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Autore: chemist    14/09/2020    0 recensioni
"Hai aspettato".
"Certo che si".
Genere: Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Maeve Wiley, Otis Milburn
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 3
Per gioco

 
Quel giorno andare a scuola per Otis fu una vera e propria odissea: appena sveglio, era subito stato costretto a valutare mille espedienti per impedire a sua madre di scoprire ciò che era accaduto quella notte; lungo il tragitto, ancora in balia di un turbine d’emozioni, aveva rischiato un paio di volte di cadere dalla bicicletta; e, per concludere, era arrivato in aula con ben 3 minuti di ritardo (inaccettabili per uno come lui), a lezione già cominciata.
Si sentì addosso gli occhi di tutti, dunque affrettò il passo e prese posto, come sempre, affianco ad Eric.
Quest’ultimo lo scrutò dalla testa ai piedi, quasi come se avesse visto uno sconosciuto: “buongiorno! A cosa si deve questo evento irripetibile?”.
“Lascia stare” sospirò Otis, “non è nemmeno la cosa più strana che mi sia accaduta oggi”.
Eric si sporse verso di lui, conscio del fatto che, pur fingendo di non volerlo fare, alla fine l’amico gli avrebbe rivelato ciò che lo affliggeva, e senza neanche che lui lo spronasse. Si scordò all’istante del professore che spiegava: le paranoie di Otis erano molto più interessanti e divertenti da ascoltare.
Come previsto, dopo l’esitazione iniziale Otis borbottò tutto d’un fiato: “stanotte ho fatto un sogno erotico in cui c’era Maeve”.
Eric strinse le palpebre, riducendo gli occhi a due fessure: “amico, non si è capito nulla. Potresti ripetere?”.
L’altro continuò a sussurrare, ma scandì meglio le parole: “stanotte…ho fatto…un sogno erotico…con Maeve…”.
Appena udito il nome della ragazza, Eric spalancò la bocca ed urlò senza contegno: “grandioso!”.
A quel punto fu il ragazzo di colore a catalizzare tutte le attenzioni su di sé, compresa quella del docente interdetto.
“Ehm…si, trovo che questa poesia di Keats sia grandiosa!” disse, cercando di salvare il salvabile.
“Effiong, questa poesia è di Wordsworth” corresse scocciato il professore, lasciandolo in balia delle risatine sommesse degli altri studenti. Otis avrebbe voluto scomparire per l’imbarazzo.
“Finalmente anche tu hai aperto la diga!” aggiunse Eric, nuovamente a bassa voce. “Dimmi: è stato solo uno schizzetto o un’intera secchiata?”.
“No, no, non voglio parlarne; anzi, non avrei dovuto neanche accennartene, perché è sbagliato. Totalmente sbagliato”.
“Scherzi? Non c’è niente di sbagliato! È normalissimo!”.
“No, non lo è” insistette Otis. “Merda, che disagio…”.
“Ma…cosa accadeva nel sogno?” domandò Eric, sempre più stuzzicato.
Otis arrossì vistosamente: “ecco…lei era nel m-mio letto…ed aveva soltanto…soltanto gli slip…”.
Il racconto si stava facendo sempre più piccante, ma non riuscì ad andare avanti: “no, no! Basta! È sbagliato, quindi non dirò altro”.
“Quante storie!”, sbuffò Eric tornando a sfogliare distrattamente il libro che aveva fra le mani, ma mantenendo un’atmosfera goliardica.
Il suo respiro si fece affannoso e, in uno scatto tanto involontario quanto necessario, si voltò di lato. Vide così che nel gruppo di sedie adiacente, neanche troppo distante, c’era proprio lei, Maeve.
Non poté fare a meno di notare quanto fosse bella, di una bellezza non sfarzosa e preparata come quella di altre ragazze come Ruby o Olivia, bensì di una bellezza genuina, quasi inconsapevole. Dopo un po', però, si ricordò del modo in cui gli era apparsa in sogno e si fece largo sul suo pallido volto una smorfia colpevole.
Come se non bastasse, in quel momento Maeve ricambiò il suo sguardo: dapprima restò stranita dalle buffe espressioni che stava facendo, probabilmente inconscio che lei lo stesse osservando, ma quando riaprì gli occhi gli abbozzò un piccolo sorriso, che lui accolse con riserbo.
 
