aspettando che Natasha si porti lontana dalla soglia prima di sussurrare la sentenza. «Stai morendo di fame, Bucky-bukaroo.»

James rinuncia a priori nel campare una scusa per aria con la quale giustificarsi, consapevole che Kobik era in grado di guardare agli esseri umani come ad un enorme "Allegro Chirurgo" organico, studiandola curioso mentre lei si arrampicava sulla branda a fianco e si tuffava nella borsa di Natasha cercando il portafoglio. 

«Quanto è saggio far arrabbiare Talia, ora come ora?» lo interroga la piccola porgendogli il proprio tesoro, puntando uno sguardo scettico sul vassoio abbandonato sul comodino. «Il tuo stomaco può digerire anche le pietre, ti procuro qualcosa di più buono se vuoi.»

James si apre in un sorriso malizioso di fronte alla logica inconfutabile appena sviscerata dalla piccola, avanzando l'ipotesi di un cheeseburger con doppio formaggio e salsa barbecue, porgendole il contante da far materializzare nel vasetto delle mance abbandonato sul bancone del Burger King per equiparare il furto dalla catena di montaggio nelle cucine. 

«Mamma é già arrabbiata con me per una lista infinita di motivi, un attentato al mio colesterolo non cambia di troppo le carte in tavola.» garantisce l'uomo euforico, concedendole la sua benedizione e lasciandosi sfuggire un verso soddisfatto quando il panino gli si materializza in mano sostituendosi al contante in un scintillio azzurrino, prendendone un morso che cola formaggio e salsa macchiandosi la maglietta, scrutando critico il disastro compiuto a causa dell'unico arto disponibile al momento. «Mh… amen, Natalia l'avrebbe scoperto in ogni caso.»

«Ora che hai lo stomaco pieno, me lo dici cos'è successo a Chicago e cosa hai fatto per far arrabbiare mamma?» chiede titubante Kobik, molleggiando sui talloni irrequieta memore dell'insegnamento di Natasha, la quale sosteneva che la via alla lingua sciolta degli uomini era attraverso l'appetito… era una sottigliezza capire di cosa fossero affamati, ma la bimba è certa di aver fatto centro quando James riconosce la tecnica e la scruta allibito. «Cosa? Non te l'aspettavi?» 

«Sinceramente? No.» afferma l'uomo pulendosi l'angolo della bocca con il dorso della mano, schiarendosi la voce. «Mamma che ti ha detto?» 

«Assolutamente nulla.» replica Kobik spigliata, smettendo di torturarsi le dita quando lo sguardo di James cade sulle sue mani in una correzione implicita, consapevole di essere quello "malleabile" rispetto alla moglie, tentennando sul farle guadagnare una risposta o meno. «Papà

«Subdola.» ribatte l'uomo assottigliando lo sguardo al suo richiamo, addentando il panino fingendo di prendere tempo. «Sei subdola, tanto quanto tua madre. Cristo

«Allora?» insiste Kobik non riuscendo a fare a meno del sorriso soddisfatto che le incurva le labbra, vedendosi brandire il panino contro. 

«Allora, signorina, fattelo dire da Natalia. Io ho la bocca cucita.» sentenzia James, deducendo di aver tirato troppo la corda nel sottolineare il grado di parentela acquisita in modo gratuito, intaccando il suo orgoglio nell'essere riuscita a farlo vacillare in un compito in cui lui era un maestro indiscusso. 

«È difficile.» ribatte la piccola, consapevole che la donna fosse un osso dannatamente più duro di James. 

«Ma non impossibile, io ci riesco senza troppi problemi.» scherza l'uomo aprendosi in un sorriso, ricevendo uno sbuffo spazientito in risposta. 

«Tu hai un potere su di lei che io non ho.» gli ricorda Kobik, atteggiandosi alla sua massima interpretazione di "occhi dolci" di cui fosse in grado, strappandogli una risata ed un ordine che le intimava di trascinarsi a pranzo. 

La cucina ospitava solamente Natasha e la sua porzione di pasta fumante quando Kobik si siede al tavolo e tuffa la forchetta nel piatto, rinunciando in partenza al mettersi alla prova, assaporando in silenzio ogni forchettata con aria vagamente abbattuta, sorprendendosi quando la donna – dopo cinque minuti di silenziosa contemplazione ed una attenta valutazione dei pro e dei contro – solleva la manica della maglietta permettendo alla piccola di vedere le macchie violacee che le segnavano la porzione di pelle scoperta. 

«Facciamo un piccolo esercizio di memoria, vuoi?» chiede Natasha prendendola in contropiede, sollevando lo sguardo verde su Kobik al suo cenno affermativo del capo, confusa dall'evoluzione della conversazione. «Ti ricordi in che condizioni ho trovato la zia qualche giorno fa? Cosa ha fatto quando mi ha vista?» 

«Ti ha attaccata perché vedeva il fantasma di Starkovsky [1], non te.» afferma Kobik, deducendo cosa doveva essere successo la notte prima, trovando una valida giustificazione al borsone di armi con cui Natasha era partita da casa, puntando lo sguardo ai lividi spaventata. «È stato Bucky-bukaroo, vero?»

«Sapevo che era una delle possibilità, ero preparata.» replica asciutta la donna tornando a nascondere le ecchimosi sotto la manica della maglietta, liquidando l'argomento con un cenno di noncuranza della mano, arricciando il naso infastidita quando capta la lieve traccia di fritto che Kobik portava impresso sui vestiti. «Cheeseburger?»

«Colpa mia.» si affretta a specificare la piccola, togliendo pretesti per cui i due potenzialmente potessero ampliare la lite, grattando con la forchetta contro il fondo del piatto lustro imbarazzata per essere stata scoperta, realizzando che la propria bravata non era passata inosservata fin dall'inizio come invece pensava. «È stata una trattativa fallimentare.»

«Avresti potuto materializzargli davanti anche una pila di pancake e sciroppo d'acero alta un metro e non saresti riuscita a fartelo dire lo stesso.» spiega la donna con un sorriso, portandole una ciocca bianca dietro l'orecchio in una coccola sfuggevole prima di prelevare il piatto e le posate per depositarle nella lavastoviglie. «A James non piace ammettere quando perde il controllo, si sarebbe inventato qualcosa ed avrebbe cambiato discorso.»

«Quindi ora che si fa?» chiede dubbiosa Kobik, seguendola con lo sguardo mentre avviava l'elettrodomestico e si incamminava in direzione dell'infermiera armata di tablet e blocco degli appunti. 

«Lo sai già, моя дорогая. Ti abbiamo addestrata meglio di così.» ribatte Natasha con ovvietà, sottolineando implicitamente il fatto che avere il midollo ed il sangue di un Soldato ed una Vedova in giro per il Paese era pericoloso quanto la diffusione delle cartelle cliniche dei suddetti, reputando "sconsigliabile" entrare nel mirino di un caso nazionale se la notizia trapelava ai piani alti… e, dato che Yelena e James non si reggevano in piedi, erano giunti alla conclusione che Natasha fosse l'unica con le qualità e le competenze adatte per rintracciare le fiale e mettere a ferro e fuoco tutti i campioni sviluppati in laboratorio. 

