“Allora,
ricapitolando, i soldi dei nostri clienti si sono già
volatilizzati. Quindi, se
vogliamo fargli avere qualcosa indietro, dovremo, beh, l’idea
è di derubare i
McCarthy.” Con uno sguardo tronfio e soddisfatto, Nathan
batté le mani. Eppure,
dal modo in cui subito dopo si passò una mano tra i capelli
sale e pepe, si
capiva che non sapesse esattamente cosa fare, e che era alla disperata
ricerca
di un piano di cui tutti avrebbero beneficiato: i loro clienti,
proprietari di
un piccolo negozietto che era stato soffocato dal pizzo, e soprattutto
la sua
squadra.
Il
Team Leverage osservava in quello che pareva essere religioso silenzio
gli
schermi che Hardison aveva montato nel retro del pub, senza aprire
bocca. Non
che ce ne fosse bisogno: lo sguardo di ogni membro della squadra
bastava a dire
quello che fin troppe volte avevano ripetuto fino allo sfinimento a
Nathan, e
che sarebbe stato comunque inutile- avessero obbiettato, lui avrebbe
trovato il
modo di convincerli a seguire le sue (folli) idee, perché
una volta impuntatosi
su qualcosa, fargli cambiare idea era pressoché impossibile.
Schiacciata
da quel soffocante silenzio, solo Becks trovò,
tentativamente e timidamente, il
coraggio di alzare la mano per richiedere la parola. Si sentiva come
una
scolaretta che si trovava ad avere a che fare con uno scorbutico
professore che
tutti evitavano come la peste perché troppo cocciuto per
cambiare idea,
granitico nelle sue posizioni iniziali.
“Chiedo
scusa, ma quando dici I McCarthy, tu parli di quei
McCarthy? La famiglia legata al crimine organizzato
irlandese?
I mafiosi. Gente che è davvero mafiosa,
non solo pettegolezzi. Criminali incalliti,
assetati di sangue, vendicativi, letali, che non fanno
troppi problemi a
far saltare in aria chi gli pesta i piedi… quei
McCarthy?” Seduto
al suo fianco, Eliot dischiuse le
labbra come per dire qualcosa, ma poi si morse la lingua. Era stufo di
fare lo
stesso discorso a Nathan ogni volta che si imbarcavano in qualcosa
più grosso
di loro, stufo di non essere ascoltato né tenuto in
eccessiva considerazione, e
non aveva la benché minima voglia di farsi tenere il muso da
Nathan quando le
cose fossero poi finite per il meglio.
Si
limitò a voltarsi verso la sua ragazza, sfoggiando il suo
più falso e
sarcastico sorriso di circostanza possibile.
“Okay,
giusto per capire, è una cosa che
capita spesso? Perché quando il qui presente mi ha implorato di unirvi a voi,”
disse, schietta, limitandosi a indicare
Eliot con il pollice destro. “Questa cosa che saremmo potuti
metterci contro la
mafia non era stata neanche lontanamente accennata.”
“Mafia
irlandese, italiana, russa, giapponese, Triade, cartelli del
narcotraffico, oh,
il governo degli Stati Uniti, una nazione Europea una volta, piccola,
ma c’è
stata anche quella…” Eliot fece a Becks un sorriso
malandrino, ma che sembrava,
al contempo, chiederle scusa per aver tralasciato quel particolare
quando le
aveva chiesto di unirsi alla squadra, per poterla avere sempre al
proprio
fianco. Lei sospirò, rassegnata, conscia che comunque
difficilmente avrebbe
potuto dire di no all’uomo che amava, e che anche ora,
provare a convincere
Nathan a non fare idiozie sarebbe stato del tutto inutile- lui avrebbe trovato il modo di
convincere lei che quella era
un’ottima idea.
Nathan
si limitò a scrollare le spalle con fare beffardo ed
arrogate, decisamente
compiaciuto con se stesso, probabilmente perfino un p’
troppo. “I McCarthy
stanno progettando un colpo- sappiamo che vogliono rubare qualcosa,
anche se
non sappiamo bene cosa esattamente. Perciò, li derubiamo,
rivendiamo qualsiasi
cosa sia e diamo il ricavato ai nostri clienti, cercando di incastrare
i
McCarthy per il furto. Tutto chiaro?”
Come
piano, aveva senso- nonostante sembrasse più un abbozzo che
un vero e proprio
piano.
