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Autore: Cri cri    20/08/2020    3 recensioni
“Lucy… Lisanna mi manca da morire, vorrei strapparmi il cuore dal petto se questo bastasse per ripotarla da me, ma sai dove trovo la forza per andare avanti?” la furia bionda smise di combattere e si arrese a lui; il suo odore misto tra miele e limone gli entrò dentro le narici, provocandogli un brivido lungo la schiena che giustificò come riflesso del freddo e dei vestiti inzuppati appiccicati addosso: “Da te, da un vigile del fuoco che ha scelto di dedicare la sua vita per salvare gli altri, da una perfetta estranea che invece di farsene una ragione ancora oggi va tutti i giorni sulla lapide della mia ragazza per chiederle perdono. Un perdono che non meriti semplicemente perché non ne hai bisogno. MiraJane, la sorella di Liz, mi ha parlato del vostro incontro e ora che ti ho incontrata io voglio dirti grazie…” la voltò, complice l’arrendevolezza della bionda, per dirglielo ancora, stavolta occhi contro occhi: “Grazie per quello che hai fatto per noi, Lucy.”
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Natsu/Lucy
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Dolore per due
 
“Ragazzo, avanti, ce l’abbiamo quasi fatta!” gridò al tipo appollaiato contro le sue spalle mentre le fiamme attorno a loro divoravano tutto rendendo l'aria irrespirabile. Si era privata della maschera per infilarla sul volto del ragazzo onde evitare che respirasse quella porcheria durante l’uscita dallo stabilimento. La sua squadra e altre sette di supporto, tra cui tre arrivate da Hargeon, da circa un’ora cercavano di salvare più vite possibili in quell'inferno di fiamme e continue piccole esplosioni che rendevano quella che fino a qualche ora prima era la più grande azienda di stoccaggio e magazzino di tutta la città di Magnolia una vera apocalisse. Qualcosa era andato storto, una delle macchine utilizzate per il trasporto delle merci aveva preso fuoco improvvisamente provocando una prima esplosione e da allora lei e alcuni suoi colleghi vagavano tra le fiamme alla ricerca degli scomparsi, dei mancanti all'appello (i quali non erano pochi purtroppo) mentre molti al di fuori con le autopompe tentavano di placare le fiamme onde evitare future e catastrofiche esplosioni.
“Fatti forza! Non ti arrendere!” percepiva il peso del ragazzo farsi sempre più pesante e pregò che stesse bene, che le inalazioni non gli avessero intaccato troppo i polmoni prima del suo tempestivo arrivo.
“Salv… e-la!”
“Che cosa? Cosa?” cercò di capire che cosa, con immane fatica, lui cercasse di dirle e lo comprese solo quando, aiutata dal personale medico, stesero il ragazzo sulla barella.
“Ti prego, salva la mia fidanzata. Si trova all’ultimo piano, era in ascensore prima che scoppiasse l'incendio. Lei si chiama…”
Il ragazzo dai capelli rosa e gli occhi più verdi che avesse mai visto prima le si aggrappò disperatamente al giaccone della divisa, piangeva e gemeva per la ferita riportata al fianco, e in un ultimo alito di lucidità le sussurrò quel nome…
Lisanna!
