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Autore: DrarryStylinson    31/08/2020    1 recensioni
Stiles è frutto di un esperimento genetico mal riuscito: metà uomo e metà lupo. Quando l’animale prende il sopravvento, la rabbia e l’istinto di far del male al prossimo sono impossibili da controllare. Solo un altro come lui potrebbe avere le capacità per fronteggiarlo.
Derek, rimasto solo al mondo e con un conto in sospeso con Stiles, si offre volontario per diventare anch’egli un mezzo lupo per poter così catturarlo.
Quando però la verità viene a galla entrambi dovranno rivalutare le loro posizioni in questa sorta di guerra.
Sterek!AU
Genere: Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Stiles Stilinski
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 14

Non era così che immaginavo sarebbe andata. Di sicuro non pensavo che Lydia Martin avesse escogitato questo metodo per far ricordare a Stiles il proprio passato. Non pensavo neppure che solo noi due potevamo assistere a tutto questo e forse, in fondo, speravo che Stiles ricordasse qualcosa di mia madre e invece eravamo finiti lì, in quello stesso laboratorio che ci aveva visto rinascere e che ci stava ospitando anche in questo momento nonostante la nostra testa fosse altrove, in un altro tempo.
Stiles, in ginocchio al mio fianco, aveva incassato la testa nelle spalle e fissava il proprio padre, che teneva una mano premuta sulla gola ferita. Noah Stilinski boccheggiò indietreggiando e appoggiandosi alla scrivania. Guardò suo figlio con sgomento e cercò di parlare ma dalla sua bocca uscì solo uno strano gorgoglìo.
Il giovane Stiles, che stava man mano perdendo le sembianze da lupo, fissava le proprie unghie ricoperte di sangue.
“Guarda cosa mi hai fatto fare!” urlò arrabbiato. Piangeva e singhiozzava con disperazione.
Io osservavo la scena senza comprendere: Stiles aveva graffiato suo padre. All’inizio sembrava una ferita mortale ma ora che guardavo bene non stava uscendo tanto sangue e Noah aveva preso dei kleenex dalla scrivania per tamponarsi il taglio che, a una prima occhiata, risultava fatale. Presi Stiles per un braccio, aiutandolo a rimettersi in piedi, e lo obbligai a guardare quella scena surreale.
“Avrei potuto ucciderti” aggiunse il ragazzo trasudando senso di colpa.
In quell’istante, un uomo spalancò la porta del laboratorio entrando trafelato. “Noah!” esclamò con urgenza. “Sei ferito?” chiese stupidamente.
Trattenni il fiato quando riconobbi Chris Argent, aveva i capelli più corti ma non era cambiato di una virgola.
“Che cosa hai fatto?” sbraitò voltandosi verso il ragazzo e minacciandolo con un taser che aveva estratto dalla tasca interna della giacca.
Stiles sembrò rimpicciolirsi alla vista dell’arma e mi parve anche di vederlo tremare.
Mentre lo teneva sotto tiro, Argent si avvicinò allo scienziato per constatare in quale condizione si trovasse. Esaminò la sua ferita e si tranquillizzò. “Te la caverai” decretò.
Io e Stiles ci scambiammo un’occhiata sospettosa mentre lo Stiles dei ricordi, fin troppo giovane ed ingenuo, tirò un sospiro di sollievo.
“Tutto procederà come stabilito” annunciò Chris prendendo da un armadio una cassetta con un kit di pronto soccorso per curare l’amico. “Suo figlio diventerà un mutaforma” aggiunse prendendo garze e disinfettante.
“Suo figlio?” chiese immediatamente Stiles mentre Noah lo rimirava con rammarico.
“Il figlio di Talia ha tutti i requisiti necessari per arrivare ad avere la mutazione perfetta, una condizione fisica e mentale da far invidia ad un maestro di yoga” disse divertito.
