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Autore: Jade Tisdale    18/08/2020    0 recensioni
Post seconda stagione | Nyssara
È passato un mese dalla sconfitta di Slade, e mentre Starling City cerca di risollevarsi in seguito ai danni subiti, il Team Arrow continua a vigilare sulla città, proteggendola dai numerosi e frequenti pericoli.
Sara, invece, ha fatto ritorno a Nanda Parbat. Ma qualcosa, o meglio, una notizia, potrebbe dare una nuova svolta alla sua vita. E mettere a rischio quella di chi le sta intorno.
*
«La tua ragazza» sussurrò la mora «è questa Nyssa?»
Sara annuì, arrossendo lievemente.
«Dev'essere una persona splendida. Voglio dire, se è ancora con te dopo aver saputo di questa storia, significa che ti ama veramente.»
*
«Credevo di essere perduta per sempre» sussurrò, solleticandole dolcemente la pancia nuda «ma poi sei arrivata tu, e hai sconvolto completamente la mia vita. Tu mi hai ritrovata, Sara. Mi hai ritrovata e mi hai fatta innamorare follemente di te con un semplice sorriso.»
Nyssa intrecciò la propria mano in quella di Sara, rossa in viso.
«E poi» proseguì, con un sussurro «in questo inferno chiamato vita, stringerti la mano è la cosa migliore che mi sia potuta capitare.»
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Nyssa al Ghul, Oliver Queen, Ra's al Ghul, Sarah Lance, Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Love is the most powerful emotion'
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Capitolo 20:
Sisters

 

 

 

 

Thea Queen non aveva esperienza con i bambini.
O meglio, non aveva esperienza con dei bambini così piccoli. Ecco perché era andata nel panico non appena Kaila aveva iniziato a strillare senza ragione, minacciando di perforarle i timpani da un momento all’altro.
«Roy, non so cosa fare» disse la ragazza, con fare supplicante. «Le ho dato da mangiare un’ora fa. Perché piange così tanto?»
«Hai controllato che il pannolino non sia da cambiare?» suggerì Arsenal.
Thea gli riservò un’occhiata esasperata. «Roy...»
«Okay, ho capito» ridacchiò lui, intuendo l’antifona. «Su, forza. Dalla a me.»
La ragazza non se lo fece ripetere due volte: mise la nipote tra le braccia del fidanzato, il quale prese a tastare la consistenza del pannolino, e iniziò a mordicchiarsi nervosamente l’unghia del pollice destro.
«Sì, direi proprio che qualcuno qui ha fatto la popò» spiegò Roy, in tono calmo. «Scommetto che una volta cambiata starai subito meglio.»
Roy si allontanò con la bambina che ancora strillava tra le braccia, mentre Thea, esausta, si lasciò cadere sul letto.
Quello era uno di quei momenti in cui si chiedeva se sarebbe mai stata in grado di fare la mamma. Certo, aveva appena vent’anni, perciò avrebbe avuto ancora diversi anni per pensarci. Però... ce l’avrebbe davvero fatta senza l’aiuto di sua madre?
Thea sbuffò, coprendosi gli occhi con un braccio. Non erano rare le volte in cui pensava a sua madre; anzi, ultimamente la sognava di continuo. Era per questo se nell’ultima settimana aveva faticato a chiudere occhio. Ma ora, dopo aver badato a Kaila per quasi due ore, si sentiva sfinita. E si lasciò andare.
Tuttavia, non appena percepì una presenza familiare, Thea riaprì gli occhi. Roy era disteso di fianco a lei, un sorrisetto beffardo a contornargli le labbra.
«Scusami. Non volevo svegliarti.»
«Oddio, mi sono addormentata? Quanto ho dormito?» chiese Thea, alzandosi di scatto.
«Un quarto d’ora, più o meno» rispose lui. «Forse venti minuti.»
«E dov’è Kaila?»
«Frena, Speedy» sussurrò Roy, passandole una mano sul braccio. «Sta bene. Si è addormentata poco dopo che le ho cambiato il pannolino. Sono rimasto un po’ con lei per assicurarmi che fosse davvero crollata.»
Senza nemmeno rendersene conto, Thea tirò un sospiro di sollievo. Poi, non appena il suo cuore riprese a battere a un ritmo regolare, si coricò nuovamente sul letto con lo sguardo rivolto al soffitto.
«Questa tua improvvisa ansia» esordì Roy, «è per caso legata a tuo padre e... a quello che è successo con la Lega degli Assassini?»
Thea si passò distrattamente una mano sul viso. «Può darsi.»
Arsenal annuì piano. «Vuoi parlarne?»
La giovane Queen si strinse nelle spalle. Non aveva poi così tanta voglia di parlare, ma al tempo stesso, non se la sentiva di far preoccupare Roy. Erano tornati insieme da poco, perciò avevano ancora tanto da recuperare, e di certo tenergli nascoste le sue preoccupazione non era il modo migliore per ricominciare.
«A dire la verità, sì» mentì, portandosi le mani sulla pancia. «È che ultimamente non posso fare a meno di pensare a come sarebbe la mia vita oggi se mamma non fosse morta.»
Roy assimilò il significato di quelle parole nel giro di pochi secondi. «Moira è stata una figura essenziale nella tua vita. Ti è stata vicina dopo il naufragio del Gambit. Avevi soltanto lei. Ed è morta da appena un anno. È naturale che tu senta la sua mancanza.»
«No, non è solo questo.»
Thea si voltò in direzione di Roy. Aveva le sopracciglia corrugate.
«Ecco, vedi... se lei fosse ancora viva, probabilmente io non sarei mai andata via da Starling con Malcolm. E forse, se non lo avessi fatto, la Lega...»
Thea lasciò la frase a mezz’aria, ma Roy capì all’istante a cosa si riferisse.
«Credi davvero che la tua parentela con Malcolm possa influire sulla vita di Kaila?»
Arsenal attese una risposta che non arrivò, perciò, proseguì. «Thea, una cosa del genere non la devi nemmeno pensare. È vero, Malcolm è nel mirino della Lega da diversi anni, ma questo non significa niente, È con Nyssa e Sara che Ra’s al Ghul ha dei conti in sospeso. È per questo se sono state attaccate da Maseo e dagli altri mercenari. Tu non c’entri nulla.»
Thea annuì, mordicchiandosi nervosamente il labbro inferiore. «Lo so, ma... a volte ho come un brutto presentimento. Mi sembra che le nostre vite siano diventate improvvisamente perfette. Troppo perfette. È come se temessi che potrebbe andare tutto all’aria da un momento all’altro. Ma forse, è solo un semplice presentimento.»
Roy le mise una mano sulla guancia, per poi lasciarle un bacio sulla punta del naso. «Sì, sarà sicuramente così. Non hai niente di cui preoccuparti.»
Thea lo osservò in silenzio per alcuni istanti, una strana sensazione all’altezza dello stomaco. «Forse hai ragione.»



