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Autore: mortifero    08/09/2020    1 recensioni
" Lo apprezzava, dopo tutto. Peccato non lo amasse o rispettasse abbastanza da ammetterlo ad ad alta voce.
Anzi, tutto il contrario. Affermava di odiarlo.
Per Rick, Morty non era la persona, ma la "cosa" che segnalava - rivelava - al mondo la sua debolezza. Questa ambivalenza di emozioni la dimostrava nell’aggressività, negli insulti e i pugni in faccia. Il suo ego smisurato avrebbe dissentito, ma se qualcuno avesse ucciso Morty, Rick sarebbe morto insieme a lui (metaforicamente e non)."
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jessica, Morty Smith, Rick Sanchez, Summer Smith
Note: Lemon | Avvertimenti: Incest, Violenza
Capitoli:
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Friends with benefits


Capitolo III: Dio è morto


Yes my love, I confess to you
I am only here to break your heart in two (Persephone, Tamino)



“Quindi come sta andando, Morty?”


 La dottoressa Wong schiacciò sul pulsante sulla sua penna per far uscire la mina, mentre in mano teneva il suo classico blocco appunti. La sua espressione era neutra ma dava un senso di tranquillità che contagiò pure Morty.
 A quest’ultimo piaceva la dottoressa Wong, aveva apprezzato il suo modo di operare già dalla sua prima seduta con lei, quando era arrivato insieme a sua madre e sua sorella e Rick era talmente mal disposto ad un confronto emotivo che aveva preferito trasformarsi in un cetriolo. 
 Sempre Rick, pensi sempre a lui. Non ti senti un maniaco?
 Aveva chiesto poi a sua madre se sarebbe mai potuto ritornarci da solo. Beth gli diede uno sguardo storto ma annuì. 
 Infatti ora eccolo, seduto sul divanetto arancione, pallido in viso e le gambe incrociate.
 “Uhm, va bene…”
 La psicologa sorrise. “È un bel migliorament-”
 Morty negò freneticamente con la testa: “No, no, non va affatto bene. Per niente.”
 “Voi approfondire?” Gli chiese con tono gentile. “Cosa ti fa stare male?”
 “N-niente di nuovo”, giocava con le sue mani nervosamente, arrivò pure a scrocchiarsi le dita e questo gli fece un male cane. 
 “Le solite cose, sa, le stesse dell ‘ultima settimana”.
 “Vediamo, dagli appunti delle ultime sessioni..” la psicologa sfogliò il suo blocco di fogli con una certa calma. “Tu hai finalmente costruito qualcosa, con quella persona, che pensi sia fragile, dalla struttura precaria…”

“E sento come se fossi l’unico a cui grava questo peso sulle spalle, perché sono l’unico a cui importa. Se cedessi io, si distruggerebbe tutto.” Finì per lei. “M-ma in un certo senso, sto cedendo già…”
 “E hai riprovato a cercare un confronto? O proprio non funziona?” Iniziò a scrivere sul suo blocco appunti.
 “S-sparisce. Se- se ne va. L’ultima volta se n’è andato solo per una stupida litigata con Summer. A volte non torna per giorni, altre addirittura settimane, uh, mesi…”
 La classica domanda da psicologico: “ E questo come ti fa sentire?”
 “All’inizio impazzivo. Lui-lui er il mio unico amico, senza di lui non…non riuscivo a trovarmi, ero perso. Adesso ci sono abituato, so già che prima o poi tornerà, ma…”
 “Ma cosa, Morty?” Gli passò una bottiglietta d’acqua. “Va tutto bene, Morty. Sei al sicuro qui.” Gli sorrise.
 “Ma quando non risponde alle chiamate o ai messaggi ho paura che forse quella è la volta buona che se ne va per sempre.”
 “Sai come si chiama tutto questo susseguirsi di azioni? Sai perché tutto ciò ti fa male?” La domanda era retorica. Morty negò con la testa, poi bevve un altro sorso.
 “Orbiting”, Rispose brevemente lei. Morty annuì, bevve ancora. Era decisamente nervoso, soprattutto perché non riusciva a capire che cosa volesse dire la sua psicologa. “È quando si sparisce per molto o poco tempo, facendo stare male e addirittura impazzire l’altra persona persona, e poi si ritorna come se non fosse successo nulla. Morty, quello è uno dei tipici giochi emotivi di una persona abusiva.”
 “A-abusivo?”
 “Sì, è apparentemente il più sciocco, eppure uno dei più efficaci per trattenere la vittima più vicino a s’è. Il carnefice sparisce, non lascia tracce, oppure il tanto che basta per tracciare un dubbio nell’altra persona: tornerà o non tornerà? E mentre tu ti impanichi, hai paura di non rivederlo più, lui crede di averti dato una lezione. Non si sentirà mai in colpa. È più o meno lo stesso processo dei bulli, possono capire l’empatia, ma allo stesso tempo non capiscono quando si va troppo oltre. Sa il male che ti sta facendo, ma pensa sia giusto così. Fidati di me: non è giusto così. Lui, per te, diventerà una persona di vitale importanza. Tu, per lui, sei stato un piccolo fastidio. Tu non lo abbandoneresti mai, ormai faresti di tutto per lui, Rick ormai ti ha come suo succube. Può farti quello che vuole ora, ha tutto il controllo”.

