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Autore: zorrorosso    20/09/2020    1 recensioni
la mia rivisitazione personale delle avventure di D’Artagnan in capitoli liberamente ispirati alle avventure dell’anime e alle novelle (e un po’ di tutto).
Genere: Avventura, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aramis, Athos, Duca di Buckingam, Porthos
Note: Missing Moments, Movieverse, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 19

 

Rue du Change


L’attesa e il sacrificio erano innate nella sua natura, non poteva essere altrimenti.

 

Come giustificare, se no, tutte le storie di damigelle in pericolo, rinchiuse in una torre e minacciate da un mostro, pronte per essere salvate dal principe azzurro?

 

L’attesa era innata nella natura della donna, perché attesa, pazienza, sacrificio e sofferenza erano ciò che da sempre era stato insegnato a tutte le donne.

 

Attendere il padre tornare a casa dal mercato, come attendere il marito dal campo di battaglia. L’attesa di un figlio, una nuova vita. Attendere anche il suo ritorno. Aspettare, per sapere.

Aspettare la fine di una lunga malattia come della vecchiaia, tollerare pazientemente ciò che la vita presentava, la malattia e il tradimento. 

Sopportare e perdonare, senza mai combattere. 

Sacrificarsi per il bene di tutti, aspettare con calma per arrivare alla fine.

 

Come tutte le altre dame, anche Constance aveva ascoltato gli insegnamenti con femminile diligenza. Rassegnazione ad uno stato inalterabile delle cose.

 

Presa e attesa: come alle donne di solito si insegnava la paziente attesa, la lunga sofferenza da uno stato all’altro della situazione, così agli uomini era insegnato prendere e ottenere tutto e subito, a qualunque prezzo.

 

Tuttavia Constance aveva atteso fin troppo, non era più il momento di soffermarsi, era arrivato il momento di prendere ciò che nessuno, nessuno fino ad allora, le aveva ancora assegnato: gli uomini di solito prendono, al diavolo le favole!

 

Di parole accattivanti ne aveva ascoltate fin troppe, da Aramis, da D’Artagnan, ma alla fine del discorso era rimasta sola, nella sua stanza, in compagnia del gioiello dal valore inestimabile, fino a ieri così tanto ambito e che quella mattina, segnava la sua vita come una condanna.

Cavalieri di altri tempi, in verità, non avevano menzionato in alcun modo come si sarebbero giustificati a Corte, cosa avrebbero raccontato al loro ritorno... La collana promessa era stata consegnata, lei aveva promesso una buona parola, ma nessuno aveva mai accennato quali parole loro avrebbero messo per lei!

 

Spavaldi e traditori? Avrebbero brandito le loro avventure come un vanto amoroso? 

 

Casti e onesti? Avrebbero veramente rinunciato alla loro moderna virilità, in difesa della sua reputazione. Proprio per lei, una semplice dama di corte?

Che non passasse nemmeno per l’anticamera dei loro cervelli puerili! 

 

Avessero aperto bocca su quella sera di qualche giorno prima, sulle tenere labbra del giovane guascone accarezzare le sue dita bianche e spaventate, onde infrangersi sulle spiagge di Dover e passeggiate a piedi nudi, le punte affondare sulla sabbia bagnata...

 

...Avessero detto una sola parola sulle sue guance rosse, gli occhi languidi e avrebbe rivelato a tutti quanti dei due uomini soli in una stanza: uno nel letto dell’altro, che la Regina ne avesse piene le orecchie! 

 

Non avevano certo dormito insieme nello stesso letto, ma li aveva ascoltati, uno aveva preso il letto dell’altro e poco importava, voci del genere attecchiscono in fretta a Corte, paglia sul fuoco del rogo!  

 

Avessero provato a comprometterla con un’altra delle loro stupide pagliacciate e non ci sarebbero stati neanche cadaveri da seppellire!

 

I suoi tacchi fremevano nervosamente sul pavimento al pensiero di quello che sarebbe successo una volta a Parigi. E quale Parigi l’attendeva! Una stanza a Beaugency era la tremenda gabbia dorata.

