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Autore: Stephanie86    04/09/2020    0 recensioni
AU | SwanQueen | Storia a 4 mani
Emma, figlia di re David e della regina Mary Margaret, è l'erede del regno del sud, Anatlon. Quando il regno cade, la bambina è costretta a nascondersi presso Camelot, protetta da Artù e dai suoi Cavalieri. Crescerà sapendo di dover vendicare la morte dei genitori e del suo popolo. Sapendo che un giorno dovrà affrontare colei che le ha portato via tutto.
Regina, la sovrana di Mehlinus, sale al trono molto giovane, affiancata e istruita dal consigliere Tremotino. Anche lei vuole vendetta e non è disposta a rinunciarvi per niente al mondo.
Le strade di queste due donne apparentemente così diverse si incroceranno presto. Ci sono molte cose che non sanno. Il loro viaggio sarà molto lungo e le persone che tramano alle loro spalle sono pericolose e assetate di potere.
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Altri, Emma Swan, Nuovo personaggio, Regina Mills, Signor Gold/Tremotino
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Violenza
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TIME HAS COME TODAY

 

 

 

Nymeria. Regno di Mehlinus. Nord.

 

 
Il cadavere dell’uomo condannato a morte per il furto del grano e delle armi penzolò nella piazza di Nymeria per tre giorni e tre notti. I corvi gli beccarono le guance, scavarono nelle sue mani e gli strapparono gli occhi. Cani randagi ed affamati si aggirarono intorno al corpo, osservandolo, guardinghi e smaniosi, e poi si avventarono sulle caviglie e sulle gambe, mordendo e strappando. Il lezzo divenne insopportabile.

Infine il comandante ricevette l’ordine di tirare giù il cadavere e bruciarlo, senza troppe cerimonie. La gente guardava. Tutti avrebbero voluto distogliere gli occhi da quell’orrore, ma nessuno era in grado di farlo. Il fabbro continuò a tenere gli occhi fissi sul corpo in putrefazione, mentre con la mano destra calava il martello sulla lama della spada che aveva appena forgiato. I bambini, attaccati alle gonne delle loro madri, avevano avuto incubi popolati di morti che camminavano, morti del tutto identici a quello che dondolava in piazza.

Daniel, il comandante delle guardie, ondeggiò, nauseato dall’odore pestilenziale. Non portava l’elmo e tutti poterono vedere il suo pallore, il sudore che gli imperlava la fronte e la bocca stretta, tirata in una smorfia disgustata.

- State bene, comandante? - domandò uno dei suoi uomini.

Non poteva svenire. Non poteva sentirsi male lì, davanti alle altre guardie. E non aveva scelta, se non eseguire l’ordine.

- Sto bene. Aiutatemi a caricarlo sul carro.

Lo aiutarono e lo portarono fuori dalla città, dove lo bruciarono.

La ragazzina alla quale ho insegnato a combattere non avrebbe mai fatto una cosa simile. Dov’è finita quella ragazzina? Cosa le è successo? Chi è la donna che siede su quel trono?, si chiedeva Daniel, ricordando gli occhi scuri di Regina, il giorno in cui si erano incontrati. Ricordando i suoi capricci. La sua ingenuità. Ricordando la sua dolcezza. Il suo modo di arrossire. E di sorridergli. La sua semplicità. Ricordando... la voce dura della regina Cora che la rimproverava perché andava troppo a cavallo, perché montava come un uomo, perché non era elegante. Lo sguardo spiritato di Tremotino... Regina che lo tentava, conducendolo nelle sue stanze e baciandolo di prepotenza, toccandolo in quel modo insinuante.

È il suo consigliere. Quel mostro. Perché non se ne rende conto? Quel mostro l’ha cambiata. L’ha manipolata!

