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Autore: Dragonfly92    29/08/2020    4 recensioni
Dal testo: Ma poi Sam smette di dimenarsi, tra le braccia di Dean.
E mentre dondola – spasmi di un corpo senza controllo -, mentre la gola brucia e macchie si formeranno laddove Dean lo ha stretto troppo, Sam gli chiede.
Il permesso di morire.
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Avvertimenti: DeathFic
Disturbi alimentari
Non-Con (accennato)
Genere: Angst, Drammatico, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bobby, Dean Winchester, Sam Winchester
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Sesta stagione
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(What If: La mia versione di un Sam tornato dall’inferno.)
 
Ninna Nanna
 
“Ti tengo, ti tengo.”
Sam non vuole, che Dean lo faccia.
Ma le sue gambe – sottile strato di pelle su ossa che pulsano – tremano, e il suono che gli gratta gola dopo un nuovo tentativo di muoverle è qualcosa che Dean non riesce a sopportare.
“Solo per la rampa, Sam.”, gli dice allora e non gli dà tempo, pensiero, parola; è brusco, quando lo issa su – un braccio sotto le gambe, l’altro dietro la schiena -, quasi violento.
Si era preparato a uno sforzo. La facilità con cui lo porta in fondo alle scale gli fa stridere il petto.
 
Sam non dice niente.
Troppa fatica, troppo dolore, quando parla i suoi polmoni si riempiono di piombo. Gli sembra di affogare.
Non protesta, quando Dean lo porta fin dentro il rifugio.
Quando poi lo adagia sul letto, sente gli occhi bruciare per il sollievo.
 
Forse si è addormentato.
Non lo sa, ricorda solo il sangue e lingue di fuoco che gli leccano la pelle, la ustionano, creano voragini e scavano, ancora, più a fondo - “…tutto ok, Sammy…”
La voce di Dean.
È sempre quella, che lo strappa dall’inferno.
“Finirà presto, Sammy.”
Sa quanto gli è costato dirlo, lo sente perché la voce di Dean diventa severa, quando lui la costringe in parole che odia.
 
Sam vorrebbe ringraziarlo.
L’unico modo in cui può farlo, adesso, è lasciandosi toccare.
Dean non gli farà del male.
Lui si fida, di Dean.
Dean è reale, buono, famiglia, aiuto – eppure lui non riesce a smettere di tremare.
 
Lo solleva a sedere.
Dean ha la schiena appoggiata al muro e Sam può adagiare la sua contro il suo petto.
Come quando erano bambini.
Come quando erano tutti interi.
E Dean gli leggeva le storie e Sam fingeva di addormentarsi per poter rimanere.
Ancora cinque minuti.
Però poi vai nel tuo letto.
D’accordo.
Non ti addormentare.
Non mi addormento.
Il respiro di Dean tra i capelli, le sue labbra che lì si posano, per sbaglio, ancora un po’.
 
Si rompe, il respiro di Dean.
Sam aspetta che lo riaggiusti.
 
È un momento buono, per Sam.
Di questo Dean è grato, davvero, non avrebbe sopportato di… lasciarlo andare durante uno dei suoi incubi.
Posa la fronte alla schiena di Sam; un attimo, di riposo, di respiro, di cristallizzazione in un momento di niente, fatto di loro due, insieme, un altro po’, vi prego.
Stringe e allenta la presa, basta lividi su quel corpo, basta dolore per Sam.
Torna a stringere appena, ad aggrapparsi mentre sorregge, ad appoggiarsi mentre sostiene.
Dean crede di non essere mai stato in grado di abbracciare.
Sam vorrebbe dirgli quanto si sbaglia.
 
“È tutto pronto.”
Ai piedi del letto, Bobby sistema il materiale.
Tra le mani di Dean, posa l’inalatore.
Vorrebbe dire altro o forse no, Dean non riesce a guardarlo, ma vede la mano di Bobby allungarsi verso il viso di Sam e sente suo fratello diventare rigido, un blocco di terrore che non sa controllarsi.
China la testa, Bobby.
Scuse, silenzio, parole che non riescono.
 Prima di andarsene, lascia il cappello vicino ai suoi ragazzi.
 Non vedrà Dean asciugare il dolore di Sam.
Non sentirà Sam tentare di dirgli grazie. Grazie per essere stato famiglia, Bobby.
O forse sceglierà di non sentire; perché nessun padre, dovrebbe permettere al figlio di morire. Nessuno.
 
