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Autore: Ghostclimber    14/09/2020    5 recensioni
Rukawa sembra essere vittima di una crisi d'asma proprio nel bel mezzo di una partita contro il Kainan.
La sua determinazione lo porterà a continuare comunque a correre, e il successivo, prevedibile incidente lo metterà sulla strada di una sconvolgente presa di coscienza.
E delle sue conseguenze.
Warning: hanahaki
Genere: Angst, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Kaede Rukawa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sakuragi era nervoso oltre ogni limite.

Aveva promesso a Rukawa che quel giorno dopo gli allenamenti sarebbe uscito con lui, e non ne aveva la minima voglia: la terrificante reazione negativa al suo rifiuto il giorno precedente era la riprova che, come sempre, Sakuragi era stato fin troppo precipitoso nell'accettare una sfida. La questione dello stare vicino a Rukawa inizialmente era parsa qualcosa di innocente, insomma: se lui poteva fare la differenza, per quanto folle potesse sembrare, perché no? In fondo, non c'era nulla di cattivo in Sakuragi, le sue sparate un po' stronze erano semplicemente il suo modo di scherzare, una sorta di black humour da duro che gli serviva per coprire il fatto che non era altro che un cucciolo di foca, ma non aveva mai davvero voluto male a nessuno che non se lo meritasse.

Se nei primi tempi aveva creduto di odiare davvero Rukawa, con il gentile ma fermo rifiuto di Haruko ad uscire con lui Sakuragi aveva pian piano cambiato idea sul moro: il fatto che Haruko avesse declinato le sue avances era una prova, a suo dire, che non starci a priori con chiunque ci provi non è una cattiveria. Può esserlo, certo, ma Haruko era tanto dolce e tanto cara, si era dimostrata davvero dispiaciuta per non poter ricambiare i suoi sentimenti, e pian piano Sakuragi si era messo a ragionare sul rifiuto di Rukawa nei confronti della ragazza; probabilmente era solo un meccanismo di difesa mentale per riuscire a scendere a patti con il cinquantunesimo rifiuto, ma Sakuragi aveva finito per pensarci davvero e rivalutare il proprio giudizio su Rukawa.

In fondo, si era detto, non è che puoi innamorarti di chiunque ti faccia il filo: altrimenti, uno come il volpino sarebbe stato costretto a crearsi un immenso harem, infinito e in espansione come l'universo, e non sarebbe stato in grado di gestirlo a meno di non sviluppare il dono dell'ubiquità. Dal suo punto di vista, probabilmente, Haruko non era altro che una delle solite idiote che gli facevano il filo senza sapere nulla di lui, con solo l'attenuante di non essere una scimmia urlatrice che sbraita il suo nome dagli spalti come se ne andasse della propria vita. Ma di certo non si può scegliere un partner secondo il principio del “beh, fa meno schifo delle altre opzioni”.

Quindi, poco a poco Sakuragi era riuscito anche a scendere a patti con la bravura di Rukawa e aveva finalmente compreso che la sua non era voglia di mettersi in mostra: se lo fosse stata, l'avrebbero poi ritrovato a fine partita a farsi scattare foto con i fan e firmare autografi, e invece Rukawa restava sempre in disparte, non si lasciava avvicinare e non si vantava di nulla. Era come se la sua bravura fosse semplicemente una parte di lui, qualcosa che aveva guadagnato e che sapeva di non dover difendere a parole o sbandierare a tutto il mondo, qualcosa che c'era e basta, innegabile e incontestabile come il moto rotatorio del pianeta Terra. E Sakuragi aveva compreso che non lo odiava realmente, era solo invidioso di lui, per il suo successo con le ragazze e per la sua bravura in campo.

Aveva sempre sofferto di insicurezza, e solo di recente aveva cominciato a reagire alle prese in giro dei bulli: sapeva che la risposta violenta era sbagliata, ma proprio a causa del suo imbarazzo a dichiararsi incapace in qualcosa non aveva potuto trovare il coraggio di chiedere a qualcuno come si reagisce veramente bene. Osservando Rukawa, pensava di aver trovato la chiave per il proprio sviluppo: migliorare. Darci dentro fino a sputare sangue e migliorare con costanza, giorno dopo giorno, combattendo contro l'ansia del fallimento e cercando di sfruttare ogni progresso per svilupparlo e farlo diventare una vera e propria conquista.

