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Autore: Giuda_Ballerino    18/09/2020    1 recensioni
Salve a tutti, è da un po' che non aggiornavo questa storia. Il tempo non mi è amico. Ho apportato delle modifiche a tutti i capitoli, sia per ragioni di sintassi che di contenuto. La storia ora è completa, ma nel caso la gradiste, fatemi sapere se avreste piacere ad un possibile continuo.
"...lo avrebbe distrutto, spogliandolo di tutto ciò di cui fosse certo. Gli avrebbe dimostrato che neanche lui era in grado di amare nessuno...", "...Cuore e mente. Di Edward non doveva restare più nulla."
Ciao a tutti! Sono una vecchissima lettrice di fanfiction ma è la prima volta che mi cimento nello scriverne una. Anzi è la prima volta che scrivo una storia in generale. I primi capitoli saranno incentrati su quanto accaduto nella serie sviluppando la parte introspettiva dei personaggi. Dal terzo capitolo parte l'idea partorita da me. Chiedo a tutti i lettori, gentilmente, di lasciare commenti che possano aiutarmi a capire se c'è qualcosa che non funziona, se la storia è noiosa o qualsiasi altro suggerimento.
Vi ringrazio in anticipo e vi auguro una buona lettura!
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Edward Nygma, Oswald Cobblepot
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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-Track! –
 
Il rumore di un rametto spezzato lo destò immediatamente dai suoi pensieri. Girò velocemente il capo in direzione del suono appena udito.
 
L’immagine che gli occhi suggerivano al cervello non poteva essere reale. “Un’altra allucinazione” era l’unica spiegazione razionale che cercò di darsi.
 
Si alzò in piedi di scatto portando le mani in avanti << t-tu non sei reale! >>
 
Con le gambe tremanti, indietreggiò lentamente << Va’ via! Smettila di tormentarmi! Tu non sei reale! Tu non sei reale! >> iniziò a gridare compulsivamente.
 
La figura sottile e fluttuante di una donna avanzava a passo lento in sua direzione adombrata dalle foglie di un grosso ramo. Nessuna parola accompagnava quell’andatura solenne. Solo l’incertezza che, labirintica, andava formulandosi nel cervello scombussolato dell’Enigmista.
 
Di tutti gli indovinelli, quesiti e problemi affrontati nella sua patetica esistenza quello sfidava ogni senso di logica.
 
Ancora convinto che il suo cervello gli stesse giocando l’ennesima burla, si chinò a terra per raccogliere un qualsiasi oggetto da lanciarle addosso al fine di tastarne l’evanescenza. Si ritrovò tra le mani la bombetta scaraventata poco prima per aria e la gettò senza esitazione come un frisbee in direzione della donna.
 
Il cappello cozzò violentemente contro una gamba della donna sfilandole i collant.
 
<< Oh mio Dio, Isabella! Sei proprio tu? >> esclamò Edward portandosi entrambe le mani al volto. << T-tu sei viva? >>
 
La donna avanzò ancora di un passo fuoriuscendo dalla zona d’ombra. Il suo viso ora era direttamente illuminato dalla luce della luna. Non c’era più alcun dubbio. Quella era Isabella.
 
Il suo sguardo austero era fisso su Edward, ma nessuna parola ancora accompagnava la sua falcata.
 
<< Isabella? >> Esclamò mentre con mano tremante infilava la pistola che aveva ancora tra le mani nella cinghia dei pantaloni << tu sei viva? Com’è possibile? Io stesso ho visto il tuo corpo all’obitorio della GCPD. T-tu eri lì, tu eri morta! >>
 
<<  Come hai potuto? >> Finalmente la donna proferì parola. << Io ti amavo con tutta me stessa! Come hai potuto farlo? Dovevo dar conto alle parole del sindaco Cobblepot! Mi aveva avvertita che eri un lurido assassino! >> Continuò ad inveirgli contro.
 
Confuso Edward provò a difendersi << Isabella, ma di cosa stai parlando? >> disse mentre cercava di avvicinarsi a lei.
 
<< Sta’ fermo! Non ti avvicinare! >> gridò la donna mentre con mano tremante sfilava una pistola dal taschino interno del soprabito per puntarla in direzione di Edward.
 
Quest’ultimo rimase inchiodato al terreno che pareva stesse venendo meno sotto i suoi piedi.
 
Sin dall’inizio di tutta questa storia non era certo di cosa gli sarebbe potuto capitare, ma mai avrebbe lontanamente immaginato una situazione del genere.
 
Era terribilmente confuso. La donna, che lui era certo aver visto priva di vita su quel lettino d’obitorio nella stazione centrale di polizia, era lì in piedi avanti ai suoi occhi ed ora teneva puntata una pistola contro di lui. Com’era possibile? Perché?
 