Nel frattempo Regina aveva ricevuto delle persone nella sala del trono. Una serie di visitatori provenienti per lo più dalle terre dei lord, che avevano portato messaggi, saluti e qualche dono per la sovrana del nord, nonché alcune notizie, delle quali non le importava nulla. Tra i visitatori c’era lord Leopold; venuto dal Kernow, accompagnato da alcuni armigeri, lord Leopold si era inginocchiato al suo cospetto e... aveva chiesto la sua mano.

Regina avrebbe voluto ridergli in faccia.

- La mia mano, lord Leopold?

- Sarebbe un onore, per me, stare al Vostro fianco negli ultimi anni della mia vita, Maestà. Una donna così bella come Voi... inoltre, la mia adorata moglie, che è venuta a mancare pochi anni fa, non mi ha dato nessun figlio. Perciò...

Lord Leopold disse qualcos’altro, ma Regina aveva già smesso di ascoltarlo. Quell’uomo avrebbe potuto benissimo essere suo padre, senza contare che era di rango inferiore al suo. Non aveva bisogno di un marito che intralciasse i suoi piani o le dicesse cosa doveva e non doveva fare. Era lei, la regina. Persino lord Leopold doveva sapere che aveva rifiutato molti pretendenti in passato. Con che coraggio si presentava al suo cospetto per chiederle una cosa simile?

Rifiutò la sua proposta con lo stesso tono che avrebbe usato per rifiutare un piatto di vermi. Cosa che divertì molto Tremotino.

- Se permettete, Maestà, vorrei darvi un suggerimento. - disse, non appena lord Leopold ebbe lasciato la sala del trono, offeso per quel rifiuto e timoroso di qualsiasi altra reazione della regina del nord.

- Che suggerimento? - domandò Regina. Era stanca. Non voleva sentir parlare di visite fino all’indomani.

- Voi siete giovane e mi auguro viviate ancora molti anni; ma vedete... la vita è imprevedibile. Soprattutto la vita di una regina. È insidiosa. Piena di pericoli. C’è sempre qualcuno che trama alle spalle per sottrarre il potere. C’è sempre qualcuno disposto... a compiere raggiri. A vendersi al miglior offerente per...

- Possiamo arrivare al dunque? - lo interruppe bruscamente Regina.

- Perdonatemi. - Tremotino sorrise. - Quello che intendevo dire è che avete bisogno di un erede. Di qualcuno che prenda il Vostro posto quando sarà il momento. E per avere un erede... un erede legittimo, dico... è necessario un buon matrimonio.

- Non ho bisogno di un marito.

- Ora no. Ma pensateci: stiamo parlando del Vostro regno, Maestà. Non volete metterlo al sicuro?

- Prima di metterlo al sicuro con qualsiasi genere di matrimonio, devo prendere Anatlon. - Regina si alzò.

- Condivido il Vostro desiderio. So che tutto questo non Vi basta più e che intendete vendicare ciò che i sovrani del sud hanno fatto. Ma occorre pensare anche a... a Voi. Qualsiasi re deve pensare anche alla propria discendenza. Avete fatto bene a rifiutare lord Leopold. È troppo vecchio. È di rango più basso rispetto a Voi e di una regione marginale dell’ovest, che non Vi porterebbe nulla di buono. Tuttavia, se si presentasse un pretendente più giovane e all’altezza...

Lo rifiuteresti comunque, pensava frattanto il consigliere. Lo rifiuteresti comunque, ne sono convinto, ma con tutte le proposte indirizzate a te, mia cara, dovevo pur metterti al corrente. Sono un consigliere e i consiglieri... devono parlare anche di questo. E sarà meglio far seguire lord Leopold, dato che è quasi certamente una spia del Pendragon.

- Ascoltatemi bene, Tremotino. - disse Regina, osservandolo, torva e chiamandolo per nome. - Forse non sono stata abbastanza chiara. Non voglio un marito. Non ho tempo per pensare a questo, ora. Devo prendermi ciò che voglio, prima.

- Conquistare un regno è complicato, Regina! Occorre un esercito. Potrebbe volerci del tempo ed io penso...

