12
TIME
HAS COME TODAY
Nymeria.
Regno di Mehlinus. Nord.
Il cadavere dell’uomo
condannato a morte per il furto del grano e delle armi
penzolò nella piazza di
Nymeria per tre giorni e tre notti. I corvi gli beccarono le guance,
scavarono
nelle sue mani e gli strapparono gli occhi. Cani randagi ed affamati si
aggirarono
intorno al corpo, osservandolo, guardinghi e smaniosi, e poi si
avventarono
sulle caviglie e sulle gambe, mordendo e strappando. Il lezzo divenne
insopportabile.
Infine
il comandante
ricevette l’ordine di tirare giù il cadavere e
bruciarlo, senza troppe
cerimonie. La gente guardava. Tutti avrebbero voluto distogliere gli
occhi da
quell’orrore, ma nessuno era in grado di farlo. Il fabbro
continuò a tenere gli
occhi fissi sul corpo in putrefazione, mentre con la mano destra calava
il
martello sulla lama della spada che aveva appena forgiato. I bambini,
attaccati
alle gonne delle loro madri, avevano avuto incubi popolati di morti che
camminavano, morti del tutto identici a quello che dondolava in piazza.
Daniel,
il comandante
delle guardie, ondeggiò, nauseato dall’odore
pestilenziale. Non portava l’elmo
e tutti poterono vedere il suo pallore, il sudore che gli imperlava la
fronte e
la bocca stretta, tirata in una smorfia disgustata.
-
State bene, comandante?
- domandò uno dei suoi uomini.
Non
poteva svenire. Non
poteva sentirsi male lì, davanti alle altre guardie. E non
aveva scelta, se non
eseguire l’ordine.
-
Sto bene. Aiutatemi a
caricarlo sul carro.
Lo
aiutarono e lo
portarono fuori dalla città, dove lo bruciarono.
La
ragazzina alla quale ho insegnato a combattere non avrebbe mai fatto
una cosa
simile. Dov’è finita quella ragazzina? Cosa le
è successo? Chi è la donna che
siede su quel trono?, si
chiedeva Daniel, ricordando gli
occhi scuri di Regina, il giorno in cui si erano incontrati. Ricordando
i suoi
capricci. La sua ingenuità. Ricordando la sua dolcezza. Il
suo modo di
arrossire. E di sorridergli. La sua semplicità.
Ricordando... la voce dura
della regina Cora che la rimproverava perché andava troppo a
cavallo, perché
montava come un uomo, perché non era elegante. Lo sguardo
spiritato di
Tremotino... Regina che lo tentava, conducendolo nelle sue stanze e
baciandolo
di prepotenza, toccandolo in quel modo insinuante.
È
il suo consigliere. Quel mostro. Perché non se ne rende
conto? Quel mostro l’ha
cambiata. L’ha manipolata!
Nel
frattempo Regina
aveva ricevuto delle persone nella sala del trono. Una serie di
visitatori
provenienti per lo più dalle terre dei lord, che avevano
portato messaggi,
saluti e qualche dono per la sovrana del nord, nonché alcune
notizie, delle
quali non le importava nulla. Tra i visitatori c’era lord
Leopold; venuto dal
Kernow, accompagnato da alcuni armigeri, lord Leopold si era
inginocchiato al
suo cospetto e... aveva chiesto la sua mano.
Regina
avrebbe voluto
ridergli in faccia.
-
La mia mano, lord
Leopold?
-
Sarebbe un onore, per
me, stare al Vostro fianco negli ultimi anni della mia vita,
Maestà. Una donna
così bella come Voi... inoltre, la mia adorata moglie, che
è venuta a mancare
pochi anni fa, non mi ha dato nessun figlio. Perciò...
