Serie TV > Shadowhunters
Segui la storia  |       
Autore: Roscoe24    05/09/2020    3 recensioni
“Non mettere alla prova la mia pazienza, Maryse. Ne ho poca. Molto poca.”
Maryse sospirò.
Era il suo ultimo tentativo, quello. Aveva provato di tutto, negli anni. Magie di ogni tipo, ma nemmeno l’Angelo aveva potuto aiutarla. La sua condizione era irreversibile. Tutti gliel’avevano detto, tranne il libro bianco.
Il Grimorio Proibito aveva detto che dove non arriva la magia angelica, arriva quella demoniaca.
Genere: Drammatico, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Isabelle Lightwood, Jace Wayland, Magnus Bane, Maryse Lightwood
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
L’ultima volta che erano stati da soli, faccia a faccia, nella stessa stanza, Maryse aveva fatto un patto con lui.
Un patto che le aveva portato i suoi figli, la cosa più importante della sua vita. Ma a quale prezzo?
La magia ha un prezzo, Maryse.
Il suo prezzo da pagare, evidentemente, era che lo stesso demone che aveva provato a ricattarla e a distruggere la sua famiglia era anche la persona in grado di rendere felice suo figlio.
Era la persona a cui Alec era legato da una magia sovrannaturale, dalla volontà di Raziel in persona.
Non avrebbe mai immaginato che incontrando Magnus, vent’anni fa, avrebbe contribuito a dare inizio ad una profezia.
Si chiese se Raziel non avesse programmato tutto nei minimi dettagli. Si chiese se l’Angelo, dall’alto della sua onniscienza, guardando Magnus avesse sentito il desiderio di provare a redimerlo. Se fosse riuscito a redimere niente meno che il figlio di Asmodeus, significava che c’era speranza per tutti – e forse, da un punto di vista più meschino (e si sentì blasfema solo per averlo pensato), significava che il potere angelico era nettamente superiore a quello demoniaco, un’ulteriore conferma di ciò che si sapeva già.
La classica storia del bene che vince contro il male.
E forse proprio per questo suo piano, Raziel l’aveva creata sterile. L’Angelo conosceva i suoi figli, tutti, e conosceva anche Maryse. E proprio perché la conosceva, sapeva che si sarebbe recata da Magnus.
E sapeva che lo Stregone non si sarebbe lasciato sfuggire la possibilità di essere creditore nei confronti di un Nephilim.
L’Angelo li aveva legati indissolubilmente. E poi aveva scritto nel destino che il primogenito di Maryse fosse colui che custodisse l’umanità dello Stregone.
Raziel aveva stabilito la supremazia del suo potere facendo sì che Alec e Magnus fossero legati, che fossero destinati ad innamorarsi, e che questo amore fosse in grado di cambiare entrambi.
Il loro amore avrebbe fatto redimere Magnus, spingendolo ad abbandonare la sua natura demoniaca per tirare fuori quella umana, e avrebbe cambiato Alec, rendendolo più felice, più in pace con se stesso e meno tormentato.
Un piano perfetto.
Un piano che legava inevitabilmente due mondi. Ma a quale prezzo?
La magia ha un prezzo, Maryse.
A quanto pare, tutta la magia aveva un prezzo, persino quella angelica, che convenzionalmente è vista come quella buona.
Perché Maryse sapeva, ne aveva la certezza, che il loro amore sarebbe stato ostacolato. Il Clave non avrebbe mai accettato la relazione tra due uomini e, soprattutto, non avrebbe mai accettato che un soldato dell’Angelo fosse legato ad un demone superiore.
Alec avrebbe dovuto percorrere una strada tutta in salita, fatta di occhiatacce e commenti maligni. Avrebbe dovuto lottare contro pregiudizi vecchi di secoli, contro persone che avrebbero cambiato opinione su di lui, solo perché amava un maschio.
Raziel non aveva previsto che la stupidità dell’uomo ostacola qualsiasi progresso. Non aveva previso che gli esseri umani, quelli limitati e gretti, amano calcificarsi in tradizioni retrograde e bigotte per sentirsi più al sicuro, perché il cambiamento li terrorizza e non voglio abbandonare quella sensazione di sicurezza che le tradizioni gli trasmettono.
