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Autore: milla4    31/08/2020    2 recensioni
Nessuno conosceva Mary Bennet, suo padre ci aveva rinunciato anni prima. Perché era lei era sprezzante altezzosa e soltanto un uomo come lui, il Signor Collins avrebbe mai potuto trasformare quei difetti in virtù.
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Elizabeth Bennet, Mary Bennet, Signora Bennet, William Collins
Note: Missing Moments, Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
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N.B:
 
Un * è semplice ripresa di battute ma modificata, dell'originale non cè praticamente nulla. Il contesto intorno l discorsi sono miei
Due ** indicano una parte molto ripresa, anche se anche qui sono comunque adattate al contesto da me, accenni










 
Soltanto un'ombra in una famiglia di luci



 
 
Alla nascita della sua prima figlia, il Signor Bennet ne fu assai felice, con la venuta della seconda fu molto lieto: Lizzie era così simile a lui. Poi, con grande sopresa da parte sua e sconforto di sua moglie venne la terza bambina. Con l'arrivo della quarta il sorriso cominciò a divenire sempre più tirato ed, infine, si fossilizzò con la quinta e ultima nascita, arrivando ad imitare una maschera carnevalesca, fissa e immobile. Non che gli dispiacesse avere delle piccole donne in casa, in fondo amava i bambini, specialmente se suoi, ma non poteva negare che con sole cinque figlie femmine e senza futuri possibili eredi in arrivo, la Signora Bennet era stata categorica su questo, la tenuta di Longbourn nell'Hertfordshire sarebbe passata al primo esemplare di genere maschile della sua famiglia e un po' gli dispiaceva sapere che tutto ciò per cui aveva lavorato sarebbe finito in mani estranee. Per questo, quando un loro lontano cugino, il Signor Collins, aveva spedito loro una lettera per avvertirli che aveva deciso di conoscere finalmente i suoi lontani parenti, la cosa lo aveva infastidito alquanto, anche se come al solito non lo diede a vedere all'iperattiva moglie.
 
«Oh, cielo! Il Signor Collins! Dobbiamo preparare ancora un arrosto di maiale ai funghi e...» la donna cominciò a elencare una serie di mancanze a cui avrebbe dovuto sopperire, non volevano certo mostrare che vivevano nella miseria e nell'indigenza! 
L'unico uomo di casa si diresse verso il suo studio e nel mentre trovò una delle sue figlie a cercare di conoscere uno strumento che tutti in famiglia sapevano non le sarebbe mai appartenuto.
«Mary! Cara Mary, potresti andare a vedere tua madre? Credo che Anne scapperà se sentirà ancora parlare di arrosto di maiale».
Non era una richiesta così esagerata né invalidante ma Mary Bennet la prese piuttosto male: Lydia e Kitty erano da qualche parte, forse in camera loro o forse in città a rendersi ridicole con i loro vezzi, e le sorelle maggiori sicuramente in visita alla cara Signorina Lucas. In casa era rimasta soltanto lei, lei che non aveva luoghi da visitare o amici con cui andare. Veniva cercata in casa soltanto per questioni pratiche, nessuno che le parlasse di matrimonio o di un suo possibile futuro... forse non vedevano per lei un destino lontano dalle mura domestiche. Si rabbuiò al solo pensiero. 
«Certo, padre», allontanò delicatamente la sedia dal pianoforte e si alzò sistemandosi la gonna, poi a mento alto si diresse verso la zona del retro della casa. «Aaah, Mary, Mary, riusciremo mai a capirti?». Il Signor Bennet aveva cinque figlie ed era riuscito con il tempo a capire l'essenza di quasi tutte, la dolce e umile Jane, la sua irremovibile e intelligente Elizabeth, la chiacchierona e invadente Lydia insieme alla sua accolita Kitty, ma lei, la sua terzogenita era ancora un mistero per lui, sempre con il naso su qualche libro, pronta a giudicare qualsiasi cosa non fosse di suo interesse. Ma lei non era la sua Lizzie e senza vera cattiveria, la sua mente non perse molto tempo per Mary.
 