Sara passò una mano tra i capelli soffici di Kaila. Erano biondi come i suoi, ma a differenza sua, le crescevano ad una velocità impressionante. Una delle tante qualità che aveva ereditato dalla famiglia Queen.
Dopo aver affrontato Nyssa, Sara era andata a riprendere la bambina da Thea. Una volta a casa, aveva giocato un po’ con lei; poi avevano cenato e fatto il bagnetto insieme ‒ cosa che a Kaila era piaciuta molto, considerando che la madre l’aveva intrattenuta con delle bolle di sapone. E ora, dopo aver bevuto un po’ di latte materno, dormiva serenamente nel suo lettino.
Sara si perse ad osservare il suo visino perfetto per un tempo che le sembrò interminabile, fino a quando una voce dietro di lei attirò la sua attenzione.
«Ehi.»
Sara strinse le mani sulla ringhiera del lettino. Contò fino a dieci prima di rispondere. «Ehi.»
Nyssa si avvicinò a lei di qualche passo, ma prima che riuscisse a sfiorarle la schiena con le dita, Sara si voltò, incontrando il suo sguardo. Erano talmente vicine che poteva sentire il suo respiro solleticarle il collo.
«Mi dispiace» esordì la mora, con uno sguardo triste.
Sara dischiuse appena le labbra. «Anche a me» replicò.
Nyssa accennò un sorriso speranzoso. «Andiamo di là, così evitiamo di svegliarla.»
Sara annuì appena. Sapeva che quel momento sarebbe arrivato, prima o poi. La seguì fino alla cucina, dove Nyssa mise a bollire dell’acqua. «Vuoi del tè? O una camomilla?»
«Direi che è meglio la camomilla.»
L’aria era ancora tesa tra loro, ma non avrebbero litigato di nuovo. Questa volta, si sarebbero chiarite. Lo facevano sempre.
Entrambe attesero in silenzio che l’acqua arrivasse a ebollizione. Poi, Nyssa prese due tazze dalla dispensa, vi versò dentro l’acqua bollente e aggiunse le bustine di camomilla.
Quando Sara si ritrovò davanti la tazza fumante, la strinse tra le mani e sospirò.
«Non pensavo davvero quello che ho detto.»
La figlia di Ra’s al Ghul prese a soffiare dentro la tazza; poi, dopo non molto, la appoggiò davanti a sé. «Lo so. Eri solamente arrabbiata.»
«Non avrei comunque dovuto dirlo» proseguì la bionda, con le mani chele  tremavano.
«Beh, se è per questo, sono davvero una ladra e un’assassina» affermò Nyssa, abbozzando un timido sorriso.
«Già, ma non sei una bugiarda.»
Sara si portò la tazza alle labbra. Aveva la gola completamente asciutta. Mandò giù un paio di sorsi e si sentì subito meglio; poi, per farsi coraggio, allungò il braccio in direzione di Nyssa e afferrò la sua mano.
«Ti chiedo scusa.»
Nyssa abbassò lo sguardo sulle loro mani, ricambiando la stretta senza pensarci due volte. «Sei perdonata.»
Sara arrossì leggermente, un po’ per l’imbarazzo, un po’ perché la bevanda era riuscita a scaldarla. «Com’è andata oggi al lavoro?»
Senza che potesse prevederlo, l’Erede del Demonio scoppiò a ridere. «Tu non vuoi davvero sapere com’è stata la mia giornata.»
«No, decisamente» ammise Sara, asciugandosi le palpebre umide. «Voglio solo che mi racconti esattamente cos’è successo.»
Nyssa prese un respiro profondo. Subito dopo, lasciò andare la presa sulla tazza e strinse le dita di Sara con entrambe le mani. «È iniziato tutto quattro... forse cinque mesi fa. Una sera, mentre ero al lavoro, Laurel mi ha telefonato chiedendomi di andare a casa sua il prima possibile. Non ha aggiunto altro, ma ho subito capito che era successo qualcosa di grave. Mi sono precipitata da lei e l’ho trovata distesa sul divano a pancia in su. Quando le domandai cosa fosse successo, non rispose. Si limitò ad alzare la maglietta. Era piena di lividi.»
Sara ebbe un sussulto. Nyssa allentò la presa sulla sua mano e le chiese se qualcosa non andasse, ma l’amata scosse il capo.
«Va’ avanti.»
Nyssa trattenne a stento un altro sospiro. «Mi raccontò di aver sentito una donna urlare in un vicolo mentre stava rientrando a casa. Stava per essere aggredita da un uomo, perciò Laurel non ci ha pensato due volte e si è gettata contro di lui. Tuttavia, essendo buio, non si era accorta della presenza di altri due uomini. Quando li vide, era troppo tardi.
L’hanno presa a calci nello stomaco fino a farle perdere i sensi, e quando si è svegliata era sola. Camminava a fatica, ma è riuscita a compiere le poche centinaia di metri che la dividevano dal portone del palazzo. A mio parere, era già un miracolo che non avesse delle costole rotte.»
Sara ritrasse la mano e la mise sul tavolo. Deglutiva a fatica. Alla fine, la sua più grande paura si era rivelata veritiera: qualcuno aveva fatto del male a Laurel.
«Dopo... cos’è successo?» chiese ad un tratto, con voce tremante.
«Abbiamo parlato. Le dissi che doveva farsi vedere da un medico, ma non ha sentito ragioni. Rispose che aveva chiamato me proprio perché sapeva che ero una persona discreta e brava con le medicazioni. Ovviamente, c’è voluto un po’ prima che si rimettesse completamente.»
Sara si morse l’interno della guancia con fare nervoso. «Com’è possibile che nessuno di noi si sia accorto che qualcosa non andava?»
«Perché tua sorella ha giocato bene le sue carte. Si è data malata per una settimana dicendo che aveva la febbre. Ma, naturalmente, non era vero.»
Nyssa non poté fare a meno di notare il sorrisino di Sara. Era l’espressione tipica di chi aveva capito tutto quanto.
«Ora ricordo» disse infatti la bionda. «Quella volta ha fatto di tutto affinché io e mio padre non andassimo a trovarla. Diceva di avere paura di attaccarci dei germi. È stata piuttosto insistente, perciò io e papà abbiamo rispettato la sua volontà, ma la verità è che entrambi ci siamo sentiti in colpa all’idea di averla lasciata a casa da sola considerato che stava male.»
«Già. E invece, sono andata a controllarla ogni giorno» rivelò la figlia di Ra’s, mandando giù un altro sorso di camomilla.
«Hai vegliato su di lei» constatò Sara, ancora rossa in viso. «Grazie.»
Nyssa poggiò nuovamente la tazza sul tavolo, rivolgendo la sua attenzione all’amata. Le brillavano gli occhi. «Non ringraziarmi. È proprio in quella settimana che è iniziato tutto» spiegò, lasciandosi andare ad un pesante sospiro. «Laurel mi disse che si era stancata di sentirsi impotente, e che da qualche mese stava pensando di intraprendere un percorso di arti marziali. Sapeva, però, che né tu, né Oliver, le avreste dato il vostro consenso. Ed è per questo che quella sera, in preda alla rabbia e al dolore, ha contattato me e non voi.
Non sono riuscita a dirle di no. Laurel mi pregò di non raccontarti nulla, e così feci. So che invece avrei dovuto parlartene subito, ma sapevo anche che, se lo avessi fatto, non mi avresti mai dato il tuo consenso. Così, le ho dato retta. E quando ho deciso di tenertelo nascosto, sapevo benissimo a cosa andavo incontro. Per cui, hai tutto il diritto di essere arrabbiata con me.»
L’Erede abbassò lo sguardo, dispiaciuta, ma Sara le alzò subito il mento con un dito.
«Volevi solo evitare di dirmelo perché altrimenti avresti dovuto schierarti con una di noi, voltando le spalle all’altra. Perciò, hai preferito optare per una via di mezzo. O forse mi sbaglio?»
Nyssa annuì ripetutamente, un’espressione sorpresa stampata sul viso. «Esattamente. Era quello che volevo evitare.»
Sara fece scivolare la propria mano nell’incavo del collo di Nyssa. «Non volevi deludere Laurel, ma non volevi nemmeno metterti contro di me. È comprensibile.»
«Già, ma è stato snervante riuscire a conciliare tutto» ammise la mora. «Ci allenavamo sempre prima o dopo il lavoro, ma era comunque difficile trovare il momento migliore per non destare sospetti. Poi, quando ho realizzato che Laurel era pronta ad entrare in azione, mi ha praticamente costretta a darle un’occasione sul campo. Avrei voluto dirle di no, ma sarebbe stato insensato. E così, tutto il mondo ora sa di una nuova vigilante che sta seguendo le orme di Canary.»
Nyssa piegò la testa di lato, aumentando il contatto con la mano di Sara. Era calda, probabilmente a causa della tazza fumante che aveva tenuto tra le mani fino a poco prima, ma non le importava.
«A proposito» disse ad un tratto, «come hai capito che si trattava proprio di tua sorella? A parte le sue numerose ferite, ovviamente. Anzi, no, aspetta un attimo. Domanda migliore. Come sapevi che ero coinvolta anche io?»
Sara sospirò a sua volta. «Dalla maschera.» Fece una pausa, iniziando ad accarezzarle dolcemente il collo. «Il mese scorso, mentre stavo riordinando l’armadio, ho trovato il borsone con il mio costume e, in preda a un momento di nostalgia, l’ho aperto. O meglio, l’ho completamente svuotato. E mi sono accorta che mancava la maschera di riserva che tenevo nascosta in una delle tasche interne.
Quando ho visto la foto di Laurel in televisione, è stata la prima cosa che ho notato. Era identica alla mia. E poi, ho ripensato a quello che mi avevi detto quando me l’hai mostrata la prima volta, tanti anni fa. Dicesti che era un pezzo unico, come il resto del mio costume. Non ci ho messo molto a fare due più due.»
Nyssa annuì piano, come se quella fosse la spiegazione che si aspettava. «Sapevo che lo avresti capito da sola. Sei sempre stata molto intelligente, habibti.»
«Non è questione di intelligenza. La verità è che non ti sei impegnata più di tanto per evitare che io lo scoprissi» spiegò la bionda. «Perché tu volevi che io lo scoprissi da sola, piuttosto che lo venissi a sapere da una di voi due.»
«Hai fatto centro anche su questo.» Nyssa si alzò in piedi e si avvicinò a Sara, per poi inginocchiarsi di fianco a lei. «Questa storia è durata più di quanto avevo previsto. E so che sei arrabbiata, anche se adesso non lo dai a vedere. Ma devi dare una possibilità a tua sorella. Parlale. E se dopo sarai comunque certa di non volerla sostenere, allora mi tirerò indietro anche io» spiegò, baciandole le nocche delle mani. «Sarò sempre dalla tua parte, amore mio.»
«Hai ragione. Le parlerò» assicurò la bionda. «Ho soltanto una paura tremenda che possa succederle qualcosa di brutto, capisci?»
Nyssa sorrise dolcemente, ripensando a quante volte avesse provato quella paura nei confronti di Sara. «Sì, lo capisco. Per questo ti resterò accanto, qualunque strada sceglierai di prendere.»
Prima che Nyssa potesse prevederlo, Sara le gettò le braccia al collo e la strinse forte. Iniziò a singhiozzare silenziosamente, nascondendo il viso nella sua spalla. Dopo un primo momento di stupore, l’Erede del Demonio prese ad accarezzarle la schiena nel tentativo di calmarla.
«È stata una giornata pesante» disse poco dopo, lasciandole un bacio sulla guancia. «Dovremmo andare a dormire.»