- Non ci vorrà molto tempo, questo ve lo assicuro. E si dice Vostra Maestà.

Tremotino sollevò un sopracciglio. – Avete un piano, Vostra Maestà? A cosa state pensando?

Regina non rispose. Era pensierosa.

Certo, hai in mente qualcosa, pensò il consigliere. Non mi sorprende. La sete di vendetta è indomabile. Anzi, ciò che mi sorprende è che tu abbia atteso così tanto.

- Tremotino...

- Sì, Maestà.

- Ritenete che, se dovessi avere bisogno di aiuto, lady Morgause mi aiuterà?

- Che genere di aiuto, Maestà? Uomini per una guerra? Cavalli? Armi?

- Sì. Anche.

- Suppongo che potrebbe offrirvi il suo aiuto, ma...

- Vorrà qualcosa in cambio.

- Naturalmente. Morgause è una donna ambiziosa quanto Voi, Maestà. Non fa niente per niente. Si aspetterà un qualche tipo di ricompensa. E se desiderate il suo aiuto, dovrete dargliela.

Regina meditò per qualche istante. Accarezzò l’elsa di Stormbringer. – Potrei farlo.

- Non potrete rifiutare. Sono abbastanza sicuro che non potrete nemmeno... come dire... trattare. A Morgause non piace trattare. Vorrà quello che Vi chiederà e basta.

Regina aggrottò la fronte.

Erano anni che Tremotino non vedeva lady Morgause, la signora di Deep Valley. Signora del Lothian, per la precisione. Integerrima tenutaria di bordelli, sangue di Avalon, ma priva della Vista, che permetteva alle sacerdotesse di vedere lontano. Non perdeva mai una scommessa ed era più che ovvio dato che barava. Non era potente quanto lui o quanto la regina Cora, ma sapeva farsi rispettare. Un’altra pedina della grande scacchiera. Una pedina che non faceva una vera mossa da anni. Aspettava. Un occhio su Mehlinus e uno su Camelot. Quattro figli legittimi. Il maggiore, Gawain, era il più vicino al trono di Elohim, al momento, dato che Artù non aveva ancora eredi diretti.

Se anche arrivassi a domandarle qualcosa, chiederebbe molto, mia cara, pensò. Chiederebbe tanto.

Regina era pensierosa. Tremotino la fissava, in attesa.

- Sono stanca. Vado a riposare. – disse lei, all’improvviso.

- Certo, Maestà. Vi metto da parte le missive arrivate oggi.

- Naturalmente.

- Se avete bisogno di me...

- Non avrò bisogno di Voi, Tremotino.

 

 

Camelot. Regno di Elohim. Est.

 

Dopo l’apparizione di Morgana, Emma chiese espressamente al cavaliere Thomas di recarsi a Camelot e comunicare ad Artù la sua intenzione di parlare con lui di cose molto importanti. Il prima possibile.

Il cavaliere, confuso ed interdetto, fece ciò che gli aveva chiesto. Tornò poche ore dopo, sul far della sera, accompagnato da altri due cavalieri della Tavola Rotonda, Galahad, che rivolse subito ad Emma un’occhiata piena di dubbi e di domande, e Gawain.

Thomas le aveva portato un elmo, grazie al quale poteva celare il suo viso, eccetto gli occhi, e nascondere anche i lunghi capelli biondi.

Entrarono a Camelot poco prima del tramonto; gli occhi verdazzurri di Emma osservarono i camminamenti, le torricelle e le merlature di cui erano dotate le alte mura della città, dove si muovevano le sentinelle, armate di lunghe lance; attraversò la piazza rettangolare e, insieme ai compagni, procedette lungo la via principale, acciottolata e leggermente in salita, che conduceva al castello ed era fiancheggiata da abitazioni per lo più in pietra e coccio o dai portici, che riparavano i banchi di mercanti e artigiani. Altri edifici si susseguivano su entrambi i lati; botteghe, taverne e locande, qualche bordello. Chioschi di ogni tipo. Tessitori e merlettai che mettevano in mostra la merce. I soffiatori di vetro. Lo speziale, con due guardie alla porta perché la sua roba valeva un mucchio di denaro. La gente si faceva da parte, vedendo i cavalieri passare. Alcuni li guardavano, incuriositi o vagamente intimoriti. Altri chinavano il capo in segno di saluto e di rispetto. Qualche ragazzino li indicava col dito e li seguiva per un breve tratto.