Alla fine si era scoperto che, nella sua incredibile idiozia, James era stato lungimirante nel impostare l'invio della posizione GPS ai contatti di emergenza al quinto messaggio senza visualizzazione ne risposta di Natasha. L'uomo aveva ripreso le piste di Yelena muovendo un paio di passi nella giusta direzione, ma alla sua terza richiesta negata di un consulto diretto con Allan Holt in portineria, era stato ripagato con un sedativo per elefanti sparato nel collo ed un viaggio in barella fino al laboratorio nel seminterrato del palazzo… il resto era confuso, James ricordava vagamente le iniezioni ed i prelievi, gli allucinogeni non avevano più gli stessi effetti su di lui come ai tempi del Dipartimento ma non aveva calcolato gli anticoagulanti, riuscendo tuttavia a combatterli quel tanto che bastava per evadere prima della sospensione del cocktail di farmaci studiato per fargli perdere la concezione di tempo, spazio e memoria, rifugiandosi nel primo edificio abbandonato dove era stato recuperato da Natasha – nessuno aveva menzionato il microchip nella protesi che aveva permesso alla donna di rintracciare James eludendo il tranello che voleva attirarla a sua volta nel laboratorio dove era rimasto il cellulare, ed entrambi i suoi genitori avevano taciuto in merito all'attacco violento ai danni di Natasha lasciando cadere nel silenzio la preoccupazione di fondo nel non aver saputo riconoscerla come nemica o alleata… Kobik avrebbe voluto sapere chi aveva visto suo padre al punto da scatenare una reazione omicida, costringendo la moglie a sparargli un tranquillante e trascinarlo di peso a bordo del Quinjet per riportarlo a casa, ma a conti fatti la bimba sapeva che era solo questione di tempo prima che un incubo si materializzasse ai suoi occhi e vedesse di persona il fantasma che cercava aggirarsi per i corridoi di casa mentre James urlava nel sonno confinato nella propria stanza. 

Era ormai tardo pomeriggio quando Natasha si era decisa a caricare James in macchina per riportarlo a casa, vantando la scusante che voleva evitarsi una seconda dormita sulla poltrona in infermeria, imbottigliandosi nel traffico per raggiungere Little Ukraine con l'impianto stereo eletto ad unica compagnia. Kobik, rintanata nei sedili posteriori dietro il guidatore, godeva di un'ottima visuale dell'espressione tirata di James – sguardo febbricitante, pallore cadaverico, mandibola serrata a combattere il mal di testa montante ed un onda anomala di sensi di colpa per le azioni compiute che si infrangeva contro gli scogli dell'orgoglio, perché di quelle possibili reazioni era stato avvisato direttamente dalla moglie a cui non aveva dato ascolto, partendo nel cuore della notte per combattere un mostro che non era riuscito ad uccidere da solo ed ora minacciava coloro che aveva giurato di proteggere. Natasha, di contro, non era furiosa per i lividi che pulsavano ogni volta che cambiava le marce o dolevano in silenzio quando prestava i piedi contro i pedali dell'auto, ma per l'orgoglio ferito di essere stata tagliata fuori e la frustrazione di chi, dopo giorni di esasperante attesa chiedendosi se James fosse vivo o morto, ora si ritrovava una situazione allucinante sulle spalle a cui doveva far fronte da sola. 

Una volta Kobik aveva sentito James dire che Natasha fosse la sua più grande forza, ma allo stesso tempo la sua più grande debolezza… che il suo intero mondo girava intorno a lei – e a Kobik, negli ultimi tre anni, quindi "perderle" era diventata un'opzione esclusa a priori, dogma autoimposto che tuttavia creava più liti di quante ne evitava dato che la moglie si sceglieva da sola le proprie battaglie con o senza il suo permesso, bisticciando per difendere una posizione di speculare predominanza. Kobik sapeva che l'amore che provavano l'uno per l'altra era la stampella che li reggeva in piedi nei momenti di sconforto, ma in quei tre anni di convivenza aveva visto anche come quel sentimento potesse annientarli come nessun altro fattore esterno riusciva – la bimba ricordava fin troppo nitidamente l'aura che regnava tra le mura di casa nei primi mesi di convivenza a Parigi, l'impegno di James nel far funzionare le cose dopo il disastro di Madripoor [2] in contrasto con l'impellente desiderio di fuga di Natasha, che in seguito alle prime settimane di euforia aveva iniziato a percepire le mura di casa come una prigione anche a causa dell'incombenza di essersi ritrovata "madre" senza il minimo preavviso. Era sparita per tre mesi, una mattina Kobik si era svegliata ed aveva trovato James seduto sui gradini che scendevano in strada, una sigaretta tra le dita e la notizia di una "missione" che avrebbe tenuto lontana la sua mamma per un tempo indefinito, spiegandole che lui la capiva, che tornare a vivere in una pelle che non era più la propria era difficile da gestire, che lui per primo era sparito dalla circolazione per anni dopo Washington – Kobik, una delle tante sere in cui suo padre si era perso in contemplazione delle fotografie appese al frigorifero con la testa da un'altra parte, gli aveva chiesto come riuscisse a tollerare l'intera situazione… ricordava che James le aveva sorriso, confidandole che se Natasha voleva sapeva dove trovarlo, che il segreto dietro alla loro relazione leggendaria era nella consapevolezza che lui non aveva nessun diritto nel trattenerla ma le aveva giurato di non sgusciare via dalla sua vita ed abbandonarla, che le porte di casa erano sempre aperte e stava a lei decidere quando farci ritorno, poi le aveva proposto una passeggiata e le aveva comprato un gelato sulla riva della Senna. Natasha era tornata la notte della Bastiglia, James l'aveva portata a vedere i fuochi d'artificio e quando erano risaliti a Place du Tertre l'avevano trovata accampata sui gradini d'entrata, Natasha aveva finto di non ricordare dove avesse lasciato le chiavi di casa e James l'aveva baciata con impeto prima di varcare la soglia, dimenticando all'istante l'intero "inconveniente" durato per tre lunghissimi mesi. 