Mezz’ora dopo, Sara si trovava distesa nel letto con lo sguardo rivolto verso il soffitto. Stava aspettando che Nyssa uscisse dalla doccia. Non le andava di addormentarsi senza di lei. Non quella sera.
Come se le avesse letto nel pensiero, la figlia di Ra’s al Ghul fece il suo ingresso nella stanza proprio in quel momento. Dopo essersi infilata un pigiama corto, Nyssa si distese accanto a Sara, la quale poggiò la testa sopra alla sua spalla. Si accoccolò meglio contro di lei, inspirando il profumo di Nyssa. Da quando se n’erano andate da Nanda Parbat, non era più incenso misto a cannella, ma semplicemente cannella, complice anche il suo bagnoschiuma. Nel frattempo, Nyssa iniziò ad accarezzarle i capelli con dei movimenti lunghi e lenti.
Rimasero in silenzio in quella posizione per diversi minuti, fino a quando Sara ruppe l’atmosfera che si era venuta a creare con un sospiro.
«Non abbiamo mai litigato così tanto prima d’ora.»
Nyssa chiuse gli occhi, senza smettere di accarezzare i capelli dell’amata. «È la vita, Sara» disse semplicemente. Poi, aggiunse: «Se fossimo d’accordo su tutto, sarebbe troppo semplice. Non credi?»
«Già. Dimenticavo che noi due non siamo fatte per le cose facili» sussurrò Sara, delineando un sorriso. «Ma è comunque un ostacolo che dobbiamo superare. Se non siamo in sintonia su qualcosa, è meglio trovare subito un punto d’accordo per evitare che le cose si complichino più avanti.»
«Ti riferisci a un eventuale futuro addestramento di Kaila, vero?» azzardò la mora, ripensando a ciò che l’amata aveva detto quel pomeriggio.
«Sì» rispose Sara. «Non ne abbiamo mai parlato.»
«Vuoi farlo ora?»
Canary si mise a sedere, e Nyssa interpretò quel gesto come una risposta positiva.
«Voglio andare a dormire sapendo che abbiamo risolto tutto» spiegò la donna, spostando lo sguardo sulla figlia. Dormiva serenamente. «Ci ho pensato tutto il pomeriggio, Nys. Non voglio che nostra figlia impari a uccidere. Ma insegnarle a difendersi... non vedo perché no, se anche Oliver è d’accordo.» Fece una pausa, per poi sospirare sommessamente. «A patto che sia tu ad allenarla.»
A quelle parole, Nyssa inarcò un sopracciglio. «Va bene. Ma perché proprio io?»
Sara incontrò il suo sguardo, ruotando leggermente la testa di lato. «Perché sei la persona più paziente che io conosca. E so che farai un buon lavoro. Insomma, considera quello che hai fatto con mia sorella. La stai aiutando a trasformarsi in un’eroina.»
Per la seconda volta quella sera, Nyssa prese ad osservare l’amata con uno sguardo stupito. «Allora non sei contraria fino in fondo» constatò, rivolgendole un’occhiata maliziosa.
«Più o meno. Diciamo che mi sto abituando all’idea di formare un trio di vigilanti sexy con voi due» scherzò Sara.
«Però, sarebbe proprio divertente lavorare con le sorelle Lance nello stesso momento!» esclamò Nyssa. Poi, non appena Sara ebbe abbassato la guardia, iniziò a solleticarle i fianchi.
«Smettila, o sveglieremo Kaila!» l’ammonì la bionda, trattenendo a fatica le risate e le lacrime.
Nyssa si bloccò all’istante. «Hai ragione» le bisbigliò vicino all’orecchio. «Scusami.»
«Sei perdonata. Per la seconda volta.»
Sara le mise una mano sulla guancia, ammirando i suoi lineamenti. «E poi, non dimenticare che sei stata tu ad addestrare le sorelle Lance.»
«Tuo padre mi ucciderà sicuramente per questo» disse Nyssa, dandole un buffetto sul naso. «Buonanotte, amore mio.»
«Buonanotte» rispose Sara, chiudendo d’istinto gli occhi. Dopo non molto, però, ripensando alle parole appena pronunciate da Nyssa, li riaprì di colpo.
Oh, merda, pensò, col cuore che batteva a mille. Non aveva mai pensato alla reazione che avrebbero avuto Quentin e Dinah una volta scoperto di Laurel. Ma era un problema a cui avrebbe pensato un altro giorno.
Un passo alla volta.