Morty deglutì. Il tutto era così reale, aveva appena avuto voce ed era come acqua gelata sul suo corpo ignudo. Ma ancora non voleva crederci del tutto.

“Ora, Morty, il mio mestiere è quello che mi impone di aiutarti a vivere felice e sicuramente non troverai la felicità con affianco una persona del genere.”

“Non-non riesco ad immaginarmi senza di lui”
 Era Rick e Morty per sempre insieme, per cento anni ed oltre, no? Che fosse anche quella frase, un brutto gioco manipolativo? Poteva pure essere, ormai non riusciva a proiettare nella sua mente la sua vita senza Rick. Era come un virus, un acido, si infiltrava ovunque e corrodeva, lasciando Morty a pezzi. Destrutturato.

“Invece tu prova, almeno ad immaginartici, perché, fidati, l’unico a perderci sarebbe solo lui. Sei una persona dolcissima, comprensiva, hai un intelligenza emotiva grandissima. Ce ne fossero, al mondo, persone come te. Apparentemente lui ha il potere, ma se te ne vai, non avrà niente”.

“G-g-grazie, credo”.

“Lo so che fatichi ad accettare i complimenti, perché la persona che ti sta accanto ti ha disabituato ad essi, ti ha fatto credere che non meriti niente”.
 “M-ma lui ha sempre ragione… È-è un genio”.
 “Nella logica, magari” convenì lei. “Esistono intelligenze multiple, e lui sarà pure bravo nelle altre, ma per quanto riguarda l’emotiva, fidati, te lo mangi”.
 Morty suo malgrado si ritrovò a ridere a spese di Rick. Ringraziò il cielo che non ci fosse in quel momento. L’avrebbe sicuramente preso a pugni.
 Oh, la violenza fisica, come scordarsela…
 La parola abusivo nella sua gola graffiava ma diventava sempre più concreta.
 “Ora, Morty, so che allontarsi è difficile, sei ancora ancorato a lui, ma prima ne esci da questo circolo vizioso, prima starai meglio. Spezza le catene. Rompi la struttura e non aver paura che ti cada addosso — perché non lo farà. Anzi, ti libererà. Qualunque cosa lui ti dirà, sappi che non sarà mai colpa tua. Se pensi di poter ricadere, ripensa alle mie parole, chiamami, qualunque cosa. Stai al sicuro.”

Quella domenica Morty la passò poi chiuso nella sua cameretta. Non riusciva fare a meno di pensare a se stesso e a Rick, aggiungendoci pure l’incognita di Jessica.

Rick lo stava davvero manipolando? Quale parte delle sue azioni si potevano considerare da manipolatore narcisista? E quale parte delle sue azioni erano quelle di un amico?

Rick era mai stato suo amico?

La risposta gli congelò il sangue nelle vene.

Era solo, come sempre.

A chiunque entrasse nella sua stanza, Morty si presentava in maniera fintamente gentile, affettata, reagiva agli stimoli verbali solo se stimolato con la gestualità. Il suo viso tremendamente sfuggente, non voleva fare contatto visivo con nessuno, neanche con gli oggetti. C’era qualcosa in lui che non andava, ma non era compito di Rick confortarlo (non era ancora entrato, ma aveva sentito le lamentele di sua figlia Beth). Non che ne fosse stato in grado.
 Preferì bere birra sul divano e guardare la TV, ignorandolo, sperando di addormentarsi il più presto possibile.

Morty, invece, inconsciamente avrebbe fin gran lunga preferito qualcuno — Rick — che lo consolasse. Raggomitolato sul suo letto, sentiva i passi precisi e svelti, il rumore dei mocassini neri di suo nonno, sperando ogni volta che entrasse, ma ogni volta non lo faceva e Morty piangeva in silenzio.

Finché Rick non lo fece.

“M-Morty?” Entrò con una delicatezza inusuale, pensando che il ragazzo stesse dormendo. Un silenzio tombale gli diede quasi conferma, ma un piccolo mugugno gli fece capire che Morty fosse ancora sveglio.

Rick è qui per me, fu il pensiero già fin troppo allegro del ragazzo. Gli era bastato il minimo rinforzo positivo per scodinzolare come un cagnolino felice al suo padrone.

A Rick non importa nulla di te, era ciò che gli aveva detto in parole povere (e molto più gentili) la psicologa, ma era entusiasta del fatto che suo nonno fosse lì. Il fatto che però lo stesse ancora manipolando gli passò ancora per la mente, quindi cercò di rimanere neutrale. Di non andare subito incontro al suo padrone come un animaletto felice.

“Sei lì da sei ore, M-Morty.” constatò Rick, era un indiretto, quindi non detto: “Cazzo fai? Mi sto preoccupando!”.

Non ricevendo risposte, decise di sedersi sul bordo del letto, all’estremità finale.