Becks
sospirò, con la netta sensazione che prima di andare meglio,
che le colse
sarebbero volse in peggio prima che loro potessero anche solo
lontanamente
rendersene conto, e che il piano di Nathan sarebbe andato a farsi
benedire. Per
bene.
***
“Ragazzi, ho la netta impressione che
ci sia stato un piccolo fraintendimento riguardo a cosa i McCarthy
avessero
rubato…” Parker accennò attraverso
la ricetrasmittente, mentre, alla base, Nathan e Hardison si occupavano
di
controllare sullo schermo tutto quello che le capitava intorno,
assicurandosi
che né i McCarthy né la polizia o qualcun altro
potessero interromperla.
“Sì,
ma, puoi comunque trasportalo qui?” Nathan
controllò il cronografo, pensieroso.
“Ascolta, hai solo più due minuti prima che le
guardie passino di nuovo a
controllare, e se sarà necessario, posso dire ad Eliot di
intervenire, ma ci ha
messo delle settimane a in filtrarsi, e se possibile vorrei evitare di
far
cadere la sua copertura, potrebbe ancora farci
comodo…”
Seduta
in macchina, pronta a raccogliere la grande ladra non appena avesse
finito il
colpo, Becks quasi poteva vedere Parker scrollare la spalle con
nonchalance. Lo
scanner con cui controllava i movimenti della polizia
cinguettò, avvertendola
di un allarme suonato in un negozio delle vicinanze, e
dell’imminente arrivo
delle forze dell’ordine.
“Parker, afferra qualsiasi cosa quel
balordo di McCarthy abbia rubato, ficcalo in quella maledetta borsa nei
prossimi due minuti, o altre ad avere a che fare con la mafia ci
ritroveremo
inondati di sbirri, e lo sappiamo tutti che io sono troppo delicata e
sensibile
per finire in galera. Gli scienziati non hanno vita facile dietro le
sbarre,
ok? Per non parlare che le patrie galere sono piene di quelli che voi
avete
avuto la brillante idea di farvi nemici, le principali associazioni a
delinquere incluse!”
“Ehy, me lo avete detto voi, quindi
poi non lamentatevi. Io rispetto solo i vostri ordini!” Parker
si limitò a
rispondere.
In
sottofondo, Becks ascoltò Eliot ed Hardison litigare,
lamentandosi di quanto
drammatica la donna fosse stata, e di come stesse prendendo tutte le
brutte
abitudini dell’hacker, che rammentava al amico/nemico chi in
casa sua fosse il
genio- e avesse quindi più facilmente ragione.
Sorridendo,
vedendo Parker avvicinarsi di corsa, Becks suggerì al
compagno di fare
attenzione a come avrebbe replicato- dopotutto, non era avversa a farlo
dormire
sul divano se lui l’avesse contrariata.
***
“Andiamo
Parker, stiamo morendo di curiosità…
cos’è che hai fregato ai McCarthy?
Gioielli? Soldi? Opere d’arte? Una partita di droga? Su, apri
e facci vedere
cos’hai!”- Saltellando eccitata come una bambina la
mattina di Natale, Sophie
si sfregò le mani con fare cospiratorio, senza rendersi
conto dell’occhiata
malandrina che Parker lanciava alla borsa sul tavolo, quasi stesse
tenendo un
segreto di cui lei sola era a conoscenza.
“Sì,
però smettiamola di chiamarlo cosa e coso, anche se
comunque, a mia discolpa,
non ho avuto tempo di controllare
di cosa si trattasse perché ero di fretta, e poi
c’è tutto quel verde, e quel
giallo, quindi non è esattamente indicativo di cosa si
tratti…”
Con
gli occhi sgranati, Becks trangugiò a bocca asciutta,
sapendo che quello era il
momento fatidico, quello che aveva sentito sarebbe arrivato quando
aveva detto
a Nathan che le cose sarebbero andate male e che il paino originale
sarebbe
andato presto a farsi benedire. “Parker… si
può sapere che cosa hai rubato?” le
chiese, nonostante temesse la domanda.
Lentamente,
Parker aprì ancora di più la zip del borsone,
scostandone i lembi, rivelando il
contenuto misterioso.
“Ma
è…” Eliot fece per dire, con gli occhi
stupiti. “Quello è un bambolotto, vero?
Uno di quelli molto realistici. Ti prego, dimmi che hai rubato il
prototipo di
un giocattolo…”
Eliot
non aveva nemmeno ancora finito la frase che il neonato
scoppiò in un pianto
incessante.