*

Oliver strinse il nodo della cravatta con un sospiro. Aveva la fronte sudata, ma non avrebbe saputo come asciugarla ‒ di certo, non con la manica dello smoking: Felicity lo avrebbe ucciso se avesse rovinato l’abito.
Prima che l’uomo riuscisse a trovare qualcosa ‒ qualsiasi cosa ‒ per togliersi il sudore dalla faccia, qualcuno bussò, interrompendo le sue ricerche.
«Avanti.»
La porta si aprì lentamente, segno che la persona dall’altra parte era nervosa quanto lui.
«Sei pronto?»
Oliver si grattò distrattamente la testa. «No» disse poi, portandosi le mani sui fianchi. «Ma sto sudando come un cammello. Avresti un fazzoletto a portata di mano?»
«No» replicò Quentin, richiudendosi la porta alle spalle. «Ma ho un asciugamano» aggiunse, porgendoglielo.
«Come facevi a sapere che‒»
«Non ce n’è stato bisogno» lo interruppe il capitano. «Quando io e Dinah ci siamo sposati, ho sudato così tanto che avrei potuto riempire una piscina» esclamò, abbozzando una risata. «Quel giorno, mi sono ripromesso che, se avessi avuto un figlio, gli avrei portato un asciugamano prima che Dinah lo accompagnasse all’altare.»
Dopo essersi asciugato la fronte, Oliver ripiegò l’asciugamano e lo appoggiò su una sedia. «Grazie, Quentin. Qualcosa mi dice che mio padre non avrebbe fatto la stessa cosa.»
«Vuoi che ti dica cosa avrebbe fatto tuo padre? Se fosse qui, sono certo che ti darebbe una bella pacca sulla spalla, dicendoti che è fiero di te.»
«Può darsi» concesse Arrow, tenendo lo sguardo rivolto verso il basso. «Ma se lui fosse qui, probabilmente non avrei una figlia, e non starei per sposare Felicity. Forse, perdere i miei genitori era il prezzo da pagare per avere una vita... felice, per così dire.»
«Ehi, non dire così» l’ammonì Quentin, mettendogli una mano sulla guancia. «Per me sei come un figlio, Oliver. E non lo dico solo perché sei il padre di mia nipote. Ma, in veste di genitore, ti posso assicurare che Robert e Moira non vorrebbero che ti colpevolizzassi. Devi voltare pagina. Questo non significa dimenticarli, o non essere triste: significa semplicemente pensare a ciò che ti dà la forza di alzarti dal letto la mattina, e non lasciare che quel pensiero positivo venga sopraffatto dai sensi di colpa per qualcosa che ormai appartiene al passato.»
Oliver corrugò leggermente la fronte. «Come fai a trovare sempre le parole giuste al momento giusto? Esiste un manuale, per caso?»
«Ho avuto due figlie, Oliver» rispose Quentin, rivolgendogli un’occhiata eloquente. «Abbiamo visto tanti cartoni animati con dei messaggi profondi. Ti fanno credere che quei programmi siano per i bambini, ma in realtà insegnano tante cose anche agli adulti.»
L’ex miliardario scosse il capo con un sorriso. «Avrei dovuto aspettarmelo.»
«Non preoccuparti. Vedrai che passando del tempo con Kaila imparerai tanti aneddoti anche tu» assicurò il capitano, sorridendo a sua volta. «Ora, però, dobbiamo andare. Non vorrai rischiare che la sposa arrivi prima di te.»
«Felicity me lo rinfaccerebbe a vita» affermò Oliver, seguendo l’uomo verso l’uscita della stanza. Tuttavia, senza una ragione precisa, Quentin si bloccò, il pomello della porta stretto tra le mani.
«Sai, sono felice che tu e Felicity vi siate trovati.»
Oliver ruotò leggermente la testa di lato. «Lo dici solo perché non avresti voluto che sposassi Laurel. O Sara.»
«No» rispose l’uomo, scuotendo il capo. «Al contrario. Saresti stato un genero fantastico.»