In effetti, rifletté mentre si faceva la doccia dopo gli allenamenti, consapevole del fatto che Rukawa lo stava aspettando, pallido e smunto e tossicchiante, sulla panchina a bordo campo, probabilmente nella sua decisione di aiutarlo c'era stata più di una punta di egoismo: altrimenti non avrebbe saputo spiegare come mai la prima cosa che gli era saltata in mente era stato un breve ma intenso film mentale in cui loro due giocavano a basket insieme e Rukawa con pazienza lo aiutava a migliorare la tecnica, per poi finalmente cominciare a cooperare con lui in partita, eleggendolo implicitamente a proprio pari, un compagno, un partner.

Sakuragi si strofinò i capelli, pensoso. Strana scelta mentale, quella parola, “partner”. Si chiese se non si stesse dimostrando meno forte di Rukawa, andando a prendersi una strana cotta per l'unico essere umano del pianeta che avesse dimostrato di tenerci a lui in quel senso, poi scacciò l'idea: insieme sarebbero stati un vero disastro, si sarebbero scannati a vicenda un giorno sì e l'altro pure, erano chiaramente come l'acqua e l'olio, e anzi, forse l'idea di andare a fare una passeggiata insieme era già un rischio. Calcolato, sì, ma Sakuragi faceva schifo in matematica, quindi chi gli garantiva che i suoi calcoli fossero corretti e non stessero invece andando incontro ad un disastro di portata epocale? Sospirò, chiudendo il rubinetto della doccia, mentre una sottile scia di panico cominciava a farsi strada in lui.

Se Rukawa aveva reagito così male ad un semplice “non oggi, domani”, chi gli garantiva che non sarebbe morto sul colpo ad un rifiuto più netto e generalizzato? E chi gli garantiva che, in caso avesse deciso di andare con la corrente e continuare a vederlo, la cosa non si sarebbe trasformata in una relazione abusiva in cui Rukawa pretendeva e Sakuragi non poteva rifiutarsi perché altrimenti quello cominciava a tossire, vomitare fiori del cazzo e farsi venire la tachicardia?

Decise che ne avrebbe parlato con lui, seriamente e con calma, piuttosto portandolo nella sala d'aspetto del pronto soccorso a scanso di equivoci: va bene l'altruismo, ma arrivare a sacrificare tutto se stesso per uno che a momenti nemmeno conosceva era un po' eccessivo.

Sbatté la porta dell'armadietto e uscì dallo spogliatoio, senza notare le occhiate preoccupate che i suoi compagni si stavano scambiando dall'inizio degli allenamenti, in ansia perché il loro caotico motivatore non aveva spiccicato mezza parola da quando era entrato in palestra.

-Eccomi qui!- annunciò, fingendo un entusiasmo che non provava. Rukawa si alzò, saldo sulle gambe nonostante il suo viso fosse pallido, tranne due chiazze di malsano rossore sulle guance. Insieme uscirono dalla palestra, facendo un cenno di saluto ad Ayako, e in silenzio si incamminarono verso i cancelli della scuola.

-Allora, dove vuoi andare di bello?- chiese Sakuragi.

-Senti, piantala. Portami a casa e basta.- rispose Rukawa, a voce un po' troppo alta per i suoi canoni. Il rosso si voltò a guardarlo e lo vide che tratteneva dei colpi di tosse. Il moro distolse lo sguardo e aggiunse: -Oggi è una giornata di quelle no.- Sakuragi rimase in silenzio, immobile, pensieroso, poi sospirò profondamente. Lo prese per il braccio e lo portò in silenzio verso il parco adiacente alla scuola, poi lo costrinse a sedersi su una panchina mezza distrutta e disse: -Se è una giornata no, visto il tuo problema, deduco di essere io la causa. Cos'è successo?