Era
decisamente un bambino vero e non un giocattolo.
***
“Ho
controllato in tutto lo stato, e non ho trovato denunce di scomparsa
che
combacino con la descrizione del nostro
bambino.” Hardison si massaggiò la
fronte, dividendo la sua attenzione tra
i suoi amati computer e lo scatolone che avevano trasformato in culla
d’emergenza.
“Dannazione
Hardison, devi proprio chiamarlo il nostro bambino? Mi fa
strano!” Eliot sibilò
a denti stretti, facendo alzare gli occhi al cielo ad Hardison.
“E
tu piantalo di chiamarlo coso, o gli farai venire un complesso! E
comunque,
visto che lui ora è qui e non ha un nome, tanto vale
chiamarlo il nostro
bambino. Sempre che tu non preferisca Eliot Junior- se usi un
po’ di
immaginazione, sembra quasi che i suoi occhi siano identici ai
tuoi!” Hardison
sorrise malandrino all’amico di vecchia data, ridacchiando
leggermente. “Sempre
che a te non dia fastidio perché hai paura di impegnarti,
perché in questo caso
credo che dovresti poter voler accennare la cosa alla tua deliziosa
fidanzata.”
Becks
alzò gli occhi al cielo mentre Eliot dava una sberla ad
Hardison sul capo;
sapevano come sarebbe andata a finire, avrebbero litigato per giorni,
ed Eliot
sarebbe stato in grado di rinfacciargli le cose per mesi, magari anni,
proprio
come faceva ancora con la storia del sandwich gourmet rubato.
“Ti stupisci? La gente
normale, se la mafia li minaccia o rapisce i loro figli, tentano di
arginare il
problema, occuparsene da soli, non si ficcano nei guai più
del dovuto! Forse la
famiglia del bambino starà aspettando istruzioni adesso,
magari non sanno
nemmeno che i McCarthy non lo hanno più..”
La
donna si voltò a osservare il neonato, che sfoggiava quello
che sembrava essere
un sorriso sdentato, mentre stringeva tra le mani un peluche porpora a
forma di
dinosauro, gentilmente offerto da Parker.
(Cosa
che francamente li preoccupava un po’. Cosa se ne faceva
Parker di peluche?)
“Becks
ha ragione. Se cerchiamo tra i canali ufficiali, non sapremo mai chi
è Junior.”
Hardison sospirò, rattristato all’idea di vedere
un altro bambino crescere nel
sistema, lontano da veri genitori. Lui era stato fortunato, aveva avuto
Nana,
che era stata da sola migliore di molte coppie, ma molti bambini- come
Parker-
non avevano questa fortuna. “Forse da qualche parte
c’è una famiglia che si
chiede cosa sia successo al loro piccolo.. come facciamo a trovarli? È come cercare
un ago in un pagliaio senza
magnete!”
“Io
so solo che non permetterò di Junior finisca in mano ai
servizi sociali!” Parker
disse, determinata, mentre ricordava
la sua infanzia, le tante case famiglia in cui era vissuta, di gente
che la
prendeva con se per gli aiuti economici che avere un bambino in
custodia
comportava, e non perché volessero dare affetto o aiutarla.
“Junior ha bisogno
di cose da neonato…cibo, vestiti, pannolini, giochi, una
vera culla… non
possiamo cerco iniziare così da subito ad addestrarlo per
essere il primo
membro della prossima generazione di
Leverage Incorporated così, senza dargli le basi!”
“Calma
gente, non possiamo tenere Eliot Junior… “ Becks
chiuse gli occhi e sibilò a
denti stretti, stringendo i pugni. Guardò Eliot con sguardo
da cucciolo, quasi
a dirgli che la cosa le era scappata e non certo per colpa propria, ma
perché era
stata involontariamente contagiata da Hardison e Parker.
“Parker ha ragione. Se
il piccolo entra nel circuito dei servizi sociali potrebbe non uscirne
più. Potrebbero
trovare i suoi genitori e non restituirlo, o potrebbero non trovarli
mai… dobbiamo
continuare a scavare e intanto
vediamo di procurarci le cose necessarie per il piccolo.”
Eliot
mise le mani sui fianchi, e guardò fisso negli occhi la
compagna, pronto a
dirgliene due, nella speranza di farla rinsavire, sapendo
però che, testarda
com’era, sarebbe stato complicato. “Ti rendi conto
che difficilmente passerà inosservato
il fatto che all’improvviso giri tutto il giorno con un
neonato urlante appiccicato
addosso?”