Giurò davanti a quel corpo svenuto che avrebbe fatto di tutto per salvargli la fidanzata e senza fare rapporto al suo caposquadra e con i mezzi di protezione individuale ormai al collasso si gettò nuovamente dentro, trovando per strada alcuni colleghi, ai quali si appellò affinché la aiutassero a salvare l’ultima persona rimasta nello stabile.
Fu un lavoro estenuante e durissimo perché le corde dell’ascensore avevano rischiato più volte di spezzarsi, e proprio quando riuscì, dopo essersi imbragata, a raggiungere la cabina sospesa dentro la tromba, si rese conto con orrore che la ragazza riversasse priva di sensi sul pavimento in via di decomposizione per colpa delle altissime temperature.
“Calate ancora!” gridò forte per farsi udire e dopo aver agganciato la ragazza, fece cenno ai compagni di tirarla su, accorgendosi con orrore che l'albina in questione non respirasse bene e che la situazione sopra la sua testa si stava facendo sempre più tragica.
“Lucy, presto, le scale sono crollate e c’è Gerard con l’elicottero all’ultimo piano. Shiki è ferito e dovrò aiutarlo a raggiungere la finestra. Ce la fai?” Rebecca le indicò l’albina scossa da violenti spasmi per colpa delle scottature su tutto il corpo.
Annuì, non proprio convinta.
Era rimasta ferita anche lei a una gamba e perdeva molto sangue ma non avrebbe lasciato mai quella giovane vita a morire.
Con una fatica micidiale, aiutata da Rebecca, posarono prima l’albina e poi Shiki sulle barelle appese nel vuoto e poi si agganciarono alle possenti reti d’acciaio che penzolavano dall’elicottero, riuscendo per puro miracolo ad allontanarsi dallo stabile prima che crollasse del tutto.
Vennero tutti tirati su, diretti verso il primo ospedale vicino per i due feriti a bordo, e Lucy si apprestò a prestare all'albina i primi soccorsi necessari per salvarle la vita.
Le posizionò sul viso la maschera per l’ossigeno e pregò ogni divinità esistente di arrivare in fretta in ospedale.
Una stretta debole le strinse un polso e Lucy dovette trattenere le lacrime per fare forza a quella giovane vita che cercava di combattere la morte.
Cercava di dirle qualcosa ma la maschera per l’ossigeno glielo impediva.
Lucy capì, dalla preoccupazione in quegli occhioni blu, quale fosse il cruccio della ragazza e cercò di rassicurarla con parole dolci: “Non ti preoccupare. Il tuo fidanzato è stato trovato e ora è in ospedale per le cure del caso. Non è in pericolo di vita.” Quante volte si era ritrovata in una situazione simile da quando era entrata a far parte del corpo dei vigili del fuoco?
Tante, troppe accidenti!
“Lisanna, il tuo nome me lo ha detto il tuo ragazzo. Lotta, ok, fallo anche per lui. Siamo quasi arrivati in ospedale.”
Lei annuì, accennando un piccolo sorriso dietro la maschera. La presa sul suo polso divenne via via sempre più flebile fino a scomparire. La mano della ragazza cadde esanime di lato e quei luminosi occhi blu persero bagliore.
“Oh no!” le tastò subito il polso, niente battiti.
“Beky!” non servì neppure dire niente; la sua migliore amica si era già munita di defibrillatore e insieme cercarono disperatamente di rianimarla…
Quel giorno, quel maledettissimo giorno, Lucy Heartphilia perse fiducia nella vita, nella felicità ma soprattutto nel suo lavoro…

 
 