-Niente. Oggi è così e basta.- ribatté Rukawa, poi si trasse le ginocchia al petto e rimase appollaiato così sulla panchina, a fissare senza vederlo un piccione che becchettava nel prato in cerca di cibo.

-È perché ieri ti ho detto che non potevo accompagnarti?- chiese Sakuragi, sentendosi una vera merda. Sapeva di essere indelicato, sapeva che avrebbe potuto trovare un modo migliore per dirlo, ma gli era uscita così. Era vero anche che la questione lo tormentava dalla sera prima.

-Cazzo, spero di no.- rispose Rukawa, ma qualcosa nell'irrigidirsi delle sue spalle diede a Sakuragi il sospetto che non stesse dicendo tutta la verità.

-Però sei stato male subito dopo che ti ho detto che non potevo.

-Sì, e non ci ho dormito, ok?- sbottò Rukawa, -Non è da me.- Sakuragi si voltò verso di lui e attese una continuazione del discorso. Il moro stava digrignando i denti, era chiaro dal ritmico contrarsi della mascella, e Sakuragi attese con pazienza che cedesse.

-Non sono uno che pretende.- disse infine Rukawa a bassa voce, poi proseguì in brevi frasi, slegate e divise tra loro da palesi pause di silenzio: -Quando mi hai detto che non potevi perché avevi delle commissioni da fare ho pensato ok, legittimo. So che tu e tua mamma siete da soli. È normale che la devi aiutare. Poi mi sono sentito addosso il panico. Ho provato a ripetermi che avevi detto “domani sì”. Ma niente. E ho avuto la crisi.- Sakuragi rimase in silenzio, mentre Rukawa se ne stava lì a fissare il prato da cui il piccione se n'era ormai andato, a respirare affannosamente, con gli occhi un po' lucidi e la fronte aggrottata. Una lieve stilla di senso di colpa si fece strada in Sakuragi: forse Rukawa non se n'era reso conto a livello cosciente, ma il suo “non oggi” era un palese “possibilmente mai”. Qualcosa in lui doveva essersene accorto e ciò gli aveva causato la crisi.

-Sto pensando di farmi operare.- aggiunse Rukawa, in un tono di voce così flebile che Sakuragi stentò a sentirlo. Si voltò verso di lui e si sporse in avanti, appoggiando un braccio sullo schienale della panchina; fu un atto del tutto involontario e del tutto fraintendibile.

-Hai detto che vuoi farti operare?- chiese, il viso a non più di una decina di centimetri da quello di Rukawa, che si ritrasse un po'.

-Sì, esatto. Meglio prima che poi.- bisbigliò.

-Ma quindi fammi capire, c'era un'altra soluzione al tuo problema? Ti possono operare?

-Allontanati, per favore, mi fa male.- rispose rapidamente Rukawa. Il suo respiro si era fatto superficiale, appena sufficiente forse a garantire che non svenisse. Sakuragi si rese conto di essersi quasi avvinghiato a lui e si allontanò: -Scusa.- Rukawa non rispose, ma si portò una mano al cuore.

-Posso fare qualcosa? Devo chiamare un'ambulanza?- chiese Sakuragi. Rukawa scosse la testa, poi si appoggiò alla panchina incurvando la schiena all'indietro, come se cercasse di espandere il torace il più possibile. Sakuragi, che aveva assistito ad un paio di crisi d'asma di un vecchio amico delle medie e sapeva come fare, lo trasse a sé senza stare a pensarci troppo, fece aderire la schiena di Rukawa al proprio petto e gli tirò indietro le spalle: -Respira. Concentrati solo su quello, Ru, respira.- disse, e non accolse con molto piacere il fremito che gli percorse la spina dorsale quando Rukawa gli appoggiò la testa sulla spalla.

Rimasero immobili sulla panchina, praticamente soli visto che la maggior parte degli studenti era già andata a casa e gli adulti erano ancora al lavoro, e mentre Rukawa cominciava a grattarsi distrattamente la parte interna dell'avambraccio Sakuragi cercò di trattenere il panico: e se Rukawa avesse avuto una crisi brutta proprio in quel momento? Portarlo al parco era stata un'idea davvero stupida, avrebbe dovuto portarlo in centro, in un bar o qualcosa del genere, un posto con un telefono insomma, per poter chiamare l'ospedale in caso di emergenza.