Parlavano di me. Avevano deciso sin dall’inizio che sarei dovuto diventare un licantropo ma, anziché costringermi, mi avevano fatto credere che fossi io a volerlo, con la vana speranza che, in quel modo, avrei catturato l’assassino della mia famiglia.
“Tu non toccherai Derek” ringhiò il ragazzo.
“Piantala, Stiles” sibilò Argent. “Non importa a nessuno della tua stupida cotta adolescenziale” disse con cattiveria guadagnandosi un’occhiataccia da Noah. “Non l’hai mai neanche conosciuto… ma potrai farlo. Lui diventerà come te”.
Fissai il giovane Stiles, arrabbiato e spaventato da quello che volevano farmi, e in quel momento mi voltai per stringergli la mano. Avevo intenzione di dirgli che ero stato uno stupido a fidarmi di Argent, che mi dispiaceva per essere stato così cieco e aver tentato di togliergli la vita e che lo amavo, perdio se lo amavo.
Non potei fare nulla di tutto questo perché Noah parlò: “Ha ragione” disse a fatica. L’amico si voltò a fissarlo con rabbia. “È ora di fermarsi. Troppe vite sono già state distrutte” riprese Stilinski guardando Chris con dispiacere mentre quello, deluso, scuoteva la testa.
Stiles sorrise e si avvicinò a suo padre.
“Ora farò tutto quello che vuoi” sussurrò mentre gli occhi gli diventavano lucidi.
Il figlio allungò una mano e la posò sulla sua spalla, gli assorbì il dolore che stava provando a causa sua e disse: “voglio che ti costituisca alla polizia e che lasci Talia in pace con la sua famiglia”.
“Tutto quello che vuoi” ripeté suo padre.
“Grazie” mormorò Stiles.
Non capivo quello che vedevo. Noah non era morto e aveva appena chiarito con suo figlio che, decisamente, non era il suo assassino. Cos’era successo quella dannata notte? L’orologio segnava le 00:04, era il 3 agosto e mia madre stava per morire… ma per mano di chi?
“È troppo tardi” si intromise Argent. “La mia squadra sta già cercando Talia e hanno l’ordine di non prenderla viva”.
Spalancai gli occhi. “No” bisbigliai.
Lui. Era stato lui sin dall’inizio. Mi ero fidato. Avevo messo la mia vita nelle sue mani. Avevo lasciato che mi trasformasse e mi usasse per catturare Stiles. Stupido. Uno stupido buono a nulla in cerca di vendetta.
Stiles ringhiò e lo guardò con disgusto mentre Argent gli puntava contro il taser.
“Vai!” lo incoraggiò suo padre e lui non ebbe bisogno di sentire altro: prese la rincorsa e si lancio contro il vetro antisfondamento della finestra mandandolo in frantumi. Mi affacciai e lo vidi precipitare per sette lunghi piani e cascare al suolo sui piedi e sulle mani, formando un cratere nel punto in cui era caduto.
Lo guardai correre e saltare sulle auto nel parcheggio per raggiungere mia madre, poi lo scenario cambiò: non eravamo più nel laboratorio, stavamo seguendo Stiles che galoppava più veloce del vento per salvare la mia famiglia.
Avevamo lasciato indietro Noah e Chris e non sapevamo cosa stesse succedendo alla Stilinski Corporation ma di una cosa adesso eravamo certi: quando Stiles era uscito dall’edificio Noah era ancora vivo. Non era stato lui ad ucciderlo.
Riuscivo a vedere l’espressione sul suo volto. Era terrorizzato e stava sudando copiosamente. Respirava a fatica a causa dell’ansia e della folle corsa.
Era guidato dall’olfatto. Probabilmente aveva isolato l’odore di mia madre per trovarla. Arrivò in tangenziale e, con il rettilineo, la velocità aumentò. Superò un paio di macchine e potei distinguere i guidatori al volante fissarlo stralunati e lanciare imprecazioni con la testa fuori dal finestrino. Non vidi nessuno degli uomini di Argent. La strada era sgombra.
“Talia!” chiamò Stiles sollevato, gli occhi che brillavano come tormalina.