“B-beh, M-moURGty, qualunque cosa sia successa, sai, io posso sempre fare zac zac alla tua mente, capisci?” Rick imitò il gesto delle forbici.

“C-cosa?” Morty alzò leggermente lo sguardo confuso ma rimanendo sempre nella sua posizione fetale.

“Cancellarti la memoria, no? Devo farti un disegnino per fartelo capire?!” Rick incrociò le braccia al petto, guardandolo con sufficienza.

Cancellare la memoria? Davvero? Tutte le turbe, i fili aggrovigliati e incastrati dei suoi sentimenti non potevano essere risolti così. Era una risposta pigra e superficiale, la cancellazione della memoria.

Morty si mise in posizione seduta, stiracchiandosi. “I-io sto bene.”

“Non mi mentire, coglione”, sibilò Rick infastidito. Il suo alito puzzava esageratamente di vodka. Morty ignorò la sua rabbia.

“T-te lo giuro”, ritornò alla sua posizione raggomitolata, remissiva, stanca. “Sto bene, va tutto bene. Va tutto a gonfie vele, ho solo sonno.”

Rick gli diede una smorfia di disappunto, si alzò dal letto e si avvicinò alla porta. “Sarà”, disse neutrale, freddo, quasi glaciale, chiudendosela alle spalle.

Così lo scienziato continuò ad ignorarlo, un atteggiamento freddo e distaccato in ogni loro breve scambio di parole ogni volta che si vedevano. Non erano nemmeno considerabili dialoghi veri e propri. Continuava a vivere “in un suo mondo”, lontano da tutti quelli inferiori a lui. La richiesta angosciosa, la supplica di una solitudine che non voleva ammettere. Una preoccupazione e l’importanza di un qualcuno che non voleva nemmeno concretizzare.

Il giorno dopo, Morty andò a scuola. Rick non lo aveva “prenotato” — gli ribollì la bile a quella parola. Non era un oggetto! — per nessuna avventura, quindi poteva stare tranquillo. Almeno per qualche ora, Rick era pur sempre Rick, quindi imprevedibile.

A tavola, durante la colazione era stato laconico e distante.

A Rick non erano mai piaciuti i fantasmi, soprattutto quelli di Morty che si rispecchiavano nelle pupille del moro ogni volta che incrociava il suo sguardo.

Lo consumava e lo faceva sparire. Il rapporto con Morty, così caratterizzato da assorbimento e rigetto, possesso ed esclusione, rimandava a un fantasma detto e non detto.

Le uniche della famiglia a parlare con Rick furono Beth e Summer; la prima per chiedergli se gli fosse piaciuta la colazione. Aveva annuito convinto e le fece i complimenti — finti, ma pur sempre complimenti.

Poi arrivò a parlargli in salotto Summer, certa che non ci fosse nessun altro nelle vicinanze.

“Come va, nonno Rick?”

“F-fatti i cazzi tuoi, SumSum, non è il momento per il nonno”, disse, scorbutico, prendendo un accendino per accendersi una sigaretta. Summer lo guardò storto: Rick aveva molti vizi, ma la sigaretta classica era molto rara. Il vecchio era sempre più strano. Ciò per l’appunto non le impedì di proseguire: “Voglio solo sapere come va con Morty. È da mesi che non vi parlate.”

“Ottimo spirito d’osservazione, Summer”, aspirò del fumo e lo inspirò, “peccato che ti sia sfuggito che io e lui parliamo. Eccome, se lo facciamo, avresti dovuto sentirci ieri sera!”.

Summer alzò gli occhi al cielo e incrociò le braccia. “No, intendo che non vi parlate veramente. Siete cambiati. Tra di voi, non c’è più quello strano equilibrio.” Sbuffò stanca. “Siete cambiati pure con noi!”

Rick rimase seduto sul divano e non la guardò nemmeno. “Stai sparando solo un mucchio di cazzate”.

“Ah sì? Allora dimmi: quand’è stata l’ultima volta che hai visto Morty essere felice?”

Rick rimase con la sigaretta serrata fra le sue labbra, senza proferir parola. Forse stava per rispondere con: “la felicità è un concetto astratto e come ogni concetto astratto, una cazzata”, ma l’arrivo di Morty, pronto col suo zainetto sulle spalle, lo fermò.

“H-hey S-summer, a-andiamo?” balbettò, cercando di evitare Rick con lo sguardo. Summer annuì, non risparmiando suo nonno da occhiatacce e quest’ultimo fece solamente spallucce in risposta.

“N-non voglio fare tardi, almeno oggi…”

Mentre stava uscendo, Morty poteva sentire lo sguardo glaciale di Rick dietro di lui, come una mano gelida sulla schiena.

Quando aprirono la porta si sentì un “Buona giornata, ragazzi!” partire da Jerry. Morty sperò davvero che lo fosse.


