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Autore: marea_lunare    08/09/2020    1 recensioni
“Dobbiamo sopravvivere anche oggi, Sherlock. Non importa quanto noi non lo vogliamo, ma l’alba continuerà ad arrivare, inesorabile. Ma voglio che tu mi prometta una cosa: questa sera ci ritroveremo esattamente qui, alla stessa ora. E allora mi offrirai un’altra sigaretta"
Genere: Angst, Drammatico, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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[TRIGGER WARNING: BREVI DESCRIZIONI DI SCENE VIOLENTE]








L’ennesima notte in bianco.

Gli occhi spalancati, intenti a fissare il pallore della luna, mentre i minuti scorrevano come fossero ore.

Il terrore, l’ansia che l’alba portava con sé.

John Watson era stanco di tutto questo.

Di nuovo seduto dentro quella trincea, accanto ai suoi commilitoni addormentati, John Watson si sentiva stanco.

Aveva perso il conto di quanti fossero i mesi che aveva trascorso lì dentro, ignaro di ciò che lo avrebbe aspettato al fronte.

Si guardò distrattamente le mani, cercando di ignorare i residui di sangue che gli erano rimasti sotto le unghie dopo i combattimenti corpo a corpo.

La guerra gli era sempre stata presentata come una favola, come un’esperienza di cui ritenersi orgogliosi, un onore.

Un onore?” pensò.

Gli scoppi delle bombe accompagnavano le sue giornate, scandendo le ore come i rintocchi di un campanile. Le grida dei civili gli penetravano nel cervello, crivellandogli il cuore di dolore.

Anche lui ne era responsabile. Cercava di dimenticare le immagini dei nemici agonizzanti di fronte a lui, resistendo alla tentazione di svolgere il suo ruolo di dottore.

Lui era fatto per salvare la vita alle persone, non per togliergliela. Era arrivato in Afghanistan come medico volontario, ma poi era stato costretto a combattere. Gli avevano piantato in mano un mitra, messo addosso una mimetica, un caschetto e lo avevano gettato nella mischia come carne da macello. Un semplice soldatino di plastica in mani inesperte.

Riusciva ancora a distinguere nitidamente i volti dei civili che gli correvano incontro implorando aiuto durante quelle poche notti in cui era riuscito a fuggire dal campo, raggiungendo i villaggi più vicini per aiutare i feriti. Eppure, quella notte non riuscì a muoversi.

Si ritrovò intrappolato nella staticità della sua stessa sofferenza, prigioniero di sentimenti a cui non riusciva nemmeno a dare un nome.

Bambini che piangevano ai capezzali delle madri o dei padri, genitori che correvano via, reggendo tra le braccia i figli coperti di sangue.

Un onore.

 

“John”

Quella voce lo riportò bruscamente alla realtà.

“John, che succede?”

Watson cercò di rispondere, ma le parole gli si bloccarono in gola quando realizzò di star piangendo. Vide delle gocce trasparenti cadergli sui palmi sporchi di polvere e fuliggine, creando piccoli cerchi proprio sotto le dita.

“S-sì” si sforzò di rispondere, pulendosi furtivamente il viso con la manica insozzata di fango.

La voce non rispose, facendo cadere di nuovo il silenzio su quel luogo orrido.

John tentò vanamente di dissimulare l’imbarazzo, ma alla fine alzò il viso verso il suo compagno. “Cosa c’è, Sherlock?” chiese, tirando su col naso.

Lui non rispose, tirando fuori dalla tasca della divisa un piccolo astuccio di metallo. Si lasciò cadere pesantemente accanto all’amico, sospirando.

Prese due sigarette dall’astuccio e ne porse una a John, osservandolo silenziosamente. Questi la fissò per qualche secondo, prendendola poi delicatamente tra l’indice e il medio. Holmes sorrise, mettendosi in bocca l’altra sigaretta. Tirò fuori anche un pacchetto di fiammiferi, sporgendosi verso John per accendergliela.

