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Autore: Joy    19/08/2020    2 recensioni
“Signor Winchester.” lo saluta distrattamente il preside dell'istituto, varcando la soglia con passo spedito. “Si sieda” seguita senza guardarlo e deposita sulla scrivania un plico di scartoffie.
John ignora il suo invito e rimane in piedi, le gambe ben piantate a terra e le braccia incrociate al petto.
“Dov'è mio figlio?” chiede senza tante cerimonie.

[Scritta per A Fragment From The Past Challenge, gruppo Hurt/Comfort Italia]
Teenchesters
Genere: Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Dean Winchester, John Winchester, Sam Winchester
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Scritta per A Fragment From The Past Challenge, gruppo Hurt/Comfort Italia

 

Teenchesters

Dean 16, Sam 12

 

 

Assetto di strategica difesa

 

 

 

Quando il telefono, nella sua stanza di motel, comincia a squillare, John è appena rientrato da una caccia ad un ghoul particolarmente stronzo. È completamente ricoperto di fango, ha una tendina di sangue che gli copre l'occhio sinistro e un ginocchio decisamente troppo dolorante persino per i suoi canoni.

Si schiarisce la voce con un colpo di tosse, sputacchia saliva dal sapore di terriccio e risponde al telefono.

“Il signor Winchester?”

La voce femminile che gli parla è eccessivamente affettata. John ne ha sentite di voci simili nell'arco degli anni e quasi tutte, dopo un giro di cortesie ipocrite, hanno tentato di separarlo dai suoi figli.

Afferra distrattamente il revolver che aveva appoggiato sul tavolo al suo rientro.

“Sono io” tuona burbero.

Dall'altro capo della cornetta, la voce esita; John se ne compiace.

“La contattiamo dalla segreteria della Winsconsin Dells High School” riprende con un po' meno baldanza. “Il preside Reed ha bisogno di parlare con lei, a proposito di suo figlio.”

John preme la leva di sblocco del tamburo e lascia che i bossoli si rovescino sul tavolo con rumore metallico.

“Quale?” chiede, poi.

“Come prego?” gli risponde la voce sempre più flebile. John sorride.

“Quale dei miei figli si è cacciato nei guai?” specifica spiccio, caricando nuovi proiettili nei fori cilindrici.

“Oh...” esita. “Qui ho una convocazione per il padre di Dean Winchester, per cui...”

Il volto di John si rabbuia.

Il maggiore dei suoi figli ha imparato da tempo a mantenere un profilo basso a scuola, tuttavia i suoi sedici anni si stanno rivelando un po' più ribelli di quanto si fosse aspettato.

“Sarò lì tra un'ora al massimo” dichiara deciso, riposizionando il tamburo con uno scatto deciso.

Riaggancia la cornetta prima ancora che la segretaria abbia il tempo di replicare e s'infila, senza esitare oltre, nel bagno del motel.

 

 

 

Vicino all'ingresso della scuola, si elevano dal marciapiede quattro cabine telefoniche.

John parcheggia l'auto, ravana nel cassetto fino a trovare una manciata di gettoni e s'infila nella prima libera.

“Ehi Bobby” lo saluta semplicemente, quando sente la sua voce burbera attraverso l'apparecchio.

“John.” ricambia quello. “Quale bestiaccia devi sistemare questa volta?”

“Un preside.”

Il silenzio che segue gli fa capire che sì, Bobby ha già capito la situazione e no, non ha nessuna voglia di scherzare.

“I ragazzi stanno bene?” chiede infatti serio.

“Sarà bene che sia così.” sbotta John. “Mi hanno convocato per parlare di Dean.”

Dall'altro capo del telefono arriva un sospiro preoccupato.

“John” riprende Bobby con tono grave. “Ascolta con attenzione quello che ti diranno.”

“Oh andiamo, Bob-

“Ascolta fino alla fine” lo interrompe quello, senza preoccuparsi di nascondere il tono di rimprovero. “E osserva il ragazzo, mentre lo fai. Tuo figlio ha la brutta abitudine di prendersi la colpa anche quando non ce l'ha.”

“Bobby?” esita John. “Dove sei in questo momento?”

“Dalla parte opposta del paese, sulle tracce di un maledetto wraith.”

“Fai attenzione” gli dice semplicemente.

“Te la caverai” gli risponde Bobby, prima di riagganciare.

E John spera davvero che abbia ragione.

 

 

 

La stanza dove lo fanno accomodare è angusta e soffocante, la scrivania ricoperta di fogli e le pareti tappezzate di targhe risalenti a dieci anni prima.

A John ricorda la sua vecchia scuola, gli anni trascorsi nella spensierata ingenuità della sua giovinezza, quando i suoi unici pensieri erano le verifiche di fine trimestre e le labbra di Mary Campbell.