Cercò di riacquistare il controllo delle proprie emozioni che avevano generato un intricato guazzabuglio al centro del suo stomaco. Continuò ad avvicinarsi lentamente alla donna, sollevando entrambe le mani nel tentativo di sedare l’aggressività nei suoi confronti.
 
<< Calmati Isabella! Vedi? Ho posato la pistola, non voglio farti del male! Adesso abbassala anche tu e parliamone. Non capisco di cosa tu mi stia accusando. Io credevo fossi morta in quell’incidente d’au… >>
 
-Bang! –
 
Un colpo di pistola assestato a pochi millimetri dalla sua gamba destra frenò di botto l’incedere moderato di Edward.
 
Quest’ultimo, incredulo di quel gesto, osservò ad occhi sgranati il solco che la pallottola aveva lasciato nel terreno. Si girò di scatto verso la donna << Cavolo, Isabella! Avresti potuto bucarmi una gamba! Si può sapere che diavolo sta succedendo? Parla! >> gridò Edward << dimmi di cosa diavolo mi stai accusando! >>
 
A quel punto la donna cacciò fuori dalla sua borsa una cartelletta ocra e la lanciò violentemente ai piedi di Edward << Ecco cosa! Ne ho le prove! >>
 
Il contenuto della cartelletta si riversò in modo confuso al suolo svelandone il contenuto: fotografie e documenti di varia natura. Nygma si apprestò immediatamente a raccoglierli.
 
Quelle fotografie lo ritraevano mentre era intento a tagliare i freni dell’automobile di Isabella. I documenti riportavano i referti delle indagini effettuate alla GCPD che lo accusavano del suo omicidio.
 
Ancora accucciato a terra, Edward guardava sgomento tutto quel materiale e rivolgendosi verso la donna, partì con la sua arringa << È un falso, Isabella!  Non sono stato io, qualcuno sta cercando di incastrarmi, non ti avrei mai fatto del male, io ti amavo >> disse disperato.
 
<< Ah ah! Questa è bella! Come se l’amore che dicevi di provare nei miei confronti potesse scagionarti da un’azione simile! Amavi anche Kristen o mi sbaglio? E che fine ha fatto quella poveretta? >> lo accusò la donna.
 
Quelle parole furono una stilettata al cuore di Edward. Un boccone difficile da digerire alla luce del grande sacrificio che aveva dovuto compiere per vendicarla.
 
<< Tu preferisci credere a delle… >> tentò di domandare Edward.
 
<< …a delle fotografie ed ai referti della GCPD piuttosto che alle parole di un maniaco omicida che è stato rinchiuso ad Arkham? Sarei io la pazza se credessi alle tue parole >> Incalzò la donna, senza consentirgli di terminare la frase.
 
<< Ti prego Isabella, non parlarmi in questo modo >> disse amaramente deluso Edward.
 
Cercò di appigliarsi a tutto il suo autocontrollo per non sbroccare. Le accuse di Isabella lo avevano ferito profondamente, ma cercò di comprenderla, “chi sano di mente non avrebbe pensato le stesse cose?”.
 
C’erano molteplici questioni che non riusciva a spiegarsi in questa storia: il fatto che Isabella fosse viva, chi stava cercando di incastrarlo e per quale motivo architettare tutta quella messa in scena.
 
Tuttavia, in quel momento l’unica cosa che poteva fare era cercare di discolparsi in qualche modo, altrimenti da quella situazione ne sarebbe uscito dentro una bara.
 
Si risollevò da terra sistemandosi la giacca con entrambe le mani e, puntando i suoi occhi in quelli della donna, le chiese << Quale sarebbe stato il movente? Perché mai avrei dovuto ucciderti Isabella? Tra noi andava tutto bene! >>
 
<< Continui a farmi sorridere con queste tue domande >> disse la donna con sorriso beffardo << Potrei risponderti che non hai bisogno di un movente per uccidere qualcuno >> Strinse gli occhi fino a ridurli in due sottilissime fessure cariche di disprezzo << Edward, tu sei pazzo! >> proferì scandendo lentamente ogni parola. << Ma non sarebbe una risposta esaustiva >> continuò riacquistando lo sguardo algido di prima << È evidente che il destino ti ha riproposto uno scenario, se non uguale, molto simile a quello che hai vissuto con la povera signorina Kringle. Io lo avevo scoperto Edward. Lo sapevo che stavi tramando un piano contro il sindaco Cobblepot. E quando l’hai capito hai trovato subito il modo di togliermi di mezzo, come hai fatto con la Kringle quando ti aveva smascherato per l’uccisione dell’agente Dougherty >> Strinse più forte il calcio della pistola e la puntò al petto di Edward << Sei ripetitivo Sig. Nygma. Sei un viscido verme prevedibile! >>
 
<< Ma di cosa diavolo stai parlando Isabella? >> Edward sgranò gli occhi incredulo delle parole appena proferite. Oltre ad essere profondamente offeso e deluso dagli epiteti che la donna gli stava affibbiando, ciò che stava insinuando non aveva senso alcuno. << Stai farneticando, Isabella! Abbassa la pistola! >> terminò Edward, mentre iniziava a perdere il controllo << Io non ho fatto proprio nulla! Non ho né provato ad ucciderti, né stavo complottando contro Oswald! Semmai è stato lui a farti del male! E adesso basta! Abbassa immediatamente quella maledetta pistola ti ho detto! >> Terminò ormai furioso.
 
