Wristcutters:
A love story
Genere: Fiveshot
Disclaimer: ci siamo già passati…
A/N: Spero che vi piaccia! È un po’
triste… forza, l’angoscia crea assuefazione! –love- Desireé
Parte prima, Questo e Quello
Certo che non intendevo essere così
avventata. Onestamente, alcune persone sono molto critiche, ci sono giorni in
cui potrei prenderle per le spalle e scuoterle. Cioè, se avessi la forza.
Ultimamente, però, ero molto delicata ed estremamente stanca e, forse,
malinconica in modo malsano. Kelsie fu la prima ad accorgersene; Taylor era
troppo impegnata a rimuginare dopo che Chad l’aveva scaricata per Sharpay. Quello era stato quasi uno shock.
L’idiota del basket e la regina del teatro, insieme? Mai. Ma, ahimè, se la
realtà fosse prevedibile sono sicura che mia madre avrebbe potuto vedere la mia
tragedia molto prima e mi avrebbe salvata prima che fosse stato troppo tardi.
Non sono
esattamente certa di quando per la prima volta ebbi l’idea che questo fosse
lontanamente sicuro. Nei film, o in televisione, puoi vedere la linea intatta
lungo il polso del personaggio, perfezionata dal truccatore. Mentre passavo il
dito sopra il segno in cicatrizzazione che si era formato sul mio braccio,
compresi che questo non era per niente simile a ciò che c’era nei film. Quello era fittizio. Questo era chiaramente una realtà.
Certi
giorni, vagavo per casa alla ricerca di qualcosa di tagliente. Mia madre era
entrata in una fase di cucina, e stava durando stranamente a lungo, perciò
rendendo inutili i suoi strumenti culinari. Ad un certo punto, trovai un
coltello dalla lama affilata abbastanza perché facesse scorrere il sangue
quando lo premetti contro la mia pelle. Qualche idiota lo trovò nel mio zaino
mentre cercava una matita durante matematica, e mi chiese perché fosse rosso.
Glielo strappai arrabbiata e gli sibilai di non farne più parola. Di fianco a
me, Holly Blanche aveva sentito e, essendo l’infantile che era, fece la spia
con il professore. Mr Redmond parlò al preside
Matsui, che chiamò immediatamente mia madre. Ragazzi, se era arrabbiata Theresa. A quel punto avevo pulito la lama, quindi non
c’era prova reale della mia ‘attività pericolosa’, a
meno che non si fossero contati i deboli solchi che stavano apparendo sotto il
mio palmo. Lei pretese che la smettessi con ‘lo stupido gioco a cui stavo giocando’ altrimenti mi avrebbe ‘mandata in un centro di
recupero.’ Silenziosamente, sperai che lo facesse. Albuquerque era noiosa
abbastanza per mandare a dormire una ragazza.
Dopo ciò,
compresi che sarei dovuta stare più attenta. Indossavo maniche lunghe, anche
quando faceva caldo, e ogni volta che ero costretta a mostrare le braccia, i
braccialetti diventavano i miei migliori amici. Certo, c’erano persone che
potevano pensare che mettevo troppo lavoro in qualcosa di così inutile come il
tagliarsi, ma per me, non era più un’opzione. Stavo cadendo nel mondo della
dipendenza.
Kelsie mi
affrontò un giorno, circa due mesi dopo che la prima incisione era stata
compiuta. Mi alzò il braccio durante la pausa tra la quarta e la quinta ora. La
mia mano puntava verso il soffitto, i braccialetti caddero al gomito. La stoffa
color pelle mostrava sotto due sottili tratti rosso sangue. Lei strinse gli
occhi: “Non farti questo.” fu la prima cosa che le salì alle labbra.
Strappai
il braccio dalla sua presa. “Non mi sto facendo niente,” scattai, un po’ più
arrabbiata di quanto avessi voluto. Lei sembrò offendersi mentre aggiungevo “Ed
anche se lo fossi, non sarebbero affari tuoi.”