Ben presto Emma si ritrovò ai piedi della grande e austera dimora di Artù, quel castello in pietre rosse e grigie, circondato da un largo e profondo fossato, che aveva visto per la prima volta una notte di undici anni prima, frustato da pioggia, vento e lampi. Lungo il perimetro del fossato sorgevano edifici pubblici, il tempio e le case delle famiglie nobili.

Galahad prese il corno del padre appeso alla cintura e suonò due volte per annunciare il loro arrivo. Pochi attimi dopo il ponte levatoio iniziò ad abbassarsi, cigolando e scricchiolando.

Vedendo un quarto cavaliere accompagnare i tre mandati da Artù, i soldati di guardia alle porte aggrottarono la fronte.

All’interno della cinta muraria si aprivano ampi spazi suddivisi in cortili che ospitavano le abitazioni dei servitori, delle truppe, degli artigiani, le scuderie e i depositi con le scorte di cibo e armi. I cavalieri smontarono e affidarono i loro cavalli a dei garzoni di stalla.

- Emma... – iniziò Galahad, a voce bassa. Le mise una mano sulla spalla. – Non so cosa tu abbia in mente, ma...

- Entriamo. – tagliò corto lei, sorridendo.

Non appena misero piede nella sala del trono, le chiacchiere intorno alla Tavola Rotonda tacquero di colpo. Diverse paia d’occhi, compresi quelli azzurri del re, quelli della regina Ginevra e del druido Merlino, che sedeva sul suo scranno, in disparte, armato del suo inseparabile bastone ricurvo, si concentrarono sulla principessa, che si tolse l’elmo, liberando le sue onde dorate.

Il silenzio era totale.

Emma imitò Gawain, Thomas e Galahad, che si inchinarono al cospetto del re e della regina. Poi i tre cavalieri presero posto intorno alla Tavola Rotonda, Galahad accanto a suo padre, Lancillotto, Gawain vicino al fratello minore Agravain e Thomas vicino a quest’ultimo.

- Emma. – iniziò Artù. – Non ho bisogno che tu mi dica cosa ti ha spinto a venire qui. Thomas mi ha detto che hai voluto restare da sola, per qualche minuto, nel bosco. Mia sorella è venuta da te, vero?

- Morgana? – esclamò Lancillotto, sorpreso. – Per quale motivo?

Emma avrebbe dovuto immaginare che non ci sarebbe stato bisogno di spiegare nulla ad Artù. Aveva Merlino come consigliere, un mago in grado di vedere lontano; infatti, non appariva affatto sorpreso, nemmeno lontanamente toccato dalla notizia.

- Sì – confermò il druido. – Ti stavo aspettando, Emma. Ti ho vista arrivare.

I cavalieri apparivano perplessi, incuriositi e vagamente increduli. Molti fissarono il vecchio druido. Era un uomo imponente, non tanto per via della sua statura, quanto per la reputazione, per una certa eleganza nella struttura fisica e per la presenza: dominava l’ambiente, riuscendo a far sembrare vuota una sala affollata.

- Morgana ed io abbiamo parlato nel bosco, oggi. – disse Emma. – La Somma Sacerdotessa mi ha parlato del mio viaggio.

Serpeggiò una certa agitazione tra i presenti.

- E cosa ti ha detto a riguardo? – chiese il re.

- Cose che ancora non capisco. Ma mi ha domandato se sono pronta, sire. Mi ha domandato se sono pronta a partire.