 
L'ansia della visita fu interrotta soltanto dallo scampanellio alla porta previsto proprio in quei giorni di fine primavera: appena il capofamiglia aprì la porta, un uomo sulla trentina dalla faccia indiscutibilmente anonima si palesò.
Mary era come sempre coperta dall'invadenza di Kitty e Lidya, ma qualcosa era riuscita comunque ad osservare e non era rimasta poi così delusa. Il Signor Collins era un uomo sulla trentina, con un carisma troppo basso per essere l'erede di una nobile famiglia dell'Essex, ma alquanto soddisfacente per una proprietà di campagna senza troppe pretese. Mary lo aveva osservato mentre, balbettando era entrato in casa, quasi intimorito dall'accerchiamento di donne che si era trovato davanti. 
«Benvenuto nella nostra umile dimora, Signor Collins» squittì sua madre dopo una riverenza fuori moda da almeno trent'anni.
«Sono... davvero lieto di essere qui con voi, mia Signora» il curioso uomo parlava con frequenti pause, come se dovesse pensare ogni volta cosa fosse appropriato dire. Poi, infine, fece un rapido inchino con la testa, da dove si trovava Mary riusciva a sentire le risate a stento trattenute delle più piccole di casa, causando in lei irritazione.
«Avanti, avanti... mentre vostro padre mostrerà le sue stanze al Signor Collins, andate a sistemare voi stesse e il resto della casa... Oh cielo! Lo stufato! Mary, presto vai a dire a Margareth di toglierlo dal fuoco, altrimenti ci ritroveremo una scarpa per cena!» con fare sbrigativo la madre la congedò mentre dava istruzioni alle altre figlie su come comportarsi con un simile ospite. Mary sentì una consueta e amica stretta allo stomaco, non era inusuale che venisse ignorata e d'altro canto non era certo lei il diamante della famiglia, non sarebbe stata esposta come uno dei migliori trofei della famiglia Bennet. Smise di pensarci, in fondo lei odiava agghindarsi per piacere agli altri e in realtà le avevano fatto un grande favore. 
«Mary, su forza, devi prepararti per la cena» la voce di sua madre la richiamò ai suoi doveri di ospite.



 
*


 
 
Le cene a Longbourn non erano mai state all'insegna di un religioso e umile silenzio, al contrario, era un momento e un luogo in cui le singolarità di ognuna delle giovani Bennet veniva espressa senza pietà contro il povero capofamiglia, i cui proverbiali mal di testa gli impedivano di gustarsi concretamente un pasto da circa vent'anni: quella sera la morigeratezza era calata come un velo di grezza lana sopra la tavola. 
Il primo a rompere quell'aura di apatia fu lo stesso ospite che, messo in bocca l'ultimo boccone, si pulì la bocca con un tovagliolo prima di schiarirsi la gola.
«Che mobili splendidi in questa sala e che gustose patate bollite. Erano diversi anni che non mangiavo un simile esemplare di ortaggio. Con quale delle mie cugine devo complimentarmi per la cucina eccellente?»**
Confusa e alquanto alterata per l'accenno velato alla loro situazione economica la Signora Bennet rispose: «Signor Collins, siamo perfettamente in grado di mantenere un cuoco!»**
«Ottimo, mi fa piacere che la tenuta possa permettersi questo tenore di vita. Ho l'onore di avere come patronessa Lady Catherine De Bourgh. Avrete sentito parlare di lei. Una mia piccola canonica confina con la sua tenuta, Rosings Park, ed ella sovente ha la compiacenza di passare vicino alla mia umile dimora con il suo calesse e i suoi pony.» Mentre parlava della sua protettrice, il curato mostrò la sua imperfetta dentatura in un sorriso soddisfatto, ora certamente avrebbero compreso la levatura della persona che era a cenare con loro.
«E ha figli?» **chiese la padrona di casa senza una vera volontà di conoscere la risposta.
«Sì, una: l'erede di Rosings e di vastissimi possedimenti. Ho spesso fatto presente a Lady Catherine che sua figlia è nata per essere duchessa poiché ha tutta la grazia superiore che distingue l'alto lignaggio. Questo è un genere di piccoli e delicati complementi sempre tanto apprezzati dalle signore che io mi considero particolarmente propenso a prodigare.» **
Le cose stavano andando come aveva previsto sin dall'inizio, come pastore condannava la curiosità così naturale nell'animo femminile, ma come uomo di mondo sapeva che la sua benefattrice istillava negli altri la giusta invidia.
«Siete fortunato signor Collins ad avere la capacità di adulare con tale delicatezza» rispose educatamente la Signora Bennet.
 
Per il restante tempo della cena si parlò del più e del meno e, giunti al sorbetto di lamponi finale il Signor Collins prese nuovamente la parola e, con aria grave parlò: «Dopo questo desinare, gradirei leggervi qualcosa per un'ora o due. Ho con me i sermoni di Fordais che parlano in modo chiaro di tutte le questioni morali. Conoscete i sermoni di Fordais, signorina Bennet?»** Non attese risposta, tornò a mangiare non accorgendosi delle occhiate che si scambiavano le giovani sedute al tavolo, se non fossero state costrette dalla loro avrebbero ben volentieri evitato i sermoni di cotal Fordais, forse soltanto una delle sorelle, quella più nascosta dietro il suo bicchiere di ghiaccio aromatizzato avrebbe voluto accettare entusiasta. 
 
