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Autore: Nymeria90    09/09/2020    0 recensioni
Questa storia prosegue il filone narrattvo di "La fine è il mio inizio".
"Sono il prodotto del mio passato, Vega, il risultato di scelte giuste e di scelte sbagliate. Senza di esse non sarei la donna che sono ora: il comandante in grado di portare sulle spalle il sacco dei dolori del mondo. Senza quegli errori non sarei Shepard e, forse, la galassia sarebbe spacciata. Se tornassi indietro cento volte, Vega, per novantanove volte rifarei le stesse scelte.
-E la centesima?-
Sasha gli rivolse uno strano sorriso, a metà tra malizia e tristezza - La centesima sceglierei di essere felice.-"
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Comandante Shepard Donna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Cittadella 2186

Fu come un orgasmo. 
Guardare dentro gli occhi disumani dell’Uomo Misterioso e premere il grilletto le provocò una scarica di piacere che mise a dura prova il suo corpo stremato.
Aveva perso tutto a causa di quell’uomo. La sete di vendetta, il desiderio bruciante di vederlo morire, erano diventati la sua ossessione, da quando il caporale Toombs le aveva rivelato chi si celava dietro il massacro di Akuze. Eppure, in nome di un bene superiore e di promesse sigillate col sangue davanti alle tombe di chi aveva perduto, aveva chiamato alleato il suo più grande nemico.
Di tutte le punizioni infertagli dalla galassia, quella era stata la peggiore.
Ma adesso era arrivato per lei li momento di raccogliere i frutti dei suoi immani sacrifici e mai raccolto era stato più dolce.
Trascinandosi la gamba ferita, premendo una mano insanguinata sul ventre squarciato, zoppicò fino al terminale di controllo e lanciò la sua ultima sfida ai Razziatori.
Passò accanto al corpo devastato dell’uomo che un tempo portava il nome di Jack Harper, prima che lui stesso lo abbandonasse assieme alla sua umanità.
Lo sentì sussurrare parole di agonia mentre le braccia della Cittadella si aprivano e svelavano un mondo che stava bruciando.
Definì la Terra perfetta, prima di chiudere gli occhi per sempre.
Non lo era, perfetta, dissentì Sasha mentre appoggiava le braccia sul terminale per sostenere il suo corpo morente.
Non sapeva esattamente perché amasse la Terra. Era sporca, corrotta e infetta. A volte bugiarda e traditrice, spesso impietosa e indifferente. Eppure, dopo averla vista anche solo una volta, non era più possibile farne a meno.
No, non era perfetta: per questo doveva salvarla.
La perfezione poteva essere imitata, ripetuta, copiata … la Terra, così ricca di difetti, era unica nell’universo:  un motivo più che sufficiente per combattere per essa.
Tornò da Anderson, angelo custode della sua vita sconsiderata, e si lasciò cadere al suo fianco: non più Shepard, solo Sasha.
Seduti fianco a fianco attesero la morte, da pari a pari.
La morte arrivò, si prese Anderson, la guardò e sussurrò a mezza bocca “non ancora”.
Con un gemito e una bestemmia ascoltò l’invocazione di Hackett a fare qualcosa, qualunque cosa, per far funzionare quell’arma maledetta in cui avevano riposto tutte le loro speranze.
Moribonda e stremata rivestì i panni del comandante Shepard e strisciò fino al terminale.
Arrancò senza sapere cosa fare, sconfitta a un passo dalla vittoria. Si lasciò cadere sul gelido metallo e fu a quel punto che, infine, qualcosa … accadde.