Quando raggiunse l’altare con la mano di Thea stretta intorno al suo braccio, Oliver provò una sensazione strana in tutto il corpo.
Non sapeva come fosse possibile, ma era inspiegabilmente calmo. Forse perché sua sorella era al suo fianco, o forse era dovuto al fatto che Diggle, il suo testimone, lo stava aspettando all’altare con un sorrisetto divertito. La vera agitazione iniziò quando i presenti si voltarono verso il portone d’accesso, con uno sguardo stupito sul volto.
Felicity, priva di occhiali e coi capelli legati in uno chignon basso, indossava un abito bianco che la rendeva ancora più meravigliosa di quanto già non fosse. Attraversò la navata con il bouquet stretto tra le mani e un sorriso a trentadue denti. E non appena ebbe lasciato andare la mano di sua madre per posizionarsi di fronte a Oliver, il cuore iniziò a batterle talmente forte che temette che non ce l’avrebbe fatta a sopravvivere fino al cosiddetto: “Lo voglio.”
«Sei bellissima» sussurrò il suo futuro marito. Ma Felicity aveva già le guance rigate dalle lacrime.
«Non riesco a fermarmi» ammise, in preda all’ansia. «Non riesco...»
«Felicity» la bloccò Oliver, accarezzandole la spalla destra. «Possiamo chiedere al ministro di saltare i convenevoli, se ti fa stare più tranquilla.»
Dopo un primo momento di confusione, il tecnico informatico scosse la testa. «No» disse, più decisa che mai. «Voglio godermi ogni singolo istante.»
A quelle parole, Oliver non poté fare a meno di scoppiare a piangere a sua volta. Quentin aveva ragione: i suoi genitori gli mancavano da morire, ma stava per sposare la donna che amava, e sua figlia lo stava osservando a pochi metri di distanza. Come avrebbe potuto permettere ai fantasmi del suo passato di rovinare un futuro così bello?
Così, prima ancora che il ministro potesse dire una parola, prese il viso di Felicity tra le mani e la baciò.