Si rividero nel pomeriggio, nella piscina dell’istituto che Otis aveva clandestinamente scelto come studio per la terapia di coppia di due bizzarre ragazze lesbiche. Era stata un’impresa tutt’altro che agevole e non era neanche sicuro che avesse avuto dei frutti, così ne approfittò per stendersi sul bordo, immergendo i piedi nell’acqua e beandosi della sua freschezza.
Maeve non tardò a raggiungerlo, ma non gli sfuggirono le ripetute sbuffate sarcastiche che emetteva mentre guardava il cellulare.
“È qui che vieni a vedere le gare di Jackson?” chiese, giusto per fare conversazione.
“Si” confermò lei, posando il telefono e rivolgendosi completamente a lui. “Sai, mi tempesta di messaggi da diversi giorni”.
“E perché la cosa sembra infastidirti?”.
“Perché quando facciamo sesso è tutto perfetto e non capisco per quale motivo voglia rovinare tutto prendendola più seriamente di quanto sia in realtà”.
Otis distolse nervosamente lo sguardo per un secondo quando sentì menzionare il sesso. Un dettaglio di cui, suo malgrado, Maeve si accorse eccome.
“È solo che…non sono tipa da fidanzati” mise in chiaro la ragazza, fissando il fondo della piscina in maniera indecifrabile.
“Ah no?”.
“No! Hai presente quei film romantici in cui lui fa irruzione sotto casa di lei, spara a tutto volume una di quelle ridicole canzoni smielate ed inizia a cantare a squarciagola…tutto meraviglioso, vero?”.
Otis sollevò un sopracciglio, come se avesse perso il filo del discorso.
“Falso. A me certi gesti danno il voltastomaco!” concluse Maeve, scoppiando poi in una fragorosa risata che Otis non condivise.
“È comprensibile, ma forse se provassi ad aprirti un po' di più…”.
“Stop! Stop!” lo bloccò Maeve. “Non sono una tua cliente, quindi niente terapia con me!”.
“Oh, okay, scusami” balbettò lui, sebbene non volesse arrendersi: “però, seriamente…che c’è che non va nell’avere un fidanzato?”.
Lei inclinò il capo e si sporse verso di lui, cosa che lo mise in soggezione: “come mai ti interessa tanto, Milburn? Vuoi forse proporti?”.
“Ma che dici?!” esclamò Otis, con le guance che cominciavano ad arrossire e con un tono più squillante di quanto avesse voluto. È solo che…essendo un ragazzo mi sento tirato in causa”.
Maeve scrollò le spalle, tentando di risultare il più convincente possibile. “Beh, un fidanzato è soltanto un’altra persona che prima o poi ti deluderà”.
“Che vuoi dire?” chiese lui, scrutando ogni sua singola variazione d’umore. Effettivamente, non avevano mai dialogato molto per quanto riguarda la sfera sentimentale.
“Mi sono fidata e sono stata delusa abbastanza volte per dirti che gli uomini, quando si tratta di comportarsi adeguatamente e prendersi delle responsabilità, diventano degli imbecilli. Senza offesa, ovviamente” concluse, inarcando le labbra in una piccola smorfia che doveva essere di rassicurazione.
“Offeso? Io? E perché mai dovrei prendermela per una semplice invettiva che fa sembrare ogni essere umano di sesso maschile un inutile, se non addirittura dannoso inetto…” scimmiottò Otis, provocando l’ilarità di Maeve che, per ripicca, lo spinse in piscina al grido di “testa di cazzo!”, prima di tuffarsi a sua volta.
 