Pensava a se stessa come “al Catalizzatore”, l’entità che l’accolse in quel limbo dove si decidevano le sorti dell’universo.
Quell’essere, che la torturava assumendo le sembianze di chi non era riuscita a salvare, le disse che doveva scegliere. Lei, che si era spinta più in là di qualsiasi essere vivente del passato e del presente, che aveva portato sulle spalle il sacco con tutti i dolori del mondo, ora doveva scegliere il destino di una galassia intera.
Un’altra persona avrebbe pensato fosse troppo. Un’altra persona sarebbe crollata sotto il peso di una simile responsabilità. 
Ma lei non era una persona normale, non lo era mai stata, non avrebbe mai potuto esserlo.
Era nata portando la morte, cresciuta con un’arma nel pugno, aveva distrutto ciò che aveva amato e salvato ciò che nessuno poteva amare. Infine era morta e rinata e poi morta ancora, finché non aveva capito che se voleva andare avanti doveva accettare di tornare indietro: doveva aprire il libro dei suoi errori, leggerlo tutto dall’inizio alla fine, ed infine farsene una ragione. Non poteva aspettarsi sconti dalla galassia, nessuna comprensione, nessuna empatia: la galassia non era giusta, la galassia non era equa, non aveva ordine e non aveva regole, non era buona e nemmeno crudele. Era solo caos che si prendeva ogni cosa, senza guardare in faccia nessuno.
Poteva portare ordine nella galassia, questo le stava dicendo l’intelligenza. 
Poteva mutare per sempre la natura del mondo, fondendo la vita organica con quella sintetica, donando a tutti un’eternità perfetta e banale. Lei sarebbe divenuta Frankenstein e la galassia il suo mostro. 
Le tornò in mente una domanda che aveva posto all’intelligenza artificiale della sua nave, in un passato recente che in quel momento le sembrava lontanissimo: -La sottomissione è preferibile all’estinzione?”
Sapeva la risposta, la sapeva a memoria. 
Non avrebbe trasformato la galassia in un abominevole parco giochi di creature ibride ed eterne: preferiva l’estinzione a quella soluzione.
La sua seconda scelta era quella dell’Uomo Misterioso: prendere il posto dell’intelligenza, diventare una divinità e plasmare l’universo come più le sarebbe piaciuto.
Era una proposta allettante, una prospettiva per la quale l’Uomo Misterioso aveva compiuto i più atroci crimini: era la Soluzione a tutti i problemi dell’universo.
Guardò il fascio di luce blu e poi il suo sguardo si fissò sulla “cosa” che aveva le sembianze di un bambino. Immaginò se stessa al suo posto, avviluppata nella sua stessa coscienza, imbrigliata per sempre in un eterno pensiero, costretta a convivere con se stessa fino alla fine dei tempi, priva di forma ma non di memoria.
Era disposta a compiere un simile sacrificio in nome di un bene superiore?
Non ebbe bisogno di pensarci: la risposa le uscì dalle viscere, le salì sulle labbra come un rigurgito: - NO.-
La mano della pistola tremava, ma la sua volontà era salda.  
Aveva dato alla galassia tutto, non le avrebbe dato altro.
Il bambino le disse che con quella scelta avrebbe salvato tutti, sacrificando solo se stessa e la galassia sarebbe stata al sicuro da guerre future. Sasha non degnò il bambino di una risposta ma alla parte di lei, quella portava il nome di Shepard e continuava a ripeterle che sarebbe stata la scelta più nobile, ribadì che lei aveva fatto abbastanza, che IDA e i Geth non valevano un simile sacrificio: nessuno lo valeva. Il destino della galassia non era più nelle sue mani: lei aveva fatto abbastanza.
Quando l’intelligenza capì cosa voleva fare tentò di farle cambiare idea, perché dopotutto, per lei, la Distruzione era la scelta peggiore.
-Lui avrebbe scelto il Controllo.- le disse, con la sua inquietante voce bambina.
Non si riferiva all’Uomo Misterioso, ma un altro comandante che, in un’altra storia, in un altro universo, sarebbe stato lì in piedi al suo posto.
-Lui era un eroe.- rispose seccamente, spianando la pistola davanti a sé – Io sono un essere umano.-
Non dovette aggiungere altro.
Nonostante tutta la sua forza, lì nel luogo in cui era nato, il Catalizzatore era impotente: non poté fermarla mentre avanzava, pistola spianata verso i giunti che avrebbero annientato i Razziatori e tutte le creature sintetiche dell’universo.
Rovesciò su quella terribile tecnologia una pioggia di proiettili; provò pena per la specie che stava annientando, ma non colpa.
Guardando fin dove era arrivata, le perdite che aveva subito, i sacrifici che aveva dovuto compiere, chi nella galassia, avrebbe avuto il coraggio di biasimarla per aver scelto la morte invece dell’eternità?
Quando i giunti finalmente esplosero, Sasha Shepard allargò le braccia e, con un sorriso sulle labbra insanguinate, finalmente abbracciò la morte.
Il suo corpo fu sbalzato via, si sentì cadere e poi … poi fu un meraviglioso oblio.