Spalancai gli occhi quando, con velocità elevata, lo vidi avvicinarsi alla macchina. 6 QGM 387. La targa dell’auto diventava sempre più leggibile man mano che ci avvicinavamo.
Poi, di nuovo, accadde qualcosa di incomprensibile: Stiles urlò di dolore e spiccò un salto. Atterrò diversi metri più avanti, davanti alla nostra auto, e si immobilizzò in mezzo alla carreggiata.
Vidi mia madre spalancare gli occhi e lessi il suo labiale: aveva detto il nome del licantropo. Poi sterzò con il volante mentre Laura protendeva le mani in avanti e io cercavo invano di afferrare la mano di Cora che aveva la cintura slacciata e la testa fuori dal finestrino.
Stiles, illuminato dai fari, sbatté le palpebre e venne colpito violentemente dalla fiancata dell’automobile. Lo udii gridare mentre la macchina cominciava a cappottarsi su se stessa una, due, tre volte. Il rumore delle lamiere e dei vetri infranti mi trapanò i timpani. L’auto si fermò, capovolta e distrutta.
Vidi me stesso muovere la testa e gemere dal dolore. Il sangue cominciò ad uscirmi dalla bocca quando tentai di parlare senza successo.
Stiles, nel frattempo, era stato sbattuto a terra e si stava rialzando a fatica. Sentii le sue ossa scrocchiare quando guarirono e cominciò a barcollare verso la vettura. “Talia?” chiamò quasi senza voce e ricominciando la trasformazione a causa dello shock.
Dall’interno sentii la mia voce che chiamava la mia famiglia: “Mamma? Laura? Cora?”.
Una scintilla fece scatenare le fiamme mentre Stiles si avvinava calpestando i vetri dei finestrini che scricchiolarono sotto i suoi piedi nudi. Lo guardai abbassarsi e cercare di aprire la portiera distrutta con la mano trasformata e le unghie lunghe.
“Salva loro” esalò mia madre. Teneva un solo occhio aperto, perché nell’altro si erano conficcati dei vetri.
Stiles guardò all’interno e non sentì il battito del cuore di Laura, né di quello di Cora. Venne verso di me e allungò una mano per strapparmi la cintura che si era incastrata. Mi tirò fuori dalle lamiere che ero ormai svenuto e lo vidi guardarmi. “Derek?” sussurrò il mio nome. Mi trascinò lontano dalle fiamme mentre io riprendevo i sensi e cominciavo a fissare la luna piena, poi guardai lui che si riavvicinò all’auto, facendosi largo tra il fumo sventolando le braccia, e si piegò per guardare all’interno.
“Ora ti tiro fuori, Talia” disse afferrandola per un braccio e assorbendo il suo dolore, con l’altra mano cercò di slacciare la cintura ma due fari che illuminarono la scena glielo impedirono.
“Non osare farlo!”.
Mi voltai per vedere Chris Argent puntare una pistola spara dardi elettrici in faccia a Stiles. Lui si rimise dritto e portò una mano dietro la testa per massaggiarsi il collo.
Vidi me stesso, sdraiato sull’asfalto, fissare la scena con gli occhi sbarrati e non credendo a quello che stavo vedendo: Stiles era di nuovo trasformato.
“È morto, Stiles” disse. “Sei stato tu” lo colpevolizzò.
“Papà?” chiese confuso.
“La ferita era troppo grave” disse tenendolo sempre sotto tiro.
“No. Stai mentendo!” ringhiò.
“Annusami, ascolta il battito del mio cuore. Sai che è la verità” rispose Argent con una strana luce negli occhi. “Sei un assassino” gridò. “Hai ucciso tuo padre. Hai ucciso Talia e le sue due figlie e hai quasi ucciso Derek”.
Stiles, con il viso da lupo, mi guardò disperato. Vedeva il sangue uscirmi dalla bocca e la gamba piegata in una posizione innaturale. Una lacrima cadde dai suoi occhi gialli.
“Ora verrai con me” disse Chris Argent sparando i dardi elettrici.
Stiles, però, spiccò un balzo evitando il colpo e scavalcò la macchina in fiamme. Mia madre iniziò a gridare mentre l’odore di benzina diventava sempre più forte e, all’improvviso, il boato.