Lucy fu riportata alla realtà da una voce gentile che le chiedeva se si sentisse bene. Come al solito si era persa nei suoi pensieri, estraniandosi dal resto del mondo, rendendola sorda e cieca a tutto ciò che le accadeva intorno.
Per poco non prese un infarto nel rendersi conto chi si fosse preoccupato per lei e si sentì una stupida.
Chi era lei per perdersi in un dolore che alla fin fine agli occhi degli altri non le apparteneva?
“Io…” si asciugò le lacrime con la manica della giacca di pelle, cercando di risultare meno patetica e fuori luogo sebbene ci si sentisse: “Sto bene. Scusatemi.” Non ci provò neppure a tentare di sorridere: aveva smesso di farlo da due mesi a quella parte, due lunghi mesi che si alzava solo per andare a lavorare, recarsi al cimitero per poi tornarsene a casa; aveva smesso di frequentare i suoi amici e questi ultimi continuavano a dirsi preoccupati per la sua salute.
Prima che potesse voltarsi per andarsene, l'albina dai capelli lunghi e dall’espressione identica a colei che riposava chiusa in una bara le chiese con dolcezza: “Conoscevi nostra sorella?” indicando ella e l’omone grande e grosso di fianco.
Una domanda scomoda, pungente, dolorosa…
Lucy abbassò lo sguardo sui suoi stivali di pelle nera e annuì: “Non direttamente. Ero lì, quel giorno. Io…” si morse tanto forte il labbro da percepire l’odore ferroso del sangue dentro la bocca: “Sono un vigile del fuoco.” Il dolore di non essere arrivata in tempo per salvarla tornò all’attacco ancora più forte, che paragonato a quello che i due fratelli e il fidanzato della vittima provavano era una bazzecola, ne era cosciente, ma si sentiva male lo stesso.
“Ero con lei sull’elicottero, in ascensore… siamo arrivati troppo tardi! Mi dispiace immensamente.” concluse, con la voglia di prendersi i capelli e strapparseli uno dopo l’altro.
“Tu sei Lucy?!” le domandò la ragazza: occhi spalancati per lo stupore e le mani sulla bocca, forse per coprire qualche insulto indirizzato alla sua persona.
“Sì! Sono io.” non domandò come facesse a conoscere il suo nome; ricordava di averlo detto al rosato durante il suo personale delirio, e nessuno poteva dimenticare il nome di colei che aveva promesso invano.
Pochi secondi dopo successe l'impensabile, almeno per lei che si era immaginata scenari di odio e male parole.
L'albina le si era gettata addosso, la stringeva forte schiacciando la testa contro il suo petto, continuava a ripeterle grazie, ma grazie di cosa?
“Io, non capisco…” ammise con incredulità, contrariamente a quello che leggeva nello sguardo del ragazzone e ora in quello della ragazza in lacrime, che le sorrideva.
“Hai rischiato la tua vita per salvare quella di mia sorella, sei stata con lei durante il suo calvario. È morta con il calore di una persona vicino, di colei che ha tentato di tutto pur di strapparla alla morte. E poi, hai salvato Natsu, che era il suo grande amore. Perciò, grazie. Sappiamo che sei stata operata alla gamba e che hai perduto molto sangue nel tentativo disperato di salvare nostra sorella. Ogni giorno vieni qui, a parlare con Liz, a chiederle perdono. Nessuno lo farebbe, eppure tu sì, e questo ti rende una persona speciale, oltre che un eroe che ogni giorno rischia la sua vita per quella del prossimo.”  
Strinse i pugni così forte da sbiancarsi le nocche, le falangi scricchiolavano viaggiando col rumore del suo cuore che cercava di spaccarle lo sterno.
“Devo andare!” si staccò bruscamente dall’albina, ripristinando la giusta distanza necessaria a lei per tornare a respirare.
Un eroe aveva detto? Gli eroi non esistono, ci sono solo persone egocentriche che si credono tanto onnipotenti da salvare il mondo intero, e quando succede che a perdere la vita sia una vittima innocente, una giovane ragazza piena di sogni e speranze, beh… non esistono eroi!
Tante vite Lucy aveva visto spezzarsi eppure, quella ragazza, Lisanna…
Non sapeva nemmeno lei come poterlo spiegare ma di certo non meritava tanto solenne ringraziamento.
“Mi dispiace!” esclamò soltanto, fuggendo a grandi falcate dal cimitero.
 