Lord
Leopold disse
qualcos’altro, ma Regina aveva già smesso di
ascoltarlo. Quell’uomo avrebbe
potuto benissimo essere suo padre, senza contare che era di rango
inferiore al
suo. Non aveva bisogno di un marito che intralciasse i suoi piani o le
dicesse
cosa doveva e non doveva fare. Era lei, la regina. Persino lord Leopold
doveva
sapere che aveva rifiutato molti pretendenti in passato. Con che
coraggio si
presentava al suo cospetto per chiederle una cosa simile?
Rifiutò
la sua proposta
con lo stesso tono che avrebbe usato per rifiutare un piatto di vermi.
Cosa che
divertì molto Tremotino.
-
Se permettete, Maestà,
vorrei darvi un suggerimento. - disse, non appena lord Leopold ebbe
lasciato la
sala del trono, offeso per quel rifiuto e timoroso di qualsiasi altra
reazione
della regina del nord.
-
Che suggerimento? -
domandò Regina. Era stanca. Non voleva sentir parlare di
visite fino all’indomani.
-
Voi siete giovane e mi
auguro viviate ancora molti anni; ma vedete... la vita è
imprevedibile.
Soprattutto la vita di una regina. È insidiosa. Piena di
pericoli. C’è sempre
qualcuno che trama alle spalle per sottrarre il potere.
C’è sempre qualcuno
disposto... a compiere raggiri. A vendersi al miglior offerente per...
-
Possiamo arrivare al
dunque? - lo interruppe bruscamente Regina.
-
Perdonatemi. -
Tremotino sorrise. - Quello che intendevo dire è che avete
bisogno di un erede.
Di qualcuno che prenda il Vostro posto quando sarà il
momento. E per avere un
erede... un erede legittimo, dico... è necessario un buon
matrimonio.
-
Non ho bisogno di un
marito.
-
Ora no. Ma pensateci:
stiamo parlando del Vostro regno, Maestà. Non volete
metterlo al sicuro?
-
Prima di metterlo al
sicuro con qualsiasi genere di matrimonio, devo prendere Anatlon. -
Regina si
alzò.
-
Condivido il Vostro
desiderio. So che tutto questo non Vi basta più e che
intendete vendicare ciò
che i sovrani del sud hanno fatto. Ma occorre pensare anche a... a Voi.
Qualsiasi re deve pensare anche alla propria discendenza. Avete fatto
bene a
rifiutare lord Leopold. È troppo vecchio. È di
rango più basso rispetto a Voi e
di una regione marginale dell’ovest, che non Vi porterebbe
nulla di buono. Tuttavia,
se si presentasse un pretendente più giovane e
all’altezza...
Lo
rifiuteresti comunque, pensava
frattanto il consigliere. Lo rifiuteresti
comunque, ne sono convinto,
ma con tutte le proposte indirizzate a te, mia cara, dovevo pur
metterti al
corrente. Sono un consigliere e i consiglieri... devono parlare anche
di
questo. E sarà meglio far seguire lord Leopold, dato che
è quasi certamente una
spia del Pendragon.
-
Ascoltatemi bene, Tremotino.
- disse Regina, osservandolo, torva e chiamandolo per nome. - Forse non
sono
stata abbastanza chiara. Non voglio un marito. Non ho tempo per pensare
a
questo, ora. Devo prendermi ciò che voglio, prima.
-
Conquistare un regno è
complicato, Regina! Occorre un esercito. Potrebbe volerci del tempo ed
io
penso...
-
Non ci vorrà molto
tempo, questo ve lo assicuro. E si dice Vostra
Maestà.
Tremotino
sollevò un
sopracciglio. – Avete un piano, Vostra Maestà? A
cosa state pensando?
Regina
non rispose. Era
pensierosa.
Certo,
hai in mente qualcosa, pensò
il consigliere. Non mi sorprende. La sete di
vendetta è
indomabile. Anzi, ciò che mi sorprende è che tu
abbia atteso così tanto.
-
Tremotino...
-
Sì, Maestà.
-
Ritenete che, se
dovessi avere bisogno di aiuto, lady Morgause mi aiuterà?
-
Che genere di aiuto,
Maestà? Uomini per una guerra? Cavalli? Armi?