“Sì,
e allora? Reciterò la mia parte.” Gli rispose con
un sorrisetto e scrollando le
spalle. “Dirò che è mio nipote, e che
Maddie e Danny sono volati in Inghilterra
per occuparsi della mamma di lui, ma che hanno preferito lasciare
Junior a me perché
pensavano fosse troppo piccolo per sopportare un viaggio in
aereo…”
“Tu,
amore mio, sei completamente pazza.” Si pizzicò il
naso, chinando il capo come
se non vedendo cosa accadeva, lo avrebbe reso un brutto sogno.
“sentite, io mi
chiamo fuori. Lo volete tenere? Va bene, ma ci pensate voi. E sia ben
chiaro,
non lo cresceremo per essere un ladro combattente, né lo
chiameremo Eliot
Junior, va bene?” Urlò a bassa voce, mentre
lasciava la stanza, tentando in
vano di battere le porte, visto che Hardison le aveva motorizzate.
“Non
preoccupatevi, gli farò cambiare idea.” Becks
scroccò la lingua sul palato. “Intanto,
perché non hackeri la lista nascita del pargolo di qualche
ricco idiota? Parker
ed io dobbiamo andare a fare shopping!”
Eccitata
all’idea di rubare, nonostante non fosse la stessa cosa,
quando non c’era da
avere a che fare con sistemi di sicurezza, laser, allarmi, sensori di
movimento
e arrampicarsi su per dei ripidi palazzi, Parker saltellava sul posto
come una
bambina che si era mangiata troppo cioccolato.
***
Mentre
Becks stava facendo passare la carta di credito che si presumeva
appartenere al
padre del giovane Michael Steward Joseph Arlington Terzo, la donna vide
due
muscolose braccia abbronzate avvicinarsi al nastro della cassa, pronte
ad afferrare
i suoi acquisti, evitando la fatica alle due donne.
“Ehy,
se tu e Parker volete ancora andare a fare un giro fate pure,
bimba.” Eliot le
disse, dolcemente, dandole un veloce e casto bacio sul collo.
“Ci penso io a
caricare la macchina.”
Becks
lo osservò, prendere con attenzione in mano i vari oggetti,
riporli nel
carrello con cura, quasi studiandoli-
a
quanto pare, alla fine si era convinto e tenere temporaneamente il
piccolo- e la
donna sorrise alla bella figura che il suo uomo faceva. Anche con i
capelli
sciolti e vestito da cowboy o da operaio, Eliot faceva la sua bella
figura, ma
per andare ad aiutarle, si era dato una bella messa a posto, aveva
legato i
capelli, come quando andava sotto copertura come medico o professore di
qualche
tipo, e aveva messo gli occhiali da vista. Aveva perfino scelto di
mettere una
camicia di un soffice tessuto blu, invece di quelle di jeans o flanella
che
indossava di solito.
“Che
uomo sexy è suo marito….”
Sospirò sognante la commessa. “Lei è
l’invidia di
molte donne qui, oggi. Lo sa quanti uomini mandano le loro mogli da
sole a fare
acquisti per i loro figli? Troppi! Neanche ce li facessimo da sole i
figli!”
Becks
arrossì, e mormorò i suoi ringraziamenti, che
sì, era d’accordo, e non provò a
cambiare idea alla commessa, né a chiarire la sua posizione
maritale.
Parker
stava aiutando Eliot a caricare la macchina, pregustando come sarebbe
stato
avere un ladro ninja hacker scienziato pazzo da crescere.
***
Eliot
si svegliò nel cuore della notte, trovando il posto accanto
al suo nel letto
già freddo. Lamentandosi, leggermente irritato, percorse a
piedi (e petto) nudi
i corridoi di quella che era la sua casa da tempo immemore alla ricerca
della
sua ragazza; prima di trovarla, però, vide di sfuggita
Hardison, ancora
impegnato a osservare gli schermi dei suoi computer mentre mangiava
brioche con
caffè ormai
freddo sull'isola della
cucina.
“Cerchi
ancora la famiglia del bambino?” Chiese, appoggiato alla
porta, facendo
scorrere una mano tra i suoi capelli disordinati. Tra una boccata di
cibo e
l'altra, Hardison cercò di parlare, ma non riuscendovi si
limitò ad annuire,
facendo alzare gli occhi al cielo ad Eliot, che si chiese se il suo
amico
sapesse cosa fossero le buone maniere. “Hai visto
Becks?”