Ogni volta che litigavano Kobik temeva che quella famosa parentesi graffa arzigogolata potesse ripetersi, non importava se James affermava il contrario ma quei novanta giorni erano stati i più tristi che gli avesse mai visto patire da quando lo conosceva e nonostante Natasha non fosse il tipo di persona propensa a cedere a sentimentalismi, Kobik sapeva che anche per lei il marito era la sua più grande forza e la sua più grande debolezza… e se James, ormai avvezzo della merda fino al collo in cui navigava da sette decenni abbondanti, avrebbe voluto costruire un muro di cinta per proteggerle entrambe, Natasha era più il tipo di persona che in quella stessa merda era finita per navigarci prima per solidarietà, poi per amore ed infine per vincoli matrimoniali, prediligendo un approccio diretto che di solito la vedeva vincitrice per mera forza di volontà uscendone vittoriosa, con la testa decapitata del loro nemico brandita come trofeo e ammonimento nei confronti delle future gorgoni. Il problema era che, nonostante il punto di partenza e di arrivo fosse il medesimo, i suoi genitori adottivi avevano un modus operandi che faceva faville quando si scontravano e le urla erano pressoché assicurate: perché se non si può uccidere né ignorare un problema si grida fino a farsi esplodere i polmoni, vero? 

«Non puoi sapere come sarebbero andate le cose se fossimo stati lì entrambi, Tasha.» afferma James scorbutico a cena conclusa, rassegnandosi a chiamare in campo l'argomento per primo dopo ore di chiacchiere vuote sul filo del rasoio. 

«Ma posso supporlo.» ribatte la donna spigliata, posando il calice sul tavolo con freddezza. «Se tu non avessi avuto le spalle scoperte ora non ci ritroveremmo in questa situazione.»

«Oppure ora avrebbero anche il tuo sangue Tasha, saremmo in tre a non reggerci in piedi e-...» tenta di ipotizzare James pragmatico, mentre Kobik scalcia l'aria sotto la propria sedia e sposta lo sguardo da un capo all'altro del tavolo come se quella in corso fosse una partita di tennis particolarmente avvincente. 

«E cosa? Ci sarebbe il problema di chi mandare, vero?» lo interrompe Natasha, stringendo lentamente le mani a pugno contando fino a dieci, accendendo tuttavia la miccia esplosiva al numero cinque mandando all'aria tutti i suoi buoni propositi. «Perché se solo tu mi avessi aspettato, ora non ci ritroveremmo in questa situazione!» 

«Qualcosa andava fatto, Tasha.» replica James accusando il colpo in silenzio, raddrizzandosi contro lo schienale della sedia preparandosi ad incassare di nuovo. 

«Qualcosa andava fatto sì, ma dopo aver ragionato e vagliato tutte le possibili ipotesi, variabili e soluzioni Yasha!» si infervora la donna al suo tono pacato, riversando all'esterno un'ondata di frustrazione tale da incollare Kobik alla sedia e minacciare l'arrivo di ossigeno al cervello di James alla prima parola sbagliata. « < Non puoi prendere, partire e tuffarti a testa bassa in mezzo ad acque sconosciute! > » 

« < Non sono sconosciute, in questa merda ci sguazziamo entrambi da decenni Natalia! > » sbotta James sbattendo il pugno contro il tavolo, facendo sussultare bicchieri e posate. 

« < Visto che ci sguazziamo da decenni, chi è Allan Holt? Chi è davvero, non ciò che c'è scritto sulla sua pagina di Wikipedia. Quali sono i suoi legami con la Oscorp, il suo interesse nel siero-... > » inizia Natasha sparando sentenze a salve, impilando una domanda frenetica dietro l'altra cercando spasmodica un brandello di informazione dopo giorni di vuoti di memoria o dettagli taciuti per comodità. 

« < Holt è uno scienziato, un luminare a quanto pare. L'unico collegamento con la Oscorp è un finanziamento, che non esclude un fine altruistico, considerate le sue ricerche in campo medico… non tutto ciò che esce dai laboratori di Norman è "radioattivo"! > » specifica James a lingua sciolta, offeso per la sua presunta scarsa attenzione nelle indagini fatte, reggendosi al bordo del tavolo per combattere il giramento di testa e sfidando Natasha con sguardo febbrile ma lucido. 

« < E il siero, allora? > » non demorde la donna, sottolineando l'unico appunto stonato che faceva automaticamente crollare la muraglia di presupposti appena enunciati dal marito, artigliando il tovagliolo placando l'istinto di alzarsi in piedi e aggirare l'ostacolo del tavolo, mentre Kobik punta lo sguardo preoccupata sui coltelli che giacciono a pochi centimetri dalle dita di entrambi.

« < Non ho avuto occasione di chiederglielo, sai com'è, mi hanno narcotizzato! > » prosegue James rispondendo alle accuse con la delicatezza di un carro armato, le quaranta linee di febbre che si fanno sentire tutte e non gli scontano nemmeno un attimo di raziocinio per rendersi conto di aver messo piede in un campo minato. 

« < Non ha collegamenti, interessi, ricerche…? > » insiste Natasha smorzando i toni, rendendosi conto che forse il marito aveva davvero fatto i compiti a casa, arretrando impercettibilmente di un passo, illudendo Kobik che quello a cui stava assistendo era solamente molto rumore per nulla. 

« < Ho hackerato il server delle Industries, nemmeno uno straccio di prova o pretesto. > » confessa James su due piedi, ma senza rendersi conto della sottilissima discrepanza nella voce di Natasha che normalmente avrebbe gestito come un cedimento verso la riappacificazione, ma che in quel preciso istante interpreta invece come una dichiarazione di guerra, scatenando il finimondo nel giro di una frase. « < So farlo il mio lavoro, da ben prima e meglio di te a volte. > » 

« < Rimangiatelo. > » se fino a quell'istante Natasha si era sforzata di sedare l'impulso di scaraventare via il tavolo per andar meglio a prenderlo a sberle, la donna ci rinuncia del tutto balzando in piedi ribaltando la sedia all'indietro, puntando i pugni contro il ripiano e proferendo l'ordine con una freddezza tale da spaventare la bambina, che ben pensa di far volatilizzare tutti gli oggetti contundenti nel raggio di due metri. 

« < Altrimenti? > » chiede retorica la furia che spinge James ad alzarsi in piedi a sua volta, barcollando visibilmente puntellandosi al tavolo posando lo sguardo sulla nube azzurrina che fa sparire i coltelli da sopra il ripiano, realizzando di aver superato il limite obbligandosi a ridimensionare i toni, scoccando una veloce occhiata a Kobik prima di risollevare lo sguardo su una Natasha inviperita. «Okay. Io sarò anche partito senza partner e ne sono uscito a stenti, ma tu-... no, niente.»

«No, avanti, finisci la frase.» la donna lo invita ad autografare il proprio necrologio, ostentando una freddezza che nascondeva ogni ferita sanguinante all'orgoglio per essere passata come la cattiva della situazione, quando invece stava semplicemente difendendo il proprio istinto da mamma orsa. «Ti prego звезда моя, spiegami quanto tu sia ponderato, razionale e soprattutto calmo quando c'è il tuo sangue, la tua famiglia e l'incolumità mia e di Kobik di mezzo.»