Dopo la cerimonia, i neosposi avevano condotto gli invitati all’aperto, dove era stato allestito un vasto buffet. C’erano pietanze di tutti i tipi: dalla pasta alla verdura fresca, dal sushi ai tramezzini, probabilmente c’era cibo sufficiente a sfamare mezza Iron Heights.
«Queste tartine sono deliziose.»
Sara alzò lo sguardo in direzione di Nyssa, intenta ad assaggiare stuzzichini di ogni tipo. Non appena si rese conto che la sua amata la stava osservando con un’espressione divertita, la figlia di Ra’s al Ghul si accigliò.
«Cosa c’è?» domandò, confusa.
La bionda fece spallucce. «Niente. Sono solo felice di vederti così.»
«Così come?»
«Normale» rispose Sara, alludendo al loro passato a Nanda Parbat. «Felice» aggiunse subito dopo, sorridendo.
Nyssa arrossì appena, sorridendo a sua volta. Dopo tutto quel tempo, non si era ancora abituata all’idea che lei e Sara stessero conducendo una vita normale ‒ o, perlomeno, una vita lontana dagli omicidi e dalle rigide regole imposte dalla Lega degli Assassini. A volte, le sembrava di vivere in un sogno; altre, invece, quasi dimenticava di essere nata in una setta e di essere ancora l’Erede del Demonio.
Come se non bastasse, Maseo non si era più fatto vivo dalla notte della nascita di Kaila. Era strano ‒ troppo strano ‒, ma negli ultimi mesi aveva fatto il possibile per non sollevare l’argomento. Sapeva che anche Sara, nel suo silenzio, era preoccupata, così come sapeva che, se ne avessero parlato a voce alta, avrebbero soltanto peggiorato la situazione. Potevano solo godersi il tempo che avevano a disposizione con la loro bambina, anche se nessuna delle due era certa di quanto ne avrebbero avuto. Ma qualunque cosa sarebbe successa dopo, erano pronte. E, cosa più importante, erano insieme.
Nyssa scosse la testa nel tentativo di allontanare i pensieri negativi; poi, senza una ragione precisa, afferrò un’altra tartina e la porse alla sua amata.
«Vuoi assaggiare? È con i gamberetti.»
Sara stava osservando un punto fisso davanti a lei con Kaila stretta tra le braccia. Rimase in silenzio per alcuni istanti prima di rispondere.
«Magari dopo, grazie. Volevo portare la bambina da Oliver e Felicity, così che possano scattare qualche fotografia con lei.»
Nyssa seguì lo sguardo di Sara fino agli sposi, seduti in mezzo al prato. «Sicura che sia solo questo?»
Kaila iniziò a dimenarsi, segno che non voleva più essere tenuta in braccio. Sara la mise a terra prima che iniziasse a piangere.
«Devo parlare con Laurel» aggiunse, con un sospiro. « Ho rimandato questa conversazione troppo a lungo. È giunto il momento di chiarire.»
Nyssa annuì, masticando lentamente la tartina che Sara aveva rifiutato. «Sono d’accordo. Come ho già detto, questa storia è andata avanti per troppo tempo.»
Kaila iniziò a compiere dei passetti incerti davanti a sé, le manine strette in quelle della madre che, alle sue spalle, la stava aiutando a non perdere l’equilibrio.
«Augurami buona fortuna» esclamò Sara, ruotando la testa in direzione di Nyssa.
«Andrà tutto bene, habibti» la rassicurò la mora, sorridendole dolcemente. «Fidati di me.»
Sara si fidava, ma non ebbe il tempo di replicare perché Kaila la stava conducendo ‒ o meglio, trascinando ‒ dalla parte opposta. Questa volta, fu Nyssa a riservare all’amata uno sguardo divertito. Dopo pochi istanti, qualcuno le toccò il gomito, provocandole un brivido lungo la schiena.
«Champagne?»
Nyssa osservò il flûte per alcuni secondi prima di rispondere. «Volentieri.»
Quentin le porse uno dei due calici, per poi guardare nella sua stessa direzione. Kaila non aveva ancora imparato a mantenere l’equilibrio, perciò, ogni tanto, si lasciava cadere volutamente a terra, per poi rialzarsi più decisa di prima.
«Kaila sta diventando un bel peperino, non è così?»
«Come sua madre» azzardò Nyssa, mandando giù un sorso di spumante.
Il capitano abbozzò una risata, osservando la figlia minore stare al passo della nipote. «È vero. Da piccola, Sara non stava mai ferma. È sempre stata uno spirito libero. Come sua madre, per l’appunto.»
«Sì, l’ho sentito dire.» Nyssa prese un respiro profondo, stringendo il flûte con entrambe e mani. «Somiglia molto anche a lei, capitano.»
Quentin si voltò verso la donna, sorpreso. «A che ti riferisci?»
«Il suo coraggio. La sua determinazione. La sua impulsività. Sono tutte caratteristiche che deve a lei.»
Quentin non replicò alle parole di Nyssa, ma sorrise sotto ai baffi. Era sempre stato consapevole del fatto che, caratterialmente, la sua secondogenita somigliasse più a Dinah che a lui; in compenso, Laurel aveva ereditato la maggior parte dei suoi pregi e difetti, perciò aveva sempre pensato che i conti fossero stati pareggiati con l’arrivo di Sara.
Ma la verità era che, nonostante tutto, Sara era ancora la sua bambina. Sarebbe sempre stata la sua bambina. E sentir pronunciare delle parole simili dalla persona che probabilmente la conosceva meglio di chiunque altro, non poteva che scaldargli il cuore.
«È una bella cerimonia» disse a un tratto la mora, intuendo che il capitano si fosse perso nei propri pensieri.
«Già. Oliver e Felicity si sono dati un gran da fare» rispose Quentin, spostando lo sguardo sugli sposi. «A proposito, quando toccherà a voi due?»
Nyssa iniziò a tossire nervosamente. Subito dopo, realizzò che, se in quel momento avesse avuto dello champagne in bocca, probabilmente lo avrebbe rigettato tutto. Fortunatamente, non era così, perciò riuscì a darsi un contegno con maggiore facilità.
«Come, prego?»
«Insomma, quando hai intenzione di fare la proposta a mia figlia?» proseguì Quentin, chiarendo il concetto. «State insieme, da quanto? Sei anni? E avete anche una bambina. Mi stupisce che non lo abbiate fatto prima.»
Nyssa drizzò la schiena, sospirando. «Io e Sara abbiamo parlato di matrimonio tante volte, ma eravamo consapevoli che, probabilmente, non saremmo mai riuscite a coronare il nostro sogno. In altre parole, sapevamo che non ci saremmo potute sposare nella Lega degli Assassini. Non con il consenso di mio padre.»
«Ma ora non siete più alla Lega» sottolineò Quentin, con uno sguardo eloquente. Poi, fece tintinnare i loro bicchieri e mandò giù il resto dello champagne tutto d’un sorso.
In quel momento, Nyssa realizzò che Quentin aveva ragione. Dopo essere fuggite da Nanda Parbat, lei e Sara avevano parlato di matrimonio solo una volta, quando era nata Kaila. Ma poi, non erano più tornate sull’argomento. Dopotutto, sarebbe stato assurdo anche solo pensarci. Come avrebbero potuto sposarsi con la consapevolezza di essere ricercate da Ra’s al Ghul?
Ma era anche vero che, adesso, Nyssa era libera ‒ per così dire. Se avesse voluto sposarsi, Ra’s non avrebbe potuto ostacolarla in alcun modo, di questo ne era certa. Perciò, forse, Quentin non aveva tutti i torti: nessuno poteva impedirle di fare la proposta a Sara. Tantomeno suo padre.
Nyssa sorrise a labbra strette, poggiando audacemente una mano sulla spalla del capitano.
«Grazie, Quentin.»