Sembravano due bambini, mentre giocavano a schizzarsi e a costringersi a vicenda sott’acqua. Per un attimo si sentirono come se esistessero solo loro, e nessun altro.
Fu di nuovo Otis a spezzare la magia: “dai, Wiley, dimmi perché non vuoi stare con Jackson”.
Normalmente, alla terza volta che le veniva posta la stessa domanda, Maeve avrebbe perso la pazienza e si sarebbe trasformata in una versione ben più scorbutica di se stessa, ma ormai con lui riusciva a controllarsi più facilmente.
“Senti, non è difficile...lui è Jackson, il ragazzo modello, l’atleta impeccabile, il rappresentante della scuola, e io…beh, io sono Maeve, l’insolente e puzzolente mordicazzi”.
“Ma no, non sei così puzzolente” la contraddisse Otis, che però rincarò la dose quando la vide abbassare la guardia: “sei solo una mordicazzi!”.
“Che stronzo!” ribatté ironicamente Maeve, afferrando la testa dell’amico e spedendolo nuovamente sotto.
Quando riemerse, aveva i capelli lisci, umidicci e schiacciati contro la fronte; annaspava e si dimenava alla rinfusa, cercando di riprendere aria. La ragazza non riuscì a trattenere una limpida risatina.
“Sei uguale al Cookie Mostro!” disse, avvicinandosi e stirandogli, con lievi ma rapidi movimenti delle mani, i capelli e le sopracciglia.
Quel contatto, per quanto innocente, mandò scosse elettriche lungo tutto il corpo di Otis…in particolare una parte di esso.
“Ah! Okay, meglio…meglio andare ora, si è fatto tardi, n-non credi?” farfugliò, mentre sott’acqua i suoi pantaloni cominciavano a gonfiarsi pericolosamente.
“Mi sa che hai ragione”, annuì la ragazza. “Vieni con me?”.
“Oh, no, io…credo che me ne starò qui ancora un po' a fare…sai, qualche esercizio”.
“In pratica, vuoi restare solo e mi stai cacciando”.
Otis era più in difficoltà di un elefante in una cristalleria: “no, non è questo…è…è solo che…”.
“Tranquillo, dovevo andar via comunque” lo interruppe Maeve, issandosi sul bordo e raccogliendo le proprie cose; la fradicia maglietta bianca che indossava, però, fu tutt’altro che d’aiuto per Otis.
“Sei irresistibilmente strano, Milburn. E, a proposito…”.
“Cosa?” chiese lui, boccheggiante ma incuriosito dall’argomento sul quale l’amica stava indugiando.
“…dovresti uscire anche tu dalla piscina, altrimenti, con quel freddo, con ti passerà mai”.
Otis rimase agghiacciato, ma non era per il freddo di cui sopra. Avrebbe voluto sprofondare: diamine, l’aveva notato!
“Idiota!” ringhiò stizzito all’amico in basso, prendendosela però anche con se stesso e con l’impeccabile tempismo con cui la sfortuna arrivava a rovinargli la vita.
 
Era ancora in acqua, immobile e con le mani congiunte sull’inguine quando entrò Eric.
“Otis? Che stai facendo?”.
“Promettimi che non ti metterai a ridere”.
Prima ancora che il ragazzo gli desse la sua parola, Otis bisbigliò: “avevi ragione, cazzo”.
“Io ho sempre ragione. A che proposito stavolta?”.
“Potrei…potrei essermi preso una piccola, moderata cotta per Maeve”, fu costretto ad ammettere.
“Questo è ovvio, ma che c’entra con la piscina?”.
“Eravamo qui per la clinica, dopo ci siamo tuffati e abbiamo…non lo so, ma all’inizio era normale, divertente azzarderei, poi lei mi ha toccato le sopracciglia e…e ora ho un’erezione”.
Il viso di Eric si illuminò prima di esplodere in una risata la cui eco rimbombò in tutta la struttura.
“Avevi promesso che non avresti riso! Sono qua dentro da un’eternità ormai, l’erezione non se ne va e la parte peggiore è che lei se n’è pure accorta!”.
“In che senso se n’è accorta?” domandò Eric, prendendosi una pausa dallo spasso e spalancando la bocca, sempre più sorpreso dalle avventure e disavventure del suo non più anonimo migliore amico.
“Prima di andarsene ha detto che dovevo uscire dall’acqua o sarei rimasto eccitato per sempre”.
Eric portò una mano alla fronte, riprendendo a ridere: “non ci credo amico, ti è venuto duro davanti a Maeve Wiley e lei lo ha visto! Sei un folle! E lei come l’ha presa?”.
Soltanto allora si rese conto che, preso com’era dal panico, non aveva ponderato la reazione di Maeve.
“Io non…non lo so, ma come vuoi che l’abbia presa?! Ho fatto una figura ridicola”.
“Questo è vero” concordò Eric, incapace di placare le burle. “A volte, però, dalle figuracce peggiori nascono le cose più inaspettate”.
Quindi, con un ghigno furbo, aiutò Otis a uscire e lo accompagnò in un luogo più asciutto.
   
 
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