«Natalia…» 

«Vaffanculo, Barnes. Io domani sera parto, che a te l'idea piaccia o meno.» lo anticipa arrabbiata la donna, la voce affilata come un coltello che si impianta in mezzo alle scapole del marito, sporgendosi sul tavolo per baciare la fronte di Kobik riservandole uno sguardo di scuse. «'Notte моя дорогая.» 

Natasha si allontana dalla cucina a passo spedito, guadagnando la porta del reparto notte fuggendo dalla lite prima che degeneri ulteriormente, placandosi con la mano sulla maniglia quando James la chiama indietro abbaiando un secondo "Natalia" di avvertimento. 

«Sergente.» incurva le labbra in un sorriso che tuttavia non le arriva agli occhi, sbattendo i tacchi eseguendo il saluto militare come fosse un insulto. 

«Sergente? Solo perché sono obiettivo-...» inizia James ripartendo alla carica, la presunta incoscienza febbricitante del giusto ad alimentarlo, che esplode in un ultimo scatto d'ira quando si vede sbattere la porta in faccia. «-... e so quali sono i tuoi limiti?! Ma vaffanculo tu, Nat!» 

Il silenzio che scende in cucina dopo quell'ultima esternazione è surreale, solo a battaglia verbale conclusa Kobik osa respirare sonoramente ed attende comunque paziente una reazione da parte di James, il quale incassa la testa tra le spalle e punta il pugno al tavolo, respirando a fondo per lasciarsi momentaneamente scivolare di dosso l'intera disputa, scrollando le spalle con finta noncuranza iniziando a raccogliere i piatti dal tavolo, aprendo l'acqua del lavello per sciacquarli dallo sporco prima di caricare la lavastoviglie in religioso silenzio. 

«Papà…» tenta Kobik con voce flebile dopo un tempo che reputa ragionevole, sobbalzando appena quando sente il bicchiere di vetro sbriciolarsi tra le dita di James, vedendolo imprecare a mezza voce quando il detersivo entra a contatto con la carne lacera, affrettandosi a pulire lo sfregio sotto l'acqua corrente e tamponarlo con un canovaccio pulito, combinando un disastro colossale avendo solamente un arto utile e funzionante. «Papà…?»

«Adesso passa, tranquilla Pulce.» la rassicura l'uomo, nonostante il pallore che gli segna il volto non sia esattamente un sintomo di buon auspicio. «Davvero.»

«Lo so.» si limita a commentare asciutta la piccola, tentennando appena sul posto prima di schioccare le dita e trasferire tutti i piatti nella lavastoviglie sistemando la cucina in un battibaleno. «Mamma ha ragione, comunque.»

«E tu che ne sai, signorina?» la interroga retorico l'uomo, sbirciando oltre il bordo del canovaccio lo stato di rimarginazione del taglio che gli attraversava la mano. 

« < Potreste litigare anche in cinese e vi capirei lo stesso. > » afferma la piccola in russo, palesando la propria parte attiva nella comprensione della disputa, serrando i pugni per placare il formicolio che continua a percorrerle le ossa a distanza di cinque minuti, avanzando una debole richiesta che sapeva avrebbe incupito suo padre prima ancora di vedere i suoi occhi chiari intristirsi. «Mi prepari una "calmomilla", per favore?» 

«"Calmomilla" in arrivo, prima di subito.» la asseconda James riempiendo una tazza e cercando la scatola di bustine solubili mentre aspettava paziente lo scadere del countdown del microonde – quello era uno dei pochi difetti di pronuncia che James e Natasha le avevano lasciato, un po' perché la camomilla aveva davvero il potere di calmarla, un po' perché era più facile usare un nome in codice piuttosto che ammettere il fatto che la lite, seppure preannunciata e da considerarsi quasi abitudinaria, era riuscita a spaventarla. 

Kobik aveva annegato due intere zollette di zucchero nella bevanda, poi aveva augurato la buonanotte a James e si era rifugiata nella propria stanza – aveva teso le orecchie per udire in che direzione si muovessero i passi dei suoi genitori, ma suo padre non era uscito dal perimetro del salotto e mezz'ora dopo Natasha l'aveva raggiunta per metterla a nanna… non era una notte tranquilla, Kobik lo sapeva, ma ciò non cambia il suo disappunto nel non trovare nessuna traccia della donna al suo risveglio, a differenza di quelle di James che invece urlavano dall'altra parte del muro come quelle di un animale in gabbia, correndo in salotto giusto in tempo per vederlo svegliarsi di soprassalto. 

Sperava di poterlo evitare, nonostante Kobik fosse consapevole che il suo fosse un desiderio vano.

«Tu che ci fai ancora in piedi?» giunge laconica la voce dell'uomo dal divano una volta stropicciatosi gli occhi ed averla messa a fuoco squarciando il sottile velo tra realtà e sogno, studiandola a distanza mentre Kobik trascinava una sedia contro il lavello, afferrava un paio di bicchieri lasciati ad asciugare sullo scola-stoviglie e versava da bere per due. 

«Avevo sete.» afferma scendendo dalla sedia, fermandosi a raccattare i farmaci lasciati sopra il tavolo in cucina prima di raggiungere suo padre ai piedi del divano. «Tu invece?» 

«Teorizzo trattati di pace, non ho sonno.» mente James trattenendo uno sbadiglio a stento, inghiottendo le pasticche che Kobik gli stava porgendo con un sorso d'acqua ed un colpo secco del capo. «Ti ho svegliata io, vero?»

«I tuoi incubi sono rumorosi, e il nonno non piace nemmeno a me.» confessa Kobik chiamando in causa il fantasma che lei segretamente cercava da giorni, reprimendo un brivido al ricordo di Petrovich che scaraventava Mama a terra e la trascinava lontano da Papo tirandola per i capelli mentre lo fucilavano. «Lo tengo lontano io, se vuoi… e ci stiamo tutti e due sul mio materasso.»

«Lo sai che tecnicamente Petrovich non è tuo nonno, vero?» chiede James retorico issandosi in piedi raccogliendola dal pavimento con l'unico braccio disponibile, silenziando anticipatamente le sue deboli proteste in merito allo stato della sua schiena martoriata con una blanda rassicurazione. 

«Tecnicamente tu non sei il mio papà, ma credi che importi a qualcuno?» ribatte Kobik spigliata dipingendogli un sorriso sincero sul volto, sopprimendo uno sbadiglio contro la sua spalla. 

«Giusto-... le finestre aperte? Ancora?» brontola l'uomo appena varcata la soglia, puntando lo sguardo sugli infissi a ghigliottina aperti al primo refolo d'aria percepito. «Kobik…»

«E se Liho torna? Non voglio che resti fuori tutta la notte.» protesta debolmente la piccola, spiando lo sguardo esasperato di James mentre la scarica di peso sul letto, tirandogli dietro un cuscino quando lo vede avviarsi a chiudere le finestre. 

