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Autore: D a k o t a    25/08/2020    5 recensioni
[Teenchester - 10!Sam&14!Dean - Caring!Bobby]
Dean è abbastanza scontroso.
Sam nota che c'è qualcosa di strano nel suo comportamento.
"Non ha ancora un’idea chiara di cosa stia succedendo, ma a Bobby sembra il momento per una di quelle chiacchiere padre-figlio a cui comunque sia non si è mai sentito adatto. Non si è mai sentito adatto, ma le cose sono diventate più complicate quando John Winchester, con il contegno di un ex Marine, gli occhi adoranti di Dean da un lato e la mano stretta intorno alle dita di Sammy dall’altro, aveva messo piede nello scheletro di quella casa che un tempo era stata nido felice. Bobby aveva aperto la porta e li aveva accolti con l’ospitalità ruvida ma affettuosa che non si può fare a meno di dare a qualcuno che condivide tua stessa trincea."
[Scritta per la #AFragmentFromThePast challenge del gruppo Hurt/Comfort Italia - Fanfiction & Fanart]
[Scritta per la #Keywordschallenge del gruppo Non solo Sherlock - gruppo eventi multifandom]
[Storia Partecipante al Contest "GTO Style" di Laila_Dahl sul forum di Efp]
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bobby, Dean Winchester, Sam Winchester
Note: Kidfic | Avvertimenti: Tematiche delicate
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The kid  is (not) alright


A casa di Bobby sembra un pomeriggio normale, anche se un loro pomeriggio normale non è mai davvero normale. Sam è seduto al tavolo e sta facendo i compiti, quando ad un certo punto inizia a parlare del compleanno di un suo compagno di classe, tale Jason, e di come i suoi genitori gli abbiano regalato un gameboy e abbia festeggiato con tutta la famiglia. Dean, seduto davanti alla televisione, non ne può davvero più perché di lì a poco sa dove andrà a parare e lo deve fermare, prima che -

“Papà si è dimenticato del mio compleanno. Non è nemmeno tornato a casa, Dean” commenta amaramente, senza capire minimamente l’antifona.

Dean alza gli occhi al cielo perché va bene, va bene che abbia ancora tutto il diritto di restarci male, ma sono passati mesi, sta finendo novembre e non ha proprio voglia di ascoltare l’ennesima lamentela adesso, ha pensieri più importanti, tipo -

Deglutisce. Non dovrebbe, ma a volte certe immagini, certe cose, lo colpiscono ancora come un pugno in pieno viso.

“Oh, Sammy, smettila di piagnucolare” lo sgrida, con una scrollata di spalle, tornando a fare zapping fra i canali. “Ti ha persino portato un regalo, anche se è tornato due giorni dopo. Non si è dimenticato del tuo compleanno, idiota

Il minore dei Winchester lo fissa, mentre si alza in piedi e si avvicina a lui, lasciando il libro di Geometria abbandonato sul tavolo, unico testimone dei suoi sforzi per concentrarsi.

“Non è vero. Mi ha comprato quel libro solo perché glielo hai ricordato tu, Dean!” afferma alla fine, arrabbiandosi e scoppiando in uno sbuffo sonoro quasi a voler chiedere scusa del fatto che oh, proprio non ce l’ha fatta a non rispondergli.

Suo fratello maggiore lascia andare la testa all’indietro, in un moto di stanchezza, chiedendosi come mai quell’imbecille non possa semplicemente godersi i privilegi dell’essere il piccolo di casa, invece di origliare le sue conversazioni al telefono con papà, capendone solo metà oltretutto. Scuote la testa, perché è meno sorpreso di quanto vorrebbe nello scoprire che il problema sia quello.

“Ci stavi spiando? Dannazione, Sammy” lo rimprovera allora, stizzito, nell’abbassare il volume del televisore. “Comunque sia, papà non si è dimenticato del tuo compleanno. Lui...”

Sam lo guarda ed è tutto rabbia, rancore e nessuna fiducia. Non ci pensa proprio a dargliela vinta.

“Quindi è peggio. Semplicemente non gliene importa nulla” risponde, come se avesse trovato la risposta che cercava e Dean gliela avesse praticamente servita su un piatto d’argento.

Dalla voce di suo fratello improvvisamente sembra essere scomparsa qualsiasi traccia di rancore, nessuna collera, nessun dolore. E’ trionfante, ma senza soddisfazione.

“Hai dieci anni” scatta allora in avanti, intento a porre fine a quello stupido capriccio. “Sei abbastanza grande per capire che l’unico motivo per cui papà non ti ha comprato una stupida torta è perché era troppo impegnato a salvare vite, quindi smettila di piagnucolare!”

In quel momento Sam non pensa al modo in cui Dean, qualunque fosse la verità, gli abbia comunque fatto trovare dei pasticcini dopo scuola e abbia anche comprato un libro nuovo di zecca, né a come gli abbia scompigliato i capelli quel giorno, con quell’affetto ruvido tipico di suo fratello; in quel momento pensa solo all’assenza di suo padre, muta e pressante, e a tutte quelle volte in cui, nell’ultimo anno, è stato costretto a vedere persino Dean di spalle mentre papà lo portava a caccia, con nello stomaco il timore, il terrore di non vederli mai più.

In quel momento Sam semplicemente non pensa: non pensa a tutto ciò che Dean ha fatto per costruire, in mezzo alle macerie, una parvenza di normalità, mentre suo padre sembrava ballare sulle rovine di quella che era stata la loro famiglia .

“Da quando hai cominciato a cacciare con papà, parli esattamente come lui. Chissà, fra un po’ comincerai a saltare Natale per andare a caccia anche tu” sbotta alla fine ed è più sottile di quello che Dean avrebbe immaginato in quella sua accusa.

Silenzio improvviso.

Dean irrigidisce la mascella, improvvisamente colpito da quella frase buttata lì d'impeto, con il solo intento di ferire. Suo fratello sbarra gli occhi, come se si rendesse improvvisamente conto della portata e dell’ingiustizia di quell’affermazione.

“Dean” mormora ad un certo punto con l’intenzione di ritrattare, perché ha davvero bisogno che suo fratello capisca, senza che lui si rimangi tutto.

Il maggiore dei Winchester si irrigidisce e Sam ha la sensazione che stia per saltargli addosso e suonargliele, ma non lo fa. Lo punisce col silenzio, allontanandosi quando gli posa una mano sul braccio.

“No” dice, e finge di non vedere l’ombra che passa negli occhi del minore. Si convince che, maledizione, avrebbe dovuto fermarlo prima, prima che iniziasse quello sfogo delirante. “Vado fuori ad allenarmi come ha detto papà. E’ sempre più utile che ascoltare i tuoi stupidi capricci da bambino viziato”

Uscendo, si sbatte la porta alle spalle, ignora lo sguardo implorante di Sam e soffoca un singhiozzo quando l’aria fredda di fine novembre incontra i suoi polmoni.