Il prezzo del legame tra i due mondi l’avrebbe pagato Alec. Forse sarebbe stato bandito, esiliandolo in qualche luogo lontano e remoto, dove l’avrebbero costretto alla solitudine. O, molto più probabilmente, l’avrebbero punito con la derunizzazione, privandolo di tutto ciò che la natura angelica portava con sé e relegandolo a vivere una vita da Mondano. Ma tutti sapevano che un Nephilim difficilmente riesce ad adattarsi alla vita dei Mondani.
Non poteva accettare tutto questo.
Lei sarebbe stata sua alleata. Non l’avrebbe lasciato solo, mai. Se c’era un prezzo da pagare, l’avrebbero pagato insieme. Se c’era una battaglia da combattere, l’avrebbero combattuta fianco a fianco. Erano soldati, dopotutto, e combattere era ciò a cui erano stati addestrati fin da bambini.
Non avrebbe permesso a nessuno di fare del male a suo figlio. Nemmeno se quel qualcuno era il Clave.
La donna sospirò a quei pensieri, e guardò Magnus, in piedi di fronte a lei. Si trovavano nella camera di Jace, che era situata proprio accanto a quella di Alec.
Magnus aveva detto che voleva parlarle in privato e così si erano spostati lì. Ma adesso si guardavano in silenzio.
Maryse posò lo sguardo su Magnus e lo vide così diverso rispetto a vent’anni prima. Il suo aspetto era immutato, ovviamente, ma rispetto a quella volta sembrava più… vulnerabile. Non aveva più davanti un demone superiore, o uno Stregone, ma un ragazzo.
Solo un ragazzo.
E sembrava addirittura che non fosse nemmeno più vecchio di lei di almeno quattro secoli.
Provò un profondo senso di tenerezza, come se fosse il suo istinto materno a suggerirle come comportarsi.
“Magnus,” cominciò, “Non pensare troppo a come iniziare. Parlami e basta.”
Magnus giocò con l’anello che portava all’anulare destro, gemello di quello che portava Alec. Non sapeva davvero da dove cominciare. Si sentiva così meschino, così in imbarazzo. Aveva fatto del male a quella donna, così tanto e così profondamente che faceva persino fatica ad immaginare il grado di dolore che doveva aver provato.
Essere umani è una fregatura: le emozioni sono intense, sempre. E se si tratta di emozioni positive come la felicità, o l’amore, o la curiosità, provarle intensamente regala solo ulteriore gioia.
Ma per quelle negative… la fregatura arriva lì. Quando si prova intensamente rabbia, ansia o dolore, o imbarazzo, disagio, sembra che ci sia un mostro dentro la nostra pancia che ci divora dall’interno e ci si sente preda di quel mostro. Diventa così grande, così selvaggio e ingestibile, che l’unica cosa che ci rimane da fare è aspettare che finisca di divorarci. E, a volte, diventa soffocante assecondare la fame del mostro.
Magnus sapeva per certo che le emozioni negative non gli piacevano, ma sapeva anche che non poteva farci niente. C’erano. Per questo andavano accettate e metabolizzate. Avrebbe dovuto imparare a gestirle esattamente come quelle positive.
“Mi dispiace per tutto il dolore che ti ho provocato. Portarti via Alexander è stato… orribile, da parte mia.”
La donna annuì. “Sei stato crudele.”
“Lo so. Non chiedo il tuo perdono, non lo merito, chiedo solamente, se pensi possa essere possibile, di non vedermi solo come un Demone.”
“Vuoi che anche io, come i miei figli, impari a guardarti come ti vede Alec?”
Magnus annuì.
“E perché hai voluto parlarmi in privato per chiedermelo?”
Magnus la guardò dritta negli occhi. Aveva sempre pensato che trasmettessero una certa fierezza, autorità. Maryse era il tipo di donna che non si lascia intimidire, da nessuno, e aveva cresciuto i suoi figli nello stesso modo.