 

Il sole dell’alba aveva accolto le finestre della locanda dove alloggiavano i moschettieri, erano passati ormai diversi giorni dalla traversata di Dover, da quel terribile brindisi traditore. Soltanto ore dalla farsa a cui anche lei era stata costretta a partecipare.

 

Vesti prestate da un sarto del posto, non certo uno dei migliori. 

Anche quel fatto le ricordò di come era stata introdotta alla Corte della Regina, anni prima, tramite la sartoria di famiglia. I nervi tesi della ragazza furono attraversati anche dal pensiero di come anche quel fatto potesse essere usato contro di lei, un giorno. 

Figlia di sarti, abbastanza ricchi da poter comprare i favori della Regina. Non una vera dama di Corte, soltanto una serva donata alla sovrana per semplici favori e vanti. Un dono.

 

Santissima Minerva! Proprio come un animale!

Constance strinse i pugni e digrignò i denti. 

 

Le palpebre strette sul fuoco carico delle sue ire: se doveva essere trattata come un animale comprata, venduta, che fosse una furia, che fosse la tigre indomabile, pronta a divorare il suo padrone alla minima incertezza. Fece ancora qualche passo su se stessa, come in gabbia, verso la luce delle finestre, verso l’ombra della porta, rallentò i movimenti e si guardò indietro.

 

Ancora nessun rumore proveniva dalle stanze vicine.

 

Constance aveva già preparato le sue cose da diverso tempo e aspettava ansiosa il loro arrivo, l’uscita grandiosa, o meno, dalle loro stanze. Osservò un’altra volta il fascino dei diamanti che custodiva con se. 

 

Tutta quella strada, quel baccano, per quei costosi brillanti che nessuno sembrava volere, nessuno poteva comprare e da cui dipendeva il destino di un Regno, la vita e onore di tante persone. 

 

Era ora di partire, ma nessuno si era ancora alzato.

 

Persiane chiuse sui vetri scostati, l’ombra di occhi incapaci di accettare i potenti raggi del sole senza provare dolore e sconforto.

 

***

 

Sono le donne che aspettano, gli uomini prendono.

 

Al loro risveglio, i tre compari notarono Athos ancora a letto, affatto pronto per partire.

 

Tremava, si contraeva sotto la forza di un dolore difficile da comprendere.

 

“Che vi prende?”- chiese Porthos.

 

“Sono morto e sepolto. Probabilmente gli Dèi non hanno preso bene la nostra trovata”- rispose lui, girandosi. L’uomo si accasciò sotto un’altra fitta di dolore. Prese la testa tra le mani ed abbandonò i loro sguardi increduli.

 

Aramis si avvicinò per osservarlo meglio aggrottando le sopracciglia nel dubbio.

 

“Smettetela, sudate freddo! È per caso la ferita?”- disse cercando di tendere una mano sulla sua fronte umida, ma l’uomo glie lo impedì, bloccandogli il polso.

 

“No. E’ migliorata. Ricordate?”- rispose lui, stringendo i denti. Aramis non poteva dargli torto, avevano medicato le ferite poco tempo prima e la sua non sembrava essere in condizioni così brutte da provocare in lui tutta quella febbre.

 

Tuttavia Athos non si era vestito e non era ancora pronto per tornare a Parigi, stringeva i pugni e tremava, mentre la sua pelle sbiancava sotto una nuova contrazione. 

 

“Chiudete questa porta, sbarratela a chiave, tornate tra tre giorni!”

 

“Athos!”- esclamarono gli altri due.

 

“Fate come vi ho detto. Due pesi e due misure. E questa volta è il mio turno di tenere i miei affari per me. Prendete le mie cose, il mio vino, sbarrate la porta come vi ho detto e andatevene!”

 

Era giorno inoltrato e sarebbero dovuti partire proprio in quel momento, ma il messaggio era chiaro: Athos non li avrebbe seguiti.

Interdetti sulle azioni del compagno, i due decisero di rivestirsi e discutere i loro nuovi piani in un altro posto.