Lui inspirò profondamente, finché il tabacco non iniziò a bruciare. Quando Sherlock spostò il fiammifero verso di sé, Watson notò per la prima volta la delicatezza delle mani di quell’uomo. Vide la fiamma guizzare sul suo viso, creando dei piccoli bagliori arancioni. Notò la regalità in ogni suo gesto, anche il semplice gettare poco lontano un fiammifero spento.

Prese una lunga boccata di sigaretta, appoggiando la schiena sul cumulo di fango dietro di sé, sentendo le lacrime salirgli di nuovo agli occhi.

Si leccò nervosamente le labbra, prendendo un altro tiro.

“Non sei uscito stanotte?” chiese Sherlock a bruciapelo.

Watson iniziò a tossire convulsamente, rischiando di strozzarsi con il fumo che aveva in gola.

“Di che parli?”

“Oh, smettila. Credi che non abbia notato le tue scappatelle notturne? Fai un chiasso tremendo”

“Io...”

“È molto nobile, quello che fai” aggiunse, cogliendo l’amico di sorpresa.

Watson non sapeva cosa dire, perciò si limitò ad un semplice sorriso di ringraziamento.

“Sai John… Ho sempre pensato che i sentimenti fossero un difetto chimico della parte che perde. Ho sempre associato le emozioni alla debolezza dell’animo umano. Eppure, da quando sono qui, ho provato così tante emozioni da non riuscire più a riconoscermi” disse all’improvviso Holmes.

Il dottore rimase in silenzio per qualche secondo, cercando di elaborare una risposta adeguata, ma nessuna parola sembrava adatta a fornire sollievo a nessuno dei due.

Tutto ciò che riuscì a fare fu appoggiare una mano sul ginocchio dell’amico, portando di nuovo la sigaretta alla bocca.

Tacquero per diversi minuti, circondati solo dal suono dei grilli.

La guerra aveva spezzato tutti. Molti stentavano a dimostrarlo, cercando di nascondersi dalla realtà, ma molti di loro finivano per impazzire tra le loro stesse bugie. Tanti si ferivano appositamente per fuggire da quel luogo di morte e miseria. Come biasimarli.

Watson strinse leggermente la gamba dell’amico, sospirando.

“Immagino nulla di buono” disse alla fine.

L’altro piegò un angolo della bocca in un sorriso amaro.

Si tolse il caschetto, scuotendo piano i ricci neri.

Anche lui prese una lunga boccata, quasi stesse cercando di raccogliere le idee.

“Paura, dolore, angoscia, pietà, impotenza, disgusto...”

Si fermò, seguendo con le iridi chiare i piccoli tornanti di fumo che fuoriuscivano dalle loro sigarette, intrecciandosi poco prima di salire verso il cielo.

Esattamente come i loro destini si erano incrociati mentre si avvicinavano lentamente alla morte.

“E altrettanti sentimenti a cui non riesci a dare un nome” concluse per lui il dottore.

“Già” assentì Holmes, grattandosi la testa.

Di nuovo silenzio.

Quella notte sembrava interminabile.

“Sherlock...”

“Sì?”

“Poco fa mi hai detto che ciò che faccio è molto nobile, ma ti sbagli. Non è affatto così” affermò John.

“Perché mai?”

“Perché sto semplicemente cercando di rimediare ai miei stessi errori. Sai, come quando a scuola sporcavamo per sbaglio il banco con la penna, ricordi?”

L’altro fece cenno di sì col capo.

“Immediatamente cercavamo di cancellare il segno con la gomma, ma il banco era comunque macchiato. Nonostante il colore sbiadisse, il segno rimaneva lo stesso. Lo stesso è per quello che faccio io. Di giorno uccido soldati, di notte vado a curare i civili. Di mattina scarabocchio il banco, di notte cancello tutto fino a consumarmi le dita. Ma i segni non vanno via. Quelli rimarranno, macchiandomi per sempre” disse con voce tremante.

Sherlock non ebbe il coraggio di controbattere. Come avrebbe potuto?

Gli strinse piano un braccio, non riuscendo a controllare l’improvviso tremolio della mano.

“Non voglio che venga l’alba, John”

“Nemmeno io” rispose Watson, notando con terrore i primi bagliori arancioni che si affacciavano oltre la trincea.