Era una donna forte, combattiva, che era stata piegata solamente due volte nella sua vita e tutte e due le volte era stato lui la causa.
Si era piegata a lui quando avevano stretto un patto, vent’anni prima. E l’aveva rifatto quando l’aveva costretta a guardare Alec andare ad Edom con lui.
Sono esperienze, traumi, che non possono essere perdonati facilmente, né tanto meno possono essere dimenticati.
“Per darti la possibilità di dirmi di no. Volevo che ti sentissi libera di negare la mia richiesta senza che tu ti potessi sentire in qualche modo spinta ad accettare per via della presenza di Alexander.”
Maryse si stupì di quell’accortezza. Una sottigliezza simile implicava necessariamente empatia, implicava un cambiamento.
Il Magnus che aveva conosciuto all’epoca non le avrebbe mai riservato una simile premura. Se ne sarebbe infischiato dei suoi sentimenti e avrebbe agito solamente per il proprio tornaconto.
Il Magnus che le stava di fronte, invece, era completamente un’altra persona. Era qualcuno in grado di immedesimarsi nei sentimenti altrui, era in grado di empatizzare con gli stava di fronte.
Era un uomo nuovo, un uomo in grado di essere sensibile e accorto.
Era diventato un uomo che, con il tempo, Maryse sarebbe stata in grado di perdonare.
“Tempo, Magnus. Dammi del tempo e imparerò a vederti sotto un’altra luce.”
Magnus si sentì il cuore leggero. Il mostro non lo divorava più, adesso. Ora provava solamente un profondo senso di sollievo e gratitudine.
“Grazie, Maryse. Non ti deluderò.”
La donna annuì. “E non ferire Alec. Per nessuna ragione.”
“Non gli farei mai del male. È troppo prezioso, per me.”
“Spero tu sia sincero.”
“Lo sono, credimi.”
Maryse sospirò. Sembrava davvero che fosse sincero. Decise di fidarsi, perché in fondo Alec si fidava di lui e lei sapeva che la fiducia di suo figlio va guadagnata a fatica. Quindi se si fidava Alec, poteva fidarsi anche lei.
“Ti credo. Ora torniamo di là, dobbiamo scoprire cosa è successo ad Edom.”



*


Chiunque in quella stanza riteneva che fossero una squadra stramba: un demone superiore e quattro Shadowhunter concentrati a scoprire cosa si celasse dietro il crollo di un palazzo ad Edom.
Era una collaborazione che non si era mai vista nella storia, ma c’è sempre una volta per tutto. O almeno così pensava Alec.
Chiusi nella sua stanza, i componenti di quella nuova squadra, erano chini su libri di testo che parlavano di magia oscura, magia antica, magia demoniaca e persino magia angelica o Seelie. Tutti i tipi di magia esistente, ma nessuno di questi riusciva a dare una spiegazione sufficiente.
Alec iniziava a perdere le speranze, a credere che non avrebbero mai trovato spiegazione per quel crollo improvviso. E senza una spiegazione, non avrebbero trovato la causa, e senza la causa non avrebbero trovato il colpevole. Era come guardare un serpente che si morde la coda. Sospirò, senza tuttavia darsi per vinto, e continuò a leggere il suo libro, fino a quando Isabelle non ruppe il silenzio.
Era seduta a gambe incrociate sul pavimento. I suoi lunghi capelli neri, che fino a qualche istante prima le coprivano il viso a causa della testa tenuta china sul libro, adesso le incorniciavano i lineamenti in maniera perfetta. Erano talmente lunghi che arrivavano fino al suo costato. Alec sorrise impercettibilmente per un attimo – un solo angolo della bocca alzato – al pensiero di quanto sua sorella tenga particolarmente alla cura dei suoi capelli.
“Un crollo così implica necessariamente una grande quantità di energia, giusto?”
Alec distolse l’attenzione dai suoi pensieri per seguire il ragionamento della sorella. Si rese conto che tutti fecero lo stesso. Loro tre erano seduti sul pavimento, mentre Maryse era sul letto. Magnus, invece era seduto alla scrivania di Alec.