Una vita fa.

Adesso, i suoi stivali militari, i pantaloni mimetici e l'intera portata di ciò che sa, lo fanno sentire come il proverbiale elefante nella cristalleria.

Non appartiene più a quel luogo.

A volte pensa di non appartenere più a niente, se non alle ombre popolate da mostri; si chiede se i suoi figli provino la stessa sensazione e la risposta gli lascia l'amaro in bocca.

“Signor Winchester.” lo saluta distrattamente il preside dell'istituto, varcando la soglia con passo spedito. “Si sieda” seguita senza guardarlo, depositando sulla scrivania un plico di scartoffie.

John ignora il suo invito e rimane in piedi, le gambe ben piantate a terra e le braccia incrociate al petto.

“Dov'è mio figlio?” chiede senza tante cerimonie.

E il tono rude deve aver sortito il suo effetto, perché il preside alza lo sguardo dalle sue carte per la prima volta e scruta l'intera figura che si trova davanti a lui.

John nota con piacere l'improvvisa rigidità della sua mascella e la linea stretta delle labbra, quando il preside fa cenno alla segretaria di far entrare il ragazzo, ma la breve soddisfazione si spegne nell'istante in cui vede Dean.

Ha una guancia contusa, un labbro spaccato e lo sguardo furioso e impotente di una preda braccata.

John ci mette un istante a capire che si sente accusato ingiustamente.

Dean si scrolla dalla spalla la mano della guardia che lo sta scortando, incespica nei suoi stessi piedi e finalmente incrocia lo sguardo di suo padre.

“Papà...” boccheggia stupito, poi abbassa lo sguardo e stringe i pugni.

Ai suoi polsi sferragliano delle manette d'ordinanza; lo sguardo di John si assottiglia.

“Gliele tolga” sibila pericolosamente. “Sono una misura eccessiva.”

“Ha opposto resistenza” chiarisce la guardia con tono eloquente.

Le labbra di John si serrano fino a diventare bianche.

“Papà...” tenta Dean conciliante, ma John lo ferma con un cenno della mano.

Inspira profondamente e posa sulla scrivania il tesserino del FBI.

“Gliele tolga” ripete. “E faccia portare del ghiaccio, prima che decida di far partire una denuncia per abuso di potere su un minore.”

Il preside Reed annuisce brevemente in direzione della segretaria e la guardia, rossa in viso, fa scattare le serrature sui polsi del ragazzo.

“Adesso possiamo sederci?” chiede di nuovo il preside, sottolineando le parole con un'alzata di sopracciglia.

Dean non se lo fa ripetere due volte, profonda nella poltrona e nasconde metà del viso dietro il sacchetto di giaccio istantaneo. È teso come una corda di violino, John è pronto a giurarlo, e non lo biasima, del resto lui stesso pochi mesi prima, l'ha abbandonato al suo destino nelle mani delle autorità, senza neanche concedergli il beneficio del dubbio.

Non è fiero di se stesso per quello.

Ricaccia indietro il rimorso, si concentra sulle parole di Bobby e finalmente si siede.

Il preside Reed lascia andare il respiro che stava trattenendo e abbassa le spalle, visibilmente rilassato.

“Adesso” inizia John “vorrei sapere cos'è successo. Dall'inizio.”

Il preside intreccia le dita e posa le mani sulla scrivania; Dean sprofonda ancora di più nella poltrona.

 

 

 

Accusato di furto per la seconda volta in sei mesi.

John si liscia la barba pensieroso e sebbene nutra ancora qualche dubbio sulle bravate di suo figlio, è sicuro che almeno questa volta lui sia innocente; non fosse altro per la scontata ovvietà di nascondere i fondi rubati nel proprio zaino.

Qualsiasi ragazzino con un briciolo di cervello avrebbe scelto un altro posto e Dean non è un ragazzino qualsiasi e ha più testa della maggior parte degli adulti che ha avuto la sfortuna di conoscere.

Eppure se ne sta in silenzio, gli occhi bassi e il volto rosso.

“Sei stato tu, figliolo?” si decide a chiedergli dopo qualche istante.

Il ragazzo scuote la testa.

“Dean.” lo ammonisce suo padre.

“Nossignore!” sbotta, allora.

John trattiene il rimprovero che minaccia di uscirgli dalle labbra.

“Sai chi è stato?” gli chiede invece, cercando di mantenere un tono conciliante.

“Nossignore.” risponde di nuovo il ragazzo, senza guardarlo.

John non se la beve neanche per un secondo. Si sporge verso il figlio, gli solleva il mento e lo guarda dritto negli occhi.

“Sai chi è stato?” ripete.

Dean reprime un fremito appena percettibile.

“No, papà.” gli risponde a voce bassa.