 
 
 
 
Le giornate successive passarono sempre allo stesso modo in casa, l'unica differenza era che sua madre le aveva vietato di suonare il piano per non annoiare e indisporre il Signor Collins, Mary aveva dovuto così aumentare le ore di lettura della Bibbia per riempire la sua giornata. Non poteva certo leggere il suo libro nella camera che condivideva con le sue sorelle minori, così negli anni aveva trovato un suo spazio sulle scale che conducevano al solaio, inutilizzate per quasi tutto l'anno.
«Buongiorno, Signorina Bennet» una voce conosciuta la fece alzare lo sguardo, il loro ospite la stava fissando con i suoi piccoli occhi. 
«Buongiorno, Signor Collins» si alzò facendo un inchino sghembo che quasi le costò una caduta, l'uomo alzò un braccio per pararsi e istintivamente lei gli si poggiò. Un breve e intimo imbarazzo calò, rotto dall'uomo, «Vedo che state leggendo il Nostro testo sacro...» Collins si avvicinò al libro che giaceva aperto su un gradino «Antico testamento» mormorò a bassa voce: 
«Bene, bene... vedo che vi interessa conoscere la parola del Nostro Signore direttamente dalla fonte... non vi piacciono i sermoni della Nostra amata Chiesa?» 
Mary sussultò, non era abituata alla brutale schiettezza di suo cugino come lui non era abituato ad usare filtri per parlare con persone a lui sconosciute. Ma per fortuna chi aveva davanti aveva lo stesso vizio di non sentirsi mai inferiore agli altri.
«Amo andare in Chiesa e i sermoni del Reverendo Willsport sono alquanto utili e preziosi nella vita quotidiana e non. Ho voluto soltanto comprendere da me i messaggi che Nostro Signore ci ha lasciato in modo così sottile nelle sue parole.» 
Collins la guardò, per poco si lasciò sfuggire un debole sorriso, era raro che trovasse una persona con la sua stessa boria e voglia di rivalsa, che ai loro occhi era semplicemente fiducia nelle proprie qualità. 
«Avete forse ragione... cosa state leggendo?... “Libri Poetici e Sapienziali, le risposte di Qoèlet”... »
Alzando gli occhi al cielo, guardò fisso in un punto la sua piccola figura tesa per lo sforzo recitativo 
 
«Vanità delle vanità,
 
dice Quolèt,
 
vanità delle vanità.
 
Tutto è vanità
 
Voi cosa ne pensare, Signorina Bennet?»
 
Mary impallidì, non era solita essere interpellata, di solito quella intelligente era Lizzie; tossicchiò, non voleva perdere quell'opportunità.
«Credo che Nostro Signore abbia ispirato giuste parole a Qoélet. Tutto il nostro mondo è cosparso di vanità, nei vestiti, nelle acconciature alla moda, tutto per la bellezza esteriore e nulla per quella interiore» si fermò, vide il suo interlocutore annuire, non voleva perdere quell'opportunità di essere ascoltata così riattaccò velocemente a parlare prima che se ne andasse «per questo mi prodigo a nutrire la mia anima con letture educative e l'esercizio costante del piano. La mia mente deve essere bella, non il mio corpo.» Panico, aveva detto una parola talmente intima come “corpo” che vide il curato lievemente arrossire, poi inchinarsi e infine svoltare l'angolo e dirigersi verso la cucina.
Mary si sedette rimettendosi gli occhiali, non era successo nulla, l'avrebbe dimenticata in poco tempo. Accadeva quotidianamente da ben diciassette anni.
Si rimise di gran lena a leggere il testo che aveva davanti, cercando di trarne insegnamenti, anche se dentro si sentiva bruciare.
 