“Sì, esatto.” Rispose Jace.
Alec capì dove voleva arrivare. “Quindi i nostri rilevatori hanno sicuramente percepito qualcosa.”
“Non è detto che il crollo possa aver avuto delle conseguenze anche qui, nella nostra dimensione, però. Se fosse partito tutto da Edom, non riusciremmo a percepire un granché.” Fece notare Jace.
I tre si guardarono. Sapevano che Jace aveva ragione. Non bisognava dare per scontato niente. Anzi, bisognava pensare che la situazione fosse abbastanza complessa perché, di solito, lo era sempre. Potevano dirlo con esperienza, ormai.
“C’è un modo per scoprirlo.” Affermò Magnus. I tre ragazzi e Maryse si voltarono verso di lui. I Nephilim rimasero in attesa di spiegazioni, così lo Stregone procedette a spiegarsi. “Potrei tornare ad Edom. Se la fonte di energia proviene da lì, io riuscirò a percepirlo.”
“Assolutamente no!” Affermò categorico Alec, alzandosi in piedi. “Non tornerai ad Edom. Non da solo. È troppo pericoloso.”
Non da solo?” Ripeté Magnus. “Non verrai con me, Alexander. Sei più utile qua, dove i tuoi poteri funzionano e dove l’atmosfera non rischia di ucciderti.”
Alec per tutta risposta mostrò il ciondolo che Magnus gli aveva fatto. “Non morirò.”
Ma Magnus stava già scuotendo la testa in segno di diniego. “Non voglio che tu venga con me. Sei più al sicuro qui, dove hai la tua squadra e il tuo arco.” Lo Stregone si alzò dalla scrivania per raggiungere Alec. Gli afferrò le mani tra le proprie. “Farò presto. E sarò più tranquillo, sapendoti al sicuro.” Spostò le mani sul viso del Nephilim, accarezzandogli le guance con i pollici. “Fidati di me, Alexander.”
Alec chiuse gli occhi. Era terrorizzato all’idea di lasciare Magnus andare ad Edom da solo. Si potevano celare una miriade di pericoli in quel luogo ostile. E l’ultima cosa che voleva era che lui fosse lì da solo.
“Mi fido di te, ma non è una questione di fiducia. È una questione di rischio. E tu rischieresti troppo, andando da solo.”
“Ho combattuto da solo per quasi quattro secoli, so badare a me stesso.”
“Ma adesso non sei più solo.” Alec incatenò i suoi occhi a quelli di Magnus, supplicandolo con lo sguardo di non andare. Voleva proteggerlo e se non fossero stati insieme, non sarebbe riuscito a tenerlo al sicuro.
“Alec…” Fu sua madre a parlare. Lo chiamò con dolcezza e con comprensione. “Magnus ha ragione. Se ci dividiamo, riusciremo a scoprire più cose in meno tempo, e di conseguenza riusciremo prima a risolvere questa questione.”
Alec detestava la razionalità che si celava dietro il ragionamento di sua madre e dietro il piano di Magnus. Detestava che entrambi avessero ragione perché significava che doveva separarsi da Magnus e lui non voleva. Non quando rischiava di non riuscire a proteggerlo, a tenerlo al sicuro. Lo strinse così forte a sé e in maniera così inaspettata che a Magnus mancò il respiro per qualche secondo.
“Tornerai da me, hai sentito? Devi tornare da me.” Sussurrò al suo orecchio, stringendolo sempre più forte a sé ad ogni parola che pronunciava.
Magnus ricambiò quella stretta con la stessa intensità, prima di scansarsi leggermente per riuscire a guardarlo negli occhi. Gli accarezzò il viso con tutta la devozione di cui era capace.
“Tornare da te è l’unica cosa che voglio. E sai che ottengo sempre quello che voglio.” Sorrise per cercare di sdrammatizzare e tranquillizzare Alec.