***

Ogni volta che ha i piccoli Winchester in casa sua, Bobby si chiede cosa abbia fatto per meritare quel tipo di situazione, che non implica nessuna tragedia soprannaturale e nessuno sterminio di massa, ma solo due esemplari di pre-adolescente e di adolescente che discutono in cucina. Quel tipo di situazione è alquanto difficile da definire; non è certo pace, ché la sua idea di pace non include certo due pseudo adolescenti che quasi fanno a botte sul suo divano ogni due per tre tanto da fargli desiderare di spostare la loro stanza in garage, ma è qualcosa, è una qualche situazione a cui abituarsi risulta più semplice di quanto gli piacerebbe ammettere – le tremila domande di Sam sulla scuola e sulla vita e le risposte di Dean, con quel cinismo carico di una forza mai vera, sono qualcosa a cui è più facile abituarsi di quanto invece gli piacerebbe ammettere. Il tempo gli ha insegnato che è meglio ignorare – o meglio, studiare da lontano – quei litigi che molto spesso si concludono con Sam che si scusa più o meno esplicitamente e Dean che finisce per rifilargli uno scappellotto dietro la testa prima di cedere alla tentazione di abbracciarlo. Quando invece è Sam la parte offesa, Bobby ha imparato che la cosa è diversa perché il maggiore dei Winchester si limita a stargli intorno, a dargli fastidio mentre il più piccolo legge o fa i compiti o semplicemente mette il muso, per poi promettergli qualche piccolo dono che riparasse il danno subito, macerato dai sensi di colpa ed inconsapevole che il suo fratellino l’avesse già perdonato ben prima di quella promessa, da bravo idiota totalmente incapace di chiedere scusa in una maniera normale quale era.

“Zio Bobby!”

Ecco: un esemplare di Sam nervoso che bussa oltre la porta della libreria dove il cacciatore si è rifugiato a fare ricerche non è esattamente qualcosa che capita proprio dopo ogni litigio. Bobby può sentire i suoi passi concitati fermarsi davanti all’entrata e le tavole lignee del pavimento scricchiolare sotto il suo peso (e può immaginarlo mordersi il labbro e decidere di bussare più forte, con quel piglio impaziente che lo caratterizza).

“Sam, smettila di cercare di buttarmi giù la porta, dannazione!” grugnisce alla fine, visto che è testardo come un mulo e ignorarlo è pressoché inutile. Non può fare altro che arrendersi. “Puoi entrare”

Gli pare di sentirlo sussultare, sorpreso. Per un lungo istante gli unici rumori sono quelli di un cuore che, dietro la porta, batte come un tamburo da guerra e del respiro accelerato di un bambino. Infine lo sente trarre un respiro profondo prima di vedere la maniglia girare, cigolando, e la porta aprirsi.

“Scusa” mormora, passandosi una mano sugli occhi.

Bobby scuote la testa in un gesto di noncuranza, mentre il più piccolo dei Winchester si trattiene a malapena dallo sfogarsi subito sul compleanno, su papà ma soprattutto su Dean. Per un attimo il cacciatore lo scruta, lanciandogli un’occhiata di rimprovero, mentre il bambino sospira, grattandosi nervosamente una pellicina del pollice, sotto il suo sguardo, in attesa. Bobby non può non sentire i suoi occhi pesargli addosso come un’incudine; non avrebbe dovuto essere più gentile, dargli dello spazio e tutta quella roba lì? E’ pur sempre un bambino, maledizione!

“Sentiamo: a cosa devo tutta questa fretta?”gli chiede alla fine, con il tono di chi alla fine è un po’ curioso di tanta irruenza. “C’è qualcosa che non va?”

Un piccolo sorriso imbarazzato incurva le labbra del bambino, sorriso che scompare non appena decide di abbandonarsi al suo racconto e ricorda le parole di Dean.

“Dean” risponde alla fine con una smorfia, come se quel nome bastasse a spiegare la ragione di tutto, come se fosse la causa di tutto.

E Bobby se lo chiede ancora una volta: come si è trovato in quella situazione, a gestire i capricci di un pre-adolescente? Un mezzo sorriso però non può fare a meno di incurvargli le labbra a quell’immagine di quasi undicenne imbronciato che ha davanti, per cui per un attimo suo fratello maggiore sembra essere diventato la causa di tutti i mali.

“Non ridere! E’ una cosa seria” lo rimprovera il più piccolo dei Winchester, incrociando le braccia sul petto con quell’aria contrariata che Bobby ha visto mille volte in lui.

Quella reazione viene accolta con un piccolo sbuffo dal cacciatore.

“Non sto ridendo di te, idiota” risponde alla fine.

A quelle parole, Sam non può non lanciargli uno sguardo incredulo, di insostenibile sdegno. Se pensava di poterlo prendere in giro in quel modo, si sbagliava. Aveva dieci anni, non era mica stupido!

“Non è vero” ribatte, indispettito come prima. “Ci sono solo io qui e stai ridendo di me”

Ecco, il problema del ragazzino era essenzialmente quello: passava la metà del tempo a insultare John Winchester per poi, maledizione, essere sempre così testardo da non farti venire nemmeno un fottuto dubbio – fosse anche solo uno – su chi fosse quell’idiota di suo padre. E’ quasi certo che mettersi a discutere con Sam l’avrebbe solo portato a chiudersi in camera sbattendo la porta, e farlo uscire sarebbe stato molto più difficile che ingoiare quel rospo (sì, c’erano già passati con tanto di conseguenti occhiate accusatorie di Dean, e grazie tante, maledizione, non ha alcuna intenzione di ripetere l’esperienza, almeno che non sia strettamente necessaria).

“Beh, vi sento litigare come cani ogni volta che siete qui, quindi perdonami, Sam, ma non è che sia una sorpresa” lo riprende con un filo di ironia, senza reale intenzione di sgridarlo davvero.

“E’ diverso questa volta. Sembrava triste. Non parla da quando è arrivato qui” mormora, una nuova urgenza nel suo tono, adornata da qualcosa – preoccupazione, forse? Colpa? “Puoi parlargli tu?”

Il cacciatore più anziano non può fare a meno di osservare che quello è qualcosa che ha già avuto modo di notare: quei due idioti non riescono a fare a meno di assicurarsi che l’altro stia bene anche dopo aver litigato, il che a dieci e quattordici anni sarebbe sorprendente se, dannazione, Bobby non sapesse che hanno sempre e solo potuto contare l’uno sull’altro.

“Io? E’ di tuo fratello che stiamo parlando, maledizione!” non può fare a meno di rimproverarlo, in un nuovo moto di imprescindibile stizza. “Sappiamo tutti che ti perdonerà non appena gli farai gli occhi da cucciolo, idiota.”

E’ una scena che ha già visto anche quella ed è facile, troppo facile per Bobby immaginare il broncio di Sam sparire ad una battuta di Dean.

“E’ diverso questa volta” ripete, guardando in basso, con un po’ di imbarazzo.