Era solo
probabile che Kelsie, un’usuale seguace del nostro gruppo, ne avrebbe parlato a
qualcun altro, perché era ‘preoccupata per il mio benessere personale.’ Quello erano un sacco di stronzate, e lo
sapevamo tutti. Non avevo problemi ad essere schietta riguardo le suddette
stronzate finchè Taylor non mi raggiunse qualche giorno dopo, durante l’ora del
pranzo. Io ero appoggiata ad un lavandino nel bagno con gli avambracci ad ambo
i lati, ad osservare l’acqua riempire il lavello, con piccole bolle d’aria che
si alzavano dallo scarico otturato. “Gabriella,” esclamò scettica, e mi prese
il braccio, come aveva fatto Kelsie. Questa volta non resistetti mentre lei
spostava i braccialetti. Fece una smorfia. “Oh, Gabriella.”
Per
qualcuno come Taylor, era cosa certa che mi avrebbe fatto la paternale
sull’importanza del controllo e i pericoli dell’auto-mutilazione. Invece, mi
inghiottì in un abbraccio, ed io annegai nel suo corpo, lasciando che
assorbisse il dolore che avevo sopportato più di quanto avessi saputo.
“Gabriella, Gabriella,” sussurrò affettuosamente “Cosa faremo con te?”
Era una
domanda retorica, certo. Lei sapeva, come sapevo io, che non c’era niente che
dovesse essere fatto. Sembrava che Taylor fosse l’unica che poteva accettare
questa situazione. Kelsie mi tormentò per le settimane seguenti; a volte Martha
e qualche altra ragazza mi fissavano e mormoravano per i corridoi mentre io mi
stringevo di più la giacca e camminavo un po’ più veloce. Chad e Zeke e Jason
borbottavano ogni volta che ero vicino a loro, come se avessero sperato che i
loro toni di voce bassi mi avrebbero impedito di sentire. Non erano molto
furbi, ovviamente, perché io potevo sentire perfettamente. Mormoravano
qualsiasi tipo di cosa, dal mio presunto abuso di droga, al tentato omicidio,
ed anche la mia mitica missione per una gloria maggiore in un’altra dimensione.
Forse l’idiota del basket e amici presumevano tutti che io pensassi che passare
una lama lungo il mio polso mi avrebbe mandata in un altro universo. Come se.
Un giorno,
arrivò Troy. Non fui sicura del perché, ma non aveva dovuto esserci sorpresa
sul mio viso quando aprii la porta perché semplicemente lui mi spinse contro di
sé e mi baciò. Non era il nostro primo bacio –avevamo cazzeggiato
qualche volta durante quell’anno. Ma poi ci eravamo fermati, e lui aveva
trovato il tempo di incontrare Francesca, una ragazza straniera che era lì per
lo scambio studentesco. Troy era il Play Boy, ed io ero rimasta da sola, a meno
che il coltello non contasse come ragazzo. Nel mio libro, non lo era, quindi
ero sola.
Il nostro
bacio fu per me qualcosa di speciale. Le sue labbra erano ancora dolci, come se
avesse appena leccato il caramello da una mela candita. Quando si tirò
indietro, lo guardai: “Perché sei qui?” domandai sfacciata. Sebbene mi piacesse
il modo in cui la sua bocca stava contro la mia, non ero così sicura di
esporgli la mia vulnerabilità.
“Volevo
assicurarmi che fossi ancora qui,” rispose, con un leggero terrore nella sua
voce “Dio, Gabriella, dovevo vederti, così avrei saputo che non te n’eri
andata.” Significavo ancora qualcosa per lui.
