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Autore: Shadow writer    13/09/2020    6 recensioni
In una metropoli urbana dominata da corruzione e giochi di potere, una giovane donna cerca di farsi spazio attraverso strade poco lecite.
Dopo gli ultimi eventi, la duchessa si trova alle strette e la posta in gioco si fa sempre più alta: il potere e le persone che ama.
Quello che non sa, è che qualcuno le sta alle calcagna, impaziente di vederla crollare. Ma come può combattere un nemico invisibile?
Dalla storia:
“Sentì un fermento nel suo stomaco e una sensazione di ebbrezza che le andò alla testa.
«Sei fortunata» replicò e si passò la lingua sulle labbra, come assaporando quel momento. «Si dà il caso che concedere favori sia la mia specialità».”
Genere: Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La duchessa '
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Noah
 


L’uomo lo guardò con l’aria di chi non è convinto.
«Spiegati».
Gabriel prese un respiro profondo. Era preparato.
«Dovevo dei favori a Cassandra, così l’anno scorso lei ha chiesto – o forse è meglio dire, ha pretesto – che annunciassimo il nostro fidanzamento.»
«Fin qui nulla di nuovo» commentò l’altro sbuffando.
«Ci sto arrivando» replicò Gabriel scocciato. «Una delle sue prime richieste fu di ottenere l’affidamento di questo bambino, Noah, dopo che la coppia che lo aveva adottato era risultata inadatta.»
L’uomo lo interruppe per chiedere spiegazioni e lui scrollò le spalle: «Una questione di droga, ma non mi stupirebbe se anche questa fosse stata una trovata della duchessa. In ogni caso mi chiese l’aiuto di mio padre che in quel momento aveva ripreso la posizione di sindaco dopo lo scandalo di Alexander Henderson.»
Gabriel fece una pausa, poi si lasciò scappare una risata: «Tridell è proprio la città degli scandali, no?»
L’impassibilità dell’altro lo spinse a continuare.
«Feci ciò che mi era stato chiesto e credo che quello fu l’ultimo favore che ottenni da mio padre. Io non so quanto lei conosca Cassandra, ma se pensa che io sia un caso disperato, è perché non ha mai visto lei.»
Scosse il capo e trangugiò il contenuto del suo bicchiere, poi si allungò sul balcone per ordinarne un altro.
«Spiegati meglio» lo incalzò l’uomo.
«Quando mi disse che voleva il bambino, non feci domande ed eseguii. Qualsiasi cosa lei faccia è frutto di un piano ben calcolato e, conoscendola, non mi ha stupito che fosse disposta ad utilizzare un bambino per ottenere i propri scopi.»
Gabriel si lanciò uno sguardo alle spalle. Il pub era occupato dagli stessi uomini ubriachi che non badavano a loro. Ruotò lo sgabello e si piegò leggermente in avanti, verso il proprio interlocutore. Lo sguardo gli cadde su quel lembo di pelle nuda tra le maniche e i guanti, su cui serpeggiavano diversi tatuaggi.
L’uomo si piegò a sua volta in avanti e, quando parlò, il suo fiato di tabacco accarezzò il volto di Gabriel.
«Continua»
Il giovane sospirò. «Non ho accesso al palazzo della duchessa e lei non mi ha mai fatto avvicinare al bambino, ma ci sono alcune cose che so. Noah non esce mai, frequenta una sorta di classe composta da bambini figli del personale o di parenti del personale. Se vuole il mio parere, la duchessa ha costruito una gabbia dorata intorno a lui.»
«Non voglio il tuo parere. Voglio fatti» ribatté l’altro.
Gabriel sollevò le sopracciglia e prese un sorso dal suo bicchiere.
«Non è chiaro?» rise. «Noah non era una pedina di un piano più complesso, era la meta.»
L’uomo non rispose subito e quella constatazione rimane sospesa nell’aria, pesando sulle loro teste.
«Ora puoi anche lasciare la valigetta» commentò il ragazzo ammiccando.
L’altro gli rivolse un’occhiata scocciata.
«Stai scherzando? Cosa pensi che me ne faccia di questa storia lacrimevole? Che ci scriva un romanzo?» replicò, stringendo a sé la valigetta. Poi si frugò nel cappotto ed estrasse una busta, che cacciò nelle mani di Gabriel.
«Questa è una prima parte. Modesta, come modeste sono state le tue informazioni. Portami qualcosa di più concreto e avrai il resto.»
Non aspettò la sua replica, ma scese dallo sgabello e uscì rapidamente dal locale.
Gabriel si infilò la busta in tasca e ordinò un altro drink.
 