-
Sì. Anche.
-
Suppongo che potrebbe
offrirvi il suo aiuto, ma...
-
Vorrà qualcosa in
cambio.
-
Naturalmente. Morgause
è una donna ambiziosa quanto Voi, Maestà. Non fa
niente per niente. Si
aspetterà un qualche tipo di ricompensa. E se desiderate il
suo aiuto, dovrete
dargliela.
Regina
meditò per qualche
istante. Accarezzò l’elsa di Stormbringer.
– Potrei farlo.
-
Non potrete rifiutare.
Sono abbastanza sicuro che non potrete nemmeno... come dire...
trattare. A
Morgause non piace trattare. Vorrà quello che Vi
chiederà e basta.
Regina
aggrottò la
fronte.
Erano
anni che Tremotino
non vedeva lady Morgause, la signora di Deep Valley. Signora del
Lothian, per
la precisione. Integerrima tenutaria di bordelli, sangue di Avalon, ma
priva
della Vista, che permetteva alle sacerdotesse di vedere
lontano. Non
perdeva mai una scommessa ed era più che ovvio dato che
barava. Non era potente
quanto lui o quanto la regina Cora, ma sapeva farsi rispettare.
Un’altra pedina
della grande scacchiera. Una pedina che non faceva una vera mossa da
anni.
Aspettava. Un occhio su Mehlinus e uno su Camelot. Quattro figli
legittimi. Il
maggiore, Gawain, era il più vicino al trono di Elohim, al
momento, dato che
Artù non aveva ancora eredi diretti.
Se
anche arrivassi a domandarle qualcosa, chiederebbe molto, mia cara, pensò.
Chiederebbe tanto.
Regina
era pensierosa.
Tremotino la fissava, in attesa.
-
Sono stanca. Vado a
riposare. – disse lei, all’improvviso.
-
Certo, Maestà. Vi metto
da parte le missive arrivate oggi.
-
Naturalmente.
-
Se avete bisogno di
me...
-
Non avrò bisogno di Voi,
Tremotino.
Camelot.
Regno di Elohim. Est.
Dopo
l’apparizione di Morgana,
Emma chiese espressamente al cavaliere Thomas di recarsi a Camelot e
comunicare
ad Artù la sua intenzione di parlare con lui di cose molto
importanti. Il prima
possibile.
Il
cavaliere, confuso ed
interdetto, fece ciò che gli aveva chiesto. Tornò
poche ore dopo, sul far della
sera, accompagnato da altri due cavalieri della Tavola Rotonda,
Galahad, che
rivolse subito ad Emma un’occhiata piena di dubbi e di
domande, e Gawain.
Thomas
le aveva portato
un elmo, grazie al quale poteva celare il suo viso, eccetto gli occhi,
e
nascondere anche i lunghi capelli biondi.
Entrarono
a Camelot poco
prima del tramonto; gli occhi verdazzurri di Emma osservarono i
camminamenti,
le torricelle e le merlature di cui erano dotate le alte mura della
città, dove
si muovevano le sentinelle, armate di lunghe lance;
attraversò la piazza
rettangolare e, insieme ai compagni, procedette lungo la via
principale,
acciottolata e leggermente in salita, che conduceva al castello ed era
fiancheggiata da abitazioni per lo più in pietra e coccio o
dai portici, che
riparavano i banchi di mercanti e artigiani. Altri edifici si
susseguivano su
entrambi i lati; botteghe, taverne e locande, qualche bordello.
Chioschi di
ogni tipo. Tessitori e merlettai che mettevano in mostra la merce. I
soffiatori
di vetro. Lo speziale, con due guardie alla porta perché la
sua roba valeva un
mucchio di denaro. La gente si faceva da parte, vedendo i cavalieri
passare.
Alcuni li guardavano, incuriositi o vagamente intimoriti. Altri
chinavano il
capo in segno di saluto e di rispetto. Qualche ragazzino li indicava
col dito e
li seguiva per un breve tratto.