 

 

Strappai la mano via dal suo collo e ascoltai Stiles grugnire dal dolore. Non me ne curai quando il sangue zampillò dalle ferite procurate dai miei artigli dentro la sua carne. Sferrai un pugno contro la porta di metallo lasciando il solco delle mie nocche e sentendo vibrare tutto il cilindro. Il boato si propagò nell’incubatrice e rimbombò nelle orecchie.
“Fatemi uscire!” gridai battendo con la mano aperta contro la superficie fredda e liscia.
“Derek…” mi chiamò Stiles.
Annusai il suo malessere ma non mi importò. Sentivo il suo cuore battere forsennato e il mio non era da meno: scalpitava talmente forte che lo percepivo persino nelle orecchie, nelle vene dei polsi e sul collo.
“Fatemi uscire” ripetei cominciando a spingere la porta con tutte le mie forze e sentendola cedere e piegarsi. La aprii a fatica, spossato dal viaggio che avevo fatto nei ricordi di Stiles.
Lui l’aveva uccisa senza motivo. Era saltato davanti alla sua macchina improvvisamente e non si era più mosso. Poi aveva tentato di tirarla fuori e rimediare ma quel bastardo di Argent glielo aveva impedito e lui si era arreso senza neppure provare a combattere.
La colpa era di tutti e due. Entrambi erano responsabili della morte della mia famiglia. E poco importava se la luna era piena e Stiles fosse in uno stato confusionale: poteva spostarsi dalla traiettoria, poteva evitare di farsi investire e di far cappottare la macchina.
Uscii dall’incubatrice arrancando e inciampai. Caddi sul pavimento imprecando e soffocando un ringhio.
“Derek?” mi chiamò di nuovo Stiles. La sua voce tremava ed era flebile. Riuscivo ad annusare il suo sudore e percepivo che era privo di forze. L’intrusione avvenuta nella sua testa lo aveva stremato.
Mi sollevai in piedi. Le gambe mi tremavano ma riuscirono a sorreggermi. Guardai il laboratorio e spalancai gli occhi: era tutto sottosopra. I computer avevano lo schermo in frantumi, una scrivania era rovesciata per terra. Penne, matite, fogli e altra cancelleria era sparsa sul pavimento.
Lydia, Scott, Theo e Liam erano scomparsi e c’era del sangue sul pavimento: Theo era ferito. C’era stata una lotta mentre eravamo nell’incubatrice e non me n’ero minimamente accorto.
“Derek!”. Stiles ringhiò e mi voltai a fissarlo. Era inginocchiato nel cilindro metallico e mi fissava con gli occhi gialli e i canini sporgenti.
La luna.
Guardai fuori dalle vetrate e vidi che il sole stava per tramontare. Eravamo stati chiusi lì dentro per più di quindici ore e la luna piena sarebbe sorta di lì a poco e Stiles era debole e soggiogato da quello che aveva visto. Era spaventato e questo lo rendeva pericoloso.
Riuscii a percepire che l’edificio era sgombro e che nessuno aveva lavorato lì dentro in quella giornata appena trascorsa. Erano stati tutti evacuati. Eravamo soli. Dovevo decidermi se aiutare Stiles o se cercare Theo che, molto probabilmente, era ferito e aveva bisogno di aiuto.
Mi avvicinai al mio compagno e lo presi per un braccio tirandolo su di peso. Stiles ringhiò in protesta e cercò di graffiarmi senza successo.
“Sta’ fermo” ordinai prendendogli anche l’altro braccio e torcendoglielo dietro la schiena. Lo spinsi in avanti e lo esortai a camminare. Percepivo i suoi sensi di colpa e le sue intenzioni di dirmi qualcosa ma la parte da lupo stava diventando opprimente e ogni volta che apriva bocca un piccolo ruggito sfuggiva alle sue labbra.
Dovevo portarlo lontano. Se avesse perduto il controllo decidendo poi di scappare in città ci sarebbe stato il delirio. Dovevo rinchiuderlo da qualche parte e poi andare a cercare le quattro persone che ci avevano aiutato ed erano scomparse nel nulla.
Lo spinsi nell’ascensore. “Indicare nome e numero del piano”. Sobbalzai al suono della voce elettronica.
“Stiles Stilinski. Meno uno” disse tentando di regolarizzare il tono tremolante della voce.
“Stiles Stilinksi. Meno uno. Accesso consentito”.
Spalancai gli occhi. Per mesi avevo tentato di accedere al piano inferiore senza successo. “Cosa c’è al meno uno?” domandai.
Abbassò il capo fino a sfiorare il petto con il mento. “La mia gabbia” rispose inspirando profondamente. “Quando mi comportavo male mio padre mi chiudeva dietro le sbarre”.
Stava scherzando, vero?
Quando Stiles non voleva sottoporsi alle visite mediche, farsi trafiggere dagli aghi o fare da giullare per quelli del governo interessati a lui, Noah Stilinski lo rinchiudeva in una gabbia come un animale da circo.
“Smettila di provare pietà per me” mi rimproverò annusandomi e ritrovando un po’ di lucidità. “Dove sono gli altri? Prima ho sentito odore di sangue”.
“Sono spariti e credo che il sangue fosse di Theo” risposi nell’esatto momento in cui le porte dell’ascensore si aprirono e ci ritrovammo di fronte una stanza illuminata da una potente luce bianca. Chiusi gli occhi per far abituare le pupille sensibili e quando li riaprii fu impossibile non notar l’enorme gabbia con spesse sbarre di metallo al centro della stanza.
“Non posso chiuderti lì dentro” decretai. Ero furioso con lui per quello che avevo visto ma non potevo trattarlo come una bestia. Lo avevo già incatenato una volta ad un muro e mi sentivo ancora uno schifo.
“Presto perderò il controllo e tu devi trovare Scott e gli altri. Non hai scelta” disse liberandosi dalla mia presa e camminando verso la parete con appesa la chiave per aprire la gabbia.
“Okay” mi arresi. Aveva ragione. Gli altri erano scomparsi e Theo era pure ferito. Dovevo trovarli. Riuscivo a sentire il loro odore, era mischiato alla paura. Era avvenuta una lotta nel laboratorio e qualcuno li aveva portati via. Non ci avrebbero mai lasciato lì dentro da soli.
Stiles entrò nella gabbia e chiuse la porta. Si aggrappò alle sbarre e mi fissò con gli occhi perennemente gialli. “Chiudila” ordinò con un ringhio soffocato.
Girai la chiave nella toppa e la lanciai dove lui non avrebbe potuto prenderla.
“Non ho ancora capito perché hai fatto quello che hai fatto” sussurrai.
Lui poggiò la fronte su una sbarra e mi guardò colpevole.
“Nemmeno ora che l’ho visto con i miei occhi ho compreso” confessai ripensando a lui che balzava davanti all’auto facendola cappottare.
“Perdonami” disse solamente.
“Ci vorrà del tempo” risposi.
Fu in quel momento che lo sentimmo. Vidi persino le orecchie appuntite di Stiles vibrare a quel suono penetrante che ci perforò i timpani.
Stiles spalancò gli occhi che brillarono ad intermittenza, come per segnalare un pericolo. “È impossibile” sussurrò.
Mi guardai attorno spaesato per cercare da dove provenisse quel rumore: qualcuno aveva appena ululato.