E invece no, quando ti cullano vicino al muro da bambino poi hai ripercussioni tutta la vita, quindi eccoli lì, uno a cercare di ricordarsi come si fa a respirare e l'altro a cercare di calcolare in quanto tempo può raggiungere un telefono.

Sakuragi abbassò lo sguardo su Rukawa per controllare le sue condizioni e per poco non vomitò: il moro si era grattato il braccio fino a farlo sanguinare, e stava continuando a scavare con le unghie nelle abrasioni che si era già causato. -Cazzo, Rukawa, che...

-Prude!- rispose Rukawa tra i denti, poi le sue unghie strapparono la carne sul suo braccio. Un denso grumo di sangue uscì dalla piccola ferita, e poi fiottò abbondante.

-Oh, porca...- Sakuragi si cavò un fazzoletto dalla tasca e lo avvolse strettamente sulla ferita, stringendo più forte che poteva. Rukawa cacciò un piccolo gemito di dolore e si lasciò scaraventare contro lo schienale della panchina; Sakuragi si tolse la cintura e la strinse più forte che poteva appena sotto al gomito di Rukawa, e la macchia rossa che aveva cominciato ad allargarsi inesorabile sul fazzoletto si arrestò poco a poco.

-Che cazzo è successo?- chiese Sakuragi. Rukawa scosse il capo, sconvolto, il respiro ancora affannoso ma più regolare e profondo. Il rosso raccolse il grumo di sangue dal polso di Rukawa, dove si era appiccicato, lo toccò sotto lo sguardo schifato del moro e poi disse: -Stai fermo lì, non muovere un muscolo.- Rukawa obbedì, troppo debole e spaventato per reagire.

Sakuragi tornò dieci minuti dopo con il sacchetto di un konbini in una mano e un fazzoletto di carta bagnato e appallottolato nell'altra.

Senza dire una parola, estrasse dal sacchetto un kit di pronto soccorso e slegò la fasciatura improvvisata sul braccio di Rukawa, poi pulì la ferita con un getto di acqua ossigenata. Pur preda dello shock, Rukawa notò che il tappo della bottiglietta era già aperto, la chiusura di garanzia già rotta; si chiese vagamente come mai, poi un forte dolore al braccio lo distrasse.

-AHIA! Do'aho!- protestò.

-Oi, deficiente, sta' buono. Ti sto evitando di sanguinare a morte, va bene? Devo chiudere la ferita.

-Non vorrai mettermi dei punti?!- chiese Rukawa, terrorizzato alla sola idea che quel bisonte imbranato provasse a bucargli la pelle con un ago.

-Nah, coglione, ti sembro uno che si intende di ricamo? Ti sto mettendo dei cerotti da sutura, ma devo prima chiudere la ferita. Dovrebbe cicatrizzarsi bene, non è profonda, ma cazzo, Rukawa, non ho mai visto nessuno grattarsi fino a toccare un'arteria!

-Un'arteria? Ma che cazzo dici?- chiese Rukawa a denti stretti, trattenendo lacrime di dolore.

-Cazzo, non hai visto che il sangue è letteralmente schizzato fuori?- ribatté Sakuragi, e Rukawa si fermò a guardarlo. Era insolitamente pallido, e le sue mani tremavano un po' mentre lo medicava. Quando la ferita fu ricoperta da piccoli cerottini bianchi, Sakuragi disse: -Provo a togliere il laccio emostatico. Tu sta' fermo e buono, che se ricomincia a sanguinare lo stringo di nuovo e ti porto in ospedale.- Rukawa annuì, ma quando Sakuragi allargò la cintura che aveva usato come laccio emostatico improvvisato non successe nulla, se non che il moro cominciò ad avvertire un lieve prurito all'avambraccio.

-Com'è?- chiese Sakuragi, con le mani ancora sulla cintura che circondava il braccio di Rukawa.

-Prude di nuovo.- rispose Rukawa, troppo stanco per mentire.