Poteva ben comprendere lo smarrimento della donna, ma se l’amore che lei aveva provato nei suoi riguardi fosse stato anche in minima parte vero, l’onore del dubbio avrebbe potuto almeno concederglielo. Invece si ostinava a non farlo parlare e ad aggredirlo con parole offensive.
 
Era lì con una pistola puntata al suo petto a rinfacciargli antichi dolori che già gli avevano ampiamente lacerato il cuore e che con difficoltà era riuscito a ricucire, anche grazie all’aiuto di Isabella stessa.
 
Ma, adesso, venendo a mancare completamente anche il più piccolo barlume di fiducia si sentiva sopraffatto ed indifeso.
 
Era rimasto per tanto tempo aggrappato alla magra consolazione dell’amore che Isabella provava per lui. E adesso anche quest’ultimo appiglio andava sgretolandosi avanti ai suoi piedi. Era di nuovo solo.
 
Che tutto ciò che lui vivesse non fosse altro che il frutto della sua malata immaginazione?
 
Preso dall’impeto di questo pensiero, in uno scatto fulmineo si avventò addosso alla donna nel tentativo di strapparle la pistola dalle mani, ma quest’ultima, forse spaventata dalla reazione dell’uomo, premette il grilletto e nel trambusto una pallottola andò a conficcarsi nella gamba sinistra di Edward, a pochi centimetri dal suo ginocchio.
 
Un urlo sommesso fuoriuscì dalla bocca dell’Enigmista, il quale, colpito dal forte dolore, calò subito lo sguardo sulla ferita che gli era stata inferta << Che cosa diavolo hai fatto, Isabella! Sei impazzita! >> Gridò.
 
Il sangue copioso fuoriusciva dal piccolo foro che si era creato nei suoi pantaloni e, velocemente, una chiazza vermiglia prese ad espandersi su tutta la coscia. Istintivamente, tentò di bloccarne il flusso stringendo la ferita con entrambe le mani ma l’unico effetto che ottenne fu di macchiare di sangue anche le sue mani.
 
In preda all’ansia la donna iniziò a balbettare << T-ti avevo detto di non avvicinarti Edward! Non mi credevi capace di farlo? >> e con mano tremante si mosse nell’intento di ricaricare la pistola.
 
Ma questa volta Edward fu più rapido: si lanciò su di lei scaraventandola a terra. Si mise a cavalcioni sul suo grembo per tenerle bloccate le gambe e le afferrò il polso dove teneva la pistola, sbattendolo ripetutamente in terra fin quando la sua mano non si arrese a mollare l’osso.
 
La donna si agitava sotto il corpo pesante dell’uomo provando, maldestramente, a divincolarsi dalla sua stretta morsa, ma Edward prese adesso a bloccarle entrambe le braccia.
 
<< Lasciami verme! Lasciami! >> Iniziò ad urlare a squarciagola la donna.
 
Edward le coprì la bocca con una mano per non permetterle di urlare << Isabella, Basta! Ascoltami! Tu mi devi credere, non ho mai fatto nulla per farti del male! Io ti ho sempre amata… >> le parole di discolpa fuoriuscivano dalla sua bocca incontrollate per secondi, minuti indefiniti fino a diventare alle sue stesse orecchie un suono ovattato, una cantilena.
 
Catatonico in quella posizione, le parole rimasero incastrate in gola.
 
Non era più lì, era altrove.
 
Era nel suo appartamento con le mani al collo della Kringle.
 
Era sul molo con in mano la pistola fumante con la quale aveva ucciso Oswald.
 
Era nella sua cameretta da bambino, in lacrime nascosto sotto il letto.
 
Non era facile essere Edward. Sentì di botto tutto il peso di essere sé stesso sulle proprie spalle. Il fardello di portare avanti un’esistenza patetica come la sua. La solitudine alla quale era sempre destinato.
 
Ed ora quella solitudine prese nuovamente vita sotto il suo sguardo, negli occhi spenti della donna che aveva di fronte.
 