Quella sera, a cena, un coniglio arrosto venne servito con delle piccole carote che furono ben ammirate dal Signor Collins, vantandosi poi della vasta produzione della tenuta di Lady Catherine. All'improvviso cambiò tono, assumendone uno più serio.
«Signorina Mary, ho notato un Vostro vivo e costruttivo interesse per la parole di Nostro Signore e, per evitare che la Vostra mente femminile così poco portata alle complicate trame insite nel testo possa cadere in errore, vorrei propormi come Vostro tutore in questo difficile compito, se Vostro padre...» diresse lo sguardo verso il Signor Bennet in quel momento intento a spolpare un cosciotto ben arrostito, «... se Vostro padre si mostrerà d'accordo, naturalmente.» Il silenzio colpì nuovamente quella tavola, dieci paia di occhi si fissarono sulla muta Mary che non sapeva cosa dire. Poi gli stessi occhi si girarono verso l'altra parte del tavolo.
Il padrone di casa alzò lo sguardo quando sentì finalmente del silenzio alla sua tavole, tutti lo stavano osservando aspettandosi forse qualcosa da lui.
«Uh? Certo, certo naturalmente!», non aveva ascoltato nulla di quello che stava accadendo, troppo concentrato sulla carne attaccata ostinatamente all'osso, così decise di dare il suo consenso in ogni caso: in fondo, cosa avrebbero potuto chiedere di tanto strambo? Si era chiesto. Non riuscì a darsi una risposta, ma le occhiate pregne d'aspettativa da parte delle donne della sua famiglia gli fecero sentire la puzza di qualcosa.
L'uomo di chiesa sorrise soddisfatto della sua vincita: «Perfetto, da domani alle ore 10 in punto ci vedremo nel Vostro salottino per addentrarci insieme nella gioia del Signore» questa volta non attese risposta dalla diretta interessata e si rimise a mangiare con gusto il cervello contenuto nella testina di coniglio. Come poteva rifiutare un simile invito da parte di una persona ben più esperta di lei vista poi la sua dichiarata passione per la religione?
Non poteva certo sapere che aveva trasformato l'ignorata Mary Bennet nell'oggetto di pettegolezzi di tutta la casa.
Finita la cena, fu tempo di dirigersi nel salottino privato, prima che la terzogenita varcasse le porte della stanza le due sorelle minori l'afferrarono e la spinsero nella camera attigua, Kitty le si parò davanti «Allora, ti ha incastrata, eh? Mi dispiace veramente per te, passare ore e ore e ore e ore e....» prima che potesse continuare la figura imponente della loro madre la fece sussultare.
«Via, zitte voi due, vostra sorella che è molto più intelligente di voi due ha capito bene la situazione e ha cercato un approccio con il nostro ospite per favorirci in futuro» la padrona di casa sorrise soddisfatta verso sua figlia Mary «così quando deciderà di chiedere la mano alla nostra Lizzie sapremo come comportarci» le accarezzò una guancia, «Brava, figlia mia». La giovane le sorrise: niente avrebbe potuto turbare la bellezza di essere stata notata.
 
Ed è così che, ogni giorno, Mary si incontrò con il Signor Collins alle dieci in punto, non un minuto prima non un minuto di dopo; il salottino veniva espressamente riservato per i loro incontri e quelle ore di studio la ripagavano degli invadenti interrogatori di sua madre. «Cos'ha detto su Elizabeth? Gli sono piaciuti i fagiolini ieri sera?».
Mary alzava ogni volta gli occhi al cielo e, mordendosi la lingua, pazientemente resisteva ai suoi assalti armata di monosillabi e poca convinzione.
Il poter discutere con qualcuno che non fosse ossessionato dall'ultima moda parigina la galvanizzava, nella stanza c'erano infatti il maestro, la sua pupilla e a giorni alterni una Lidya e una Kitty che mostravano tutto il loro malumore attraverso lamenti e sbuffi, anche se a bassa voce. Normalmente le lezioni si svolgevano partendo da una brano del Vecchio Testamento che il curato si affrettava a spiegare godendo della propria voce; man mano che i giorni passavano Collins cominciò a guardare oltre la poca bellezza della sua allieva per vederne la ferrea moralità e gli stessi pregiudizi che condividevano a discapito del resto della famiglia. Talvolta la conversazione si spingeva oltre la materia sacra per andare a parlare dei mali della loro società, condividendo informazioni sulle qualità indiscusse della sua protettrice Lady Catherine. Lo rendeva molto orgoglioso lo sguardo rapito della giovane, e questo lo spingeva ad andare sempre oltre, talvolta dimenticandosi dell'argomento iniziale. L'idillio aveva però sempre fine se disgraziatamente sua sorella Elizabeth entrava nella stanza e, a quel punto, tutta l'attenzione del Signor Collins veniva assorbita dalla nuova arrivata. Aveva deciso che avrebbe sposato una delle figlie maggiori di suo cugino e se Jane era già stata promessa, allora le sue attenzioni sarebbero dovute andare sulla dinamica e sfuggente Elizabeth. Così aveva deciso cosa avrebbe dovuto fare ancor prima di giungere in quella casa: non era solito ascoltare se stesso perché, se avesse pensato avrebbe visto che, al di fuori del bel volto, la secondogenita non aveva le qualità che cercava in una moglie: non godeva di un animo remissivo e la sua lingua era spesso così tagliente che se Collins non avesse avuto una così alta considerazione di sé avrebbe potuto ben abbattersi. E infine, certamente non era scevra dai vizi della gioventù odierna. Se si fosse ascoltato avrebbe notato con quanta semplicità fosse entrato in contatto con un'altra Bennet, una complicità che era stata notata da Lidya e Kitty.
«Si sono proprio scelti... beh, così evitano di dar noia ad altre persone!» ridacchiavano spesso mentre riposavano in giardino: erano arrivate vicino alla verità anche se non avevano abbastanza acume per attraversata.
 