A scuola Morty avrebbe tanto preferito non essere lì. La saltava così spesso che ormai per lui era un luogo tanto estraneo, sconosciuto e ansiogeno. Niente come quelle mure pallide e rovinate, quelle persone così sistematicamente indifferenti, gli metteva così tanta agitazione. Per un attimo preferì che Rick arrivasse per portarlo via in qualche avventura. Ma non si trovava in uno dei suoi fumetti, Rick non era il suo eroe, non lo avrebbe mai salvato.

Aveva bisogno di rilassarsi e doveva trovare un modo per farlo.

Provò a pensare al suo posto felice, ma si ritrovò inizialmente a mani vuote. Non riusciva a pensare a niente. Sì concentrò di più e nella sua mente ritrovò l’immagine di lui e Rick distesi sul letto di un motel.

Lo scienziato gli sussurrava “querido” e altre parole in spagnolo che non capiva, ma dal suo viso sembrava così felice di stare con Morty che il giovane poteva giurare che il posto intorno a lui fosse il paradiso. Era il tutto estremamente zuccheroso; sì, lo avrebbe paragonato allo zucchero filato. Soffice come i baci che si erano dati, raramente delicati.

E precario, perché quella inusuale dolcezza era durata pochissimo. Subito dopo infatti si erano messi a litigare. Non sapeva nemmeno del motivo per cui era successo. Litigavano e basta, quasi per il semplice gusto di farsi del male.

Hai scavato fin troppo infondo, Rick. N-non puoi semplicemente rimettere a posto il terreno e andartene via, facendo finta di non aver mai scoperto la lava.”

Pessima metafora, Morty. Mi sorprende come tu sia entrato in quel corso. Ora zitto o ti tiro un ceffone che ti fa volare in un’altra galassia.”

Morty rabbrividì. No, doveva trovarsi un altro posto felice. Vide una ragazza dai capelli rossi in fondo al corridoio e gli venne in mente Jessica; l’ultimo incontro che aveva avuto con lei. Lei sì, che era sempre dolce, non parzialmente come Rick. Per un attimo, ma non per la prima volta in vita sua, si chiese come sarebbe stato baciarla. Sicuramente le sue labbra sarebbero state morbide e dolci come lei, si diceva. Quello sì, sì che sarebbe stato bello.

Il suono della campanella però lo risvegliò, facendogli fare un balzo per lo spavento.

Sospirò, triste di essere ritornato nel mondo reale e aprì l’armadietto per prendere i libri. Quando lo richiuse, si ritrovò faccia a faccia con la sua grande vecchia cotta.

“Hey Morty!” Gli sorrise timidamente.

“J-jessica c-ciao…”

Vedendo Jessica, provò un po’ vergogna per i pensieri che aveva fatto su di lei. Sentì le proprie labbra roventi, proprio quando succedeva che si scottava con del tè caldo. Non la guardò negli occhi, cercò di scorgere un po' del paesaggio dalla finestra dietro di lei.

“Visto che adesso abbiamo lezione di mate, che ne dici se andiamo in classe insieme?” gli chiese amichevolmente.

Morty era incredulo, ma sorrise. Balbettò un “sì” e insieme si dovessero verso l’aula.

Morty non si sorprese quando una pallina di carta picchiettò il suo braccio. Era abituato a qualche bulletto che decideva di scrivergli insulti, quindi prese la pallina e non l’aprì. Fece il contrario solo quando di fianco Jessica gli sussurrò “Dai, aprilo!”

Sul bigliettino c’era scritto “Il signor Goldenford è veramente palloso” e Morty dovette trattenere una risata. Cercando di non farsi beccare scrisse una risposta e la lanciò a Jessica.

Continuò così per tutta l’ora.

Morty sorrise: era bello avere una amica.


Uscito da lezione gli sembrò di camminare sulle nuvole, il pavimento sembrava così leggero, lo spazio intorno a lui era così libero e non pesante come gli era sembrato un’ora fa. Si sarebbe pure messo a ballare, ma non voleva mettersi in ridicolo. Arrivato al suo armadietto, il sorriso riflesso dal metallo di esso sembrò ridicolo e allo stesso tempo meraviglioso.

Quando l’aprì, la foto di lui e Rick ruppe ogni gioia.

Già, Rick. Se n’era scordato. Aveva sepolto l’uomo in una cantina della sua memoria, e adesso lui era ritornato furente e impolverato a riprendersi il suo posto: il centro dei pensieri di Morty.

Solo Jessica aveva il magico potere di fargli dimenticare di lui. Volle che fosse così semplice anche durante il resto della giornata.

Ripensò al vecchio, alla gelosia — no, possessione — dell’altra sera e si preoccupò che forse anche quel giorno avrebbe potuto subire ciò che era già successo. Si morse un labbro, nervoso, le sue gambe tremarono.

Dio, chiunque!, fa che non lo venga mai a sapere di oggi!