La mia
mano trovò la sua e io chiusi la porta dietro di noi mentre ci dirigevamo al
piano di sopra. Nella mia camera, si sedette sul bordo del letto, ed io al suo
fianco. Stava osservando i miei tre metri quadrati di privacy, che erano
diventati molto nudi in tempi recenti. C’erano due foto in tutto: una di me e
di un compagno di giochi dell’infanzia a cui ero abbastanza legata, e l’altra
di me e mia madre. Nessuna di noi sembrava felice, che si aggiungeva alla lista
di modi in cui apparivamo simili.
Più baci e
più cazzeggio. Ad un certo punto la mia camicetta era
stata gettata da qualche parte nella stanza. Non ero sicura di come fosse
successo, davvero, ma presto mi ritrovai ardentemente a pomiciare con Troy come
se le nostre vite avessero dipeso da quello. Non ne ero cosciente in quel
momento, ma in un certo modo, lo facevano. “Cazzo.” sussurrò lui ai muri
attorno a noi quando alla fine si stese a pancia in su. Io stavo tirando un po’
di garza sull’elastico dei suoi boxer.
“Cazzo,”
sussurrai di rimando “E’ una parola divertente.”
“Gabriella?”
chiese lui.
“Sì?”
replicai.
“Che stai
facendo?”
Io risi
svogliatamente: “Sono stesa qui con te.”
“No,”
disse calmo lui “Sto parlando di quello che stai facendo a te stessa.”
Lui sapeva
che io sapevo di cosa stava parlando. Qualsiasi ragazza avrebbe saputo di cosa
stava parlando. Mi girai verso di lui e gli spostai la frangia. I suoi occhi
indaco erano tristi e spaventati, come se lui avesse avuto il presentimento che
dove io giacevo in quel momento, tra le sue braccia, sarebbe stata l’ultima
volta che sarei stata alla sua portata. Forse aveva ragione.
“Non ne ho
idea,” sospirai in un sussurro appena udibile “Ma non posso evitarlo.”
“Gabriella…”
ricominciò lui, ma io appoggiai un dito sulle sue labbra e lo zittii.
Con la
mano libera che si muoveva tra i suoi capelli, dissi in tono appassionato: “E’
da tanto tempo che non faccio del buon sesso. Hai fatto del buon sesso di
recente?” lui scosse la testa “E’ una rovina. Anzianità, forse.” mi allungai e
le nostre labbra si incontrarono, e l’impulso nelle sue dita che lo spingeva ad
esaminare i miei polsi si spense.
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Mia madre
mi chiese se mi tagliavo ancora un pomeriggio dopo il mio primo incontro con
Troy. Fui attenta a non rispondere troppo in fretta; quello sarebbe sembrato programmato, come se avessi saputo che
quella domanda sarebbe arrivata, cosa che in effetti era vera. “No,” risposi
sicura “Non lo faccio.”
Non
riuscivo a capire quando ero diventata una bugiarda così brava. Un mese prima?
Un anno prima? C’erano un sacco di cose che non riuscivo più a capire, come se
il tagliarsi fosse come una sbronza. Non comprendevo, o ricordavo, cosa aveva
divagato nel mio cervello quando le prime gocce di sangue avevano brillato
sulla mia pelle. Auto-mutilazione. Non davvero.
A scuola,
scoprii che l’inevitabile incappare in Troy stava andando in un livello
estremo. Mi sembrava di imbattermi in lui ad ogni pausa tra le lezioni, e
sempre due volte a pranzo, per le settimane che seguirono la nostra serata di cazzeggio. All’inizio lui era sembrato impacciato, ma alla
fine l’imbarazzo si era ridotto. Ogni volta che mi scontravo con lui mentre non
prestavo attenzione o lui inciampava su un laccio della scarpa e mi urtava, ci
comportavamo come se non fosse stata una gran cosa. Per noi, invece, due
teenager che erano segretamente innamorati ma di chi, esattamente, non ne
eravamo sicuri, era una gran cosa.