«Uno, è estate, fa caldo e c'è l'aria condizionata in funzione quindi se lasci le finestre aperte la cosa è inutile. Due, Liho è un randagio, avrà trovato qualcun altro che gli dà da mangiare.» replica con tono ovvio suo padre, facendo sfoggio di sensibilità nel escludere a priori la possibilità che il gatto nero non circolava più nel vicinato da settimane perché forse era finito sotto le ruote di un taxi, scostando le lenzuola per farsi spazio e tradendosi con un'autentica espressione di sollievo una volta stiracchiata la schiena. «Fammi un favore, la prossima volta che cambiamo il divano, obbligami a prenderne uno convertibile in letto.»

«E tu fa un favore a me, domani mattina non bruciarmi i pancake.» lo avverte Kobik prevenuta, tuffando il naso contro la piega del suo collo e riaddormentandosi cullata dal russare sommesso dell'uomo – la sua, ovviamente, era stata una preoccupazione inutile dato che puntualmente il mattino dopo James si era svegliato all'alba con l'intenzione di calarsi nei panni dello chef stellato che assolutamente non era, vedendo andare i propri piani in fumo quando aveva trovato Natasha già in piedi per placare la catastrofe preannunciata. Forse l'alba l'avevano vista davvero, almeno era quello che poi le avevano riferito, ma dovevano aver fatto anche pace perché di punto in bianco avevano smesso di guardarsi in cagnesco – c'era qualcosa di ipnotico nelle loro movenze che la sera prima mancava, Kobik lo notava nel modo in cui James ronzava intorno a Natasha mentre preparava il caffè, nel colpo d'anca con cui sua madre aveva chiuso il frigo passando sotto il braccio alzato di suo padre che si allungava a raggiungere le tazze, nell'efficiente gentilezza di pulirgli lo sbaffo di cioccolato all'angolo della bocca e nel giocoso slancio di rubargli il coltello da burro sporco di Nutella… senza contare che la piccola li aveva beccati in flagrante a farsi gli occhi dolci da un capo all'altro della cucina, James con la testa affondata nel palmo, lo sguardo febbricitante ed il termometro in bocca mentre Natasha si puntellava svogliata al piano cottura, pulendo la ciotola sporca di pastella a ditate da leccare via divertita. 

Il resto della mattinata era trascorso lento e monotono, Natasha si era data da fare per cucinare il dolce che aveva promesso al Capitano Rogers, a differenza di James che era collassato sul divano con "i Simpson" di sottofondo e trentanove linee di febbre a rendere le battute squallide un po' più divertenti del normale, mentre Kobik si sforzava di ignorarlo e tentava di terminare i propri compiti per casa stesa sul tappeto in diagonale. Zio Steve e zia Sharon erano arrivati per l'ora di pranzo con una pila di tupperware a sostegno dell'invalido – riempiendo il frigorifero di scorte per non farli morire di fame nella settimana a venire, dato che Natasha era ancora intenzionata a partire alla volta di Chicago la notte stessa –, seguendo la regola di bandire le beghe lavorative da ogni discussione per l'intero pomeriggio, ripiegando nel gossip sfrenato che tra le mura del Complesso di certo non scarseggiava. 

Avevano ordinato le pizze a domicilio per cena quando gli zii se ne erano tornati a Brooklyn, la febbre era scesa ancora e le ferite alla schiena di James erano guarite quasi del tutto, ma ciò non gli aveva impedito di pretendere di mangiare semi-sdraiato sul divano, contrattando un massaggio ai piedi a Natasha come equo scambio – entro sera Kobik aveva già raccolto abbastanza prove a sostegno del sospetto che i due si fossero riappacificati, ma ne aveva avuto la conferma ufficiale quando la sua mamma si era spalmata contro il petto del suo papà cercando un appoggio migliore dei cuscini del divano per godersi il film che avevano deciso di vedere, promettendogli di aspettarlo sveglia per il "secondo round" prima della partenza – qualunque cosa esso significhi – quando era stato il turno di James di trascinare Kobik a nanna. 

Il mattino dopo la bimba aveva trovato suo padre stranamente di buon umore per essere uno che era stato confinato a forza tra le mura di casa, ma Kobik non aveva avuto il tempo per metabolizzare e catalogare l'informazione che James le aveva piazzato davanti una scodella di Spidy-Cheerios annegati nel latte e la piccola aveva avuto a malapena il tempo di nutrirsi che zia Sharon era passata a raccattarla per portarla a scuola prima di raggiungere l'ufficio a Manhattan. L'aveva riaccompagnata a casa Peter, ridendo come una pazza per poter sfruttare la scusa di volare tra i palazzi del centro all'ombra dell'arrampica-muri, rientrando in casa trovandola nella confusione più totale come se ci fosse passato un uragano. 

«Bucky-bukaroo?» chiama preoccupata la piccola, seguendo il rumore indistinto che proveniva dal seminterrato. 

«Pulce, sei già a casa?» sente la voce echeggiante di James salire dalle scale. 

«Cosa stai combinando?» chiede Kobik curiosa quando scende al piano inferiore e trova James – nuovamente armato di protesi tirata a lucido – con entrambe le mani impegnate a smontare, pulire e rimontare ogni semi-automatica che lui e la moglie tenevano nascosta in casa, notando distrattamente lo scaffale a muro svuotato per metà dalle munizioni e, appena oltre il reparto armeria, i dischi del bilanciere abbandonati sulla panca. «Ammazzi il tempo, immagino.»

«È stata una giornata estremamente… produttiva.» conferma l'uomo inclinando all'indietro le gambe della sedia mentre ricapitolava l'elenco contando con la mano destra, ancora disabituato ad avere la sinistra calibrata e funzionante dopo giorni senza. «La febbre è scesa ancora… mi sono allenato, ho lucidato i coltelli e le armi, ho scoperto che Natalia se ne è portata dietro sei dei miei oltre al mio fucile ed ho quasi finito l'inventario. Scuola?»

«Prima della classe in ginnastica, ma la cosa dubito ti sorprenda.» afferma orgogliosa la bimba, proclamando la A in tutte le discipline atletiche con cui Mystica l'aveva testata in tarda mattinata. «Me lo merito un regalo, no?» 

«Un regalo per qualcosa che io ti ho insegnato prima e meglio di Raven?» la sbeffeggia l'uomo depistandola dai suoi intenti mostrandosi indifferente al cipiglio scontroso della piccola, inclinando la testa notando con la coda dell'occhio i guantoni appesi ai pali del ring. «Ti vanno due tiri? Devo ancora testare gli aggiustamenti alla protesi da quel punto di vista.» 

«Mi devi dare una mano in matematica, dopo.» taglia corto Kobik, dissolvendosi in un glitch e riassemblandosi al centro del tappeto, appendendosi alle corde. «Allora? Stavolta ti tengo il sacco o mi alleni?» 

«Se non sei già troppo stanca… Io ci vado piano ma tu non puoi atterrarmi con i poteri, niente KO.» James stila il regolamento abbandonando le infradito sul bordo ed entrando scalzo al suo cenno affermativo, il colpo alla nuca ancora troppo fresco nel tempo per averlo già rimosso o catalogato come un mero incidente di percorso. «Tutto chiaro, Pulce?» 