“Hey, Morty,” sua sorella si avvicinò al suo armadietto. Morty sobbalzò e la guardò sorpreso.
 “Che vuoi?” Chiese, sistemando dei libri. 
 “Solo sapere come stessi”, alzò le spalle, “tu e Rick non vi parlate. Ancora.”
 “È-e cosa vorresti farci?” Rispose bruscamente. Poi la guardò, osservò tutto intorno a sé — perfino le pareti scolastiche parevano avere orecchie e da un punto all’altro sarebbe potuto arrivare Rick dal nulla — e le sussurrò. “Si-sinceramente, sono esausto. A v-volte, vorrei tornare indietro nel tempo, quando ancora era dolce.”, Summer lo guardò stranita, “N-nel senso, non così tanto stronzo. Altre volte…altre volte non avrei mai voluto incontrarlo.”
 Summer annuì. “E quindi sai cosa fare, per esempio? Lasciarlo?”
 Morty la guardò malinconico. “È-è un’opinione fattibile con Rick?”
 “No, ma…”
 “V-vedi, n-neanche io so se…”
 Summer sbuffò, esasperata dalle frasi a metà.
 “Voglio solo aiutarti. Ti sei -no, Rick ti ha cacciato in una cosa più grande di te. Insomma, hai quattordici anni, sei un bambino, chissà quante cose ti avrà fatto…”
 “Lui non mi ha fatto nulla!” Urlò irato Morty, di scatto, guadagnandosi gli sguardi straniti dei suoi compagni di scuola. Stava difendendo l’indifendibile, ancora. Ma almeno per una volta, ne era pianamente consapevole.
 Morty credeva che l’espressione “cuore spezzato” fosse solo un’iperbole da romanzi rosa, però dentro aveva sentito qualcosa rompersi — frantumato, niente avrebbe potuto aggiustarlo. Il tempo avrebbe solo aiutato a lenire il dolore.
 Scoppiò in lacrime, fregandosi di chiunque lo stesse osservando. Stava morendo, staccato e disordinato.
 “Lui-lui n-non…” Singhiozzò. Sua sorella gli circondò le spalle e poggio la propria guancia vicino la tempia del castano, cullandolo. “N-non mi ha fatto n-nulla, giusto? G-giusto?” Morty chiuse gli occhi e cercò di pensare al suo posto felice.
 Summer sospirò e gli strofinò la schiena. “Vorrei tanto potertelo dire, fratellino.”


 Un portale squarciò l’aria, già pesante di suo.


 “Morty, devi venire in un’avventura con m-cosa?” Uscendo dal portale, Rick sicuramente non si aspettava Morty piangente con Summer intenta a consolarlo. La ragazza lo guardò malissimo, ma lui la ignorò perché preferì sorseggiare dalla sua fiaschetta.
 Rick guardava la scena facendo smorfie disgustate.
 Morty affondò la faccia nella zona fra il collo e la spalla di sua sorella. Non voleva aprire gli occhi, tornare nel mondo reale.

Non c’era pace nemmeno per i morti?


 “Morty…” Incominciò lentamente Rick. Il ragazzo si sentì così debole e schifoso per aver aperto subito gli occhi. Ma la sua faccia era ancora sepolta nella spalla di Summer — solo lui lo sapeva.
 “Morty, abbiamo un’avventura. Lo sapevi.”


 No, non è vero e non so un cazzo. Non è quello che dici sempre?


 Morty si allontanò da sua sorella, lasciò le lacrime scorrere sul suo viso. 
 “D-devo andare in bagno, R-Rick”.


Teletrasportati su un pianeta che aveva l’aspetto di qualche villaggio sperduto nel deserto, Morty si lasciò subito manipolare come un infante: “Cosa devo fare, Rick?”

Fu l’unica volta in cui parlò.

Se quello era stato un altro giorno, magari un altro universo, Morty si sarebbe divertito in quella avventura. E invece aveva solo un chiodo fisso: aveva un problema da risolvere, e non sapeva come. Non ne aveva la minima idea. Questo lo portò ad essere tremendamente distratto — cadette quasi cinque volte per colpa dei sassolini che non aveva visto, aveva sparato per sbaglio ad un alleato di Rick, si era quasi fatto uccidere e non aveva fatto nulla per impedirlo. Rick gli aveva sempre parato il culo, senza però eluderlo da insulti e rimproveri per la sua idiozia e tutte le sue distrazioni. Per sua fortuna, il suo pessimo rendimento non era stato d’intralcio per il buon esito dell’avventura. Il pianeta era stato decimato e raso al suolo per…no, non lo ricordava e non gli interessava.

Tornati a casa, Rick si chiuse nel suo laboratorio e Morty si sedette sul divano del salotto. La TV era accesa, ma anche se fosse stata spenta non avrebbe fatto differenza. La mente di Morty era così assordante che non riusciva a capire o sentire ciò che accadeva intorno a lui.

Continuava a pensare alle parole della psicologa, di sua sorella, all’avventura di prima. Quante malefatte Rick gli aveva fatto o fatto fare contro la sua volontà? Quanto aveva dimenticato, perdonato, per ottenere cosa in cambio?

Porgeva l’altra guancia e otteneva solo insulti, rimproveri, violenza che si tramutava in paura nella mente del giovane.