Ben
presto Emma si
ritrovò ai piedi della grande e austera dimora di
Artù, quel castello in pietre
rosse e grigie, circondato da un largo e profondo fossato, che aveva
visto per
la prima volta una notte di undici anni prima, frustato da pioggia,
vento e
lampi. Lungo il perimetro del fossato sorgevano edifici pubblici, il
tempio e
le case delle famiglie nobili.
Galahad
prese il corno
del padre appeso alla cintura e suonò due volte per
annunciare il loro arrivo.
Pochi attimi dopo il ponte levatoio iniziò ad abbassarsi,
cigolando e
scricchiolando.
Vedendo
un quarto
cavaliere accompagnare i tre mandati da Artù, i soldati di
guardia alle porte
aggrottarono la fronte.
All’interno
della cinta
muraria si aprivano ampi spazi suddivisi in cortili che ospitavano le
abitazioni dei servitori, delle truppe, degli artigiani, le scuderie e
i
depositi con le scorte di cibo e armi. I cavalieri smontarono e
affidarono i
loro cavalli a dei garzoni di stalla.
-
Emma... – iniziò
Galahad, a voce bassa. Le mise una mano sulla spalla. – Non
so cosa tu abbia in
mente, ma...
-
Entriamo. – tagliò
corto lei, sorridendo.
Non
appena misero piede
nella sala del trono, le chiacchiere intorno alla Tavola Rotonda
tacquero di colpo.
Diverse paia d’occhi, compresi quelli azzurri del re, quelli
della regina
Ginevra e del druido Merlino, che sedeva sul suo scranno, in disparte,
armato
del suo inseparabile bastone ricurvo, si concentrarono sulla
principessa, che
si tolse l’elmo, liberando le sue onde dorate.
Il
silenzio era totale.
Emma
imitò Gawain, Thomas
e Galahad, che si inchinarono al cospetto del re e della regina. Poi i
tre
cavalieri presero posto intorno alla Tavola Rotonda, Galahad accanto a
suo
padre, Lancillotto, Gawain vicino al fratello minore Agravain e Thomas
vicino a
quest’ultimo.
-
Emma. – iniziò Artù. –
Non ho bisogno che tu mi dica cosa ti ha spinto a venire qui. Thomas mi
ha
detto che hai voluto restare da sola, per qualche minuto, nel bosco.
Mia
sorella è venuta da te, vero?
-
Morgana? – esclamò
Lancillotto, sorpreso. – Per quale motivo?
Emma
avrebbe dovuto
immaginare che non ci sarebbe stato bisogno di spiegare nulla ad
Artù. Aveva
Merlino come consigliere, un mago in grado di vedere lontano; infatti,
non
appariva affatto sorpreso, nemmeno lontanamente toccato dalla notizia.
-
Sì – confermò il
druido. – Ti stavo aspettando, Emma. Ti ho vista arrivare.
I
cavalieri apparivano
perplessi, incuriositi e vagamente increduli. Molti fissarono il
vecchio
druido. Era un uomo imponente, non tanto per via della sua statura,
quanto per
la reputazione, per una certa eleganza nella struttura fisica e per la
presenza: dominava l’ambiente, riuscendo a far sembrare vuota
una sala
affollata.
-
Morgana ed io abbiamo
parlato nel bosco, oggi. – disse Emma. – La Somma
Sacerdotessa mi ha parlato
del mio viaggio.
Serpeggiò
una certa
agitazione tra i presenti.
-
E cosa ti ha detto a
riguardo? – chiese il re.
-
Cose che ancora non
capisco. Ma mi ha domandato se sono pronta, sire. Mi ha domandato se
sono
pronta a partire.
-
E immagino che tu
voglia partire.
-
Sì, sire. Il prima
possibile. Tra un paio di giorni al massimo, se me lo concedete. Vorrei
portare
con me alcuni cavalieri, che possano aiutarmi a studiare la situazione
non
appena arriveremo a nord. In modo da capire come potrò fare
per attaccare.