L'apprensione di James era più che comprensibile, la volta prima Kobik si era spostata dalle sue ore due alle ore sette con un glitch, facendogli lo sgambetto a tradimento che si era concluso con una franata incontro al tappeto ed una botta micidiale alla testa perché l'uomo non era riuscito a dosare il proprio peso nel stramazzare al suolo… e considerata la sua attuale situazione clinica era meglio evitare urti particolarmente violenti – probabilmente se Natasha fosse rimasta a casa e fosse scesa nel seminterrato in quel preciso istante avrebbe fatto una lavata di capo ad entrambi, a Kobik per voler assecondare suo padre in qualunque folle proposta e a James perché la sua fissazione per un costante ed imminente pericolo non lo giustificava dal voler addestrare loro figlia per far fronte alle peggiori eventualità. Sua madre non voleva trasformarla in una assassina, nonostante fosse consapevole dei rischi di farla crescere tra le loro mura domestiche, le quali erano tutto fuorché a prova di infante… e la donna, per essere una che empatizzava difficilmente, non poteva fare a meno di notare quanto di sé stessa vedeva in lei – il fatto che Kobik avesse una madre in primis ed un padre che era l'esatto contrario di Petrovich non la faceva comunque dormire tranquilla la notte, spaventata dalla proposta ragionevole di addestrarla perché Kobik era "piccola" – la loro piccola –, lei e il marito non erano esattamente "innocui" e, al contrario di quanto i più pensavano, non erano "eterni". Di fronte a quei fattori imprescindibili Natasha era giustamente terrorizzata di non poter controllare gli eventi e proteggerla per sempre, a differenza di James che al contrario temeva di non poterle insegnare abbastanza per poter poi fronteggiare a guardia alta il mondo senza caderne vittima… e Kobik, che del Cosmo conosceva i segreti ed aveva visto ogni possibile linea temporale, a volte si scopriva gelosa della figlia che i suoi genitori non avevano mai cresciuto [3], quella che non aveva mai aperto gli occhi sul sorriso spensierato di sua madre e che non aveva ombra di idea dei demoni che assillavano suo padre – quella condannata alla nascita, desiderata e persa. Kobik a volte pensava che James l'avesse accolta in casa perché inconsciamente gli mancava l'idea di "Anya" [3], come era abbastanza convinta che Natasha fosse tornata e le avesse permesso di restare perché lei, in qualche strano modo, gliela ricordava nonostante entrambi non l'avessero mai conosciuta nel verso senso della parola. 

Alla fine si era scoperto che la protesi funzionava a meraviglia e Kobik era finalmente riuscita a placare gli assalti ritorcendoli contro alla fonte, uscendo illesa dallo scontro con un uomo della stazza di James – calmando notevolmente suo padre, che ora aveva ufficialmente la conferma di saperla in grado di aprirsi una via di fuga se le cose si fossero dovute mettere male. La bimba poi aveva avuto il permesso di farsi una doccia, James aveva controllato che Kobik si fosse risciacquata bene lo shampoo dai capelli e, nel tempo che lei si era rivestita ed era approdata in cucina con il libro ed il quaderno di matematica sottobraccio, suo padre aveva avuto tutto il tempo del mondo per lavarsi a sua volta e prepararle un panino, rigorosamente senza croste, per la merenda di metà pomeriggio. Gli esercizi di matematica, contrariamente a quanto Kobik pensava, si erano rivelati meno difficili del previsto ed aveva recuperato abbastanza tempo per guardarsi due interi episodi delle "Superchicche" su Cartoon Network prima che ad uno dei due tornasse la fame e James racimolasse la voglia di accendere il forno per scaldare il pasticcio di carne che zia Sharon aveva preparato per loro. 

Kobik era intenta a gustarsi la propria cena quando James aveva preso una chiamata, si era alzato da tavola e si era chiuso in camera per poter parlare liberamente, ma ciò non aveva impedito alla piccola di dedurre dalla fuga precipitosa che all'altro capo della linea ci fosse Natasha, captando una nota d'ansia che mal si sposava con il sorriso forzatamente rilassato di suo padre quando venti minuti più tardi l'uomo era tornato in cucina. 

«Cosa sta succedendo?» chiede la bimba guardinga, ignorando il cenno di noncuranza con cui aveva preteso di liquidarla James. «Volevo parlare anch'io con mamma.»

«Non ero al telefono con Natalia, era Maria, domani mattina fa in modo di recapitarmi in ufficio i fascicoli che le ho richiesto.» scrolla le spalle suo padre, tagliandosi un altro boccone del pasticcio ormai freddo. 

«Non dirmi le bugie.» lo ammonisce la bambina, stringendo più saldamente la forchetta tra le dita. «Hai promesso di non dirmi bugie.»

«Infatti non lo sto facendo.» replica James con tono piatto, portandosi una seconda forchettata alle labbra. «Vorrei parlare anch'io con Mamma, continua a liquidarmi con gli SMS… credo che sotto sotto sia ancora arrabbiata, sai?» 

«Che fascicoli hai chiesto a Maria?» elude la domanda Kobik, reputando superflua un'ovvia risposta, cambiando discorso per cercare di capirne qualcosa. «Per aiutare Talia? Hai ricordato qualcosa?» 

«No. È che non mi fido di Holt, voglio sapere perché ha voluto rifiutare tutte le mie richieste d'incontro, tutto qui… dagli archivi dello SHIELD non risulta nulla, spero che allo SWORD sappiano qualcosa in più che a me sfugge.» afferma James versando dell'acqua in entrambi i bicchieri, porgendo a Kobik il proprio. «Tieni, bevi troppo poco… in ogni caso, Fury può risalire al trisavolo di ogni essere umano se si mette d'impegno, una sbirciatina alla sua Black Box mi farebbe comodo e l'unica che può accedervi è Hill.»

Kobik aveva annuito, si era scolata l'intero bicchiere ed avevano terminato la cena in silenzio. Aveva dato una mano a James a svuotare la lavastoviglie ed aveva puntato lo schienale della sedia contro il lavello per andare meglio a raggiungere ed asciugare i bicchieri che suo padre le porgeva, poi come premio Kobik si era divertita da pazzi a battere James alla Playstation – sparare con un fucile evidentemente era più facile di digitare i comandi per sparare con un joystick, sentendosi ribadire per la milionesima volta che lei sarebbe dovuta passare sul suo cadavere prima che l'uomo le mettesse in mano un'arma carica e le insegnasse ad usarla, che l'addestramento era un conto, il saper uccidere a sangue freddo era ben altro. 