Morty aveva finalmente provato sulla propria pelle che c’era un motivo se milioni di galassie aveva un timore riverenziale nei confronti di Rick Sánchez. Il dominatore e distruttore di pianeti, sottometteva tutto ciò che andava contro il suo cammino da divinità. Perché con Morty doveva essere diverso? Perché continuava a sperare in un’indulgenza che non sarebbe mai arrivata? Un senso di frustrazione e rabbia si fece prepotente verso di lui.

In quel momento realizzò che non sarebbe mai stato perdonato per i suoi peccati, perché Rick non era quello che diceva di essere.

Rick fottuto Sánchez non era un dio, ma nascostamente e subdolamente umano. In una maniera rivoltante che faceva impallidire Morty per quanto potessero essere simili.

Accecato dalla brama di carne e potere, non sarebbe mai stato divino. Perché con la carne si hanno rapporti, ti macchi irrimediabilmente con la pelle di qualcun altro, e il potere non si cerca o si conquista, lo si ha.

E Rick, non aveva più potere su Morty. In teoria.

Dio era morto.

Certo, fra il dire, il pensiero e l’azione c’era differenza. Ma almeno aveva trovato una struttura, una guida — se stesso e mai nessun altro (come gli aveva consigliato il Signor Hurt) — ma sapeva che la scalata per la propria liberazione da eterno peccatore era appena iniziata e sembrava davvero ripida.

“R-Rick, d-dobbiamo parlare.”

Rick non si voltò ancora, si limitò a sbuffare.

Morty, maledetto stupido.

Era petulante, infantile, imbecille ma -la cosa che Rick odiava di più- gli voleva bene. Non nel modo più convenzionalmente sano. Chiunque li avesse osservati da fuori, non avrebbe chiamato il loro rapporto amore, perché era in realtà malsano e abusivo. Rick voleva avere il controllo completo, di tutto e di tutti; voleva essere un dio, invincibile e intoccabile. Il suo ego era tanto alto quanto fragile, bastava una parola scorretta da parte di Morty ( e chi altro? Se qualcun altro glielo avesse detto, non avrebbe nemmeno mosso un dito) e già elaborava un piano per vendicarsi.
 Però la sua costante presenza, l’abitudine e quasi l’assuefazione a Morty gli provocava emozioni contrastanti. Era solo serotonina, si diceva, ma avrebbe mentito a se stesso se avesse detto che non gli era di suo gradimento. Si stava innamorando dei fotoni che rimbalzavano su di lui (vista) delle molecole rilasciate dal suo corpo (odore e gusto), di onde di pressione nell’aria che generava (suono) o i loro elettroni che si respingevano (tatto). Morty, dopotutto, era una reazione chimica piacevole. 

Morty era scienza e Rick, così volubile, amava alla follia la scienza.
 

“Allora, c-che cosa vuoi da me, stupido che non sei altro?” Ringhiò e Morty si irrigidì impaurito.

No, non è un Dio. Ricordalo.

“H-ho riflettuto molto e…”

“Pessima idea, soprattutto se non sai farlo.”.

Morty lo ignorò. Fu lui a sbuffare questa volta. “P-pensavo a c-cosa voglio in una relazione, e-ecco.” Rick gli lanciò un’occhiata storta ma continuò a lavorare. “Secondo me deve essere fatta d-di rispetto, d-deve essere esclusiva e-”

Rick finalmente si voltò completamente e rise, maligno. “Oh se stai pensando che io ad un tratto smetta di fare il cazzo che mi pare solo perché tu me lo chiedi in maniera gentile, no, non funzionerà, rincoglionito.”

Si morse un labbro. “Non volevo chiederti, uhm, dirti questo, Rick”.

E in un secondo: la realizzazione.

Perché Rick quando diceva che era l’essere più intelligente dell’universo non esagerava, infatti aveva capito subito le intenzioni del moro. Poteva dire di aver percepito nell’aria qualcosa di strano, ma non credeva molto nei presagi. Ma era ancora stupito perché non riusciva a capire perché gli facesse così male.

Ovviamente ci fu la risposta e l’articolazione al torto subito. “B-bastardo, come cazzo- chi merda credi di essere?”

“I-io…”

“Pezzo di merda, fai schifo come i peggio escrementi, sei un essere inferiore e pensi”, scoppiò a ridere furioso, “di poter lasciare me? Me?”

Rick esplicitava la sua confusione in un aggressione orale, che destrutturava e frammentava di nuovo le certezze di Morty.

“N-no, R-rick…”

“Io sono Rick fottuto Sánchez, un cazzo di Dio sulla terra e tu-?”

“Dio? Sul serio?” Morty era arrabbiato oltre ogni modo. Non riusciva più a trattenersi. Se prima si sarebbe nascosto dalla cieca furia narcisistica di Rick o l’avrebbe assecondato, adesso era così furente che la sua lingua non aveva più freni. “Di cosa, esattamente? Della merda? Perché sai, è ciò di cui sei fatto. Sei stato un marito tremendo e un padre ancora peggio, un inetto come nonno e come amico. Fai proprio schifo, Rick!”

“Inetto, eh? Hai aperto il tuo primo dizionario?”