Il Nephilim annuì, un piccolo sorriso tirò i suoi lineamenti tesi e preoccupati. Si chinò leggermente per lasciargli un bacio a stampo.
“Fai attenzione. Io ti aspetto qui.”
Si separarono e, dopo un attimo in cui rimasero a guardarsi, Magnus passò ad organizzare il lato pratico del suo trasferimento ad Edom.
“Aprirò un portale. L’energia verrà percepita dai vostri sensori?”
“Sì. È meglio se andiamo fuori.” Rispose Alec, cercando di non pensare a quanto questa situazione lo rendesse nervoso e agitato. Doveva rimanere lucido, altrimenti la missione – e Magnus – sarebbero stati compromessi. E lui non voleva che Magnus rischiasse anche la più piccola ingiuria solo perché lui non riusciva a pensare lucidamente. “Passeremo dai corridoi laterali, evitando quello principale per non rischiare che altri Nephilim ti vedano.”
Magnus annuì. Era in buone mani, lo sapeva. Alec era un soldato eccezionale e un uomo ancora migliore.
“Andiamo, ti seguo.”
Alec fece un profondo sospiro, riordinò tutte i suoi pensieri e i suoi sentimenti, e uscì da quella stanza, seguito da Magnus e da Isabelle e Jace, che non vollero sentire nessuna ragione: non l’avrebbero lasciato solo nemmeno questa volta. E Alec volle bene ad entrambi un po’ di più di quanto già non gliene volesse per quel gesto.




Fuori dalle mura dell’Istituto, lontani da occhi indiscreti e dalle telecamere della sicurezza, Magnus aprì un portale con un movimento fluido ed esperto delle mani. Un grande cerchio arancione si aprì davanti a lui, scalpitante di elettricità ed energia.
Alec riuscì a percepire l’odore di zolfo tipico di Edom uscire da quel portale. E insieme a quell’odore che era in grado di perforargli le narici, riuscì anche a sentire di nuovo la preoccupazione e l’angoscia invadergli le viscere con prepotenza.
Si avvicinò a Magnus, afferrandogli un braccio. Lo Stregone si voltò.
“Torna da me. Promettimelo.”
Magnus appoggiò le labbra sulle sue. “Te lo prometto, tesoro mio.” Gli sorrise dolcemente, prima di voltarsi e sparire dentro al portale.
Quando si fu chiuso, Alec rimase a guardare il punto specifico in cui Magnus era scomparso. Sentì le lacrime che gli pungevano gli occhi e improvvisamente ebbe la sensazione che il cuore gli fosse appena stato strappato via dal petto con ferocia.
“Tornerà.” Sussurrò Isabelle, che si era avvicinata. “È in gamba. Niente gli impedirà di fare ritorno da te.”
Alec deglutì per provare a darsi un contegno, per provare a buttare giù quell’orrenda sensazione di panico che provava al pensiero di avere Magnus lontano da sé, in un luogo dove nessuno gli avrebbe coperto le spalle e dove erano stati attaccati.
“Lo spero. Non lo sopporterei, se gli succedesse qualcosa.”
Davanti a quelle parole, Isabelle e Jace si limitarono ad abbracciarlo. Non l’avevano mai visto così. Non riuscivano ad immaginare ciò che doveva provare, l’intensità dei suoi sentimenti verso Magnus. Ma era evidente che fosse un’intensità profonda, radicata nel suo cuore in modo irreversibile.
Alec era innamorato di Magnus.
Fu un pensiero che colpì entrambi. Lo realizzarono in quel momento e, per un attimo, smisero di vedere Magnus come un demone, o uno Stregone, e lo videro soltanto come qualcuno a cui Alec teneva moltissimo.
E si resero conto, in quel momento, che avrebbero fatto di tutto perché Alec fosse felice. Avrebbero fatto di tutto per aiutarli a stare di nuovo insieme.
“Dobbiamo tornare dentro.” Spezzò il silenzio Isabelle. “Finiamo questa cosa e aiutiamo Magnus.”
Jace annuì, concorde.
Alec li guardò entrambi e sorrise, grato per l’ennesima volta di averli nella sua vita.