 
 
***
 

 
 
Era una domenica soleggiata e fresca, ma nonostante il cielo sereno l’unico campo da tennis occupato era quello in cui giocavano Camille e Tristan. I due, vestiti completamente di bianco, scivolavano sul terreno fendendo l’aria con le racchette e rispedendo la palla all’altro lato con un sibilo.
Alexander li guardava dalle gradinate deserte, mentre sorseggiava il drink che lo staff aveva portato loro. Ad un sedile di distanza da lui sedeva il signor Lefebvre, che guardava la figlia giocare con aria compiaciuta.
«Mi sei sempre piaciuto, Alexander» gli disse ad un certo punto, interrompendo il silenzio che era calato tra loro da quando era cominciata la partita. «Ma ti devo confessare che mi sono dannato per cercare di convincere Camille al divorzio».
Alex gli lanciò un’occhiata. Non era sorpreso dalle parole dell’uomo, dal momento che le sue intenzioni erano state piuttosto prevedibili, quanto piuttosto dal candore con cui glielo aveva riferito.
«Senza offesa» aggiunse l’uomo, guardandolo con fare affabile.
L’altro scosse il capo. «No, sono certo che anche io avrei fatto lo stesso.»
Nel campo sotto di loro, Camille segnò il punto ed esultò con un saltello che fece svolazzare la sua gonna candida. Tristan corse a raccogliere la palla, poi le gridò qualcosa in francese ridendo. Subito il match riprese.
«L’amore che Camille prova per te è più forte del buon senso».
Alexander prese un respiro profondo e si concesse un altro sorso del suo drink prima di parlare.
«Per il suo bene, anche io vorrei che non fosse così».
Il signor Lefebvre espresse il suo consenso con un vigoroso cenno di assenso, poi mosse il bicchiere che reggeva in direzione del campo da tennis, dove i due concorrenti si stavano stringendo la mano.
«Tristan è un bravo ragazzo. Se Camille dovesse considerarlo come piano B, io non mi opporrei».
Alex rivolse un lungo sguardo all’uomo. Aveva sempre conosciuto la parte affettuosa e benevola di Gerald Lefebvre, ma sapeva che nel suo ambiente lavorativo aveva la fama di essere un avvoltoio. Squartava le sue prede con un’impassibilità glaciale.
«È per questo che si trova qui? Per tentare Camille a lasciarmi?»
Gerald si voltò stupito verso di lui, poi sul suo volto si aprì un sorriso sincero.
«No, Alexander, non sono così meschino. Se avessi dovuto scegliere un tuo sostituto, Tristan non sarebbe stato il primo della lista. La sua famiglia ha una storia di fallimenti bancari che non lo rende molto più appetibile di un ex carcerato.»
Alex incassò il colpo stringendo i denti e piantando convulsivamente le unghie nei palmi delle mani. 
Prese un respiro profondo e disse: «Come sta la signora Lefebvre?»