***
 
Da quel giorno al cimitero ne erano trascorsi altre sette e Lucy si era da poco accomiatata dagli uffici di amministrazione a passo flemmatico, dicendosi che sì, quel lungo mese di congedo sarebbe servito a rinvigorirle lo spirito, la mente, la salute…
Era dimagrita molto ed Erza l’aveva sottoposta a una lunga filippica prima di concederle quel mese di congedo, rimproverandola più volte di sbatterla fuori a calci nel culo dalla squadra se non avesse ritrovato lo spirito giusto entro trenta giorni.
La rossa agiva per preoccupazione; prima di essere il suo capo rimaneva una delle sue più care amiche e Lucy riconosceva di non essere più la stessa da tempo ormai, di assentarsi durante il lavoro creando seri disagi e guai alla squadra, di possedere meno vitalità di un sasso marino.
Per questo e altri motivi aveva deciso di prendersi una breve pausa dal lavoro, che tanto aveva amato, proprio per tornare a crederci.
Al di fuori del dipartimento il cielo annunciava tempesta, da lontano si udivano i rombi di tuoni farsi sempre più vicini e minacciosi, il nero del cielo illuminarsi con i lampi e ogni tanto qualche fulmine cadeva impetuoso chissà dove, costringendo i pedoni a un riparo di fortuna prima che la pioggia torrenziale potesse coglierli impreparati.
Optò per entrare in una caffetteria a metà strada tra la caserma e casa sua, infilandosi dentro quando le prime gocce iniziarono a cadere dal cielo.
“Buon pomeriggio signorina! Vuole sedersi?” le soffiò una voce gentile dal bancone, appartenente a una dolcissima signora con lunghi capelli rosa raccolti da uno chignon stretto e due occhi verdi che ebbero il potere di paralizzarla per un lunghissimo attimo.
Dove aveva già incontrato uno sguardo tanto profondo?
“Certo! Grazie.” scelse il tavolino più appartato, lontano dalla calca non fastidiosa degli altri clienti seduti, togliendosi il cappotto. Ottobre lasciava il suo posto al mese successivo e novembre non era mai stato un bel mese, a detta sua.
Come poteva novembre essere bello se era il mese dedicato ai defunti?
“Hai deciso che cosa prendere?” alla domanda del cameriere, Lucy sollevò lo sguardo e la risposta le andò di traverso insieme all’aria venuta a mancare improvvisamente.
“Io… una… una cioccolata calda. Fondente possibilmente.” se esistesse un modo per scomparire, o teletrasportarsi in qualche lungo lontano, Lucy avrebbe tanto voluto avere quel potere per poterlo fare piuttosto che trovarsi davanti agli occhi indagatori del ragazzo dai capelli rosa che aveva salvato due mesi prima dall’incidente, al quale aveva promesso di salvare la fidanzata.
Pregò che non si ricordasse di lei, che non la riconoscesse, non avrebbe retto un confronto simile ora come ora e non portava con sé neppure la sua valeriana.
“Subito!” rispose l’altro prontamente, lasciandola da sola a poter finalmente tirare fuori un sospiro di sollievo. Vederlo vivo, in salute, mitigava un tantino il dolore che abile condottiero continuava a torturarla da due mesi a quella parte, rendendole più semplice pensare che, forse, qualcosa di buono lo aveva combinato anche lei.
Intanto fuori il cielo aveva iniziato a gettare acqua a secchi e da quell’angolazione si godeva il rumore della pioggia, il bagliore dei fulmini e il rumore dei tuoni.
La natura sapeva essere meravigliosa ma anche cattiva: dava e chiedeva in cambio, come tutte le cose, solo che certe volte uno vorrebbe ricongiungersi alla terra più tardi possibile; dopotutto… tutti muoiono, è il ciclo della vita, senza nessuna eccezione.
“Ecco qui la sua cioccolata!”
“Grazie.” si sforzò di sorridere alla gentile donna e nel mentre che estraeva il portafoglio dalla borsa ella le disse: “Lasci, offre la casa!” lasciandola sgomenta.
“Perché?” le chiese di getto, non ricevendo nessuna risposta a parole ma solo un altro sorriso, stavolta di gratitudine, vedendola poi allontanarsi con il vassoio stretto al petto, le spalle scosse da fremiti come se quella donna stesse piangendo.
Abbassò lo sguardo nel liquido scuro, certa del perché di quel gesto carino ma intestardita a non volerci credere, certa di non meritarlo.
Rimase a lungo a pensare senza sorseggiare la cioccolata; solo le dita attorno alla tazza di coccio a riscaldarsi con il caldo tepore del suo interno, gli occhi fissi su un punto imprecisato della strada visibile dalla finestra quando il rumore di una sedia che si spostava e qualcuno che si sedeva la ridestò dal suo mondo fatto di sofferenze e rapaci sensi di colpa.
Se avesse seguito l’istinto sarebbe scappata da quel tavolo e abbandonato il bar senza indugio, eppure il suo corpo non voleva saperne di obbedirle, di alzarsi, e tutto per colpa di quegli occhi verdi come abetaie incontaminate che la fissavano insistentemente, facendola sentire piccola e nuda.
Era molto bello, e in quel trambusto di fuoco, fiamme e travi che cedevano, Lucy non aveva potuto soffermarsi troppo sulla bellezza micidiale di quello che poteva benissimo essere un suo coetaneo, forse di qualche anno più grande; ma ora, avendolo di fronte senza distrazioni riuscì a scorgere pagliuzze nere in quegli occhi magnetici, una cicatrice alla base del collo che mostrava senza esitazione, capelli rosa spettinati, ribelli come i suoi pensieri in quel momento, la bocca serrata in uno sguardo triste…
E fu quello sguardo a trafiggerla, a farle mancare l’aria, a ricordarle di quello che lui aveva perduto perché lei e gli altri non erano arrivati in tempo a salvare la ragazza che amava.
“Non è forse di tuo gradimento?” lui indicò la tazza di cioccolata che si ritrovò a stringere convulsamente tra le mani ghiacciate per l’ansia.
“No, sono certa che sia ottima. Solo che, mi si è chiuso lo stomaco e credo che andrò via.” preferiva beccarsi una broncopolmonite piuttosto che reggere quell’incontro non voluto: “Ecco, lascio qui i soldi. Tenete il resto.” prima che potesse sollevarsi dalla sedia la mano del ragazzo si arpionò attorno al suo polso, scottandole quella parte di pelle a contatto con lui.
 