 
 

 
*



 
I balli erano un ottima occasione per le giovani ancora nubili di mostrare come potessero essere belle se agghindate con balze e orpelli vari, i tessuti più pregiati erano trasformati in mille modi diversi in base alla corporatura delle giovani, mostrando o nascondendo rotondità, gambe troppo arcuate o seni calanti, tutte cose che i futuri mariti avrebbero scoperto soltanto in camera da letto, come un prezioso regalo con sorpresa finale. 
Durante le loro lezioni quotidiane, l'argomento era stato trattato con somma acrimonia da Mary: sentiva che il suo ascoltatore avrebbe compreso ciò che stava per dire e ne avrebbe condiviso le lamentele. Questa volta, però, dovette ricredersi.
«Non capisco tutta quest'agitazione per un ballo, come ho già avuto modo di dire, ritengo che acquisire nuove conoscenze ad un ballo sia oltremodo irrazionale. Sarebbe meglio che vi fosse la conversazione anziché la danza all'ordine del giorno.» 
Il curato chiuse il libro e le sorrise con compassione.
«Non sono propriamente d'accordo, cugina. O meglio, sono concorde nel dire che i balli abbiano la pecca di mostrarci vanesi e che i fasti andrebbero senz'altro limitati nella durata e nella quantità, tuttavia non si può tralasciare la loro comodità sociale. Come potrebbero le povere donne non ancora maritate mostrarsi al mondo senza questi eventi? È facile cadere preda dello scandalo con incontri poco chiari e onesti. Per gli uomini è tutto molto più semplice, si troverà sempre qualche padre pronto a rincorrere il partito adatto per sua figlia, ma non accade mai il contrario. Ah, come potrei non citare i meravigliosi balli di Rosing Park: Lady Catherine ha un gusto eccezionalmente fine e giudizioso, anche se ha una dote consistente per indugiare nel lusso non raggiunge mai l'eccesso che di solito si trova in giro... uh, cosa stavo dicendo?... Ah sì: in conclusione, cara cugina, se non si indugia troppo nelle trappole della società è opportuno parteciparvi.»
La giovane si sentì così umiliata, aveva creduto che fosse anche quella volta dalla sua parte, che condividessero gli stessi valori ma evidentemente la sua età acerba non le aveva permesso di prevedere anche queste possibilità. Per questo si affrettò a dire, forse con troppo slancio e senza un adeguato pensiero dietro.
«Certamente ci sono queste implicazioni sociali, e io stessa parteciperò più che volentieri al ballo di Pemberly» si aspettava di trovare della comprensione negli occhi dell'uomo ma le sembrò di vedere della delusione. 
«Avete...» lui abbassò lo sguardo «avete ragione, siete giovane e in età da marito.» improvvisamente sembrò tornare il solito Signor Collins «certo, dovrete aspettare che le Vostre sorelle maggiori prendano marito, ma mi dicono che la cosa sia molto vicina per entrambe.» Le sorrise come sempre. poi si scusò: doveva andare a prendere il libro delle prediche che aveva lasciato in camera lasciando la sua pupilla a rimuginare sugli errori commessi: lo aveva trovato come contrariato quando aveva accennato alla sua partecipazione, eppure era ciò che lui stesso aveva dichiarato fosse lecito per il suo sesso.
Gli stessi pensieri avevano preso possesso della mente confusa del curato, non riusciva a capire il perché si sentisse così turbato dalla confessione, era una ragazza giovane e assennata, dall'irreprensibile valore morale, chiunque avrebbe beneficiato di queste qualità e un ballo era ciò che più era utile allo scopo di maritarla. Non capiva il perché la Signora Bennet non desse tanta attenzione a quella che, secondo la sua esperienza in fatto di donne, era un fiore che stava per sbocciare e che aveva bisogno di continua acqua per aprirsi: se avesse dato la stessa importanza che aveva concesso alle figlie maggiori, ormai pressoché maritate, e alle più piccole, avrebbe di certo potuto vantarsi di averne ben tre date in spose a ottimi partiti. Ma, come già detto, il Signor Collins non era solito ascoltarsi.
 