“Non… voglio” ripeté Sherlock con voce spezzata.

John si voltò nella sua direzione, allarmato da quell’improvviso cambio di tono. Lo trovò col volto chino, mentre le spalle sussultavano incontrollate.

La guerra spezzava tutti, indistintamente. Anche coloro che sembravano più forti degli altri.

“Sherlock, voglio che tu mi faccia una promessa” affermò Watson, appoggiando una mano sui capelli dell’amico “Ascoltami attentamente”

Holmes alzò verso di lui il viso rigato di lacrime, tentando di soffocare i singhiozzi per non svegliare gli altri.

“Dobbiamo sopravvivere anche oggi, Sherlock. Non importa quanto noi non lo vogliamo, ma l’alba continuerà ad arrivare, inesorabile. Ma voglio che tu mi prometta una cosa: questa sera ci ritroveremo esattamente qui, alla stessa ora. E allora mi offrirai un’altra sigaretta. Mi ritroverai di nuovo seduto qui, in mezzo al fango, ma tu ti metterai comunque seduto accanto a me chiedendomi se sto bene. Allora mi offrirai un’altra sigaretta. Non solo oggi, ma anche tutti i giorni successivi. Ci incontreremo qui, ogni sera, finché non ce ne andremo a casa. Ogni volta che mi ritroverai qui, allora mi offrirai un’altra sigaretta. Puoi promettermelo?”

Sherlock non riuscì più a guardare John negli occhi, appoggiando la fronte sulla sua spalla.

Il cielo diventava sempre più chiaro.

“Promettimelo, Sherlock” mormorò il dottore, afferrando la giacca dell’amico.

Lui assentì, muovendo la testa su e giù.

I primi brusii gli fecero intuire che da lì a poco tutti si sarebbero svegliati.

Watson gli tirò di nuovo su il viso, pulendoglielo rudemente con la manica e sporcandogli involontariamente le guance di fango.

“Soldati, Sherlock. Soldati” affermò, mordendosi a sangue la lingua per non piangere a sua volta.

Holmes notò gli occhi acquosi dell’altro, voltandosi di scatto quando un loro commilitone si girò improvvisamente nel sonno.

“Questa sera, qui” ripeté Watson.

Holmes gli sorrise.

“Allora ti offrirò un’altra sigaretta” promise, nell’esatto momento in cui l’esplosione di una bomba scosse l’intera trincea.































Note dell'autrice: Ciao a tutti! Eccomi di nuovo qua, come state? Sono tornata con un'altra di quelle che io chiamo "fanfiction di pancia", ossia quelle fanfiction che scrivo, correggo e pubblico nella stessa serata (diciamo nottata, visto che sono le una di notte, ma vabbé), nonché quelle che sento più mie perché pubblicate d'istinto. Perché proprio sulla guerra? Non lo so. Molto probabilmente è dovuto al fatto che la guerra in Afghanistan costituisce parte fondante del personaggio di John, aspetto che non mi stancherò mai di approfondire e anche perché, purtroppo, la guerra è una tematica su cui la sensibilizzazione non basta mai. Il mio però non è assolutamente un tentativo di romanticizzare l'ambientazione della trincea e nemmeno tutto ciò che ne consegue, ma bensì di approfondire i personaggi protagonisti della storia. Ho semplicemente pensato a un momento particolare, ossia quello prima dell'alba, in cui si ritrovano ad affrontare tutte le loro paure ed insicurezze, pur non volendolo ammettere nemmeno a sé stessi, in parte. E proprio in quel momento sentono il bisogno di aggrapparsi l'uno all'altro, trovando la forza di continuare nella semplice promessa di ritrovarsi la sera a fumare una sigaretta assieme. 
Spero di essere riuscita a trattare l'argomento con la delicatezza che merita, anche se non è la prima volta che lo tratto, ma essendo stavolta in un contesto molto più preciso ho preferito fare delle specifiche in più onde evitare fraintendimenti. 
Intanto vi auguro buona lettura e una buonanotte
❤️
Come sempre, critiche e recensioni sono sempre ben accette. 
Un abbraccio. 


 

   
 
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