Il secondo
incontro con Troy avvenne a casa mia, di nuovo. Mia madre aveva invitato la sua
famiglia per cena. Eravamo in sei, contando la madre di Jack, Sissy. Era una signora molto anziana che a Troy non
piaceva, e viceversa, cosa che ci portò a nasconderci nel gazebo nel retro dopo
la portata principale (che non era nemmeno troppo buona. La fase culinaria di
mia madre non aveva particolarmente successo.) Fissammo il cielo per un po’,
prima che Troy mi baciasse di nuovo. “Non voglio che tu vada via.” mormorò.
La mia
testa sulla sua spalla, sorrisi distrattamente all’oscurità intorno a noi:
“Sono qui,” lo rassicurai “Brie è qui.”
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Vero,
c’erano la riabilitazione e la terapia e i gruppi di supporto che portavano le
persone come me fuori dalla merda che ci era stata data al tavolo delle carte.
Ebbi una mano particolarmente schifosa un pomeriggio, quando ero così arrabbiata
(e per qualche stupida ragione) che mi tagliai il braccio abbastanza
violentemente nel mezzo del bagno delle ragazze dell’ala ovest. Katie Leonard entrò e sembrò
scivolare sulle due piccole gocce d’acqua rovesciate sulle piastrelle del
pavimento. Potevo vedere il dolore spandersi sul suo viso quando atterrò giusto
sul suo osso sacro, ma quello non la fermò dal correre di nuovo fuori dalla
porta. “Fifona!” le gridai dietro. Nessuno sentì, penso.
Nonostante
tutti i libri di auto-aiuto e tutta la merda dei discorsi motivazionali Tu-Ce-La-Puoi-Fare, scoprii che ero particolarmente sola in
quel periodo. Non avevo parlato molto con Troy, benchè lui chiamasse più spesso
di quanto non facesse. Era un gesto tenero, ma almeno fino ad allora, non avevo
voluto essere coinvolta. In quel momento disperavo per della compagnia. Mia
madre, suppongo, aveva dedotto che fossi stata onesta quando le avevo detto che
non mi tagliavo più. “Quant’è ridicolo!” avevo detto alla giraffa di peluche
sul mio letto “Una madre dovrebbe sapere che i teenager mentono!”
Era una
domenica quando Troy chiamò di nuovo, ed io risposi stupidamente. Volevo solo
sentire la sua voce. “Mi stai uccidendo,” rise “Per metà del tempo non so se
almeno vivi ancora in questa città e per l’altra metà penso che tu sia morta.
Rispondi al telefono, per favore?”
“Ah, a
volte non ho voglia di parlare.” replicai con nonchalance. Mi appoggiai al
frigorifero ghiacciato e un brivido corse lungo la mia spina dorsale. Credetti
per la temperatura dell’acciaio inossidabile.
“Oggi hai
voglia di parlare?” domandò.
Sapevo che
non sarebbe stato per mezzo di una telefonata: “Dove?”
“Il parco,
a mezzanotte di stanotte. Incontrami.” ridacchiò leggermente alla mia risposta
non troppo veloce “Non preoccuparti, non è un agguato. Ci sarò solo io, e
quindi solo tu, okay?”
Io
acconsentii: “Uh huh,” ci fu una pausa “Grazie,
Troy.”
“Per
cosa?” chiese, anche se io sapevo che lui sapeva che cos’era che mi piaceva
così tanto che prendevo il momento per ringraziarlo.
“Lo sai,”
risposi “Per qualunque cosa. Penso solo che sia carino che non ti sei mosso.”
lui borbottò qualcosa di incoerente ed io sorrisi nel ricevitore, capendo
stranamente ogni parola. Finalmente, qualcuno che parlava la mia lingua.
A/N: Okay, Gabriella è completamente
fuori dal personaggio qui. Dico sul serio, completamente. Mi scuso davvero se
ciò che fa offende qualcuno. E ora, che ne dite di qualche commento?? :) Siete
mitici. -l’assolutamente felice- Desireé