Tornati dentro all’Istituto, Alec, Jace ed Izzy aspettarono che gli altri Shadowhunter uscissero per i vari giri di ronda e si diressero verso la sala degli schermi per fare qualche ricerca. Non c’era nessuno, per fortuna, così poterono fare le loro ricerche con calma.
“Vediamo, sappiamo che c’è stato un crollo, giusto?” cominciò Isabelle, digitando sulla tastiera touch che era comparsa sullo schermo. “E sappiamo anche che non è stato provocato da qualcosa di naturale perché l’unico posto in cui il crollo si è manifestato è stato il palazzo di Magnus.”
“E perché ad Edom non ci sono calamità naturali, tipo i terremoti.” Aggiunse Alec.
“Giusto. Quindi qualcuno l’ha provocato.”
“Pensate ad un incantesimo a distanza?” Domandò Jace. “Se così fosse implicherebbe una quantità di magia notevole, per non parlare della potenza che deve avere l’individuo in questione.” Il ragazzo parlava, ma i suoi occhi rimanevano fissi sullo schermo. Era appena apparsa una mappa, che cominciò a tracciare una riga blu per le strade di NY, fino a che non si fermò in un punto specifico. Una pallina blu aveva cominciato a lampeggiare in un luogo specifico.
“Sapete, a volte detesto quando abbiamo ragione!” Esclamò Jace. “Non promette niente di buono!”
Alec osservò quello schermo. Suo fratello aveva ragione: il risultato della loro ricerca non portava a niente di buono. Implicava che c’era qualcuno nella loro dimensione che aveva fatto un incantesimo e se quella magia era arrivata fino ad Edom significava che era molto, molto potente. La prima cosa che gli venne in mente fu chi potesse essere di tanto forte da riuscire a gestire una magia simile, la seconda fu che quel qualcuno, estremamente potente, voleva Magnus e lui era ad Edom – il luogo dell’attacco – tutto solo. E se il nemico avesse previsto tutto? Se avesse previsto che si sarebbero separati e lui sarebbe tornato ad Edom da solo? E se prevedeva un altro attacco?
“Dobbiamo andare a dare un’occhiata.” Affermò. “Potrebbero esserci degli indizi.”
“Quindi, Talto?” Domandò Isabelle, osservando il punto blu sulla mappa. Le coordinate segnavano proprio la Chiesa di Talto.
“Non dovete venire con me, se non ve la sentite.”
La ragazza si ritenne offesa da quell’affermazione. “Stai scherzando, spero! Cosa ti fa pensare che ti lasceremo andare da solo? Siamo una squadra!”
“Già. Tre entrano e tre escono.” Jace citò le parole della sorella. Era un mantra che ripetevano sempre, da quando erano bambini e si addestravano insieme. Isabelle aveva sempre ribadito il concetto che fossero prima di tutto una famiglia, poi una squadra e, in quanto tale, era fondamentale che tutti e tre entrassero in battaglia e tutti e tre ne uscissero, vivi. Si coprivano le spalle. Alec tendeva a farlo un po’ più degli altri, mentre Jace tendeva a gettarsi più a capofitto nello scontro, Isabelle riusciva ad equilibrare la sua impulsività con attacchi più ponderati, ma sebbene i loro stili di lotta e le loro strategie fossero diversi erano sempre stati complementari. Una squadra che funzionava alla perfezione perché tra di loro c’era una profonda sintonia anche fuori dal campo di battaglia.
“Quindi…Talto?” Domandò Alec, facendo eco alle parole pronunciate dalla sorella poco prima.
“Talto.” Risposero in coro Jace ed Izzy.
Dopo essersi diretti all’armeria, aver recuperato l’armamentario necessario, e aver avvertito Maryse della loro destinazione, i tre uscirono dall’Istituto diretti verso la Chiesa di Talto.