L’uomo lo guardò, con un sorrisetto glaciale. Aveva capito che stava solo cercando di rispedirgli una battuta pungente.
«Bene» replicò allegro. «Il freddo di Calais le sta ricordando le amenità a cui ha rinunciato. Credo che sarà un’esperienza… formativa.»
In quel momento Tristan e Camille li raggiunsero, con le racchette ormai chiuse nei loro contenitori. 
«Di cosa state chiacchierando qui?» domandò la ragazza, prendendo posto al fianco di Alexander e facendo passare il braccio sulle spalle di lui per sporgersi verso il padre. Tristan prese posto nella fila di fronte alla loro, ma si voltò in modo da non dover dare loro la schiena.
«Cose noiose che ci hanno distratto dalla partita» rispose il signore Lefebvre. «Chi ha vinto?»
Camille lanciò un’occhiata a Tristan e poi scoppiò in una risata cristallina. «Ovviamente io, cher papa».
Gerald si lasciò andare a un’esclamazione di gioia e orgoglio per la figlia. Rimasero a parlare della partita per qualche minuto, poi un cameriere comparì per annunciare che il ristorante aveva cominciato a servire il pranzo, se erano interessati.
Camille e Tristan si diressero prima verso gli spogliatoi e Alexander li seguì per accompagnare la moglie fino a davanti la sua porta.
«Sembri molto felice oggi» le disse, trattenendola qualche istante di più. Tristan era già scomparso nello spogliatoio maschile, mentre il signor Lefebvre era andato a riservare il tavolo per il pranzo.
Camille lo guardò con un volto così luminoso da confermare le sue parole. I suoi occhi brillavano e le sue labbra erano tese in un costante sorriso.
«Oh, è una così bella giornata!» esclamò infatti. 
«Non sai quanta gioia mi dia vederti così» replicò lui con sincerità. Sapeva che per la donna non era stato facile vivere nel mezzo degli scandali e delle cattiverie che la gente diceva sul loro conto, ma Camille era rimasta salda al suo posto senza cedere di un millimetro. Neppure davanti alle proteste del suo cher papa.
«C’è un’altra cosa che potresti fare per rendermi ancora più felice…» aggiunse lei, quasi sottovoce e con lo sguardo sfuggente, ma senza smettere di sorridere.
«Qualsiasi cosa» sussurrò, prendendole il mento tra le dita e costringendola a guardarlo negli occhi.
Camille era l’unica cosa pura rimasta nella sua vita e Alexander non voleva rinunciare a trattarla con il rispetto che meritava.
«Questa sera un pittore che mi piace molto sarà in città, ad una festa». Camille sbatté le palpebre sulle sue iridi azzurre prima di continuare: «Mi piacerebbe molto andarci. Posso invitare anche Tristan, così ti terrà compagnia mentre riempirò di domande quel pittore».
Alexander rise e fece un cenno di assenso. «Certo».
Lei si sporse in avanti e gli lasciò un bacio veloce sulle labbra, poi corse nello spogliatoio per cambiarsi.
 