-Quello è il sangue che riprende a circolare. Aspetta un paio di minuti, passerà. Intanto ti metto una benda.- Rukawa si adagiò contro lo schienale e chiuse gli occhi, mentre Sakuragi si dava da fare con una garza.

-Dove hai imparato questa roba?- chiese infine, con voce esausta.

-Scrubs. E poi una volta Yohei si è fatto male davvero cadendo da una bici, questa roba ha funzionato. Solo che poi lui l'abbiamo dovuto portare in ospedale.

-Addirittura?- chiese Rukawa.

-Già. È caduto dal portapacchi della bici e si è tagliato la coscia con il filo dei freni, in alto in alto. Il dottore ha detto che lì l'arteria femorale è larga come un'autostrada, e che se non gli avessimo stretto la coscia sarebbe morto dissanguato in pochi minuti.

-Porca troia. Credo che controllerò i fili dei freni della mia bici.- disse Rukawa dopo un po', meditando sulla fragilità della vita e sulla sua sciocca ostinazione.

-Buona idea, non si sa mai. I suoi avevano perso il cappuccio, suo papà poi ci ha fatto vedere come fare a saldarli all'estremità. Non ci vuole molto.

-Bel suggerimento, terrò il saldatore a portata di mano.

-Uh, sai saldare?

-A stagno, sì. Ho visto un video in tv e mi sono montato il canestro in cortile.

-Regge abbastanza da farci gli slam dunk?- indagò Sakuragi, e Rukawa esitò. Infine ammise: -Non lo so, non mi fido e non ho mai provato.- Il rosso rise e tornò a sedersi di fianco a lui sulla panchina.

Cadde un silenzio che stranamente non risultò imbarazzante, poi Sakuragi disse: -Questo ti è uscito dalla ferita. L'ho disinfettato.- Rukawa prese il fazzoletto di carta bagnato che gli aveva visto in mano e si trovò faccia a faccia con un fiore giallo, simile a una margherita.

-È una calendula, se vuoi saperlo. Mamma le coltiva, per questo lo so.

-Nh.

-Rukawa, cosa vuol dire?

-Vuol dire che la malattia ha attaccato anche il cuore, credo.- disse Rukawa con voce sorda.

-Perché non ti sei ancora fatto operare? Hai paura dei postumi?- chiese Sakuragi. Rukawa esitò a lungo prima di rispondere: -Perché se mi operano, se ne andrà anche quello che provo per te.

-E non è meglio così?- chiese Sakuragi, poi si affrettò ad aggiungere: -Voglio dire, davvero, non mi pesa tenerti compagnia, ma se rischi di stare sempre peggio non mi pare il caso di rischiare.

-Non è così facile.- ribatté Rukawa, con le lacrime agli occhi.

-Perché non lo è?- Rukawa non rispose. Non sapeva come spiegare che quella fiamma che gli bruciava dentro ogni volta che lo vedeva era qualcosa di tanto caldo e tanto potente che non riusciva ad immaginare di vivere senza. Ormai amarlo era una parte fondamentale della sua esistenza, quasi al pari del basket, e da quando si era reso conto di non essere più il centro della propria vita in qualche modo gli sembrava di vivere meglio, di essere più aperto e di sapersi prendere qualche rischio in più. Ma le parole non erano il suo forte, e avrebbe rischiato di cadere in banalità da film d'amore, di quelli così brutti che nemmeno Hugh Grant si sarebbe abbassato a farne parte.

Infine, Sakuragi bisbigliò: -Ho una cosa da dirti, Rukawa.

-Nh.

-L'altro giorno, nella tua stanza ho trovato un petalo di rosa rossa. So cosa vuol dire.- Rukawa si impose di restare immobile, anche se il suo istinto gli stava urlando di scappare a gambe levate, prendere un aereo, poi un treno, poi rubare un asino e andare a nascondersi nella foresta più sperduta che riusciva a trovare.

-Per farti guarire devo ricambiare i tuoi sentimenti, non è vero?- Rukawa tacque a lungo, talmente sconvolto che non ebbe nemmeno modo di stupirsi del fatto che nonostante tutto non stava tossendo un prato intero. Infine ammise: -L'idea è quella.