«Credi che se le cose fossero andate in modo diverso, questa sarebbe comunque la tua vita?» domanda la bambina qualche mezz'ora più tardi, obbligata a sdraiarsi sul materasso a discapito della mancanza di sonno, attirando l'attenzione di James che pian piano si stava appisolando sopra il libro del "Mago di Oz". «Tu lo avresti seguito comunque il sentiero giallo?» 

«Non credo di afferrare, Pulce.» sbadiglia suo padre, rassegnandosi a chiudere il libro e sollevarsi su un gomito, bilanciando meglio il proprio equilibrio precario sul bordo del letto. «Di che "sentiero giallo" parli? Dubito tu ti riferisca a Oz.»

«Mi hai sempre detto che la vita non ti ha mai lasciato scelta, che qualcuno ti ha sempre obbligato a seguire un percorso già tracciato… e se quel qualcuno invece di sbarrati sempre una strada ti avesse concesso di scegliere?» spiega Kobik sforzandosi di cercare le parole giuste per esprimersi, girandosi su un fianco per guardare James in volto e notare ogni singola bugia che gli poteva o meno attraversargli lo sguardo. «Saresti comunque qui? In questa casa, con me, con l'ansia a mille per Talia?» 

«Percepisci la mia ansia?» si stupisce James, cercando di depistarla. 

«Tu la nascondi meglio di mamma, ma è qui. Costante.» afferma la piccola posandogli una mano sul fianco, alludendo a quella spina che sembrava volesse risalirgli le costole e trafiggergli il cuore. «Non ci pensi mai?» 

«Certe cose non cambiano, Pulce. In ogni linea temporale la somma dell'equazione è sempre la stessa.» proclama James con un tono che non ammetteva repliche, pettinandole la frangetta con le dita. «So che ti manca Mamma, so che se avessimo una vita diversa io ora come ora non sarei ridotto così e Tasha non sarebbe in Illinois a sistemare i miei casini… ma non importa cosa succeda o cosa sia successo, alla fine di ogni giornata io amo Natalia, lei ama me, viviamo la miglior versione della vita che desideravamo ed abbiamo te

«Questa non è la versione migliore…» brontola Kobik, mordendosi le labbra per esserselo fatto sfuggire, consapevole che quel discorso lo avevano già affrontato e la bimba non era riuscita a smuovere suo padre di nemmeno una virgola – lei l'aveva vista, la versione migliore della loro vita, quella in cui sua madre era riuscita a scappare con zio Logan, quella in cui suo padre li recuperava a Madripoor e li portava in salvo a Londra come informatori, quella in cui Natalia e James si baciavano sotto il vischio appeso agli stipiti del bunker a Natale, tornavano negli States illesi e compravano una bella casa con un giardino enorme in Indiana in cui crescere Anya, invecchiando insieme mano nella mano come sarebbe dovuto essere e non era mai stato. 

«Lo so, ma non mi importa.» conferma James rotolando giù dal letto, lasciando implicita la convinzione che illudersi di una fantasia non la rendeva reale, che aveva imparato ad essere felice con ciò che aveva senza rimpianti, chinandosi a baciarle la fronte. «Ora dormi.»

James era in grado di nascondere e tollerare meglio di lei la propria ansia, ma Kobik sa per esperienza personale che qualcosa di brutto è sempre in agguato e nessuno le nega il desiderio di una gita in direzione del lettone quando la sveglia sul comodino lampeggia le due di notte e la piccola non è ancora riuscita a chiudere occhio da quando James aveva lasciato la stanza… peccato che suo padre in quel preciso momento stesse miracolosamente dormendo, quindi svegliarlo per un suo sciocco attacco di insonnia non era esattamente l'opzione ideale – soprattutto quando una soluzione c'era, e l'unica che poteva fornirgliela era Natasha. 

« < звезда моя, é notte fonda… è successo qualcosa? Kobik sta bene? > » risponde la donna al secondo squillo, tradendo una punta di panico nella voce che scema velocemente e tentenna appena. «… Yasha?» 

«Papà dorme… io no.» confessa Kobik in un solo fiato mettendosi il cuore in pace, il cercapersone trafugato in un glitch stretto con entrambe le mani per non lasciarlo scivolare. «Scusa.»

«моя дорогая... io sto bene, davvero.» replica Natasha dopo un sospiro, la voce assonnata rotta da un sorriso all'ipotesi dietro alla chiamata. «Bucky Bear non ti protegge dagli incubi?» 

«Bucky-bukaroo l'ha fatto sparire e-... e non ricordo dove ho lasciato Baloo.» ribatte agitata la piccola, comprimendo le labbra per non farsi sfuggire un singhiozzo o una risatina isterica – Le ombre contro l'armadio erano sempre state così scure? James aveva controllato che non ci fossero mostri sotto il letto prima di andarsene, vero? 

«È rimasto al Complesso, dopo scrivo a Maria e le dico di lasciarlo in ufficio insieme ai fascicoli che ha richiesto James.» la rassicura la voce suadente della donna all'altro capo della linea, risolvendole il problema di tutte le notti future tranne di quella attuale, ponendole poi un quesito con tono giocoso. «Ora hai due possibilità, lo sai vero?»

«Quali?» chiede titubante la piccola, arricciando le punte dei piedi focalizzandosi su qualcosa che impedisse agli oggetti posati sulla sua scrivania di tremare. 

«O ti fai coraggio, accendi la torcia del cellulare di papà e controlli da sola la tana dei mostri, oppure ti materializzi dal Bucky Bear a grandezza naturale che sta ronfando al di là del corridoio.» spiega candida Natasha con logica cristallina, conoscendo a priori l'opzione prediletta dalla figlia, macchiando il tono della frase seguente con un sorriso. «Dì all'orso di girarsi su un fianco così smette di russare, e dagli un bacio da parte mia. Notte notte, моя дорогая.» 

Nella frazione di secondo in cui Natasha stacca la telefonata, James scatta a sedere di colpo quando Kobik piomba in un lampo azzurro sulla parte di lettone vuota, sporgendosi precipitosa a baciare una delle guance ispide di suo padre, che stringeva il proprio telefono tra le mani e la osservava confuso per averlo ricevuto di persona ad orari improbabili della notte. 

«Posso restare qui?» chiede titubante la piccola, accoccolandosi contro il fianco di James quando quest'ultimo alza un lembo del lenzuolo per farle posto, sprimacciando il cuscino di Natasha sfilando la lama nascosta nella federa. 

«Così non ti fai male se ti muovi nel sonno.» si giustifica l'uomo abbandonando il coltello sul comodino, ruotando su un fianco ingabbiando Kobik tra le braccia. «Non sei troppo grande per dormire ancora con Baloo?» 

«No.» afferma categorica la piccola, spalmandosi meglio contro il petto di James. «Non russare, mi dà fastidio.»

«Impara a conviverci.» ribatte suo padre assonnato assecondando la debole lamentela fine a sé stessa, seppellendo uno sbadiglio contro i suoi capelli. «In realtà lo so che non ti dà fastidio… ma se proprio devi, tirami un calcio. Notte.»