“Fammi finire di parlare, stronzo.” Si passò la lingua fra i denti. “E non provare a scappare pure questa volta perché oh povero me, provo dei sentimenti, aiuto!”

“Piccola merda, rincoglionito del cazzo -”

“No” Morty rise senza ironia, “no, scappa pure, ma in un cassonetto dell’immondizia, almeno sarai tra i tuoi simil-” non poté più continuare la frase, che un pugno gli arrivò dritto in faccia. Era così forte che lo fece rotolare e cadere a terra come un sacco di patate.

Morty quando provò a ritornare in piedi, seduto sulle sue ginocchia, sentì il viso andare a fuoco e il naso pizzicare, dolorante da morire. Se lo toccò e non si sorprese nel vedere il sangue che usciva da esso. Non parlava più, la gola era diventata improvvisamente secca.

Rick gongolava per la vittoria temporanea, lasciando uno sguardo compiaciuto alle sue nocche non ferite (l’aveva colpito col braccio robotico, il bastardo) e e a suo nipote diventato muto. “Ah, non capisco perché non abbia pensato di farlo prima…”

Morty sembrò ritrovare coraggio e con la voce strozzata rispose: “Lo sai già, perché…”

Questo commento gli causò un Rick di nuovo su tutte le furie, che lo strattonò per il colletto della maglietta. I loro volti divennero tremendamente vicini e i loro nasi si sfiorarono. Gli occhi di Rick erano animali, inumani, intrisi di rabbia e follia. Quelli di Morty, invece, iniziarono a luccicare.

Piano piano.

Acqua salata, mari sulle guance rosee.

Calò il silenzio, i respiri affaticati scandivano le parole non dette ma estremamente pesanti nell’aria.

Rick scaraventò per terra Morty. Non si dissero ancora nulla. L’uomo aveva stranamente lo sguardo basso e il più giovane cercava almeno di sedersi per terra. Gli scricchiolii delle sue ossa e il tintinnio di gocce d’acqua che cadevano da un buco nel soffitto erano gli unici suoni.

Erano una scena primitiva e mortifera.

Morty si toccò la fronte dolorante: altro sangue. Sospirò triste.

“Come abbiamo fatto ad arrivare a questo?” chiese debolmente, iniziando a guardare pure lui giù. A quanto pare il grigio pavimento era pieno di attrattiva per i due.

Rick alzò lo sguardo e rise senza ironia. Morty lo guardò timidamente.

“Non saprei proprio”, il classico sarcasmo tagliente, “stitichezza emotiva, attaccamenti che sfiorano l’ossessione, mancata comunicazione…”. Rick si sedette pure lui per terra.

Ora lui e Morty erano alla stessa altezza.

“Sono un cazzo di sociopatico, ma non sono stupido. So cosa succede.” Sbuffò. “Merda, abbiamo toccato il fondo questa volta…”

“D-dici?” A Morty puzzava ancora della classica trappola manipolatoria della colpa condivisa.

“Io-io ho fatto molto molto molto di peggio, ma noi no. Non con questa fine, almeno”.

Un altro silenzio si fece spazio fra di loro. Morty continuava a pensare a quel noi. Allora non esisteva solo nelle avventure, giusto? Forse c’era sempre stato un fra le righe che non era mai riuscito a leggere, delle situazioni che non era mai riuscito a contestualizzare?

Non riuscì a dare una struttura ai suoi pensieri, perché Rick che si avvicinò attirò la sua attenzione. I suo muscoli divennero tesi, preoccupati che potesse arrivare un altro attacco. Cercò di allontanarsi, ma Rick lo prese per una spalla.

“Calmo, stronzetto.” grugnì, notando Morty che aveva iniziato a tremare come una foglia.

Sorprendente, per Morty e l’ego di chi compiva l’azione, fu quando Rick prese un fazzoletto di stoffa dal suo camice e iniziò a tamponare il naso e la fronte insanguinati del giovane.

“Graz-” “Zitto.”

Morty deglutì.

“Questo non riparerà tutto, Rick”.

“Lo so”.


In quelle ossa rotte, le risate sgualcite e il sangue difficile da masticare, la libertà di essere di nuovo umano.


 “Non te lo dico spesso, almeno in una lingua che tu possa capire, ma ti amo, Morty.”


 Morty avrebbe risposto con “anche io” ma…Era reale? Lo amava davvero? Ancora come prima?