- E immagino che tu voglia partire.

- Sì, sire. Il prima possibile. Tra un paio di giorni al massimo, se me lo concedete. Vorrei portare con me alcuni cavalieri, che possano aiutarmi a studiare la situazione non appena arriveremo a nord. In modo da capire come potrò fare per attaccare.

- Un paio di giorni?! – Galahad espresse tutto il suo sgomento, sbarrando gli occhi azzurri. Suo padre gli sferrò una gomitata, invitandolo a tacere.

- Sono stupefatto anch’io. – disse Gawain, grattandosi la barba scura. – Un paio di giorni? Qui non si tratta di un viaggio qualsiasi. Stiamo parlando di andare a nord.

- Finalmente, vorrai dire! – esclamò suo fratello Agravain. – Sono anni che aspetto di andare a nord! Sono d’accordo con Voi, principessa. Affronteremo quella maledetta strega... che la Dea mi fulmini se non gliela faremo pagare cara.

- Agravain, ti prego. – disse Gawain, afferrandolo per il polso.

L’agitazione serpeggiò nuovamente tra i cavalieri. La regina Ginevra si tormentava una ciocca dei suoi capelli scuri, arrotolandosela sul dito indice.

- Emma... ne sei sicura? – domandò Artù.

- Sì. – rispose lei, senza alcuna esitazione. – Voglio andare. Voglio mantenere la promessa fatta a mio padre.

- Anch’io intendo mantenere la mia, di promessa. – osservò il re, risoluto. – Ed io ho promesso di proteggerti. Di tenerti al sicuro. Se quello che desideri è andare in cerca della tua vendetta, allora sia. Ma non c’era alcun bisogno di chiedermi uomini in prestito. Non ti lascerai mai andare da sola, nemmeno se si tratta di andare avanti, in ricognizione. I miei uomini migliori ti seguiranno.

- Io. - disse, subito, Galahad.

Emma sorrise. Non la sorprendeva affatto, che si fosse offerto.

- Vedremo. – rispose Artù, serio.

- Perdonate, sire... – intervenne un giovane cavaliere, seduto accanto a Galahad.

- Sì, Percival.

- Immagino che la principessa si renda conto del pericolo che corre. È stata preparata anche a questo. – Percival era un cavaliere della sua età, uno degli ultimi ad essere ammesso alla Tavola Rotonda; aveva i capelli biondi e corti, un viso piacente e gli occhi verde chiaro, occhi che la fissavano, astuti. Aveva in mente qualcosa. Emma l’aveva notato dal momento in cui era entrata nella sala del trono. Persino Artù sembrava al corrente di ciò che il suo cavaliere stava per fare.

- Volete combattere, sir Percival? – domandò Emma, prevenendolo. Appoggiò una mano sull’elsa della spada. – Volete che dimostri davanti a tutti che sono in grado di battere un uomo?

Percival sorrise e si alzò in piedi. – Combattere contro di Voi sarebbe un onore. Uomo o donna non conta.

Ginevra fissò il marito, sorpresa.

- Lasciamo che Emma dimostri ciò che sa fare. Molti qui ne sono al corrente. Ma è giusto che tutti quanti vedano. È giusto che tutti vedano che è in grado di affrontare chiunque. – Artù prese la mano della moglie e osservò i presenti, in attesa di qualche altra obiezione, ma tutti sembravano solo in trepidante attesa. Allora, con un gesto della mano, invitò Percival a farsi avanti.

Emma si liberò del mantello rosso ed estrasse Narsil. Percival era alto ed era bravo con molte armi. Con la spada, con l’ascia e con la lancia lunga. Nelle giostre organizzate dal re vinceva spesso.