La Chiesa di Talto era sempre stato un luogo di culto che portava con sé una storia oscura, un passato fatto di demoni e riti sacrificali fatti in nome di demoni superiori. Gli Shadowhunter, nel corso della storia, si erano sempre impegnati a combattere il male che veniva inflitto in quella Chiesa e dal momento che erano anni che non venivano effettuate cerimonie in quel luogo, si vociferava che i Soldati dell’Angelo fossero riusciti, con la loro perseveranza e il loro onore, a debellare qualsiasi movimento propenso ai sacrifici, alla magia oscura e all’adorazione del male.
Evidentemente non era così.
La storia degli Shadowhunter tendeva sempre a dipingerli come degli eroi invincibili, superiori a qualsiasi entità, senza contare quanto, in realtà, potessero apparire superbi e sciocchi a sottovalutare chiunque poteva essere un potenziale nemico.
Sentendosi superiori a chiunque e credendo di essere dotati di poteri invincibili, erano vittime di una sicurezza tale che li portava a sottovalutare delle possibili minacce che li avrebbero resi più vulnerabili di quanto si sarebbero mai aspettati.
Dei bersagli facili alla mercé di chiunque fosse abbastanza vendicativo e arrabbiato con i Figli di un Angelo che aveva sempre insegnato ai suoi Soldati quanto il loro sangue valesse di più di quello di coloro che per metà era demoniaco.
Alec aveva sempre pensato che sottovalutare un nemico fosse l’errore più grande che un guerriero potesse commettere. Ecco perché lui e i suoi fratelli tendevano sempre a non farlo.
L’edificio che si trovarono davanti era imponente e piuttosto intimidatorio. La facciata della Chiesa era costruita interamente con la pietra color antracite e il rosone, al centro di essa, era formato da vetri scheggiati color opale.
Era un monumento gotico, carico di importanza storica e religiosa, ed era invisibile agli umani, che al suo posto vedevano un magazzino abbandonato.
Alec ne avrebbe persino ammirato la tetra bellezza, se non fosse stato un luogo di culto teatro di tanti massacri e sofferenze.
“Arrivati fin qui, direi che l’unica cosa che ci rimane da fare è entrare.” Jace ruppe il silenzio in cui erano caduti per guardare l’edificio.
Si guardarono tutti e tre per qualche secondo, fecero un profondo respiro ed entrarono.




Entrarono con cautela e nel modo più silenzioso possibile. Controllarono i loro passi, in modo da evitare che le suole delle loro scarpe producessero anche il minimo rumore in grado di rivelare la loro posizione.
Isabelle era indubbiamente la più brava, in questa tecnica, dal momento che riusciva a non emettere nessun tipo di rumore nonostante avesse i tacchi.
Si guardarono intorno: la navata centrale era più larga delle due laterali, il soffitto era a volta e si poteva chiaramente vedere la struttura interna della cupola che, esternamente, sormontava la chiesa. Le pareti, in pietra, erano arricchite da arazzi a tema religioso, che per lo più raffiguravano un’interpretazione dell’Apocalisse in cui era il Male a vincere contro il Bene, e non il contrario.
In uno in particolare l’Arcangelo Michele veniva trafitto da Lucifero con la sua stessa spada all’altezza del cuore, mentre questi mostrava la sua forma demoniaca e sorrideva sadico e vittorioso per la sconfitta del nemico.
L’Angelo ribelle che uccideva un fratello.
In quella Chiesa veneravano il male, l’occulto. E tutto era stato predisposto in modo che si percepisse la presenza del demoniaco: gli arazzi, le vetrate color rosso sangue, l’altare di pietra situato alla fine della navata principale.
Tutto era stato predisposto per portare i fedeli a veder concretizzare ciò in cui credevano e, d’altro canto, ad intimidire chi, invece, vedeva in tutto ciò la manifestazione del male puro.
Chiunque credeva in Dio e trovava in lui conforto e salvezza, in quel luogo oscuro avrebbe provato disagio e, forse, persino paura.
La mente è terribilmente facile da condizionare.
Continuarono a perlustrare la Chiesa fino a che non appurarono che era vuota, e poi si avvicinarono all’altare: era imponente, in pietra nera e aveva delle incisioni in una lingua che nessuno di loro tre conosceva.