Rapidamente,
l'hacker ingoiò il suo cibo, quasi soffocando, battendosi un
pugno sul petto
per aiutarsi a deglutire meglio. “Junior stava piangendo.
L’ha preso in braccio…
credo sia in salotto.”
Eliot
annuì senza salutare, e sbuffando si diresse verso quello
che Hardison si era
fissato essere il salotto - c'era un divano, delle
poltrone e uno schermo gigante, quindi
il nome sarebbe stato corretto, non fosse stato che quella era
più una sala
riunioni per l’organizzazione dei loro colpi - dove
“Junior” dormiva
tranquillamente nella sua nuovissima culla, con Becks
che, malinconica, vegliava sul bambino,
seduta sul divano, con la testa rivolta verso il basso, con uno sguardo
distante, un po' smarrito e triste.
“Ehi,
tutto bene?” Le chiese, sedendosi accanto a lei, avvolgendola
tra le braccia,
accarezzandole i capelli con le labbra, bacio dopo tenero bacio.
“No,
non proprio”. Aveva finalmente capito. Sapeva
perché Eliot era stato così
contrario a tenere il bambino con loro: non solo non voleva che si
affezionassero
a Junior, ma non voleva dare a lei false speranze, creare sogni
destinati ad
essere infranti nel momento in cui si fossero scontrati con la dura
realtà.
(Junior
non era il loro bambino, e non avrebbero potuto mai essere genitori,
né di questo
né di altri bambini. Non era la loro vita. Non per persone
come loro, almeno).
“Tesoro...”
Lui fece per dire, ma girandosi nel suo caldo abbraccio, lei lo
fermò,
mettendogli due delicate dita sulle labbra.
“Eliot,
per favore… Abbracciami. Voglio solo questo ora.”
***
Il
neonato si chiamava Andrew Carliste, scoprirono dopo aver cercato in
lungo e
largo per oltre due settimane dopo averlo portato via ai McCarthy.
Il
padre si era ammalato quando la madre era incinta di pochi mesi, le
spese
mediche non erano coperte dalla sua magra assicurazione (la storia
più vecchia
del mondo – spezzò il cuore di Nathan, che per
giorni a malapena rivolse loro
la parola, facendolo comportare irrazionalmente come quando si erano
incontrati)
e per salvargli la vita, la moglie si era lasciata convincere a
chiedere un
prestito agli strozzini dei McCarthy.
Ma
le fatture avevano continuato ad arrivare, gli interessi si erano
accumulati, e
dopo aver venduto tutto quello che lei e suo marito possedevano,
proprio quando
finalmente lui iniziava a sentirsi un po' meglio, i McCarthy avevano
chiesto
l'immediata restituzione dell'intera somma. Quando la famiglia Carliste
era stata
costretta ad ammettere di non avere più nulla, il braccio
destro del grande
capo aveva posato gli occhi sul piccolo Andrew, vedendo dispiegarsi
davanti a sé
la possibilità di un nuovo business, quello della
compravendita di bambini Così,
avevano rapito il piccolo Andrew, per venderlo al miglior offerente.
Per
fortuna la Leverage Incorporated si era imbattuta nel bambino prima che
fosse
troppo tardi - prima che sparisse senza lasciare traccia, o che finisse
nelle
mani di qualche pazzo che gli avrebbe fatto del male, e ora, il piccolo
Andrew
era tornato a casa con i suoi genitori, tutte le cose che gli avevano
comprato
i suoi zii e le sue zie, e i suoi genitori avevano ricevuto due soldini
per tenere a galla
l'attività, per assicurarsi
che il padre del bambino ricevesse tutte le cure necessarie e che non
di
dovessero preoccupare del denaro per un bel po’.
Però,
asciare andare il "loro" bambino era stato dolceamaro per tutti loro.
Nathan
si era rattristato, perdendo (anche se in modo diverso) un altro
bambino, e
Sophie era stata lì per lui, la sua pietra, la sua ancora in
un oceano di caos
e disperazione e ricordi che minacciavano di inghiottirlo.
Parker
era rimasta delusa, dopo essersi tuffata nel ruolo della fata madrina,
credendo
davvero di avere tra le mani il primo membro della prossima generazione
di
ladri.
Hardison
era stato felice di sapere che Andrew era amato, e che i suoi genitori
erano
disperati non sapendo cosa fare o come riportarlo a casa.