“I-io” balbettò Morty, non sapendo come continuare la frase. Rick lo guardava all’apparenza tranquillo (non aveva più niente da perdere), con il suo solito fare menefreghista, ma sentiva come se stesse per stritolarlo e scuoterlo. Anzi, era strano non lo facesse davvero: sentiva già le mani di Rick agitarlo neanche fosse una di quelle sfere con la neve che cade, al suon di: dillo, dillo, DILLO!
 “I-io non provo più niente per te, m-mi dispiace.” Sospirò, come se respirare gli facesse male ai polmoni. “M-mi hai spezzato il cuore, Rick”, buttò fuori, di nuovo vulnerabile, ma potente nella sua fragilità. Morty si stava godendo la rara umanità che in quel momento dipingeva gli occhi di suo nonno. La sua frustrazione e la sua tristezza erano inebrianti. Morty si chiede se fosse mai stato amore,il proprio, se in quel momento tanto amava vedere Rick soffrire per lui.
 “Senti, Morty…”
 “C-cos’altro vuoi dirmi? Mi hai rotto, hai giocato con il fuoco e…”
 “No, Morty, ascoltami, cazzo! Tu sei stato quello che ha giocato con il fuoco, tu ti sei scottato e adesso piangi come un marmocchio caccoloso!”
 Era di nuovo la sua preoccupazione colpevolizzata, Morty ne era tremendamente stanco, esasperato. Avrebbe urlato, frustrato, ma non riusciva e scoppiò a piangere.
 “O-ora piangi? Davvero?” Lo sguardo sufficiente di Rick era oltremodo fastidioso. L’umanità era già sparita.
 Morty lo guardò furente. “Z-zitto.” 
 Rick non rispose, il silenzio galleggiò fra di loro.


 “Shhh, idiota”, Rick stranamente lo cinse con un braccio e gli accarezzò la schiena. Fece la stessa cosa che provò Summer per farlo calmare, probabilmente aveva memorizzato i suoi movimenti e li stava riproponendo. Morty rimase sorpreso, non sapendo se accettare o meno i suoi scarsi tentativi di consolazione. “Andrà tutto bene”, diceva mentre le carezze sulla schiena di Morty diventavano sempre più delicate, leggere. “Non è successo niente, non importa. Non è successo niente.” Morty lo guardò per un attimo, chiedendosi chi stesse consolando Rick. Sembrava che lo usasse per rassicurarsi da solo.
 “Non…non è successo niente” ripeté, lento e cauto, dolce. Il viso di Rick si spostò verso di lui, lo guardò intensamente ma non disse nulla.
 “Non importa. Non è successo niente.”

Rimasero in silenzio pure dopo, ma esso era più godibile. Era naturale, una pausa lenitiva e rilassante. Riuscivano a riempire il vuoto non facendo nulla, essendo semplicemente Rick e Morty, si godevano la compagnia dell’altro come mai era accaduto.

C’era un qualcosa, un filo rosso intrecciato, disordinato e pieno di nodi che li collegava. Non era amore, era semplicemente….no, non lo sapeva che cos’era.
 Mise molto a disagio Rick, che cercò di dissimulare il tutto. “È divertente come io fossi quello a non tenerci, eppure eccola qua, distrutta, e sono l’unico a starci male”.

Anche lui si riferiva alla loro relazione come una struttura. Fece incurvare leggermente gli angoli delle labbra di Morty.

Strano e magnifico come potessero essere simili.

“Abbiamo costruito sul nulla, era…era inevitabile, ecco”. Sospirò Morty, appoggiando una mano sulla spalla di Rick. Sorprendentemente non fu scacciata via. “Ma il tuo amore non mi basta, Rick”.
 Nessuno dei due era abbastanza l’uno per l’altro. Rick era insaziabile e irrefrenabile, ma per Morty era sia il tutto che il niente, un dualismo sconcertate in una sola persona. “Ho…bisogno di tempo”.
 “Non sai cosa vuoi, lo so; sei indeciso fra il vecchio sociopatico e la dolce squinzietta. Devi scegliere.”

Il tu devi scegliere era sottinteso. Rick gli stava concedendo già una libertà?

“Sai, magari con Jessica potrei sposarmi, avere figli. Starei tranquillo, avrei una vita normale…”
 Rick ciondolò il capo in segno di dissenso. “No, no! Tu non sei fatto per una sciocca e banale vita normale, ugh.” commentò schifato.
 “So anche che non sono fatto per farmi picchiare da chi dice di amarmi.”
 Rick sospirò. “Cosa vuoi che ti dica, andiamo? Non c’è bisogno di evidenziare che non ti merito”.
 “Uh?” Morty era davvero sorpreso.
 “Ho detto qualcosa?”
 Il giovane lo guardò storto. “Lo sai…”
 “Lo so. E non mento.”

Un altro silenzio calò tra i due. “ Ho bisogno di tempo, Rick…”
 “Ci proverò.” Rick gli diede un sorriso sicuro. “E forse, chi lo sa, un giorno potremmo andare a prenderci un gelato, solo io e te, o in quel pianeta dove fanno dei waffles pazzesch-”
 Morty sospirò e quando sentì l’aria uscire dalla sua trachea, avvertì la sensazione che qualcosa si fosse spezzato. Di nuovo.

“Tu corri troppo per me, Rick”.

Ma forse era meglio così. Alcune cose devono essere distrutte, per poter essere rimodellate meglio e rinascere.
 “Aspetterò, Morty”.


NdA

Ehilà! Eccoci al penultimo capitolo :). Troppo soft, magari, da un lato, ma penso che la rottura del loro rapporto abbia dato un certo equilibrio lol. Sinceramente non ho molto da dire, oltre al fatto che vi ringrazio per essere arrivati a leggere fino a qui, vi adoro ❤. Bye!

 

   
 
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