Quando Kaila ebbe raggiunto la sua meta, Sara non poté fare a meno di tirare un sospiro di sollievo. Le piaceva stringere le sue manine quando tentava di camminare. Le piaceva ancora di più il significato di quel gesto: lei era la sua mamma, e l’avrebbe sempre sorretta prima di un’eventuale caduta. Ma era anche vero che non era facile starle dietro, e come se non bastasse, in quel momento aveva un altro pensiero che voleva togliersi dalla testa.
«Guarda un po’ chi è arrivata!»
Di fronte all’esclamazione di Felicity, Kaila emise un gridolino di gioia. Subito dopo, la bimba allungò le mani in direzione del padre.
«Ti sono mancato, piccolina?» domandò Oliver, prendendola in braccio.
«Tanto. Non la smetteva di fissarti» rispose Sara. Difatti, Kaila si perse subito nello sguardo del padre, che aveva iniziato a fare delle facce buffe con l’intento di farla ridere.
«Giusto in tempo per le foto!» aggiunse Felicity, accarezzando dolcemente le guance della bambina.
Oliver annuì alla moglie, per poi rivolgersi nuovamente a Sara. «Perché non vai a chiamare anche Nyssa? Adesso il fotografo si è preso una pausa, ma pensavamo di iniziare a scattare qualche fotografia insieme ai parenti non appena tornerà.»
«Cioè tra una decina di minuti, più o meno» concluse la moglie per lui.
Sara sembrò pensarci su per alcuni istanti. «Sì, è una splendida idea» acconsentì. «Prima, però, devo fare una cosa.»
Oliver annuì ancora, questa volta guardando Kaila. «Okay. Noi ti aspettiamo qui.»
Sara sorrise a labbra strette; dopodiché, col cuore che batteva a mille, si voltò. Non ci mise molto a individuare sua sorella: era seduta da sola a un tavolino distante dagli altri, il cellulare in una mano e un bicchiere pieno nell’altra.
Andrà tutto bene, si ripeté nella testa. Ma non ne era certa nemmeno lei.
Quando la sorella si sedette di fronte a lei, Laurel non alzò subito la testa. Ma Sara non demorse. Non poteva ignorarla per sempre. E infatti, dopo non molto, Laurel sbuffò, lasciando cadere il cellulare sul tavolino.
«Perché sei qui?» Aveva un tono tutt’altro che amichevole.
Canary deglutì, rivolgendole uno sguardo dispiaciuto. «Perché non voglio rinunciare al nostro rapporto. E alla nostra amicizia.»
Anche se cercava di non darlo a vedere, Laurel rimase colpita da quelle parole. Pochi istanti dopo, sospirò.
«Nemmeno io.»
C’era ancora tensione tra loro, ma era un inizio. Sara abbassò lo sguardo sulle proprie mani. Non sapeva cosa dire. Dopo un tempo che le sembrò interminabile, Laurel riprese la parola.
«Ti racconterò esattamente com’è andata.»
«Non serve. Nyssa mi ha già spiegato tutto.»
Quando si rese conto del tono brusco che aveva utilizzato, Sara chiuse gli occhi in segno di pentimento. «Scusami, non intendevo... vorrei sentire anche le tue motivazioni, ovviamente.»
Laurel prese un respiro profondo, appoggiando le mani sulle ginocchia. «Ti avrà detto anche che sono stata aggredita, allora.»
«Sì» sussurrò Sara, ripensando con orrore a quello che la sorella aveva dovuto patire.
«E che sono stata io a chiederle di non dirti nulla.»
Canary annuì piano, e Laurel sorrise amaramente.
«Beh, effettivamente non c’è molto altro da dire. Sai già tutto.»
La maggiore delle sorelle Lance mandò giù un sorso d’acqua, per poi posare il bicchiere vuoto davanti a sé. «Non dovevo coinvolgere Nyssa, me ne rendo conto» disse ad un tratto «ma non sapevo a chi altro rivolgermi.»
Sara scosse il capo. «No, hai fatto la cosa giusta, invece. Vorrei dirti che se fossi venuta da me avrei accettato la tua proposta, ma mentirei. Non avrei mai acconsentito. Non perché non creda che tu possa diventare una buona guerriera, ma perché volevo che restassi lontana da questo mondo. E, soprattutto, non voglio che tu ti faccia male.»
«Lo so, e ti voglio bene per questo. Però, dopo tutte le cose che sono successe...»
Laurel prese a massaggiarsi la radice del naso con il pollice e l’indice, riuscendo così a ricacciare indietro le lacrime. «Quando ho chiesto a Nyssa di addestrarmi, non sapevo fino a che punto mi sarei spinta. Ero arrabbiata. E spaventata. Ma poi, con il passare dei giorni, mi sono resa conto che avrei potuto farcela davvero. Non dico di potermi paragonare a te o a Oliver, ma nel mio piccolo, vorrei fare la differenza. E grazie a Nyssa, sto realizzando questo proposito.»
Sara prese un respiro profondo. Chiuse gli occhi per alcuni istanti, e quando li riaprì, Laurel la osservava con uno sguardo speranzoso. Non avrebbe potuto negarle quella felicità dopo tutto ciò che aveva passato. Non di nuovo.
«Nyssa aveva ragione» esordì, puntando i propri occhi in quelli della sorella. «Sei una donna adulta. Hai tutto il diritto di fare quello che vuoi. E io non sono nessuno per metterti i bastoni tra le ruote.»
«Non è vero» contestò Laurel, accarezzandole dolcemente la mano. «Sei la mia sorellina. Che vita sarebbe senza una sorella come te a guardarmi le spalle?»
Sara non poté fare a meno di ridere, e Laurel la seguì a ruota. Anche se sua sorella aveva cercato di allontanarla, in quel momento Canary fu felice di non essersi mai arresa. Ne era valsa la pena.
«Capisco perché tu mi abbia attaccata, quando l’hai scoperto» disse ad un tratto Laurel. «Probabilmente, anche io sarei esplosa se fossi stata al tuo posto.»
«Non è vero» protestò Sara. «Quando ti ho detto di essere Canary, tu non hai battuto ciglio.»
«Beh, avevo scoperto da poco che mia sorella era tornata dal regno dei morti dopo sei anni. Direi che vederti combattere fosse la cosa che meno mi preoccupava a quel tempo.»
La maggiore delle sorelle Lance abbozzò nuovamente una risata, ma questa volta, Sara rimase seria.
«Il punto è che, quando sono tornata, superati lo shock e i litigi iniziali, siete stati tutti comprensivi con me. Per il fatto che non vi avessi contattati prima, per la mia affiliazione alla Lega degli Assassini... per Nyssa. Con tutto quello che voi ‒ che tu hai fatto per me, avrei dovuto semplicemente mettere da parte le mie paure e stare dalla tua parte. E invece, come al solito, la mia testardaggine ha avuto la meglio. Perdonami, Laurel.»
Sara tirò su col naso, dando alla sorella l’ennesima prova di quanto fosse dispiaciuta per come erano andate le cose. Laurel si alzò in piedi di colpo e si sporse verso di lei, per poi stringerla tra le sue braccia. Sara ricambiò la stretta, nascondendo il viso nella spalla della sorella.