-
Un paio di giorni?! –
Galahad espresse tutto il suo sgomento, sbarrando gli occhi azzurri.
Suo padre
gli sferrò una gomitata, invitandolo a tacere.
-
Sono stupefatto
anch’io. – disse Gawain, grattandosi la barba
scura. – Un paio di giorni? Qui
non si tratta di un viaggio qualsiasi. Stiamo parlando di andare a nord.
-
Finalmente, vorrai
dire! – esclamò suo fratello Agravain. –
Sono anni che aspetto di andare a nord!
Sono d’accordo con Voi, principessa. Affronteremo quella
maledetta strega... che
la Dea mi fulmini se non gliela faremo pagare cara.
-
Agravain, ti prego. –
disse Gawain, afferrandolo per il polso.
L’agitazione
serpeggiò
nuovamente tra i cavalieri. La regina Ginevra si tormentava una ciocca
dei suoi
capelli scuri, arrotolandosela sul dito indice.
-
Emma... ne sei sicura?
– domandò Artù.
-
Sì. – rispose lei,
senza alcuna esitazione. – Voglio andare. Voglio mantenere la
promessa fatta a
mio padre.
-
Anch’io intendo
mantenere la mia, di promessa. – osservò il re,
risoluto. – Ed io ho promesso
di proteggerti. Di tenerti al sicuro. Se quello che desideri
è andare in cerca
della tua vendetta, allora sia. Ma non c’era alcun bisogno di
chiedermi uomini
in prestito. Non ti lascerai mai andare da sola, nemmeno se si tratta
di andare
avanti, in ricognizione. I miei uomini migliori ti seguiranno.
-
Io. - disse, subito,
Galahad.
Emma
sorrise. Non la
sorprendeva affatto, che si fosse offerto.
-
Vedremo. – rispose
Artù, serio.
-
Perdonate, sire... –
intervenne un giovane cavaliere, seduto accanto a Galahad.
-
Sì, Percival.
-
Immagino che la
principessa si renda conto del pericolo che corre. È stata
preparata anche a
questo. – Percival era un cavaliere della sua età,
uno degli ultimi ad essere
ammesso alla Tavola Rotonda; aveva i capelli biondi e corti, un viso
piacente e
gli occhi verde chiaro, occhi che la fissavano, astuti. Aveva in mente
qualcosa. Emma l’aveva notato dal momento in cui era entrata
nella sala del
trono. Persino Artù sembrava al corrente di ciò
che il suo cavaliere stava per
fare.
-
Volete combattere, sir
Percival? – domandò Emma, prevenendolo.
Appoggiò una mano sull’elsa della
spada. – Volete che dimostri davanti a tutti che sono in
grado di battere un
uomo?
Percival
sorrise e si
alzò in piedi. – Combattere contro di Voi sarebbe
un onore. Uomo o donna non
conta.
Ginevra
fissò il marito,
sorpresa.
-
Lasciamo che Emma
dimostri ciò che sa fare. Molti qui ne sono al corrente. Ma
è giusto che tutti
quanti vedano. È giusto che tutti vedano che è in
grado di affrontare chiunque.
– Artù prese la mano della moglie e
osservò i presenti, in attesa di qualche
altra obiezione, ma tutti sembravano solo in trepidante attesa. Allora,
con un
gesto della mano, invitò Percival a farsi avanti.
Emma
si liberò del
mantello rosso ed estrasse Narsil. Percival era alto ed era bravo con
molte
armi. Con la spada, con l’ascia e con la lancia lunga. Nelle
giostre organizzate
dal re vinceva spesso.
Percival
l’attaccò subito
con un potente fendente a due mani, accompagnandolo con un grido di
battaglia.
Emma lo parò, avvertendo chiaramente il contraccolpo che
riverberava lungo il
braccio, facendole tremare i muscoli. Emma respinse il cavaliere, che
tornò subito
all’attacco con un affondo. Parò anche quello e
attaccò a sua volta, lasciando
partire un colpo dal basso verso l’alto. Le spade cozzarono.