La mente del più piccolo è già volta a quell’allusione crudele, a quell’essere andato quanto più vicino a paragonarlo a papà, e non importa che Dean l’abbia davvero, davvero fatto arrabbiare.

Dall’altro lato, quell’espressione improvvisamente così maledettamente contrita non può non ammorbidire un po’ il cacciatore più anziano.

“Ascoltami, piccolo idiota” lo riprende allora, con quel retrogusto di affetto ruvido che impregna sempre quella parola quando la rivolge ai due piccoli Winchester. Si alza, avvicinandosi a Sam. “Tu lo conosci meglio di chiunque altro, sai benissimo che qualsiasi stronzata tu gli abbia detto, tuo fratello ti perdonerà.”

Sam alza la testa, con uno sguardo dubbioso ma vispo a rispondere a quella ruvida carezza fra i capelli che Bobby non può fare a meno di rivolgergli.

“Quindi gli parlerai, zio Bobby?” chiede nuovamente Sam, incapace di trattenersi.

Il cacciatore alza gli occhi al cielo, perché eccolo, sta provando la cosa degli occhi da cucciolo anche con lui. Qualcuno deve seriamente dirgli di smetterla, ma non è neanche ciò a colpirlo quanto tutta quell’ansia e preoccupazione apparentemente immotivata. Dannazione.

“Va bene, piccolo idiota” cede, perché oh, quello zio Bobby” lo colpisce più di quanto vorrebbe ammettere. “Ma adesso levati dai piedi, devo fare una telefonata”

Non lo ammette ad alta voce, ma il piccolo sorriso che intravede mentre il più giovane dei Winchester esce dalla stanza vale decisamente la pena di caricarsi addosso persino il ruolo del mediatore fra quei due piccoli idioti testardi, maledizione.

 

***

Bobby lo guarda, mentre le foglie si infrangono sotto il suo passo; Dean socchiude gli occhi e osserva l’obiettivo con quella determinazione feroce ma ancora un po’ bambina che lo caratterizza, mentre imbraccia una pistola ad aria compressa. Il ragazzo si sta dando ad un allenamento così semplice che non può non fargli pensare che non stia facendo altro che cercare di distrarsi da qualcosa.

Lo osserva ancora. Dean è un sacco di cose; il cacciatore ha pensato molto spesso che perfino suo padre tendesse a semplificarlo, a guardarlo senza mai davvero osservarlo. E forse non è sbagliato, forse stereotipare il benedetto ragazzino è davvero l’unico modo per comprenderlo, però -

I suoi pensieri vengono interrotti dal suddetto ragazzino che si gira con uno scatto repentino verso di lui, puntandogli contro la pistola.

“Ehi, idiota, vacci piano” lo rimprovera.

Dean abbassa immediatamente l’arma, mordendosi le labbra in una smorfia colpevole che Bobby ha visto spesso dipingersi sul suo volto.

“Mi dispiace” mormora, senza che ce ne sia davvero bisogno, prima di tornare a guardare verso il suo bersaglio. “Mi stavo solo allenando.”

L’aria di metà novembre gli frusta il viso, mentre si nasconde dietro quella mezza bugia e fissa di nuovo il suo obiettivo - e il cacciatore più anziano sa benissimo che, maledizione, quello è solo il suo modo di non guardarlo negli occhi. Quando il vetro si infrange contro il suo colpo, Dean si aspetta per un attimo che quella bottiglia cominci a gemere per il dolore, ma non lo fa, e ciò gli fa venire solamente voglia di urlare.

“Sì, tuo fratello me l’ha detto. Ma comincia a far freddo fuori, ragazzo” non può fare a meno di dirgli, sebbene la possibilità di un raffreddore non lo preoccupi quanto quell’improvviso silenzio del ragazzino, quanto quel dolore contenuto che è troppo evidente persino se cerca di mascherarlo.

La durezza della frase con cui Dean risponde sembra essere un’ulteriore conferma di quel sospetto.

“Le persone non smettono di morire perché comincia a fare freddo, Bobby” ribatte.

Stringe i denti senza guardarlo e a Bobby pare, per un attimo, di vedere i muri con cui si protegge calargli davanti agli occhi.

Dannazione, Dean! Non smettono di morire neanche perché tu stai qui fuori a sparare alle bottiglie, idiota!” lo rimprovera, perché davvero, il ragazzino si sta impegnando a mettere a dura prova la sua pazienza, grazie tante.

Il maggiore dei Winchester scuote la testa in una smorfia di noncuranza, per poi abbassare l’arma e osservarlo. Esita per un momento, in un moto di improvvisa colpa.

“Sammy è venuto a lamentarsi per la festa di compleanno che non ha avuto cinque mesi fa anche da te?” inizia, recuperando il controllo su di sé, insieme ad un po’ di quell’atteggiamento da sbruffone che diventa ancora più evidente quando c’è qualcosa che lo turba.

Bobby sospira, in un’espressione neutra che ignora quell’ironia amara.

“Ascoltami, sappiamo tutti che tuo fratello può essere una spina nel fianco, a volte” borbotta e no, Bobby non si sorprende nemmeno un po’ nel vedere i lineamenti del giovane ammorbidirsi alla menzione di Sam. “Ma è venuto da me perché è preoccupato per te, idiota”

Ogni smorfia di scherno, ogni accenno di studiata esuberanza sembra essere sparita totalmente dal suo volto.

“Non ha nulla di cui preoccuparsi” ribatte velocemente, e mente.

Mente, scuote il capo e ricaccia indietro quella parte di sé che vorrebbe che Bobby capisse, che ascoltasse ciò che non dice e che gli importasse abbastanza da non accontentarsi delle sue mezze risposte.

“Davvero, Dean?” gli chiede, avvicinandosi al ragazzo e appoggiandogli una mano sulla spalla. “Perché sei qui da due giorni e non hai detto una parola, ragazzo.”

A quelle parole, qualcosa sembra stringersi nel suo stomaco e un’ombra gli cala negli occhi. Se avesse avuto qualche anno di meno, avrebbe saputo riconoscere quell’ombra, avrebbe accennato una smorfia e avrebbe trascinato il piccolo idiota in casa, ma adesso è diversa. Adesso gli pare più intensa, più dolorosa e il ragazzo, dannazione, lo sta facendo preoccupare.

La sua risposta – apatica, preoccupante – è di riprendere la pistola, mirando un nuovo obiettivo.

“Sto bene. Te l’ho già detto” accenna distrattamente, quando si rende conto che il cacciatore non si arrenderà tanto facilmente. “Di’ a Sammy di smetterla”

Dean lo osserva a sua volta per un momento, prima di distogliere lo sguardo, scuotendo leggermente la testa, con quel suo modo di guardarsi intorno che tradisce sempre un po’ di sospetto. Si concentra nuovamente sulla pistola, mentre Bobby si allontana quel tanto che basta perché la punti nuovamente contro un nuovo obiettivo. Un’ altra bottiglia si infrange, contro un altro proiettile.