La Normandy ondeggiava e cigolava come una nave in balia di una tempesta; il suo muso affusolato fremeva e le possenti ali faticavano a tenerla in posizione, eppure, nonostante tutto, si ostinava a rimanere ancorata alla Terra, legata al destino del suo comandante come l’anima al corpo.
Shepard non era morta cercando di raggiungere il raggio, di questo Kaidan era fermamente convinto. 
Sapeva, meglio di chiunque altro su quella nave e forse nell’intera galassia, quanto irremovibile fosse la volontà di quella giovane donna dai fieri occhi verdi. 
Sasha Shepard aveva un debito da saldare: con l’Uomo Misterioso, con i Razziatori ed infine con la galassia intera. Non sarebbe morta, non avrebbe permesso a se stessa di morire, prima di aver saldato il suo debito.
E mentre tutti si arrendevano al panico e alla disperazione, convinti che le ultime speranze dell’universo si fossero estinte nell’accecante bagliore rosso che aveva disintegrato l’ultimo, disperato, assalto, al raggio della Cittadella, Kaidan Alenko rimase fermo al suo posto, sul ponte della Normandy, incurante del sangue che gli inzuppava la divisa.
Attendeva. 
Attendeva che Shepard facesse il suo dovere.
Ed infine la sua fede fu premiata.
Le braccia della Cittadella si aprirono e il comandante Shepard eseguì l’ultimo ordine datole da un essere umano: attivò il Crucibolo.
Una luce rossa, abbagliante e devastante, squarciò la Cittadella e i Razziatori più vicini esplosero come fuochi d’artificio in una notte di festa.
La flotta della resistenza si sganciò dal conflitto, cercando in qualche modo di sfuggire a quel raggio devastatore. 
Ma la Normandy non si mosse. Non aveva intenzione di partire senza il suo comandante.
Fu allora che Kaidan Alenko capì perché, di tutti gli esseri della galassia, lei avesse scelto proprio lui.
Perché lo aveva guardato negli occhi e nel profondo delle sue iridi scure aveva intravisto il riflesso di se stessa.
Il maggiore Kaidan Alenko posò la mano sullo schienale della poltrona di Joker che, invano, si affannava a tenere la Normandy aggrappata alla Terra e al suo comandante.
-Dobbiamo andare, Joker.-
Ma Jeff non lo ascoltava, incapace di abbandonare il suo comandante a morte certa … per la seconda volta.
-Lei è ancora là, maggiore. –
- Jeff …-
-Non la abbandonerò di nuovo!-
Kaidan chiuse gli occhi e si obbligò a mantenere la sua promessa -Non possiamo salvarla, Jeff. Non dobbiamo salvarla.- affondò le dita nel sedile in pelle, aggrappandosi all’ultima cosa che gli restava di lei: la sua nave – È giusto che il comandante Shepard riposi in pace. Dobbiamo lasciarla andare.- 
Al suo fianco Samantha Traynor represse un singhiozzo, sentì la sua mano aggrapparsi al suo braccio, ma non disse nulla per contraddirlo.
I terminali della nave lampeggiavano, come impazziti, il ponte tremava, le luci fluttuavano: la Normandy piangeva la fine del suo comandante.
Infine Jeff Moreau capitolò – Maledizione.- fu l’unica cosa che disse.
La Normandy si allontanò dalla Terra, tuffandosi nello spazio inseguita da quell’onda di pura energia, rossa e terribile, che le lambiva la coda. Tentò di fuggire, ma non vi riuscì: fu travolta e, infine, precipitò. 



N.A. Non c'è molto da dire. Non si tratta più di un terribile ritardo, ammetto di aver pensato di abbandonare.
Eppure c'è sempre qualcosa che mi riporta indietro. Sembra proprio che io debba finire questa storia e credo che lo farò, prima o poi ... che sia rimasto qualche lettore oppure no. A chiunque sia arrivato qui grazie e, se invece non è arrivato nessuno ... bhé in quel caso è inutile scrivere altro ... 
A En Sev En gentilissimo e graditissimo recensore vanno le mie scuse per non aver mai risposto. Vedo solo ora la sua splendida recensione e lo ringrazio. Confesso di esserne rimasta molto sorpresa e commossa.
Mi scuso anche con chiunque altro abbia letto i precedenti capitoli e sia rimasto deluso dal fatto che io non abbia continuato. Se c'è qualcuno di nuovo bentrovato, se non c'è nessuno ... bhé valgono le righe di sopra ...

 
  
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