La mattina dopo era stato James a portarla a scuola, la febbre era passata del tutto ed i momenti di squilibrio erano ormai rari – non l'aveva detto, ma uno dei motivi per cui si era intestardito ad attraversare Manhattan in moto fino alla X-Mansion non era solamente un pretesto per comportarsi da bravo genitore, ma anche una scusa per recuperare i saggi appuntati pubblicati da Holt che Charles gli aveva promesso di fargli trovare in biblioteca, dato che ormai James si era rassegnato a percorrere ogni pista possibile, alimentato dalla paranoia e dal messaggio vocale di Natasha recapitato all'alba nel quale la donna si era vantata orgogliosa di aver strappato un appuntamento alla segretaria del genetista per il pomeriggio seguente. 

Evidentemente i ragazzi dovevano essere tornati da L.A. perché all'uscita da scuola Kobik aveva trovato la Mini Cooper viola di Kate ad aspettarla, raccattando Billy e Thomas agli alloggi universitari dell'X-Mansion e trasformando il tettuccio dell'auto in una pista di atterraggio per Peter, il quale aveva approfittato del proprio alter-ego per scroccare un passaggio fino all'Upstate a Kate palesandosi all'altezza dell'incrocio della 14esima strada [4]. I cinque poi, una volta parcheggiato, erano saliti in ascensore ed avevano recapitato Kobik al loft del terzo piano, pigiando il pulsante che portava al Centro Operativo dove la bimba sapeva che li aspettava zio Steve per una strigliata con i fiocchi da cui, probabilmente, si salvava solamente Peter per il semplice fatto che non aveva potuto raggiungere gli amici in California nelle settimane prima. 

La piccola aveva trovato James in cucina, la pila di documenti e volumi seminata sul tavolo da pranzo, in parte perché non voleva essere di impiccio al piano di sopra, ed in parte perchè lo stomaco reclamava le pastine rubacchiate dal vassoio recapitato da Pepper quel mattino per festeggiare il compleanno di Morgan. 

«Ti ho tenuto da parte un bignè al cioccolato.» la saluta suo padre quando Kobik oltrepassa la soglia della cucina e si arrampica sulla sedia al suo fianco. «Con il traffico e tutto il resto avrai anche fame, è quasi ora di merenda.»

«Grazie.» si illumina Kobik arraffando il dolcetto ed assaporando la crema al cacao che le si scioglie sul palato al primo morso. «Tu hai fatto progressi?» 

«Non più di quelli fatti una settimana fa, per ora.» afferma l’uomo affranto, stropicciandosi gli occhi con aria stanca, probabilmente dovuta dal fatto che non doveva essersi schiodato dalla sedia da quando si era piazzato. «Le mie conoscenze genetiche si limitano al fatto che abbiamo quarantasei cromosomi, anche se gli appunti di Charles aiutano.»

«Uhm, capito. Qual è Holt?» indaga la bambina accucciandosi sulla seduta, puntando i gomiti sul bordo del tavolo ed allungando il collo in direzione della pila di fotografie e ritagli di giornale arrivati insieme agli stampati di Fury. «Ti do una mano a smistarle, se vuoi. I titoli degli articoli sono in stampatello e riesco a leggerli senza problemi... e sono bravina anche con il minuscolo, ormai.» 

«Holt è questo qui.» punta l’indice di metallo James, indicando un uomo sulla sessantina senza perdere troppo tempo, sperando di velocizzare i tempi e fornire qualche dettaglio in più alla moglie in vista dell’incontro. «Questa pila è tutta tua.»

Kobik si era pulita le mani dalla glassa al cioccolato che le si era sciolta sui polpastrelli, iniziando a sfogliare il materiale della propria pila sentendosi fiera di essere utile, dividendo in torrette ordinate gli articoli sui premi, quelli sui saggi e le pubblicazioni e, in un cumulo a parte, le collaborazioni e le foto di gruppo di cui sicuramente suo padre conosceva qualche faccia e nome in più di lei – anche se nella foto che stringeva tra le mani, una istantanea di rito per commemorare l’inizio di un qualche anno accademico, l’uomo a braccetto con Allan Holt assomigliava parecchio a quello a cui stringeva la mano all’inaugurazione della sede storica delle Holt Industries. Era curioso, Kobik non ne conosceva il motivo, ma lo sconosciuto anonimo – di cui non reperiva il nome da nessuna parte – le sembrava una faccia già vista… forse un filino più giovane, probabilmente filtrata dagli occhi e rielaborata negli incubi di qualcun altro, ma era uno di quei volti che sicuramente suo padre conosceva.

«Bucky-bukaroo, lui chi è?» chiede guardinga la piccola, porgendogli la fotografia in questione, agitandosi quando le pupille di James si dilatano fameliche ed afferra il cercapersone alla velocità della luce, componendo il numero automatico della moglie senza degnarla di una risposta.

«Stryker.» abbaia al telefono suo padre appena Natasha accetta la chiamata, prendendola in contropiede per averle negato il saluto, captando un “Quale? William...?” confuso provenire dall’altro lato della linea se Kobik si sforzava di assottigliare il proprio udito. «Holt, Tasha. Il finanziamento dalla Oscorp ha senso, se hanno assunto William Stryker nel dipartimento di ricerca.»

Oh beh, Yasha… siamo nella merda. Mi servi qui, звезда моя.” afferma la voce della donna dopo il paio di secondi necessari per assimilare la notizia, tradendo un sospiro sconsolato che la bimba riesce a percepire senza troppa difficoltà, insieme alla scarica di adrenalina che percorre la schiena di James alle parole di Natasha. “Da New York fino a Chicago sono dodici ore di macchina, a meno che tu non chieda uno strappo ad uno dei piloti.

«Dammi un ora per organizzarmi, poi ti raggiungo… facciamo colazione insieme al bar domani mattina, любовь моя? Ho bisogno di zuccheri in corpo se devo dare la caccia a qualcuno.» la saluta James prima che la moglie gli riattacchi il telefono in faccia, voltandosi circospetto a fronteggiare la figlia preoccupata. «Serve davvero che te lo dica?»

«No papà… l’ho già capito da sola.»







 

Note:

1. Generale Starkovsky: mentore e protettore di Yelena, l'equivalente di Ivan Petrovich per Natasha. 

2. Riferimento a "Studi di Anatomia". 

3. Scegliete voi come considerare Anastasia, un mio headcanon o una fan-theory mai documentata per intero – nei comics ci sono degli effettivi buchi di trama che ai fumettisti fa comodo non colmare. 

4. Calcolando che la storia "cade" nell'estate del 2023, tutte le date collimano in modo da piazzare tutti gli Young Avengers al college (chi sceglie di andarci, specifichiamo), indi per cui Kate recupera Peter alla 14esima perché il Signor Parker finisce per frequentare l'ESU (Empire State University). 

   
 
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