Alec studiò i simboli, nel tentativo di capire qualcosa, ma anche quelli gli sembravano sconosciuti.
“È sicuramente una lingua demoniaca.” Cominciò Jace, che tra i tre era quello che era più propenso allo studio delle lingue e dei simboli. “Ma non ricordo niente di così specifico.”
Alec si avvicinò ulteriormente, osservando quei simboli più da vicino. Non ricordavano niente nemmeno a lui e, dal silenzio in cui era immersa Isabelle, sicuramente nemmeno a lei.
“Aspettate.” Affermò l’arciere. “Lo vedete anche voi?”
“Sangue.” Rispose Isabelle.
“Ed è pure fresco.” Concordò Jace. Da vicino riuscirono a vedere il liquido scuro che era rimasto intrappolato tra i solchi delle incisioni. “Significa che qualcuno è stato qui di recente.”
“E quel qualcuno ha fatto un rito di sangue, o qualcosa di simile.” Alec sfiorò con le dita il liquido scuro. Era viscoso e appiccicoso, denso, come si aspettava, ma… “È inodore.” Sussurrò, guardando i suoi fratelli.
“Non è sangue umano.” Isabelle seguì il suo ragionamento. “Il che può essere una buona notizia, perché nessun Mondano è stato sacrificato, ma è anche una cattiva notizia perché…”

“È il sangue di un demone.”

Una voce alle loro spalle la interruppe, finendo la frase per lei. I tre si voltarono, mettendosi subito in guardia dopo aver individuato la possibile minaccia.
Alec per una frazione di secondo non riuscì a credere ai suoi occhi. Sbatté le palpebre, quasi non riuscisse a capacitarsi effettivamente di chi avesse davanti, quasi come se fosse una specie di miraggio tramutatosi in realtà.
La voce che aveva interrotto Isabelle era quella di Dennis. Alec non fece in tempo a riprendersi da quella sorpresa che accanto allo Stregone comparve un’altra figura.

“Definirmi un demone è offensivo, non trovi, Dennis? Io sono il Re.”

Alec riuscì chiaramente a percepire il suo sangue che si gelava nelle vene e lo stomaco attorcigliarsi su se stesso.
L’uomo vicino allo Stregone era Asmodeus.





---------------------------------------------

Ciao a tutti! Sono tornata, con un imperdonabile ritardo! Vi chiedo scusa, ma è sempre un periodo incasinato ultimamente e faccio fatica a trovare tempo per scrivere.
Questo doveva essere l’ultimo capitolo, ma invece ho preferito fermarmi qui perché altrimenti avevo paura che sarebbe venuto troppo lungo e perché era tantissimo che non aggiornavo.
Ad ogni modo, il prossimo penso proprio che segnerà la conclusione di questa storia e conterrà anche l’epilogo di cui vi avevo parlato.
Venendo a questo capitolo, è un po’ di passaggio verso la soluzione del mistero, ma non sono brava a scrivere capitoli di passaggio quindi ho paura che in realtà sia noioso D:
Se ne avete voglia, mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate!
Ringrazio chiunque continui a leggere questa storia, l’abbia messa tra le preferite/seguite/ricordate perché seriamente non mi aspettavo che raggiungesse quei numeri e ringrazio anche chiunque recensisca! Lo apprezzo infinitamente!
Un’ultima cosa: lo ribadisco sempre anche a costo di risultare ripetitiva e di questo scusatemi, ma volevo assicurare, nel caso ci sia qualcuno tra di voi che stava seguendo anche l’altra long, che la riprenderò in mano e continuerò a scriverla. Ho messo un po’ in pausa per scrivere questa perché non riesco a scrivere due cose completamente diverse contemporaneamente, ma tornerò, promesso!
Vi saluto e vi ringrazio ancora per la pazienza e per tutto, in realtà!
Un abbraccio, alla prossima! <3  
   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Shadowhunters / Vai alla pagina dell'autore: Roscoe24