«Sono io che ti devo delle scuse» ammise la maggiore. «Ho cacciato mia sorella e mia nipote da casa mia. Sono una persona orribile.»
«Facciamo finta che non sia successo nulla, okay?» propose Sara, accarezzando la guancia destra di Laurel. «Anche perché, abbiamo cose più importanti a cui pensare.»
«Ah, sì?» domandò l’avvocato, confusa.
«Dobbiamo capire come dirlo a Oliver, alla mamma e poi a papà.»
«Oh, cavolo. E io che stavo facendo del mio meglio per non pensare a quel giorno» ironizzò Laurel, portandosi la mano sulla fronte.
«Se sono sopravvissuti alla notizia della mia gravidanza, sicuramente sopravvivranno anche a questo» la rassicurò la sorella, con una piccola risata.
«Sopravvivere a cosa? Ai tacchi a spillo? Perché, se state parlando di questo, ho portato delle scarpe da ginnastica di ricambio.»
Le sorelle Lance si scambiarono un’occhiata divertita, per poi rivolgere l’attenzione a Thea.
«A dire il vero, anche noi ci siamo attrezzate» rispose Laurel, con un occhiolino. «Piuttosto, te l’hanno detto che quest’abito ti sta una favola?»
Effettivamente, l’abbigliamento di Thea era quello che probabilmente risaltava di più tra gli invitati: indossava una tuta elegante color rosso scarlatto, abbinata a un paio di orecchini con dei rubini che, presumibilmente, erano appartenuti a Moira.
A quel complimento, Thea non poté fare a meno di arrossire. «Ti ringrazio. Quando l’abbiamo provato al negozio non ne ero molto convinta.»
«Fortuna che Felicity ti ha persuasa a comprarlo, allora» esclamò Sara, accarezzando dolcemente il braccio di Thea. «Già che ci siamo, posso rubarti un paio di minuti per dirti una cosa?»
«Ma certo. Di che si tratta?»
«Stavo pensando di ricominciare a lavorare» rivelò la bionda, incrociando distrattamente le braccia. «Sempre che la tua proposta sia ancora valida, ovviamente.»
«Per me non è un problema, anzi, sarei felicissima di riaverti al Verdant. Ma ne sei proprio sicura? Kaila è ancora piccola e al locale resta aperto fino all’alba. E poi, se Oliver e Nyssa saranno impegnati con il loro “lavoro notturno”, chi si prenderà cura di lei?»
«Ho già pensato a tutto. Mia madre si trasferirà a Starling City entro la fine dell’estate, perciò potrà darmi una mano.»
«Non lo sapevo. Sbaglio o è ancora giovane per andare in pensione?»
«Stava valutando l’ipotesi della pensione anticipata, ma, nel frattempo, siamo riuscite a convincerla a chiedere il trasferimento alla Starling City University» spiegò Laurel, mettendo un braccio intorno alle spalle della sorella.
«È una bellissima notizia, ragazze. Beh, allora, che ne dici di venire a fare una prova la settimana prossima? Senza impegno, ovviamente» propose Thea a Sara. «Insomma, non che tu abbia bisogno di una prova, visto che hai già lavorato al Verdant. Però, credo sarebbe utile per te, in modo da poter riprendere il ritmo. Perciò, se dovessi avere dei problemi, sentiti libera di non presentarti. Possiamo sempre rimandare.»
Sara sorrise a labbra strette, poggiandole una mano sulla spalla. «Sarebbe grandioso, Thea. Credo che Laurel e mio padre saranno felici di aiutarmi fino a quando mia madre non si sarà trasferita. Non è così?»
Canary fece un cenno alla sorella, la quale rispose con un sorriso a trentadue denti.
«Certo che sì.»
«Perfetto! Allora è deciso» esclamò Thea, abbracciando Sara di slancio. «Sono così contenta di riaverti nel mio staff.»
«E io sono contenta di riavere un lavoro» rise la bionda. «Sai, non è facile vivere con uno stipendio solo e una bambina piccola. E poi, dobbiamo ancora risarcire Laurel per l’appartamento che ci ha comprato.»
L’avvocato alzò gli occhi al cielo. «Te lo avrò ripetuto un milione di volte: non voglio che mi restituiate nemmeno un centesimo. Avevo semplicemente messo da parte dei soldi per iniziare una vita con Tommy, ma poi...»
Laurel fu costretta a lasciare la frase a metà, in quanto fu interrotta dalla vibrazione del cellulare di Thea.
«È Ollie» spiegò la ragazza. «Ci vuole tutti riuniti per le foto di famiglia.»
«Okay, allora diamo una sistemata qui e ti raggiungiamo» disse Sara, indicando il tavolino con lo sguardo.
A quelle parole, Laurel corrugò la fronte, ma attese che Thea si fosse allontanata prima di aprire bocca. «Devo solo riprendermi il bicchiere, mica fare le pulizie di primavera.»
Sara sospirò, per poi incontrare lo sguardo della sorella. «A proposito di quello che hai detto poco fa riguardo a Tommy... è assurdo da parte mia pensare che questo tuo bisogno di combattere i criminali abbia a che fare con lui?»
Laurel deglutì, per poi prendere un respiro profondo. Sua sorella la conosceva molto bene, non poteva negarlo.
«Ti svelo un segreto, sorellina» esordì, prendendo Sara sottobraccio. «Da quando Tommy è morto, ogni decisione importante della mia vita, l’ho presa pensando a lui.»
Sara annuì, per poi iniziare a incamminarsi verso gli sposi insieme alla sorella. «Laurel, io... non riesco neanche a immaginare quanto sia difficile per te.»
«Non devi farlo. Ti basti sapere che il solo pensiero di poter impedire che altre persone vengano uccise mi aiuta ad alleviare il senso di colpa. E per adesso mi basta.»
Sara si bloccò nel bel mezzo del prato, sotto lo sguardo confuso della sorella. Subito dopo, piegò il mignolo nella sua direzione.
«Pace fatta?»
Laurel osservò il dito di Sara per alcuni istanti, dopodiché sorrise. «Pace fatta» disse, lasciando che i loro mignoli si incrociassero.















Non mi sembra vero di essere qui a meno di due mesi dall’ultimo aggiornamento. Wow! Ma, in fondo, è il minimo che possa fare considerando che devo farmi perdonare per tutti i mesi di attesa ^^’’
Far litigare le sorelle Lance non è una cosa che mi piaccia così tanto, ma credo che fosse necessario. Il fatto che Sara faccia incavolare Laurel è un po’ rito di passaggio della serie, perciò ho pensato che sarebbe stato innovativo che questa volta fosse Laurel la ‘pecora nera’ ‒ o canarino nero?
Anyway. Gli ultimi capitoli sono stati meno movimentati rispetto ai precedenti, ma vi prometto che già dal prossimo torneremo ai soliti combattimenti.
See ya in two months! (Hopefully)
P.S. Si sta bene senza Ra’s e i suoi scagnozzi alle calcagna delle nostre bimbe, non è vero? c:

   
 
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