Ha messo la musica, Dean.
Eppure non si è mosso e mentre Sam è terrorizzato all’idea che sia un’altra delle sue visioni, capisce.
Perché Dean avvicina il suo polso alle labbra di Sam e allora lui non si dimena più – “Lo senti? È il mio cuore. Sono reale, sono qui.” -  e i suoni tornano nella giusta melodia e capisce che è Dean, che canta; la voce esce rauca, inconfondibile, vera.
Ma poi è Dean che si blocca, le sue dita tremano e la mascella si contrae, il respiro strozza i polmoni.
“N-on… farà p-iù male, Dean.”
Dean si passa la lingua sulle labbra che poi incide fino a ritrovare il controllo.
Annuisce, mentre parole affogano nelle sue emozioni.
Non farà più male, Dean.
Già.
È per questo che lo sta facendo.
Ma deve ripeterlo ancora, ancora, ancora.
 
 
Quando Sam è tornato dall’inferno, Dean aveva una famiglia.
Un’altra, famiglia.
Forse è per questo che non si è accorto subito: perché tentava di non perdere di vista la sua nuova vita, la sua nuova realtà, perché cercava di mantenere in equilibrio dimensioni incompatibili.
O forse perché cercava di posare lo sguardo su luoghi che non fossero, il dolore di Sam.
 
L’avrebbero superato.
Dean glielo avrebbe fatto dimenticare, assopire, quel dolore.
L’avrebbe lenito con nuovi lavori, viaggi, posti in cui tornare per le ricorrenze.
L’avrebbe anestetizzato salvando vite, cacciando, dormendo in motel dalle pareti color muffa, mangiando frullati di insipide vitamine.
Avrebbe, avrebbe, avrebbe.
Avrebbe scoperto che ci sono mostri, che lui non conosce.
 
La prima volta che Sam vede il mondo diventare annacquato, Dean gli dice che svenire è una cosa da femminucce, Samantha.
Ma la realtà continua a vorticare – “Butta giù. È zucchero.” – e Dean non fa caso, al rifiuto di Sam.
“Meglio.”, borbotta Sammy e non protesta, quando lo chiama così.
D’altronde, non ha mai avuto un voluminoso umorismo, suo fratello, no?
 
“Dean.”
Gli dà le spalle, attende, ma Dean non si volterà.
Non gli piace quel tono.
“Io vedo… cose e non…”
“Passeranno. Smetterai di vederle. Adesso sbrigati.”
 
 
La seconda volta, Sam tenta di nascondere.
Il tremore, la bocca arida, la tachicardia, il freddo.
Mentre la pressione scende, la pelle perde tonalità; nelle orecchie un ronzio che non gli permette di sentire.
C’è qualcuno? C’è qualcuno che lo chiama?
Non c’è nessuno per te, Sammy. Nessuno. Siamo solo io e te.
 
“Mangia.”
Ubbidisce.
Non ha alternative se vuole il silenzio di Dean.
Basteranno due dita spinte in gola a risolvere il problema.
 
 
“Non passano, Dean… non passano.”
Dean odia, quando il pianto piega la voce di Sam.
Inghiotte rabbia, frustrazione, parole stupide che seppellirebbero l’imbarazzo.
Ma anche i sentimenti di Sammy.
 
“Passeranno.”, dice soltanto.
 
Le dita di Sam grattano la pelle; è l’unico modo per dare un ritmo al respiro.
 
 
La terza volta, Dean trova Sam seduto sulle piastrelle del bagno.
Ha sfondato la porta quando lo ha sentito urlare.
Una parte di lui, vorrebbe non essersi mai svegliata.
 
Si dimena, Sam, sguscia via da mani invisibili che continuano ad accarezzarlo, piano, più forte – “Li togliamo questi vestiti, Sammy?” – mani che strappano e immobilizzano – “Sei la mia puttanella, Sam.” -- , rubano, bruciano.
Mani che obbligano e piegano, spezzano, frantumano.
Mani che non riesce a strapparsi di dosso.
 
“Sam, Sammy, guardami.”
La realtà lo risucchia, le unghie scavano il viso e Dean lo afferra, troppo forte, troppo male – “LASCIAMI!”
Ma non può farlo, non quando Sam colpisce la vasca, prima coi pugni, poi con ogni parte di un corpo che odia e lo costringe a vivere, rivivere, morire ogni giorno.
“Lo senti? È il mio cuore. Sono reale, sono qui.”
Sam boccheggia, cerca aria e non la trova; il petto schiacciato, la voce che si incastra in gola e parole che hanno il suono di un lamento, un mugolio che si incastra nel cervello, nel cuore di Dean.
“Andrà bene, Sam. Ora passa ma devi respirare. Devi respirare con me, dannazione!”
Sembrano ore.
Forse lo sono, forse sono intere vite che si spezzano in momenti che ti crepano per sempre.
Ma poi Sam smette di dimenarsi, tra le braccia di Dean.
E mentre dondola – spasmi di un corpo senza controllo -, mentre la gola brucia e macchie si formeranno laddove Dean lo ha stretto troppo, Sam gli chiede.
Il permesso di morire.
 
 
Dean ha smesso di contare le volte in cui Sam non sta molto bene.
 