E John sa per certo che chiunque sia stato a incastrare suo figlio, per qualche ragione a lui incomprensibile, Dean vuole proteggerlo.

Sospira e torna a rivolgere lo sguardo al preside; il tesserino del FBI è ancora sulla scrivania, John lo afferra e lo ripone lentamente nella tasca del suo giaccone.

“Mi trasferiscono per lavoro.” chiarisce. “Tra meno di una settimana, entrambi i miei figli lasceranno questa scuola.”

Il preside Reed solleva la mani e si appoggia allo schienale.

“Signor Winchester, vista la situazione” replica, gettando uno sguardo al ragazzo malconcio “e considerato che i fondi per le attività sportive sono stati recuperati, le proporrei di archiviare l'accaduto.”

Dean solleva su suo padre uno sguardo incerto, prima di spalancare gli occhi incredulo quando lo sente acconsentire.

 

 

 

John sta firmando le carte per l'uscita anticipata, quando Sam li raggiunge in presidenza.

“Papà...” balbetta stupito non appena lo vede. “Dean!” grida quando scorge la sua sagoma perfettamente immobile, ancora sprofondata nella poltrona. “Cos'è successo?”

“Non ora, Sam” lo mette a tacere suo padre. “Per oggi basta lezioni. Voi ragazzi venite a casa con me.”

Posa una mano sulla spalla di Dean, la lascia scendere sul suo braccio e l'aiuta a rimettersi in piedi; è ancora un po' malfermo, constata.

“Stai bene, figliolo?” gli chiede, prima di lasciare la presa.

Quello annuisce con un cenno del capo e abbozza un mezzo sorriso in direzione di Sam.

Sam per tutta risposta gli si incolla al fianco.

John varca la soglia della presidenza dopo di loro, s'impone di rivolgere una parola di saluto al preside e ammette a se stesso di aver affrontato, tutto sommato, bestiacce peggiori.

 

 

 

“È stato Oliver Ward ha incastrarti? Il fratello di Cora?” chiede Sam appena la porta del motel si chiude alle sue spalle.

Dean gli scocca un'occhiata ammonitrice che John finge di non vedere.

Scosta, invece, dal tavolo la sedia più vicina.

“Siediti, Dean” gli dice. “Voglio controllare quella contusione.”

Non è niente di grave e John lo sa, ma il maggiore dei suoi figli ha ancora uno sguardo sperduto che non gli piace per niente e continua a tormentarsi le mani e, perdio, John si sente in colpa per averlo abbandonato in un casa di correzione nemmeno sei mesi prima.

Ha abbandonato suo figlio, si ripete nella testa, Cristo Santo, Mary lo avrebbe preso a calci.

“Papà” lo riscuote la voce di Dean, che improvvisamente gli sembra molto più adulta rispetto a due ore prima. “Non è niente, davvero.”

“No. Non è niente” conferma John. “Mettiamo solo un po' di crema. Per il dolore.” aggiunge.

Dean solleva un sopracciglio, ma rimane in silenzio.

Sam in piedi accanto al tavolo continua a fissare le dita sul volto di suo fratello, quasi fossero ipnotiche.

John ha la sensazione che il minore dei suoi figli si senta derubato di uno dei suoi compiti.

In effetti, la maggior parte delle ferite di Dean, passano sotto le dita leggere di Sam da anni ormai.

John si sente un po' in colpa anche per quello, ma l'espressione da crocerossina demansionata di Sam è divertente anche per un padre burbero come lui.

“Lo sto facendo correttamente, Samuel?” gli chiede con tono ilare.

Dean sgrana gli occhi.

“S..sì, papà” balbetta il ragazzino in risposta. “Sei bravo con... la crema.”

Dean si copre gli occhi con la mano e, John può giurarci, si sta chiedendo come mai il suo fratellino non riesca mai a tenere la bocca chiusa.

Sorride nonostante tutto.

“Grazie, Samuel.” aggiunge con bonario sarcasmo.

A Dean sfugge un sorriso.

È il primo da giorni.

Finisce di spalmargli la crema sulla guancia contusa e gli posa la mano sull'altra.

“Mi dispiace, figliolo.” riesce a dirgli.

Poi si alza, arruffa i capelli di Sam e inizia a radunare le armi.

“Partiamo domattina presto.” decide.

I ragazzi rimangono immobili, l'uno accanto all'altro.

“Mi dispiace, Sam” la voce di Dean si sente appena “dobbiamo andarcene per colpa mia.”

“Oh, non mi piaceva granché, questa scuola.” sente rispondergli Sam. “E poi quella Cora, non faceva altro che piagnucolare, diceva che tu l'avevi illusa.”

La replica di Dean è un ringhio gutturale che John finge di non sentire.

Del resto, il rumore del caricatore che scorre nella sua semiautomatica ne copre buona parte.

 

Fine.

  
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