Quando ritornò presente nel suo tempo era ormai troppo tardi. Isabella giaceva esamine sotto il suo peso, soffocata dalla sua mano che aveva il solo intento di farla tacere per qualche secondo.
 
Ogni volta che tentava di spiegarsi al mondo, qualcuno moriva. Destinato ad essere un eterno incompreso.
 
La consapevolezza di quanto fosse accaduto lo colpì come uno schiaffo feroce sul viso. Il volto di Isabella, imbrattato del suo sangue, gli si stampò negli occhi proiettandogli un’immagine che non gli era nuova.
 
Già conosceva le emozioni che avrebbe provato. Ci aveva combattuto per lungo tempo. Lo avevano condotto ad Arkham.
 
Staccò la mano dalla bocca della donna e silenzioso si rimise in piedi. Controllò la ferita alla sua gamba che, seppur non rimarginata, pareva aver smesso anch’essa di piangere copiose lacrime color rubino. 
 
Stracciò violentemente un pezzo della sua camicia al fine di utilizzarla come fasciatura per arginare l’emorragia.
 
Incurante, pulì le mani sporche di sangue sulla sua giacca e senza troppe esitazioni ricompose velocemente tutto il trambusto che si era creato in quella che orami era diventata la sua ennesima scena del crimine.
 
Documenti, fotografie, pistola. Tutto fu rapidamente riposizionato nella borsetta di Isabella.
 
Non aveva tempo di pensare. Aveva già deciso di posticipare a data da destinarsi il momento del pianto e del rimpianto. Ora doveva solo sgomberare velocemente quel luogo prima che qualcuno, attirato dalle urla della donna, si fosse avvicinato.
 
Adagiò il corpo della donna con tutti gli effetti personali all’ombra di un albero, nell’intento di nasconderlo e si avviò velocemente all’uscita secondaria del cimitero, dove aveva già spezzato il ridicolo lucchetto che la teneva sigillata. L’obiettivo era quello di trovare un autoveicolo da rubare per portar via il cadavere.
 
Lungo il breve tragitto il suo sguardò si posò sul cappello che era stato lanciato pochi minuti prima sulle gambe della donna per verificarne l’esistenza della carne. Si trovò a riflettere superficialmente sulla caducità della vita “questa bombetta poco fa mi ha aiutato a comprendere se Isabella fosse viva” si ripeté tristemente in mente. Lo infilò amaramente sul capo e si diresse verso l’uscita del cimitero.
 
Non impiegò molto ad individuare un vecchio catorcio di cui, con tutta probabilità, nessuno ne avrebbe reclamato la proprietà nell’immediato.
 
Si muoveva lesto nell’oscurità che da sempre aveva caratterizzato quella città nefasta. Nessuno in giro. O, almeno, nessuno che se ne infischiasse di tutti torti che potevano colpire gli altri.
 
Omertà, corruzione, delinquenza era quello che più amava e più odiava di Gotham.
 
Rapidamente attraversò la strada per raggiungere il veicolo. Tolse il cappello e lo poggiò sul finestrino dello sportello del passeggero e con una potente gomitata ne spaccò il vetro, nella speranza che non partisse un antifurto.
 
L’adrenalina in corpo non gli consentiva di accusare nessun dolore. Gamba, gomito, cuore. Al più tardi possibile le emozioni.
 
Aprì lo sportello e gettò il cappello sul sedile del passeggero.
 
Con la tipica confidenza che ciascun essere umano ha nel compiere un semplice gesto quotidiano, come il bere un bicchier d’acqua, collegò i cavi d’accensione e l’automobile si mise immediatamente in moto.
 
Sterzò rapidamente in direzione del cimitero e parcheggiò l’auto presso l’entrata secondaria di prima. La lasciò ancora in moto. Doveva recuperare il cadavere di Isabella e ripartire in tutta fretta.
 
Rientrato al cimitero, la trovò distesa placidamente dove l’aveva lasciata. Pareva quasi che dormisse. L’afferrò delicatamente posizionando un braccio sotto le ginocchia e con l’altro braccio le cinse dolcemente le spalle e la sollevò in aria come si suole fare con una sposa, dinnanzi all’uscio di casa.
 
Solo che non la stava portando nel loro piccolo nido d’amore. La stava spedendo nella sua dimora eterna.
 
Adagiò il corpo della donna dietro il cofano posizionando accanto a lei la sua borsetta, con tutto ciò che potesse provare che loro fossero stati lì, quella notte, vivi e poi morti.
 
Si diresse verso l’unico luogo che sapeva non lo avrebbe tradito.
 
Il molo distava circa trenta minuti dal cimitero. Trenta minuti in cui sarebbe rimasto da solo con i suoi pensieri, con le sue voci, con le sue paturnie. Trenta minuti per fare la resa dei conti con sé stesso.
  
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