 
“Aiutami, Dean.”
“Alzati.”
Non è stupido, Dean; sa che Sam ha bisogno di aiuto, sa che mangia troppo poco, sa che le sue dita non smettono mai di tremare.
È solo convinto.
“Ti ho detto di alzarti!”
Di poterlo salvare.
È per questo, che lui è nato.
Solo per questo.
“Ok, lo hai voluto tu.”
Ma non è preparato.
Al momento in cui gli scosta le coperte di dosso, lo trascina in piedi – “Muoviti!”
Non è preparato a Sam che implora, che gli chiede – “Non ti azzardare a dirlo un'altra volta!” -, che inciampa e non riesce a dire, perché le lacrime gli si infilano in bocca e le dita di Dean gli ustionano il polso, lo spezzano, lo frantumano – “PER FAVORE!”
 
È spaventato, Dean.
Da se stesso, da Sam, da quello che gli ha fatto lui, da quello che gli hanno fatto loro e – “Scusa, scusa Sammy, scusa.” – tenta, prova ad avvicinarsi, di nuovo, ma Sam è stretto in se stesso, ginocchia al petto, mani sulle orecchie che premono, premono. Mentre urla tutto il suo dolore.
 
 
“Non permetterò che tu ti faccia questo.”
Sam ha perso quindici chili, quando Dean lo fa ricoverare.
Sam parla poco, respira piano, ha la pelle consumata e l’anima ridotta a un mosaico di detriti.
“N-on farlo.”, chiede.
Dean non può ascoltarlo.
 
Per un mese, vanno avanti i tentativi più… blandi.
Bilance, pasti rifiutati, integratori, sostegni psicologici.
Quando Sam racconta di Lucifero, i sostegni diventano psichiatrici.
Quando il peso scende sotto la soglia tollerabile, i tentativi si fanno imposti.
 
Due volte, Sam strappa via le flebo che lo costringono alla vita.
Quando gli infermieri bloccano i suoi movimenti inchiodandoli a delle cinghie, Sam si sloga entrambi i polsi.
Dean lo trova così; con le corde vocali sfibrate e i pantaloni bagnati di terrore.
 Non si perdonerà mai, pensa. Mentre decide di portalo via.
 
 
Lo lava.
Cerca di non ascoltare, i singhiozzi soffocati di Sam, mentre lo spoglia.
“Smettila.”, sputa e si pente, di questa sua tendenza a schiacciare, momenti che riducono il suo stomaco a una pulsante poltiglia di sofferenza.
“Non ti faccio male, Sammy. Non lo farei mai.”
 
Cerca di non sentire, le sue preghiere sussurrate, quando lo trascina in doccia e sciacqua via mesi distanti, ferite, umiliazione.
“Ho quasi fatto.”
È un pigolio, la voce di Sam.
“P-er fa-vore.”, chiede.
“Va bene, Sammy. Va bene.”
Sam piange.
Di sollievo.
 
 
“Bobby ha assicurato che non farà male. Ti… addormenterai, Sammy. Ti addormenterai e allora sarà tutto finito e…”
Sam gli accarezza una mano.
Annuisce, Dean, sbatte le palpebre per asciugare il dolore, l’impotenza, le parole che non dirà.
“Sammy.”
Crede di non riuscirci.
Lì, su quel letto, con Sammy appoggiato al petto e il suo desiderio tra le dita.
Respira piano, pianissimo; il respiro trema sfiorandogli le labbra in un tentativo di controllo che ha il terrore di perdere.
“Sam-mmy.”, ripete.
Il naso tra i capelli di Sam, nel suo odore, nei loro ricordi.
Il dolore gli strozza il petto, i polmoni, la gola.
“Sammy.”
Ha gli occhi pieni, dell’amore che prova per lui e che straripa, colando sullo zigomo, giù fino in fondo al collo.
“S-ei…”, inizia Sam e si ferma; raccoglie forze, ossigeno, affetto. Gratitudine.
“Il p-adre mi-gliore che… a-bbia avuto.”
Un bacio, tra i suoi capelli, sulle sue parole, nelle sue emozioni.
 
E Dean lascia che sia Sam, a guidare.
La mano che sorregge l’inalatore.
 
Lascia che sia lui, a posarla, a coprire bocca, naso, vita.
 
“Sammy. Sa-mmy!”
E adesso può stringerlo.
Può stringerlo forte e può urlare e piangere ed essere debole.
E può abbracciarlo, tenerlo, cullarlo.
E può cantare per lui.
E fingere, per un attimo, soltanto uno.
Che quella sia solo una delle sue stupide ninne nanne.
 
 
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Questa ff è stata scritta per la #imtodchallenge indetta sul gruppo facebook Hurt/Comfort Italia – Fanfiction & Fanart.
 
Vorrei dedicare questa storia a Rossella, la fondatrice del gruppo.
Grazie, perché le tue iniziative sono stimolo, esercizio, passione.
   
 
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