Nessuna di quella soddisfazione che illuminava il suo volto quando era piccolo e faceva un en plein sembra illuminarlo adesso.

“Un buon tiro, ragazzo” osserva il cacciatore, mentre lui si lascia andare ad una smorfia noncurante. “Ma sparare ad una bottiglia non è la stessa cosa che sparare ad una persona, vero?”

Dean si irrigidisce, in una postura di istintiva difesa; rimane in silenzio per qualche istante, prima di scuotere il capo e lasciarsi andare ad un moto di stizza.

“Oh, dannazione. Non spariamo alle persone, spariamo solo a quei figli di puttana che hanno ucciso la mamma, Bobby” esala alla fine, attento a tenere ferma la voce, a non lasciargli nemmeno un centimetro di spazio per dubitarne.

Già. La prima immagine che aveva raggiunto Bobby, tanti anni prima, era stata l’ombra di una donna che un tempo aveva amato, dei suoi occhi spaventosamente neri, di come il suo sangue sembrasse non voler sparire, sembrasse aggrapparsi alle mattonelle della stessa casa in cui ancora viveva in un modo in cui lei non aveva saputo aggrapparsi alla vita. Sospira.

“Ma non hanno sempre l’aspetto di mostri, non è vero?” gli chiede, incalzandolo ancora un po’.

In risposta riceve solo una scrollata di spalle, accompagnata da una smorfia esasperata.

“Sì, i mutaforma sono i peggiori figli di puttana” concorda alla fine, prima di scuotere il capo e alzare gli occhi al cielo. “Ti ho detto che sto bene. Non ho bisogno di qualcuno che mi psicanalizzi come uno strizzacervelli”

Il maggiore dei Winchester sa benissimo che suo padre l’avrebbe già fulminato con lo sguardo senza risparmiargli qualche minaccia, ma Bobby rimane impassibile davanti a quella crisi di nervi - se i suoi occhi tradiscono qualcosa, forse è un solo filo di apprensione.

“Quando la finisci con queste stronzate sul fatto di star bene, vieni a chiamarmi” si arrende alla fine, ma senza indietreggiare del tutto davanti ad una smorfia di Dean. “Ma fa freddo e devi comunque rientrare dentro, quindi datti una mossa.”

Dean per un attimo lo guarda, poi sbuffa. Si arrende solamente perché se c’è qualcosa che ha imparato nella sua vita è scegliere le sue battaglie e sapere quali sono i campi, quali sono le arti da sacrificare.

 

***

Durante la cena, la situazione non cambia. Dean si limita a mangiare in silenzio, a rispondere a monosillabi alle tremila piccole domande che Sam pone, come se il più piccolo non potesse fare a meno di accertarsi che vada tutto bene, approfittando di quel poco spazio che suo fratello gli concede.

Bobby lancia loro un’occhiata, mentre liberano la tavola. Descrivere e incasellare quei due idioti - quei due microcosmi paralleli - è una delle cose più difficili che abbia mai fatto.

Quando vede il più piccolo, dannazione, Sam è il libro di Geometria lasciato sul tavolo, è gli sforzi che fa per non restare mai indietro a scuola e stare al passo, è quel suo modo di conoscere ogni cosa, di raccontare ogni dannatissima cosa. E’ quel dannato criticismo che si porta dietro come se fosse un’ombra, è la sua capacità di essere gentile con tutti nonostante il mondo non lo fosse con lui. Dall’altra parte, beh, Dean è un’altra storia: è il suo modo di ridere di ogni cosa, di roteare gli occhi, il suo preoccuparsi davvero solamente per coloro che tiene ancorati al suo cuore. Bobby lo osserva nello stesso modo in cui si osserva la proiezione di un vecchio film in un drive-in: ne studia la mimica, ne cattura la gestualità, alla ricerca di innaturalezze e forzature. Lo sguardo del ragazzo si ferma improvvisamente su di lui.

“Bobby, posso andare a dormire?” chiede velocemente, dopo la cena.

Un’occhiata all’orologio gli dice che sono appena le nove e trenta. Guarda Dean con aria interrogativa.

“Non vai a letto così presto da quando avevi otto anni, ragazzo” gli risponde, grattandosi leggermente la barba.

Bobby li guarda: Dean accenna una scrollata di spalle, di apparente noncuranza, mentre Sam lo sta pregando di dirgli di guardare un film con lui. Non lo sta dicendo ad alta voce - non ancora - , ma ci manca poco e lo capisce dai suoi occhi.

“Sono stanco.” risponde istintivamente.

E ha diritto di esserlo perché Bobby non ha ancora capito se sia più difficile uccidere un demone o stare dietro al dannato demonietto con gli occhi da cucciolo; poco importa, perché il maggiore dei Winchester a quattordici anni deve occuparsi di entrambe le cose.

“Va bene, Chiquita*, come preferisci” gli dice poi, alzando gli occhi al cielo. “Buona notte, Dean”

Il ragazzo ricambia il saluto con un sorriso spento. Quando mezz’ora più tardi anche il piccolo dei Winchester si congeda, Bobby non può fare a meno di chiedersi cosa gli sia sfuggito, prima di avviarsi verso la sua camera da letto, nella speranza che la notte porti consiglio.

 

***

Al diavolo la notte che porta consiglio: si accorge che quel modo di dire è una stronzata quando sei ore dopo viene svegliato da uno strano rumore di vetri rotti. Dannazione, a quanto pare un uomo non ha diritto ad un buon riposo nemmeno alle tre e quarantacinque del mattino!

Non può fare altro che trascinarsi fuori dalla stanza lungo lo stretto corridoio, deciso ad andare a controllare i ragazzi. Quando apre delicatamente la porta, Sam dorme profondamente, accoccolato alle leggere coperte autunnali. Alcuni ciuffi ribelli gli coprono la fronte, ma non c’è dubbio sul fatto che stia dormendo. Per un attimo, pensa che quel rumore sia stato solamente frutto della sua immaginazione, ma poi guarda il letto di Dean e, maledizione, non si sorprende più di tanto di trovarlo vuoto – il dannato ragazzino si sta impegnando a farlo impazzire, è evidente. Perplesso, si dirige al piano di sotto.

La porta è socchiusa e da essa filtra un filo di luce. Una parte di lui è pronta a tutto, a difendere i ragazzi e la sua casa; l’altra non si stupisce neanche più di tanto di trovarsi davanti ad un ragazzino smarrito e ad una bottiglia del suo whisky preferito in mille pezzi sul pavimento. Vede i suoi occhi verdi sgranarsi quando si posano su di lui; non può fare a meno di sbuffare, mentre Dean cerca di recuperare un minimo di controllo su sé stesso e mettere su quell’aria un po’ sfacciata con cui non è mai riuscito davvero a ingannarlo.

“Ciao, zio Bobby” dice semplicemente.

Adesso, ovviamente, è di nuovo lo zio Bobby. Il cacciatore risponde con un grugnito contrariato, guardando prima lui e poi i resti della bottiglia.