 
 
 
Quando l’auto si fermò davanti al suo albergo, Tristan stava già aspettando sul ciglio del marciapiede.
Salì e salutò Camille con due baci e Alexander con una stretta di mano.
«Camille dice che finalmente vedrò la vita sociale di Tridell» commentò rivolgendosi all’altro uomo.
Alex fece un cenno di assenso: «Goditela finché non scopri quello che nasconde ogni persona.»
Camille lo puntellò con il gomito. 
«Non possiamo cominciare la serata con questa negatività!» fu il suo rimprovero, mentre gli rivolgeva uno sguardo imbronciato. 
Lui sospirò, poi si rivolse a Tristan: «Perdonami. La mia disillusione mi sta portando a dipingere tutto più nero di quanto sia in realtà. Sono sicuro che sarà una bella serata.»
Tristan sorrise, comprensivo, e Alexander pensò che aveva un’aria da principe delle favole, con quel suo volto pulito e l’aria innocente. Non lo stupì che fosse un vecchio amico di Camille, i due avevano lo stesso temperamento pacato e l’atteggiamento spontaneo. Ripensò alla conversazione che aveva avuto con il signor Lefebvre quella mattina. Gerald aveva negato ogni suo coinvolgimento nella ricomparsa del vecchio amico e Alexander gli credeva, ma se davvero Camille avesse preferito Tristan a lui, lo avrebbe capito. Quando si erano conosciuti, a Londra, non erano altro che due giovani studenti  più o meno ingenui che cercavano la strada per la propria felicità e credevano di averla trovata l’uno nell’altra. Ma quei tempi erano ormai lontani e Alexander non riusciva a smettere di pensare alle persone che erano diventati.
Cercò di scacciarsi quei pensieri dalla testa e si allungò per prendere la mano di Camille e portarsela alle labbra e lasciarle un bacio leggero. 
Lei gli sorrise, radiosa. Camille lo amava davvero tanto.
Il viaggio volò e Alexander si accorsero che erano arrivati solo quando l’auto si fermò. Scese per primo e gli bastò uno sguardo per raggelarsi.
«Cosa ci facciamo qui?» chiese a Camille mentre sentiva il sangue che gli andava alla testa.
La donna spostò lo sguardo verso il grande palazzo della duchessa, dove le luci accese al piano superiore indicavano che la festa era già cominciata.
«Qual è il problema?» domandò lei, sbattendo le palpebre. «Il pittore è ospite di Cassandra.»
Alexander si ritrovò addosso due paia di occhi che attendevano una risposta per la sua freddezza. Non poteva fare una scenata davanti a Tristan, mentre dire a Camille che sapeva del suo colloquio con la duchessa significava dover spiegare molte cose sulla propria relazione con Emily.
Prese un respiro profondo e disse deciso: «Andiamo.»
Si diressero verso l’ingresso del palazzo, dove un maggiordomo prese i loro cappotti e li fece accompagnare nella grande sala del piano superiore. Era la sala in cui si erano rivisiti per la prima volta un anno prima, quella con una parete occupata da un grande affresco di Circe circondata da belve addomesticate. Gli invitati erano numerosi e un gruppo più corposo degli altri fece intuire ad Alexander che molti erano interessati all’ospite d’onore.
Camille non mostrò alcun immediato interesse di cercare il pittore di cui aveva parlato, ma piuttosto si trattenne a chiacchierare con chiunque incontrasse. L’uomo cominciò a sospettare che la loro presenza alla festa fosse piuttosto legata al patto che Camille aveva stretto con la duchessa: un primo passo per reinserirlo nella vita sociale di Tridell. Glielo confermava il modo in cui la donna cercava di coinvolgerlo in ogni conversazione, non risparmiandosi negli elogi nei suoi confronti. Camille era nel suo ambiente naturale, incantava le persone con la sua bellezza e i suoi modi e Alexander non dubitò che chiunque sarebbe stato persuaso della sua innocenza se era la donna a perorare la sua causa.
Doveva trovare Emily e dirle di lasciar perdere sua moglie. Qualsiasi favore chiedesse in cambio, se ne sarebbe occupato lui. Non si sarebbe mai perdonato un eventuale coinvolgimento di Camille negli affari della duchessa.
«Devi conoscere la padrona di casa!» esclamò la donna in quel momento, rivolgendosi a Tristan. «È deliziosa.»
Alexander soffocò una smorfia. Gli venivano in mente molti modi per descrivere Emily, ma “deliziosa” non era uno di quelli.
«Devo avere un sesto senso per quando la gente parla di me» commentò una voce alle loro spalle, facendoli voltare come una sola persona.