Eliot
aveva fatto il duro (o almeno, aveva fatto finta di esserlo), aveva
borbottato
qualcosa, ma era chiaro che dopo due settimane passate a fare il
genitore per
il piccoletto, gli dispiaceva di dover tornare ad essere "solo" un
picchiatore ed esperto di recuperi.
Becks,
che Eliot aveva sorpreso tante notti a vegliare sul bambino, che lo
aveva
nutrito, coccolato, cullato, a cui aveva canticchiato vecchie
ninnananna, non
aveva detto una sola parola.
Ma,
con i denti stretti, non era riuscita a trattenere le lacrime mentre
gli diceva
addio.
***
“Sai
che non ti tratterrei se decidessi di
andartene perché un bambino è quello che vuoi,
vero?”
Becks,
seduta nel letto che da ormai tempo condivide con Eliot,
alzò gli occhi
arrossati dal libro che aveva tentato invano di leggere per ore. Il
sorriso del
suo uomo era sincero, ma segnato da un’innata tristezza, e
quando i loro
sguardi si incontrarono, Becks ricordò la prima volta in
cui, seduti sulla
scala, Eliot l’aveva baciata per darle coraggio- come allora,
tutto quello che
lui desiderava era la felicità ed il benessere interiore
della sua amata.
Becks
si tolse gli occhiali e li ripose ordinatamente sul comodino, insieme
al libro-
come Eliot, apprezzava l’ordine e la precisione- e quando lui
la raggiunse a
letto, gli allacciò le braccia
al collo,
facendo scorrere le dita tra i soffici e lunghi capelli ribelli, le cui
punte
le solleticarono il viso quando lo trascinò a sé
per un bacio.
“Tesoro,
se pensi di aver bisogno di tempo per riflettere, di spazio, lo sai che
io…” le
disse dolcemente, mentre lei si
accoccolava contro il suo petto, lasciandosi cullare dal regolare
battito del
cuore di Eliot.
“Ho
sprecato dieci anni della mia vita a morirti dietro, Eliot, e pensi che
ti lascerò
andare proprio adesso? Scordatelo, dolcezza. Mi dovrai sopportare per
il resto
dei tuoi giorni. Finché morte non ci separi, con o senza un
anello.”
Ridacchiò
mentre le accarezzava la schiena con rilassanti movimenti circolari.
“Sapevo
che doveva esserci un buon motivo per cui mi sono innamorato di te,
dolcezza.”
Stettero
in silenzio per un lungo istante, poi Becks baciò un punto
proprio sopra il
cuore di Eliot, dove c’era una cicatrice- una vecchia ferita
per cui era quasi
morto, ricevuta anni prima che si fosse unito a Nathan e la sua cricca.
“Non
credevo che ammettere di volere qualcosa, e capire che non lo potrai
mai avere,
potesse fare così male.”
“Becks,
se è essere una madre quello che vuoi, sei ancora in
tempo…”
“Lo
so, credimi, lo so.” Gli disse, fermandolo prima che potesse
procedere, “ma tu
sei l’unico uomo che abbia mai immaginato come il padre dei
miei figli, e so
che per quanto tu abbia messo la testa a posto, questo
è il massimo che potremo mai avere, per quello che
siamo, e
per da dove veniamo. Aiutiamo le persone, ma ci siamo messi contro,
praticamente chiunque e questo è il prezzo da pagare.
Ma… siamo fortunati,
tutti noi. Nathan e Sophie, Hardison e Parker, tu ed
io…” fece una pausa,
sospirando. “Ti amo, Elio, e tu sei
la mia famiglia- e anche gli altri, e mi basta, va bene
così. Solo che… con
quel ciuffetto rossiccio e gli occhi azzurri, Andrew sembrava davvero
nostro,
e… non so. Credo solo di aver bisogno di tempo.”
Senza
dire una parola, Becks sapeva che Eliot stava acconsentendo alla sua
richiesta-
era un uomo di poche parole, dopotutto, e spesso e volentieri, tra di
loro,
bastava uno sguardo perché avessero intere conversazioni.
La
donna cadde in un profondo sonno, rassicurata dal battito e dal respiro
regolare del compagno, mentre Eliot faceva scorrere le dita tra le
morbide e
setose ciocche, senza chiudere gli occhi, sapendo che, se lo avesse
fatto,
avrebbe rivisto ciò che da tempo ormai sognava- e che
sarebbe rimasto un sogno:
Becks, vestita di bianco, accanto a lui all’altare, con in
braccio un neonato
con i capelli rossi ed i suoi occhi azzurri.