“Dannazione, ragazzo! Cosa diavolo stai facendo in cucina alle quattro del mattino, idiota?” non può fare a meno di chiedergli.

Dean, seduto al tavolo della cucina, fa spallucce. E’ strano a volte avere a che fare con Bobby – a volte tutto quell’interesse è qualcosa con cui non sa come comportarsi.

“Stavo cercando qualcosa da bere” risponde, con un piccolo sorriso.

Dall’altra parte riceve uno sguardo in tralice.

“Bere cosa? Una bottiglia di Scotch Whisky alle quattro del mattino? Hai quattordici anni, idiota!” lo sgrida ancora, incapace di trattenersi.

Lo sgrida sì, ma c’è dell’altro; c’è anche la consapevolezza profonda che il ragazzino non aveva mai creato grossi problemi nelle tante volte in cui era stato a casa sua con suo fratello, anzi. Ha il sospetto che non sia la prima volta che beva, ma è senz’altro la prima volta che il piccolo idiota si sveglia alle quattro del mattino per frugare fra i suoi liquori. Un viaggio all’ospedale con un ragazzino scemo in coma etilico è qualcosa che decisamente si vuole risparmiare, grazie tante.

“Oh, andiamo, Bobby. Ho quattordici anni solo quando vi fa comodo” borbotta poi.

Dopo ciò, abbassa immediatamente lo sguardo. C’è un attimo di silenzio, in cui Dean serra le palpebre e stringe i pugni, sperando di non aver esagerato.

E Bobby non sa se sia qualche bicchierino di troppo ad aver tirato fuori quella confessione o semplicemente sia troppo tempo che se la tiene dentro. Il cacciatore più anziano rimane in silenzio per qualche momento, fino a quando Dean non si alza in piedi.

“Dove diavolo pensi di star andando, ragazzo?” gli chiede allora.

Da Dean riceve un’occhiata interrogativa, l’occhiata di chi conosce il peso di essere secondo, dell’essere il pensiero che sfiora la mente solo dopo un “Sì, signore” di risposta alla domanda “Sammy ha mangiato?”, dopo che la porta è stata chiusa, dopo che il piano è stato messo in atto. Lancia uno sguardo al disastro sul pavimento.

“Senti, mi dispiace. Ne ho bevuto solo un bicchiere o due, io...Vuoi che lo pulisca?” chiede allora.

Tutto d’un tratto è nuovamente esitante. Per un attimo il cacciatore tace, adottando la sua migliore faccia da giocatore di poker davanti alle sue trecento contraddizioni. Si lascia andare ad un sospiro pesante.

“Siediti, idiota” gli ordina alla fine, in un moto di improvvisa stanchezza. “Era solo un maledetto whisky, Dean. Non è così importante”

Obbedisce, ma rimane in silenzio. Per un po’ lo osserva, senza dire nulla. Non ha ancora un’idea chiara di cosa stia succedendo, ma a Bobby sembra il momento per una di quelle chiacchiere padre-figlio a cui comunque sia non si è mai sentito adatto. Non si è mai sentito adatto, ma le cose sono diventate più complicate quando John Winchester, con il contegno di un ex Marine, gli occhi adoranti di Dean da un lato e la mano stretta intorno alle dita di Sammy dall’altro, aveva messo piede nello scheletro di quella casa che un tempo era stata nido felice. Bobby aveva aperto la porta e li aveva accolti con l’ospitalità ruvida ma affettuosa che non si può fare a meno di dare a qualcuno che condivide tua stessa trincea; aveva ignorato il tremito che gli aveva scosso la mano come corrente elettrica la prima volta che Dean l’aveva chiamato “zio Bobby” e quella volta in cui Sammy, a tre anni, gli si era addormentato addosso dopo pranzo.

Guarda Dean ancora per un istante. No, non si ritiene bravo con le chiacchierate padre-figlio. Ma c’è di mezzo Dean. E c’è di mezzo quell’espressione così maledettamente fragile e smarrita sul suo volto ed è tutto più complicato.

“Ti sei tagliato?” chiede, lanciando un’occhiata ai vetri per terra.

Il ragazzo alza le mani, come se non gli credesse.

“No. Te l’ho detto, Bobby, sto bene.” risponde nuovamente.

Il cacciatore alza gli occhi al cielo, in un moto di rinnovata stizza. Poi si alza, evitando i vetri sul pavimento. Afferra un nuovo bicchiere ed una bottiglia d’acqua, perché il disastro per terra può aspettare, il ragazzino no.

“Bevi” gli ordina, in un modo un po’ più ruvido di quello che vorrebbe. “E smettila di dirmi stronzate sul fatto che stai bene.”

Dean rimane fermo qualche secondo, come se non avesse compreso a pieno il comando. Poi alza la testa e lo guarda.

“Sai, a volte non lo capisco, zio Bobby.” mormora fra sé e sé, quando prende di nuovo parola. Non c’è nulla di calcolato in quello “zio Bobby” questa volta.

Il suo sguardo cade nuovamente sul bicchiere d’acqua, senza però allungarsi per afferrarlo. Dal cacciatore più anziano arriva un sospiro pesante.

“Capire cosa, Dean?”gli chiede di rimando.

Il tono tradisce più esasperazione di quella che vorrebbe perché maledizione, far parlare il ragazzino sembra una fottutissima impresa epica.

Dean lo guarda per un attimo. Sembra insicuro sul voler rispondere o meno, come se facendolo stesse per tradire qualcosa – o meglio, qualcuno. Bobby non ci mette troppo tempo a realizzare a cosa sia dovuto quel senso di colpa, ma aspetta comunque che sia lui a spiegarglielo, se è davvero ciò che vuole fare. Fa una smorfia, prima di riprendere parola.

“Faccio tutto quello che mi chiede” dice ad un certo punto. Sembra ancora star facendo fatica a mettere le parole in fila. “Voglio dire, quando sarà abbastanza?”

Da Bobby arriva uno sguardo circospetto – non ha davvero idea di quanti bicchierini di whisky si sia scolato il piccolo Winchester, ma è chiaro che sono stati abbastanza da fargli togliere quel peso dallo stomaco.

“Dean” lo chiama, quando il ragazzo distoglie lo sguardo. “Dean, dannazione, cosa è successo?”

Per un momento non risponde. Bobby pensa a John Winchester, al desiderio di cacciarlo di casa ogni volta in cui Dean abbassava la testa e rispondeva “Sì, signore” dopo un rimprovero, desiderio accompagnato da una consapevolezza profonda e viscerale: non erano i suoi. Non era la sua chiamata da fare e John Winchester non amava particolarmente che si interferisse con l’educazione dei suoi figli – questo non voleva dire assecondare sempre quell’imbecille, ma voleva dire tollerarlo semplicemente perché non aveva alcun diritto di stringerli, abbracciarli e tenerli con sé e, maledizione, non voleva perderli solo per via di un idiota vendicativo che alla minima incomprensione si comportava come l’ex marito o l’ex moglie che non ti faceva vedere i bambini e che nessuno avrebbe mai voluto avere.