-Non sono sicuro di poterlo fare. Ma posso conoscerti meglio e vedere come va.- Sakuragi esitò, poi aggiunse: -Ma tieni sempre presente che non so se posso farlo.

-Se ti costringi a farlo dubito che funzioni.- disse Rukawa, poi si alzò in piedi di scatto, raggiunse un cestino della spazzatura e gli mollò un calcio, poi un altro, poi un pugno.

-Oi, Rukawa, ma che cazzo!- esclamò Sakuragi, bloccandogli le braccia con fermezza.

-Odio essere così, lo odio!- sbottò Rukawa, -Cazzo, stavo così bene ad amarti da lontano, mi stava benone, cazzo! E adesso sono qui a fare la figura della femminuccia che frigna e tossisce fiori, tossisce fiori, per l'amor del cielo! Che razza di puttanata!- Sakuragi non commentò, si limitò ad assecondare i movimenti spasmodici con cui Rukawa cercava di liberarsi senza lasciarlo andare.

Ci volle poco perché Rukawa esaurisse le energie, e a quel punto Sakuragi lo abbracciò e si trasse la sua testa nell'incavo della spalla. Lo cullò lievemente, poi disse: -Lo so che non sei così. Lo so. Sei solo nervoso, e spaventato. E sono spaventato anch'io. Questa cosa è così grossa, e così piena di... di cose che non si sanno. È una responsabilità grande, e ieri volevo scappare. E tu forse l'hai capito, per quello sei stato male.- Sakuragi sciolse l'abbraccio, ma trattenne Rukawa tenendogli le mani ai lati del viso. Lo guardò, sondò l'immagine del suo volto sconvolto e terrorizzato e ferito e si accorse che quello che lo faceva più incazzare di tutta quella faccenda era che Rukawa era sconvolto, terrorizzato e ferito.

Rukawa non poteva stare male. Rukawa era la roccia. Era la pietra angolare su cui poggia un edificio, un semplice, piccolo sasso all'apparenza come tanti altri, ma che da solo regge le sorti dell'intera struttura.

Rukawa non poteva crollare.

E Sakuragi l'avrebbe aiutato a resistere.

Non sapeva perché, aveva paura a chiederselo, ma tutta la risoluzione del giorno precedente era andata a farsi benedire mentre guardava il primo schizzo di sangue erompere dal braccio di Rukawa e si rendeva conto che c'era la possibilità di dover passare il resto della vita con la consapevolezza che quel maledetto volpino non fosse più da nessuna parte del mondo.

-Ci proviamo insieme, te lo prometto.- disse Sakuragi, poi senza stare a ragionarci troppo a lungo si chinò e depose un lieve bacio sulla guancia di Rukawa.

 

 

 

 

Calendula: dolore causato da pene d'amore

 

 

 

 

Ciaossu!

/Rukawa mi fissa truce dalla regia/

Per questo capitolo, ringrazio di cuore Aimi_fantasy che mi ha consigliato la calendula, cicci783 che mi ha dato un grandioso assist senza saperlo (non è stato così brutto, dai! /Rukawa dalla regia lancia improperi e maledizioni/) e Ste_exLagu a cui ho rubato la cosa dell'essere cullati vicino al muro. Geniale, assolutamente geniale.

Per la cronaca, adoro Hugh Grant e piango come una mammoletta su tipo tutti i suoi film.

E la cosa dei fili dei freni l'ho vista succedere, è stato un trauma pazzesco. Stay safe e saldateli o copriteli con del nastro isolante se vedete che hanno perso il cappuccio, fidatevi.

I ragionamenti di Hana sono molto contorti, lo so, non è mai stato uno che riesce ad andare dal punto A al punto B senza passare per tutto l'alfabeto, ma ho fiducia che prima o poi riuscirà a fare pace col cervello.

Spero che nonostante il gore e la confusione di Hana il capitolo vi sia piaciuto, come sempre battete un colpo se avete gradito!

XOXO

 
   
 
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