«Oh, Jane se mi trovassi davanti quel borioso e arrogante del Signor Darcy giuro che... » la sera del famoso ballo era arrivata così come l'ansia delle donne Bennet.
« Che cosa, sorella mia? Gli tireresti addosso il prezioso whisky di nostro padre?» Elizabeth le sorrise; la sua Jane cercava inutilmente ormai da circa dieci minuti di sistemarle un ornamento floreale che non ne voleva sapere di rimanere su.
«Ma cosa puoi saperne tu, con il tuo Bingley» le fece una linguaccia «E tu con il tuo prezioso Collins» un brivido percorse la schiena di Lizzie «da quando ha saputo del tuo fidanzamento non fa altro che starmi appiccicato, mi sembra di non poter più respirare!»
«Lizzie! Non si è ancora dichiarato, sai che non mi piace fantasticare senza un motivo.»
«Oh andiamo, Jane. È innamorato di te, anche Joe lo vedrebbe!», la maggiore sospirò:«Joe è un cane di sedici anni, non vede nemmeno più la sua ciotola. Ma non cambiamo discorso... Collins...»
«Non riesco a fargli capire la verità. Se mi mostro sgarbata ne va la reputazione della nostra famiglia, se sono troppo accondiscendente sembra equivocare» sbuffò insoddisfatta.
«Vorrei essere io al tuo posto e evitarti tutto questo peso», Lizzie si girò, la maggiore aveva il volto abbassato, le gote pervase da un tenue rossore.
«Oh, no Jane. Io voglio che tu sia felice e il nostro Bingley sono certo che farà di tutto per farlo.» Jane mugugnò un obiezione contro l'uso del possessivo così esagerato. Si sorrisero, erano un'unica anima divisa in due splendidi corpi.
 
Nel mentre, in due differenti aree della casa gli abitanti di Longbourn si stavano ancora preparando: Mary, nella sua camera, si stava sistemando il vestito color grigio perla, poco appariscente come lei; sul volto lo sguardo serio e pensieroso di chi sta andando al patibolo, mentre nell'altra ala il suo maestro cercava di appuntarsi in mente le parole che avrebbe dovuto dire alla sua futura sposa. Passò più di un'ora prima che le carrozze poterono lasciare la tenuta, l'eccitazione era nell'aria. Lidya, aveva chiesto con insistenza al giovane Bingley di invitare qualche ufficiale non rendendosi conto di risultare ridicola e sgraziata agli occhi di tutti, ma poco le importava se poteva raggiungere il suo scopo, ridacchiava da tutto il viaggio senza un attimo di pausa, Elizabeth invece confabulava con la sua Jane cercando di rassicurarla e di farla divertire; Mary, invece, era incastrata nella carrozza con i suoi genitori ad ascoltare sua madre lamentarsi del freddo e nello stesso tempo lodarsi per come era riuscita a sistemare ben due figlie in poco tempo. Fortunatamente Pemberley era vicina un paio di miglia e presto sarebbe potuta scendere da quella soffocante situazione. Cercò di sistemarsi il vestito, la piuma, unico vezzo che si era concessa, si muoveva come una bandiera sulla sua testa grattandole in modo fastidioso la nuca.
«Su,avanti Mary: dobbiamo entrare» suo padre la richiamò e così si diresse di gran lena verso l'entrata della dimora.
Non era mai stata una ragazza facile da meravigliare e anche quella volta le sembrò quella dimora esagerata per due persone quali erano i fratelli Bingley. Lei era un tipo da tenuta di campagna dove poter leggere lontana dai fastidi della mondanità e dalle vanità della società di cui faceva parte. Così, mentre sua madre si fece conquistare dalle enormi sale piene di camerieri in livrea e di statue neoclassiche, sua figlia si accigliò per quell'esagerazione. Mentre entrava nella sala principale dei balli poté notare la crema della gioventù locale aggirarsi come falchi su un bosco. Le ragazze di ogni estrazione sociale erano accalcate nella grande sala pronti per essere accalappiate dal primo scapolo, ognuna indossando i propri abiti migliori, le perle più rare e pregiate; gli uomini da parte loro se ne stavano a guardare con puntiglio le sventurate, talvolta rimirandole altre volte deridendole. Quella sera, con grande gioia delle piccole Bennet, furono invitati molti ufficiali che nelle loro uniformi rosse spiccavano come papaveri in un campo di grano. Lizzie guardava in giro in cerca di qualcuno che quella sera non era presente mentre Jane arrossiva alle palesi avances del timido Bingley. Mary si sentiva un ranocchio fuori dal suo stagno, non era ciò che voleva né ciò che considerava consono per se stessa; lì, nell'angolo che si era trovata non poteva fare altro che aspettare la fine di quella serata. Con la coda dell'occhio vide il Signor Collins cercare di approcciarsi con sua sorella. Era così bella Lizzie... no, non era da lei abbandonarsi a simili pensieri. Si riprese all'istante, non le era mai importato apparire esteriormente, ma interiormente e quello era ciò che poteva vantare rispetto all'ignoranza delle sue sorelle. Inghiottì le lacrime che volevano sgorgarle senza permesso e si diresse con passo deciso verso l'imponente piano a coda in una delle sale minori. Suo padre cercò di fermarla ma lei era troppo decisa e così, alzato il copritastiera, si mise a suonare una delle ultime canzoni imparate, non aveva scaldato per bene la voce ma si sarebbero dovuti accontentare di ciò che poteva offrir loro.
Era così bello quel piano, le dita scivolavano su quei tasti d'avorio, il suono che ne usciva fuori era forte quanto limpido e si univa perfettamente alla sua voce. Almeno così sembrava a lei. Era talmente concentrata da non accorgersi del putiferio causato da sua sorella e dai suoi due pretendenti, né delle risatine di chi assisteva alla sua infausta esibizione. Lei era una brava ragazza e non voleva mettersi in mostra come una vacca alla fiera locale, non le importava di chi non voleva accorgersi di lei. Fu soltanto quando suo padre la esortò a lasciare la sua postazione che il mondo cominciò a palesarsi come realmente era, ma non le importava affatto. Decise che non avrebbe concesso più a nessuno di far parte del suo mondo perfetto.
 