“Siamo andati a caccia prima di venire qui” dice ad un certo punto. Bobby si lascia andare ad un respiro pesante, il sospiro di chi aveva capito tutto già nel pomeriggio.

Per la prima volta, lancia uno sguardo al risultato di quella caccia sulle sue braccia ed è come se non avesse mai avuto voglia di dirne quattro a John Winchester prima d’ora.

Dean deglutisce per un attimo, prima di proseguire, mentre Bobby si sporge verso di lui.

“Non eravamo molto sicuri di quello che stavamo cacciando. C’era questo sentiero dove la gente scompariva e papà ha fatto la maggior parte delle ricerche...”

Si interrompe, perché non importa quanto il maggiore dei Winchester sia arrabbiato, c’è una parte di lui appena sottopelle che si sente un ingrato e un irriconoscente nel parlare così di suo padre. Bobby lo vede chiaramente e non può fare a meno di appoggiargli una mano sulla spalla, in un vago gesto di conforto che Dean in altri momenti avrebbe senz’altro visto come un’invasione.

“Abbiamo preso i fucili. Poi papà mi ha detto di restare indietro per qualche minuto, mentre ispezionava l’area.” afferma, riprendendo fiato come davanti ad un ricordo troppo doloroso. “L’ho fatto perché faccio sempre quello che dice. Dopo un po’ ho cominciato a sentire dei rumori”

C’era stata una volta, quando Dean aveva quattro anni e lui qualcuno in meno, in cui era stato facile cancellare con una battuta il broncio dal suo volto. Pensa paradossalmente a quanto la sua vita fosse più semplice allora; ora che Dean è un ragazzino con troppe preoccupazioni e nessuna adatta alla sua età, a Bobby pare di non sapere cosa fare. Si limita a guardarlo mentre cade a pezzi, davanti ai suoi occhi sbarrati e ai suoi arti immobili.

“Non ero spaventato, era solo un po’ strano. Poi ho capito, Bobby.” spiega, per poi scoppiare in un singhiozzo che soffoca prontamente, indice di quel contegno che non può fare a meno di imporsi. “Ero un’esca. Mi ha usato come una fottuta esca!”

Quella confessione sembra prosciugarlo totalmente. Bobby non può fare a meno di sussultare, quando si alza di scatto. Sembra sentirsi così tradito.

“Voglio dire, è tutto quello che sono per lui?” chiede, mentre i suoi pugni si stringono e il suo tono si alza. “Un pezzo di carne da sventolare davanti ad un figlio di puttana con la bocca schiumosa?”

Scuote il capo, mentre le lacrime minacciano sempre di più di uscirgli dagli occhi, e per la prima volta al cacciatore più anziano sembra di comprendere l’impasse terribile e crudele in cui è intrappolato. Gli sembra di comprendere, finalmente, il peso di dovere dare delle risposte alle domande di Sam, pur ponendosi gli stessi quesiti; il peso di andare a caccia nel week-end, contemplare le più grandi atrocità in qualche buco fottuto del pianeta per poi andare a scuola il lunedì, con la consapevolezza di non appartenere davvero a nessuna delle due realtà. Ha sentito abbastanza per capire.

“Dean” sibila, avvicinandosi al ragazzo, seppellendo la voglia di mandare al diavolo John Winchester sotto quella di consolarlo.

Lui scuote il capo, mentre qualche lacrima cede al suo ferreo controllo. Per un attimo, il cacciatore cerca di ricordarsi qual è stata l’ultima volta che l’ha visto piangere. Poi si chiede se sia mai successo. Maledizione.

“Oh, Bobby, lasciami stare!” sbotta, e all’uomo sembra di rivedere quello stesso fuoco che aveva avuto quel pomeriggio, quando gli aveva urlato contro che le persone non avrebbero smesso di morire perché faceva freddo. “Non sono neanche riuscito a sparare. E papà non ha fatto niente! Quando è finito tutto, ha detto che sapeva che non mi sarei fatto troppo male e che aveva appena dovuto restituire il corpo di un ragazzino di dieci anni a suo padre e non avevo nessun cazzo di diritto di lamentarmi! Grande logica, eh?”

Sta tremando per quella che sembra rabbia, ma Bobby lo conosce troppo bene per pensare che sia tutto lì. Non è tutto bianco e nero. Dean poteva essere arrabbiato con suo padre, ma una parte di lui non poteva fare a meno di prendersela con sé stesso – per non aver saputo sparare al momento giusto, per aver osato fargli presente che quello fosse un comportamento da idiota - quale John Winchester inderogabilmente era - , per non aver pensato al ragazzino morto e persino per quello sfogo. E’ questo - più di qualsiasi altra cosa – che lo sta distruggendo.

Ed è abbastanza. Davvero abbastanza.

Va verso di lui e gli avvolge un braccio intorno alla vita, stringendoselo contro il petto in un unico fluido movimento.

“Dean” gli sussurra contro i capelli cortissimi, appena comincia a dimenarsi contro la sua presa.

Dannazione, Dean” lo rimprovera più forte, incurante del coro di lasciami, sono troppo grande, lasciami, vattene, che si infrangono contro la sua maglietta, insieme alle lacrime.

“Beh, peggio per te se sei troppo grande, idiota, perché io non lo sono.” ribatte, stringendolo più che può, senza spezzarlo perché è ancora così piccolo ed è davvero spaventoso.

 

 

***

C’era stata una volta in cui un Dean ancora bambino non aveva desiderato altro che essere amato da suo padre come aveva saputo amarlo prima - con tutto quell’amore, quella gentilezza e quel calore - ma suo padre aveva un nuovo nome e un nuovo lavoro e una nuova vita che pretendevano troppo tempo e davvero, andava bene così. Era stato lasciato in seconda fila, a guardare la sua vita riempirsi di altro che non fossero lui e Sam. Aveva imparato ad accontentarsi di un sorriso di approvazione dopo un bel tiro al poligono e dell’amore velato ma incondizionato che aveva saputo mostrargli, in certi momenti.

Aveva deciso a sei anni che avrebbe fatto di tutto perché papà fosse costretto a guardarlo di nuovo con quel sorriso che gli aveva fatto quel giorno, che per un attimo era sembrato dire Dean, quanto sei bravo e quanto sono fiero di te, ma poi i suoi piani erano stati scombussolati da quella nuova realtà.

Dean, a quattordici anni, aveva imparato a vivere o a non vivere e ad essere abbastanza. Poi improvvisamente, maledetto Scotch Whisky e quello che c’era dentro, si era ritrovato nei panni di quel fottuto poppante nascosto fra le sue ossa che era pronto a fare di tutto per un briciolo di affetto, di accettazione e che non gli piaceva. Ogni volta che lo intravedeva in sé stesso, non poteva fare a meno di vergognarsi a morte. Quindi perché non riesce a smettere di tenere fra le mani un lembo della maglia del cacciatore, come a chiedergli di non ascoltarlo quando gli urla di andarsene perché sono tutte bugie ed è abituato a mentire?