“Ti prego, aspetta! È da tempo che aspettavo di incontrare la persona che mi ha salvato la vita in quell’incendio.”  la pregò in un rantolo, lasciando la presa solo dopo che ella ebbe annuito con la testa.
Natsu l’aveva riconosciuta subito perché non avrebbe mai dimenticato il viso di colei che l’aveva strappato dalla morte e che aveva tentato con ogni fibra del suo essere di salvare anche Lisanna.
L’aveva vista anche il giorno del funerale di Liz e MiraJane tante volte gli aveva confessato di averla vista a piangere davanti la tomba della sua amata.
In fin dei conti quella bella sconosciuta non era costretta a soffrire per loro, o per una vita che non era riuscita a salvare, eppure… sembrava distrutta, gli occhi gonfi come due cocomeri e il corpo tutto in tensione erano solo segni esterni di un tormento che Natsu conosceva bene perché lo viveva in prima persona da quando Lisanna era morta.
La sua confessione doveva averla turbata perché la bionda guardava ovunque tranne lui.
“Ti prego, guardami.” la implorò ancora, ingoiando le lacrime che cercavano di uscire in come ogni santo momento, ma Natsu si fece forza perché se potevano parlarne a quel tavolino lo doveva solo e soltanto alla ragazza seduta di fronte a lui.
Lei lo ascoltò e sollevò lo sguardo, posandolo nel suo: uno specchio riflesso di due anime che avrebbero tanto voluto un po’ di pace, magari di poter tornare indietro nel tempo…
“Ho svolto il mio lavoro. Non ringraziarmi. Anzi, sarebbe meglio che mi odiassi, magari mi renderesti più facile gestire questo macigno che ho nel petto da quel maledetto giorno in elicottero. Ti avevo fatto una promessa e non l’ho mantenuta.”
“Ci hai provato! Questo non conta niente per te? Beh, per me e per chi ama Lisanna, sì. Sei arrivata a ferirti per salvarla, lo so sai? E poi, sei un semplice essere umano anche tu, per i miracoli dobbiamo ancora attrezzarci tutti quanti. Lisanna, la mia Liz, sarebbe morta in quell’ascensore se tu e la tua squadra non l’aveste trovata e...”
“E niente, perché quella giovane ragazza è morta lo stesso, è morta con la speranza di salvarsi e io non ho potuto fare altro che guardarla morire, capisci?” fu bruscamente interrotto da lei, che si alzò dal tavolo sbattendo le mani sulla superficie levigata, rivestendosi del cappotto per poi correre fuori dal locale dei suoi.
Natsu la seguì sotto l’acqua, sbattendo contro le altre persone, scusandosi con un mi dispiace veloce per non perderla di vista.
Riuscì a raggiungerla nei pressi del parco di Magnolia, afferrandola per un polso, strattonandola così forte da farsela cadere addosso, trovandosi a stringerla al petto per non far ruzzolare entrambi.
“Lucy… Lisanna mi manca da morire, vorrei strapparmi il cuore dal petto se questo bastasse per ripotarla da me, ma sai dove trovo la forza per andare avanti?” la furia bionda smise di combattere e si arrese a lui; il suo odore misto tra miele e limone gli entrò dentro le narici, provocandogli un brivido lungo la schiena che giustificò come riflesso del freddo e dei vestiti inzuppati appiccicati addosso: “Da te, da un vigile del fuoco che ha scelto di dedicare la sua vita per salvare gli altri, da una perfetta estranea che invece di farsene una ragione ancora oggi va tutti i giorni sulla lapide della mia ragazza per chiederle perdono. Un perdono che non meriti semplicemente perché non ne hai bisogno. MiraJane, la sorella di Liz, mi ha parlato del vostro incontro e ora che ti ho incontrata io voglio dirti grazie…” la voltò, complice l’arrendevolezza della bionda, per dirglielo ancora, stavolta occhi contro occhi: “Grazie per quello che hai fatto per noi, Lucy.”
Si accorse di piangere quando anche l’altra scoppiò in un pianto disperato, ricambiando la sua stretta.
“Avrei voluto fare molto di più.” udì; un tuono rombò nell’aria, facendola sussultare tra le sue braccia. Natsu si intenerì e aumentò la presa, dicendole: “Lo so, lo so Lucy… ma una cosa ancora puoi farla per me.” attirando così la sua attenzione.
 