I giorni a seguenti mise in pratica i suoi nuovi propositi declinando, con bugie sempre nuove gli inviti del pastore a riprendere i loro studi. Lei non era lì per aspettare lui, né chicchessia. Le arrivarono notizie del malumore per vie traverse: una sera, mentre cercava di studiare uno spartito le sue due sorelle minori, che si muovevano sempre in coppia, entrarono nella stanza. 
«Kitty sai perché sono tanto triste?» l'altra non le rispose, non capendo il gioco in cui era stata introdotta, Lidya sbuffò «No, dico... sai perché sono triste? Perché il nostro caro cugino è diventato intrattabile e musone da quando la sua Mary lo ha abbandonato.» Come al solito, Lidya aveva compreso ancor prima degli abitanti della casa come era mutate le cose nel frattempo, era forse l'essere più vicino alla loro madre per intemperanza e dinamismo, ma aveva un acume tutto suo che spesso era ignorato, come quella volta.
 
 
 
*
 
 
Il giorno successivo, uno degli ultimi della permanenza del curato, la colazione era già in tavola quando qualcuno bussò alla porta. «Avanti!» urlò il padrone di casa.
Un serio Signor Collins entrò nella sala da pranzo: «Signora Bennet, se non vi dispiace speravo di poter sollecitare un colloquio privato con la signorina Bennet nel corso della mattinata.»
La donna lasciò andare il suo muffin e si alzò prontamente in piedi: «Oh, sì, certo! Lizzie ne sarà felice di sicuro. Andiamo! Fuori! Il signor Collins gradirebbe avere un colloquio privato con vostra...»
Collins interruppe la scena schiarendosi la gola «Intendevo la Signorina Mary Bennet.» Questa volta furono dodici le paia di occhi che si girarono a fissarla, la madre sempre più confusa farfugliò qualcosa «Oh, certo, senza dubbio è così. Presto, presto tutti fuori... Signor Bennet anche voi!»
«Ma così le uova si raffreddano.» cercò inutilmente di protestare il marito.
«SIGNOR BENNET!»il tono imperioso di sua moglie e una sua eloquente occhiata gli fecero capire che delle uova non valevano tanto quanto la sua futura tranquillità domestica. In mezzo a tutto questo trambusto, la destinataria della futura proposta era rimasta al suo posto, per la prima volta senza nulla da dire o da pensare. Perché aveva scelto lei se poteva avere Lizzie? Un rossore cominciò a invaderle la faccia quando lui le si avvicinò mettendole un fiore appena colto sul suo piatto «Cara Signorina Mary, le mie attenzioni sono state forse troppo mascherate per essere conosciute e me ne rammarico, è stata una mia colpa. Ma devo dirvi che non appena sono entrato in questa casa, ho scelto voi come futura compagna della mia vita. Ma prima che mi faccia rapire dai sentimenti, sarà meglio dichiararvi le ragioni che mi spingono al matrimonio: prima di tutto è dovere di un pastore di anime dare il buon esempio di matrimonio alla sua parrocchia; secondo, sono convinto che questo aumenterà di gran lunga la mia felicità e terzo, è desiderio della mia stimata patronessa Lady Catherine De Bourgh che io prenda moglie. Il mio obiettivo nel venire a Longbourn era di sceglierne una tra le figlie del signor Bennet, giacché sarò proprio io l'erede di questa tenuta e... se devo essere sincero, credo che le nostre reciproche passioni e l'alto morale che entrambi abbiamo potrà aiutarci in questa difficile prova che è la vita coniugale.» *
Smise un attimo di parlare per riprendere fiato e tranquillizzarsi, quando aveva deciso di mutare il suo interesse aveva dovuto anche mutare il discorso che si era preparato nei primi giorni di permanenza ed adattarlo alla nuova situazione.
«Sono certo che Lady Catherine approverà in pieno la Vostra morigeratezza, la Vostra virtù e soprattutto i valori morali che Vi rendono una creatura così dedita allo studio e alla conoscenza della parola cristiana.» Si mise a girare nervosamente per la stanza, ripetendo una dichiarazione tutt'altro che spontanea.
«In definita, cara cugina, Vi sto proponendo di divenire mia moglie e compagna di vita... So che le signorine non lasciano trapelare gli impeti...»*