Quando Bobby gli avrebbe detto che non aveva nessuna intenzione di averlo accanto finché non si sarebbe comportato da uomo, Dean avrebbe solo scosso il capo e avrebbe sdrammatizzato con una battuta perché sarebbe stato giusto così. Deve solo smettere di piangere come una ragazzina e Bobby deve allentare la presa sul suo corpo, perché per dirlo deve guardarlo negli occhi.

Il cacciatore si allontana quel tanto che basta per spostare entrambi verso il divano, senza rompere la presa, come se quello stupido ragazzino con aspirazione al coma etilico fosse l’unica cosa davvero importante.

“Bobby, mi dispiace” dice, senza che ce ne sia bisogno.

Il cacciatore gli rivolge un’occhiata di rimprovero.

“Sta’zitto, idiota” lo ammonisce, guardandolo negli occhi. “Nulla di quello che è successo è colpa tua.”

Sarà che lo sta toccando, ma può vedere la tensione allentarsi sulle sue spalle, come se lo avesse almeno in parte liberato. A un certo punto, così com’era cominciato, quell’abbraccio finisce. Piano piano, Bobby sente i suoi leggeri singhiozzi diventare radi singulti, per poi trasformarsi in silenziose strie lungo le guance. Dean smette di aggrapparsi alla sua maglia come se ne andasse della sua vita. A un certo punto, Bobby sente il respiro del ragazzino farsi più profondo e lo sente allontanarsi e abbandonarsi contro il divano, mentre sprofonda nel sonno. E davvero, vaffanculo a John Winchester: che sia dannato se quella notte smetterà anche solo per un istante di vegliare su di lui.

 

***

Dean doveva essersi addormentato ad un certo punto, perché quando riapre gli occhi, il sole sta sorgendo fuori dalla finestra. Bobby lo sta osservando, seduto al tavolo della cucina. Nella cassetta poco distante sono raccolti i resti della bottiglia di ieri sera e nel notarli, un’onta di vergogna assale il giovane Winchester al pensiero di quello sfogo pietoso. Scatta immediatamente a sedere – e si pente di farlo in maniera così rapida perché dannazione, la testa pulsa da morire e lo sta uccidendo.

“Ti sei svegliato.” osserva il cacciatore, con un grugnito.

Bobby lo sente agitarsi e si pente di aver utilizzato un tono così apparentemente aspro. Sta per riaprire la bocca e aggiustare il tiro, quando Dean prende parola.

“Già” risponde, massaggiandosi le tempie ed evitando di guardare il cacciatore. “Credo che la mia testa mi stia punendo abbastanza per tutto questo casino.”

Chiude gli occhi per un istante prima di riaprirli, tornando a fissare l’uomo davanti a lui, aspettandosi un rimprovero che non arriva o di intravedere un accenno di pena che non riesce a scorgere. Bobby invece si alza e comincia ad armeggiare in cucina. Seduto sul divano, Dean valuta l’idea di approfittare del fatto che gli stia dando le spalle per scapparsene al piano di sopra e non uscirne mai più. Sembra un po’ troppo drammatico, ma dannazione, si sente così stupido e patetico e -

Il cacciatore riemerge dalla cucina con un bicchiere in cui ha immerso una pasticca effervescente di paracetamolo.

“Dovrebbe aiutare. “ afferma, porgendoglielo. Poi indica un cesto di frutta. “Quando tuo fratello si sveglia, preparo la colazione per entrambi. Nel frattempo, potresti mangiare un po’ di frutta”

Dean afferra il bicchiere, continuando a tenere gli occhi bassi e senza staccarsi dal divano. Beve avidamente, prima di prendere fiato e rispondere a quell’offerta.

“Grazie Bobby, ma penso che passerò per quanto riguarda la frutta. Sai, non sono ancora così disperato” afferma, in un modo così tipicamente da Dean che per un istante permette a Bobby di tirare un sospiro di sollievo.

“Idiota” borbotta fra sé e sé.

Per un tempo imprecisato, rimangono entrambi in silenzio. Dean sembra far finta di non ricordarsi niente di quello che è successo e Bobby non sa come affrontarlo, come parlarne senza che scappi o riduca tutto ad un qualcosa di irrilevante, ad una battuta.

“Dean, ti ho mai raccontato della prima volta in cui ho incontrato tuo padre?” gli chiede, d’un tratto. Non iniziava così il discorso che aveva preparato mentre il ragazzo dormiva, ma sarebbe stato meglio di niente, maledizione.

Il giovane si irrigidisce per un momento, prima di avvicinarsi al punto in cui il cacciatore è seduto, nell’appoggiare il bicchiere sul tavolo. Rimane fermo davanti a lui per qualche istante.

“Bobby, se è per quello che è successo ieri sera...” inizia, ma Bobby lo interrompe.

“Te l’ho mai raccontato, idiota?” chiede nuovamente, con tono piccato.

Deglutisce. Sembra che non ci sia più modo di uscire fuori da quella conversazione, nonostante la voglia di evitarla. Si arrende, sedendosi.

“No, non me l’hai mai raccontato” risponde Dean alla fine, sbuffando nell’arrendersi.

Ci sono milioni di cose che vorrebbe dire e chiedere al giovane Winchester. Ci sono milioni di cose che vuole dirgli e chiedergli e insegnargli e non sa come. Maledizione, non era mai stato lui quello chiacchierone; era stata Karen, un tempo, a comprenderlo senza che dicesse nulla, ma adesso può sentire lo sguardo del ragazzino bruciargli sul volto e studiarlo.

“Ci siamo incontrati, mentre stavamo lavorando ad un caso” inizia a spiegargli, indeciso su come procedere. “Stavo lavorando con Rufus e abbiamo trovato questo cacciatore tutto esaltato in un bar. A me sembrava un maledetto idiota che si sarebbe fatto ammazzare nel giro di poco tempo, ma Rufus insisteva sul chiedergli di unirsi a noi.”

Dean lo scruta e per un attimo il suo sguardo è indecifrabile.

“Cosa vi ha detto?” chiede, incuriosito.

Dal cacciatore arriva uno sbuffo spazientito.

“Il fottuto testardo ci ha risposto che lui lavorava da solo.” risponde, scuotendo la testa nel ricordare l’ostinazione dell’uomo, in quella vecchia giornata invernale.

Il giovane Winchester si stringe le spalle e pensa che sì, è anche quello che ha sempre ammirato di lui, quel suo avere la risposta pronta e quella sicurezza che ha sempre cercato di imitare, senza mai riuscirci totalmente.

“Sembra una risposta da papà” ne conviene, con una piccola smorfia.

Un piccolo ghigno si fa spazio sotto la barba del cacciatore.

“Già, a parte il fatto che quella volta dovemmo salvargli il culo ” risponde, prima di interrompersi per qualche momento per sondare la sorpresa negli occhi di Dean.