Percival l’attaccò subito con un potente fendente a due mani, accompagnandolo con un grido di battaglia. Emma lo parò, avvertendo chiaramente il contraccolpo che riverberava lungo il braccio, facendole tremare i muscoli. Emma respinse il cavaliere, che tornò subito all’attacco con un affondo. Parò anche quello e attaccò a sua volta, lasciando partire un colpo dal basso verso l’alto. Le spade cozzarono.

I cavalieri seduti intorno alla Tavola Rotonda assistevano al combattimento in silenzio. Galahad aveva gli occhi fuori dalle orbite. Agravain seguiva ogni movimento come se li stesse immagazzinando nella memoria. Sorrideva, compiaciuto e divertito.

Emma si sentiva scorrere in corpo una grande forza, come accadeva tutte le volte che impugnava Narsil per combattere. Non aveva la minima intenzione di lasciarsi battere da un altro cavaliere.

Fece roteare la spada e attaccò Percival. Lui, colto alla sprovvista dall’improvvisa ferocia dell’avversaria, vacillò e mancò poco che rovinasse a terra. Emma menò fendenti, affondi e stoccate, costringendo Percival ad indietreggiare. Il cavaliere la respinse, gridando e facendo pressione con la sua spada contro quella di Emma. Lei si ritrovò sbilanciata, ma non cadde. Con un movimento rapido e pulito, si svincolò dalla spada avversaria e poi, impugnando saldamente Narsil e pensando a tutto ciò che le avevano insegnato, Emma colpì la spada di Percival, forte, un colpo che sembrò riecheggiare nella sala del trono, frantumandosi in una moltitudine di echi. Percival perse la presa sull’arma. Emma puntò la sua alla gola dell’avversario, che alzò le mani in segno di resa.

I cavalieri intorno alla Tavola Rotonda esultarono e gridarono, battendo le mani sul legno. Artù, pur sapendo quando Emma avesse imparato nel corso degli anni, era sinceramente impressionato. Si alzò, mentre nella sala del trono calava il silenzio. Percival tornò al suo posto, scuotendo il capo, con l’aria corrucciata.

- Ti batti con onore, Emma Swan. Tuo padre sarebbe fiero di te. – disse il re, sorridendo e rivolgendosi a lei con il nome che aveva scelto per celare la propria identità.

Emma non sorrise. Il ricordo del padre fece capolino nella sua mente e, istintivamente, strinse l’elsa della spada.

- Voglio darti ciò che ti meriti. Inginocchiati, Emma. – disse Artù.

Emma ebbe un attimo di esitazione. Poi fece ciò che il re le aveva chiesto. Lui estrasse la sua spada dal fodero.

Le cerimonie d’investitura, durante le quali gli uomini venivano nominati cavalieri, si svolgevano quasi sempre all’aperto, nella piazza di Camelot oppure all’interno del tempio. Solo in poche occasioni si erano svolte nella sala del trono. Inoltre il nuovo cavaliere doveva sottoporsi ad un lungo rituale: digiunare la sera prima della celebrazione e passare la notte nel tempio, pregando gli dei. Dopo l’investitura sarebbe stata organizzata una grande festa. Ma non c’era tempo per preparare una cerimonia adeguata.

Quindi Artù porse la mano libera ed Emma la prese. Con l’altra il re impugnò saldamente Excalibur e, con la lama, sfiorò prima la spalla destra e poi la spalla sinistra di lei.

- Emma, da questo momento in avanti, tu non sei solo una principessa, l’erede legittima del regno dei tuoi genitori. Sei un cavaliere.

Emma si alzò. Artù le restituì la spada. I cavalieri tornarono a battere le mani sulla Tavola. Galahad sembrava stordito dagli ultimi avvenimenti.

- E come cavaliere voglio che tu sieda in mezzo a noi. Vieni. Dobbiamo parlare di questa impresa. Di come affrontarla. Abbiamo molto di cui discutere. – Artù alzò lo sguardo alla ricerca degli occhi saggi di Merlino, che non si era mai mosso. Il druido sorrise leggermente. – Questa notte sarà particolarmente lunga.

   
 
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