La duchessa indossava un abito dorato che la faceva brillare sotto le luci dei lampadari. Il vestito partiva dal collo alto e scendeva in maniche morbide che la coprivano fino ai polsi. Una cintura dello stesso tessuto dell’abito le stringeva la vita sottile e la lunga gonna cadeva morbidamente fino a terra, rivelando la forma delle sue gambe attraverso il lungo spacco. Stranamente portava i capelli raccolti in uno chignon voluminoso, da cui erano strati estratti alcuni ricci che le incorniciavano il volto.
Alexander le rivolse uno sguardo glaciale, ma dentro di sé si sentì sorpreso per il suo aspetto elegante. Non l’aveva mai vista in modo trasandato da quando si erano ritrovati, anzi, ma in quel momento sembrava più adulta, più donna.
Salutò Camille con un sorriso gentile ma trattenuto e strinse la mano a Tristan guardandolo fisso negli occhi. Scambiarono qualche parola di circostanza, fino a che la padrona di casa disse: «Posso rubare tuo marito per qualche istante?»
Camille rivolse uno sguardo ad Alexander e rise: «Certamente, ma devo avvertirti: questa sera è di cattivo umore.»
Emily spostò gli occhi su di lui e, anche se sul suo volto era ancora dipinto un sorriso cordiale, c’era una certa durezza nella sua espressione.
«Nulla che io non possa gestire» commentò impassibile, poi tornò a rivolgersi in tono educata agli altri due: «Vi consiglio di provare le tartine con il salmone. Stasera lo chef ha superato se stesso.»
Camille lasciò un bacio leggero sulla guancia di Alexander, poi si allontanò con Tristan.
«Non verrò da nessuna parte con te» chiarì non appena gli altri due furono abbastanza lontani.
La facciata di Emily crollò per un momento mentre alzava gli occhi al cielo con aria scocciata. «Ti direi di non rovinare la tua reputazione, Alexander, ma forse è un po’ tardi per quello.»
Gli fece cenno di seguirla, ma lui rimase piantato dov’era.
«Non mi fido di te e non farò nulla di quello che mi chiedi perché non posso sapere quale siano le tue vere intenzioni» le disse, in modo secco.
Emily gli si avvicinò, così vicina che le bastò sussurrare per farsi sentire: «Se non vieni con me chiamo la sicurezza e ti faccio sbattere fuori dal mio palazzo, insieme a Camille e il suo amichetto. E mi assicurerò che nessuno degli ospiti si perda la scena.»
Alex strinse i denti e sentì la rabbia montargli dentro.
«Hai fatto un patto con lei. Questo lo distruggerebbe.»
Emily rise fragorosamente e, muovendosi, il suo abito scintillò. «Sappiamo quanto sia malleabile la tua dolce sposa. Non è lei che mi preoccupa.»
Gli fece di nuovo cenno di seguirla e questa volta lui non oppose resistenza. Si lasciò condurre fuori dalla grande sala e attraverso un lungo corridoio dove si trovavano altri invitati. Si assicurò di camminare a qualche passo di distanza dalla duchessa per non rendere palese che stessero lasciando la festa insieme.
Quando si spostarono in una zona isolata, cominciò a guardarsi intorno con aria sospetta. Emily tirò dritto senza esitazioni, fino a fermarsi davanti ad una delle tante porte che li circondavano. Bussò in modo secco e subito la porta si aprì, rivelando una giovane donna a cui la padrona di casa ordinò: «Puoi prenderti dieci minuti di pausa.»
Lei annuì e con passo rapido sparì nel corridoio da cui erano arrivati loro.
Alexander la seguì con lo sguardo fino a che svoltò e solo in quel momento si accorse che Emily era entrata nella stanza. Si affrettò a seguirla e si trovò in una sorta di camera da letto rischiarata solo da una debole abat-jour. Emily se ne stava accucciata a terra, al di là del letto che occupava il centro della stanza.
Alexander si avvicinò cautamente e sentì la giovane dire: «Te lo avevo promesso e io mantengo sempre le promesse.»
Lei lo cercò con gli occhi e gli fece gesto con la mano di avvicinarsi. L’uomo eseguì, non senza qualche esitazione, mentre Emily riprendeva a parlare: «Ecco, ti avevo detto che ti avrei portato il tuo papà.»
Alexander sentì un tuffo al cuore quando vide gli occhioni sgranati di Noah che scrutavano il suo volto. Era seduto su un tappeto, circondato dai suoi giocattoli, e aveva un’aria vagamente intimorita.
«Tu sei il mio papà?»
 
 



 
   
 
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