Il ragazzino inclina il capo e stringe gli occhi, come a studiarlo con aria più critica, meno conquistata.

“Dopo la caccia, ci mostrò una foto nel suo portafoglio e cominciò a dire qualcosa su quanto fosse orgoglioso di Sammy per come andava a scuola e di te, per come stavi seguendo le sue orme” aggiunge ulteriormente, scuotendo il capo.

Non si stupisce dell’aria incredula che si dipinge sul volto del più grande dei Winchester.

“Gli ho detto di alzarsi, prendere i suoi marmocchi e costruire una nuova casa per loro da qualche parte in una bella città, invece di scaricarli in qualche squallido motel. Se n’è andato senza salutare.” conclude, con una smorfia. Dean apre la bocca per ribattere, ma viene ben presto intercettato. “So che stai per dire che ha fatto quello che poteva, ragazzo. Ma avrei preferito che l’avesse comprata davvero, quella dannata casa.”

Il ragazzo serra la mascella davanti a quell’immagine: non c’è niente che possa fare perché le cose cambino. E’ una consapevolezza che l’ha raggiunto molto presto, ma non per questo è meno dolorosa ogni volta che lo colpisce nuovamente. Rimane in silenzio per qualche secondo, valutando le sue opzioni. Fingere di non ricordare forse sarebbe stata la strada più semplice da percorrere, ma -

“Quello che sto dicendo, ragazzino, è che persino tuo padre ha bisogno di aiuto a volte, quindi smettila di comportarti come un idiota ogni volta che ne hai bisogno tu. Pensi davvero che fosse così solido dopo le sue prime cacce? Forse è quello che quell’imbecille vuole farti credere” conclude, bruscamente.

Il ragazzo emette un verso di assenso. E’ improvvisamente conscio della posizione in cui si trovano e di quello che gli aveva detto la sera prima, di quello che poteva significare – di quello che forse significava solo per lui -, ma non ha idea di cosa dovrebbe fare adesso, ora che le carte sono scoperte, ora che è abbastanza sobrio da non avere bisogno di altre braccia intorno a sé, ora che… ma è Bobby, e -

“Quando Sammy si lamenta di papà, gli dico sempre che è un egoista perché papà sta salvando delle vite” ammette. Poi abbassa la voce in un improvviso senso di pudore e vergogna. “Dannazione, a volte non capisco se lo facciamo per gli altri o semplicemente per sentirci meglio con noi stessi.”

E’ un pensiero che non può permettersi di esprimere ad alta voce - almeno non davanti a Sam. E’ un pensiero che gli si dipinge spesso fra i giri e le scissure della mente, ma che non è mai riuscito a pronunciare davanti agli altri perché lo rende egoista, lo rende cattivo e -

Da Bobby non arriva nessuna occhiata di giudizio.

“Ieri sera ho esagerato. Il modo in cui mi sono comportato con te e Sam...” mormora allora.

Il cacciatore si lascia andare ad un grugnito. Prende il bicchiere vuoto di Dean e si allontana dal tavolo per riporlo nel lavabo.

“Lascia perdere. Sappiamo tutti che a volte non rendi facile l’essere gentile con te, idiota.” non può fare a meno di rispondergli, per poi scuotere il capo in una smorfia di stizza davanti all’espressione poco convinta che si dipinge sul volto del giovane. “Finiscila. Tuo fratello è un ragazzino intelligente. Così intelligente che pensa che non abbia sentito che è fuori dalla porta da mezz’ora.”

Un battito di ciglia dopo, la porta si apre ed una rara specie di Sammy con i capelli arruffati e gli occhi ancora colmi di sonno si fa spazio in cucina. Lancia a Dean un’occhiata ansiosa, memore dell’altra sera, ma suo fratello maggiore si allunga solo per dargli un leggero scappellotto dietro la testa.

“Ehi, ti ho detto decine di volte di non origliare, scemo” lo rimprovera, prima di dargli una ruvida pacca sulla spalla.

Bobby, alle loro spalle, scuote la testa perché riconosce quel gesto, riconosce i suoi piccoli idioti. Non sembra neanche l’unico a riconoscere quella dinamica, a giudicare dal piccolo sorriso di Sam. Non può non provare una nota di amarezza davanti al modo improvviso in cui il più grande ha ripreso il controllo della situazione, non facendo percepire niente a suo fratello di quanto fosse successo in precedenza. E’ quello che dovrebbe fare un genitore. Si allontana un po’, per preparare la colazione e lasciare un po’ di spazio ai marmocchietti.

“Dean?” gli chiede Sam, avvicinandosi.

Dall’altra parte arriva uno sbuffo di indignazione, davanti a quel pigolio e a quegli occhietti da cucciolo incompreso. Dannazione. Mesi prima, Dean gli avrebbe sorriso, ma ora si limita ad uno sguardo vacuo, quando lo strattona verso di sé.

“Smonta quella faccia, Sammy” risponde, con quella noncuranza posata che Dean ha imparato con gli anni. “Va tutto bene. Quello che stavo provando a dirti è che non è colpa di papà se il suo mondo è finito quando il tuo era appena cominciato. Proveremo a fare un compleanno migliore la prossima volta, se ti va.”

Sam lo guarda per un attimo, scorgendo il suo tentennare. Sa perfettamente che, con ampia probabilità, papà avrebbe finito per deluderlo nuovamente. Ma per un attimo concede a Dean una tregua e si concede di pensare che ci sia una possibilità – una – che il fatto che papà non scelga le sue esigenze rispetto al suo lavoro non voglia dire necessariamente che non glie ne importi nulla. E Sam era fortunato, aveva Dean, che ci sarebbe stato per lui anche quando papà non c’era.

“Sai, ho una cosa che Jason non ha.” afferma ad un certo punto.

Il maggiore gli lancia un’occhiata curiosa, prima di rispondere con uno sbuffo.

“Cosa? Troppi libri su cose inutili?” risponde, con fare interrogativo.

Il minore lo fulmina con lo sguardo. Poi scuote la testa e fa spallucce.

“No, è figlio unico ” ribatte, per poi concludere con un piccolo sorriso.

Dean sorride – e se questa volta non gli ricorda la sua regola sulle smancerie, beh, si autoconvince che è solo per quello che è successo la sera prima. O perché suo fratello è irrecuperabile.

 

 

 

 

 

 

* Chiquita è una gallina di un cartone animato Disney degli anni ‘50.

 

 

NDA

Non ero così SFINITA da una storia da Kintsugi – solo che a Kintsugi ho voluto abbastanza bene dal principio, qui sono un po’ più perplessa. Ci ho messo un casino di tempo, ho ancora paura che sia tutto OOC, però boh, almeno è finita e possiamo tutti archiviarla e dimenticarla. Le recensioni sono sempre gradite. Scritte per la #Afragmentfromthepast challenge del gruppo Hurt/Comfort Italia – Fanfiction e Fanart

   
 
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