“Cosa?” Lucy non aveva idea di cosa le avrebbe chiesto il rosato, e si sentiva una stronza perché stretta in quell’abbraccio senza malizia o secondi fini tornava a stare bene, a pensare di poter sorridere ancora.
“Vivi! Vivi anche per la mia Liz. Diventiamo amici, vuoi?”
La proposta del ragazzo le strappò un piccolissimo sorriso.
Si ritrovò ad annuire prima che il cervello impartisse l’ordine alle corde vocali di emettere qualsiasi suono.
Si staccò da quel corpo caldo come la lava nonostante fossero fradici come pulcini e gli tese la mano: “Va bene. Questo posso farlo. Devo farlo. Amo il mio lavoro e ultimamente mi sono lasciata un po’ troppo andare. Grazie Natsu.” sorrise nella penombra della sera: “Il tuo nome me lo ha detto l’albina dai lunghi capelli.” giustificò così il fatto che sapesse il suo nome, tirando fuori un lungo sospiro di sollievo. Non si sentiva così da tanto tempo e doveva ringraziare quello strano e bellissimo ragazzo dai capelli rosa.
 
Nessuno dei due sapeva che quell’incontro bisognoso di scuse e grazie avrebbe segnato l’inizio di un’amicizia che ben presto si sarebbe trasformata in qualcosa di molto molto più profondo…
 
 
Una one shot senza pretese, triste, molto direi, però quando l’ispirazione chiama io corro…
Grazie in anticipo a chi si soffermerà a leggerla. Baci.
 
   
 
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