 

 

Era un ululato vero, come quello che avevo sentito nel ricordo di Stiles. Ma lui era qui davanti a me e aveva l’aria smarrita e preoccupata.
“Ce n’è un altro” comprese.
Un altro licantropo di cui non eravamo a conoscenza e che aveva deciso di palesarsi proprio durante la luna piena, quando sarebbe stato più forte e Stiles invece sarebbe stato sopraffatto dalla rabbia e dall’istinto omicida.
In tutti quei mesi non avevo mai pensato alla possibilità che potessero essercene degli altri. Liam ci aveva fatto venire dei dubbi ma speravo che non fosse così, che stessero ancora sperimentando. D'altronde, prima di me non era mai avvenuta una mutazione perfetta. Solo Stiles era riuscito a sopravvivere ma la licantropia aveva causato problemi: attacchi di panico, nessuna resistenza all’elettricità e, ovviamente, sensibilità alla luna piena.
Non poteva essercene stato un latro prima di noi. Lo avremmo saputo, lo avremmo percepito o annusato: come aveva fatto a nascondersi per tutto quel tempo?
“Derek, devi andare” esclamò spaventato e sempre più confuso.
“Come posso affrontare un licantropo?” chiesi arrabbiato.
“Hai affrontato me!” replicò ricordandomi della nostra prima lotta, quando l’avevo rincorso per strada dopo che aveva rapinato un’erboristeria e quando avevo cercato di ricattarlo con il pupazzo koala che aveva smarito dopo l’attacco nella casa nel bosco.
“Non mi pare di averti battuto” dissi.
Stiles roteò gli occhi gialli ma un angolo delle labbra si sollevò nell’accenno di un sorriso, poi si piegò su se stesso come se una fitta lo avesse trapassato.
“La luna sta sorgendo” mormorò con la voce rotta dal dolore. Afferrò le sbarre e tentò di piegarle con la forza.
“Stiles, no!” esclamai poggiando le mie mani sulle sue.
Sollevò le labbra per mostrarmi i canini e ringhiò. La bava colò dalla sua bocca e mi guardò con vergogna in un ultimo sprazzo di lucidità. Poi tentò di azzannare la mia mano.
Mi allontanai dalla gabbia quando fece passare un braccio tra le sbarre per afferrarmi. Gli artigli erano scuri e affilati.
Non volevo lasciarlo solo. Dovevo stargli vicino in un momento così difficile. Nonostante la rabbia per quello che aveva fatto era sempre lo Stiles che avevo imparato ad amare e non meritava di affrontare la luna piena senza nessuno accanto.
Un altro ululato, stavolta più aggressivo, arrivò alle mie orecchie. Stiles ringhiò d’istinto, come per competere con quello sconosciuto.
“Perdonami, Stiles. Tornerò presto” promisi incamminandomi all’indietro verso l’ascensore e avviandomi verso la tanto agognata verità. Verso la fine.

 

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