I
cavalieri seduti
intorno alla Tavola Rotonda assistevano al combattimento in silenzio.
Galahad
aveva gli occhi fuori dalle orbite. Agravain seguiva ogni movimento
come se li
stesse immagazzinando nella memoria. Sorrideva, compiaciuto e divertito.
Emma
si sentiva scorrere
in corpo una grande forza, come accadeva tutte le volte che impugnava
Narsil
per combattere. Non aveva la minima intenzione di lasciarsi battere da
un altro
cavaliere.
Fece
roteare la spada e
attaccò Percival. Lui, colto alla sprovvista
dall’improvvisa ferocia
dell’avversaria, vacillò e mancò poco
che rovinasse a terra. Emma menò
fendenti, affondi e stoccate, costringendo Percival ad indietreggiare.
Il
cavaliere la respinse, gridando e facendo pressione con la sua spada
contro
quella di Emma. Lei si ritrovò sbilanciata, ma non cadde.
Con un movimento
rapido e pulito, si svincolò dalla spada avversaria e poi,
impugnando
saldamente Narsil e pensando a tutto ciò che le avevano
insegnato, Emma colpì
la spada di Percival, forte, un colpo che sembrò
riecheggiare nella sala del
trono, frantumandosi in una moltitudine di echi. Percival perse la
presa
sull’arma. Emma puntò la sua alla gola
dell’avversario, che alzò le mani in
segno di resa.
I
cavalieri intorno alla
Tavola Rotonda esultarono e gridarono, battendo le mani sul legno.
Artù, pur
sapendo quando Emma avesse imparato nel corso degli anni, era
sinceramente
impressionato. Si alzò, mentre nella sala del trono calava
il silenzio. Percival
tornò al suo posto, scuotendo il capo, con l’aria
corrucciata.
-
Ti batti con onore,
Emma Swan. Tuo padre sarebbe fiero di te. – disse il re,
sorridendo e
rivolgendosi a lei con il nome che aveva scelto per celare la propria
identità.
Emma
non sorrise. Il
ricordo del padre fece capolino nella sua mente e, istintivamente,
strinse
l’elsa della spada.
-
Voglio darti ciò che ti
meriti. Inginocchiati, Emma. – disse Artù.
Emma
ebbe un attimo di
esitazione. Poi fece ciò che il re le aveva chiesto. Lui
estrasse la sua spada
dal fodero.
Le
cerimonie
d’investitura, durante le quali gli uomini venivano nominati
cavalieri, si
svolgevano quasi sempre all’aperto, nella piazza di Camelot
oppure all’interno
del tempio. Solo in poche occasioni si erano svolte nella sala del
trono.
Inoltre il nuovo cavaliere doveva sottoporsi ad un lungo rituale:
digiunare la
sera prima della celebrazione e passare la notte nel tempio, pregando
gli dei. Dopo
l’investitura sarebbe stata organizzata una grande festa. Ma
non c’era tempo
per preparare una cerimonia adeguata.
Quindi
Artù porse la mano
libera ed Emma la prese. Con l’altra il re impugnò
saldamente Excalibur e, con
la lama, sfiorò prima la spalla destra e poi la spalla
sinistra di lei.
-
Emma, da questo momento
in avanti, tu non sei solo una principessa, l’erede legittima
del regno dei
tuoi genitori. Sei un cavaliere.
Emma
si alzò. Artù le
restituì la spada. I cavalieri tornarono a battere le mani
sulla Tavola.
Galahad sembrava stordito dagli ultimi avvenimenti.
-
E come cavaliere voglio
che tu sieda in mezzo a noi. Vieni. Dobbiamo parlare di questa impresa.
Di come
affrontarla. Abbiamo molto di cui discutere. –
Artù alzò lo sguardo alla
ricerca degli occhi saggi di Merlino, che non si era mai mosso. Il
druido
sorrise leggermente. – Questa notte sarà
particolarmente lunga.