«Signor Collins, ne sarei lieta» fu solo un sussurro non colto al momento dall'uomo ancora impegnato a recitare la sua parte «... ed è per questo che ritengo dobbiate pensare molto... molto... come dite?» il curato si girò verso la giovane, confuso: non si era aspettato una simile arrendevolezza.
«Ho detto che accetto la Vostra proposta e sarei lieta di diventare Vostra moglie, Signor Collins.» Per alcuni secondi nessuna parola risuonò nella stanza, lui guardò la sua promessa sposa, gli sorrideva sommessamente, e ora cosa avrebbe dovuto fare? Gli ci vollero pochi secondi per capire di dover andare verso la futura Signora Collins e prenderle una mano, per baciarla «Oh, mia cara Mary. Sono così felice che abbiate accettato di condividere il resto della vita con me. Prometto che vivremo al meglio delle nostre possibilità e che Lady Catherine sarà per voi una fonte d'ispirazione come lo è per me... dopo aver parlato con Vostro padre, le scriverò per darle la buona novella!» si alzò di scatto lasciando andare la mano della giovane e si diresse verso la porta aprendola di scatto. Una nuvola di sottogonne e riccioli si riversò a terra, anche se coperta da Kitty, la Signora Bennet non perse la sua autorevolezza: «Oh, Signor Collins... ho perso un orecchino e le mie care figlie mi stavano aiutando a ritrovarlo», le altre annuirono ringraziando nel cuore la madre della rapida scusa che aveva fornito loro. Il curato non fece domande chiedendo semplicemente dove fosse il padrone di casa.
 
Il Signor Bennet non chiese nulla di troppo invadente alla sua terzogenita, non l'aveva mai compresa e il fatto che avesse scelto di unirsi in matrimonio a un simile personaggio come Collins l'aveva resa ancora più enigmatica. Decise che non avrebbe posto obiezioni: si sarebbe fidato del giudizio di lei.
 
Un giorno di Settembre Mary Bennet lasciò la propria casa d'infanzia per diventare la Signora Collins.
 



 
***


 
 
Del matrimonio della terzogenita dei Bennet si parlò molto poco visto che poco dopo la figlia più piccola si diede alla fuga con un giovane sottufficiale e le maggiori si erano sposate con due degli scapoli più importanti d'Inghilterra. Ma da dove viveva, Mary non riceveva che poche notizie di casa e la cosa pareva non turbarla poi tanto.
Nessuno si sarebbe aspettato che il Signor Collins riuscisse a dare un figlio a sua moglie già dalla luna di miele, eppure due piccole e rosee gemelline, Jane e Beatrix, nacquero otto mesi dopo il rientro dalla breve vacanza; il padre aveva sempre detto che non avrebbe voluto delle figlie femmine, troppo impegnative secondo i suoi gusti, ma si era dovuto arrendere alla volontà divina e alla bontà delle piccole di casa. Le due creature parevano vivere di piccoli strilli e vagiti, ma erano in realtà molto calme per la loro età; non si potrebbe dire lo stesso per i loro fratelli, due bei maschietti, nati a due anni di distanza  l'uno dall'altro: avevano preso il lato meno riflessivo dei loro genitori. 
John e Alfred sarebbero stati due ottimi avvocati, forse addirittura dei pari d' Inghilterra, se Lady Catherine avesse esteso la sua benevolenza anche a loro, aveva comunque concesso loro un ottimo tutore da lei stipendiato e questa ne era una prova più che evidente.
Mary Collins era una donna felice nella sua casa di campagna, aveva un marito che desiderava averla sempre accanto e dei figli che l'avrebbero resa orgogliosa; William Collins era un uomo soddisfatto della sua vita, aveva dei figli che avrebbero fatto strada e una giovane moglie che lo completava.
Non erano né ricchi, né belli, ma erano felici e tanto bastava.






 
Note: Allora, non sono solita dedicarmi ai fandom, ma per questo contest ho deciso di buttarmi su una graziosa pianta di cactus. Sono anni che non leggo "Orgoglio e pregiudizio" della Austen come sono anni che non vedo la trasposizione cinematografica del 2005 (omonimo del libro).
Alcuni dialoghi sono ambientati in parti mostrate nel film e per questo ho dovuto riprendere i dialoghi (le battute in pratica, il contorno no) anche se adattati, ovviamente segnalarò sia la fonte sia le parti non del tutto originali (anche se trattandosi si ff , originale non esiste ma vabbé). Questo è il link: http://it.m.wikiquote.org/wiki/Orgoglio_e_pregiudizio_(film_2005)

 
   
 
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