 

“Che la sorte vi assista!”- disse Porthos rivestendosi di fronte allo specchio, Aramis si avvicinò verso di lui ed osservò un angolo di esso, come per controllare qualche cosa nel volto o il farsetto mai abbandonato per la notte ed acciaccato dalle pieghe del sonno, una vanità, il suo sguardo invece scrutó nel riflesso come distratto da qualcos’altro: la porta scostata alle loro spalle, D’Artagnan si era già alzato ed aveva lasciato le sue stanze.

 

I due compagni annuirono ai suoi ordini con con rammarico, lo abbracciarono e gli strinsero la mano in segno di saluto.

 

Athos non si ritrasse, ma ritornò a letto e il suo sguardo sofferente fu presto notato dagli altri.

 

“Non è la morte, quanto scoprire da solo se sono davvero vivo...”- sussurrò verso i due.

 

Alle sue parole, loro fecero come richiesto, chiusero la porta a chiave e lo sbarrarono nelle stanze.

 

***

 

D’Artagnan alzò le sopracciglia e aprì leggermente la bocca.

Occhi sbalorditi sulle labbra di un locandiere indifferente.

 

L’udito si fermò e non riuscì ad ascoltare nulla di quello che l’uomo stava dicendo.

Veramente non furono le labbra dell’uomo a muoversi. Così, ferme, cave e protruse in avanti, formavano e suonavano il circolo della lettera O, così come la lingua spessa, apparve e scomparve veloce dietro i denti trascurati e quasi del tutto nascosti, nella volontà di pronunciare un suono dentale, spostando lievemente la pelle della gola in un’ultima contrazione nasale quasi impercettibile.

Gli sembrò di vedere il volto roseo di una persona senza occhi e braccia, affacciarsi alla finestra per un attimo e ritirarsi immediatamente nel buio del palato, sbattendo la porta.

 

L’espressione che seguì il locandiere era quella di colui che attendeva immediatamente una risposta, tuttavia il ragazzo non aveva veramente ascoltato nessuna domanda.

 

Incrociò le braccia con la pazienza e la resilienza di un commerciante esperto di quel genere di sguardi increduli. Gli occhi indifferenti dell’uomo ricaddero sui suoi, fissi e ancora più sgranati.

 

“Oh...”- D’Artagnan imitò parte di quel suono, del verso che avrebbe dovuto ascoltare ed annuì, una grossa lacrima abbandonò le palpebre ed abbassò lo sguardo.

 

“Orleans, Monsieur. Non ha detto altro. Volete pagare adesso o volete pagarla insieme alla vostra?”- ripeté il locandiere.

 

Lui arrossì nervosamente, mentre i tendini del collo si contrassero sotto la forza delle sue stesse meningi, avrebbe voluto piangere e gridare a squarciagola contro qualche cosa di inanimato, proprio come avrebbe fatto lei. Invece strinse i pugni e puntò il tacco al pavimento.

 

Il suono non provocò nel locandiere alcuna reazione, sbuffò e gli voltò le spalle.

 

Si guardò attorno, confuso, verso la ricerca di Constance, come se quello che l’uomo avesse appena detto fosse stata una menzogna. Era ancora lì, aveva appena fatto le valige, ma non era partita ancora, era sulla porta, sulla strada!

 

Certo, se fosse corso sulla strada l’avrebbe sicuramente vista! Bastava soltanto uscire fuori e lei sarebbe stata lì... No, non c’era più: non era lì e non era nelle contrade vicine, non era sul ponte per Meung: Beaugency era per lei una vista lontana e lui in mezzo alle contrade sinuose, verdi collinette, querce ombrose che oscuravano l’orizzonte, altrettanto lontano e abbandonato nella confusione.

 

Accorse di nuovo verso la locanda e i suoi piani superiori, salì le scale a lunghi balzi e fiato corto, sarebbe partito in quel momento, senza neppure prendere le sue cose: avrebbe soltanto dovuto avvisare i suoi compagni di Constance e...

 

Porthos ed Aramis, esclusi dalla stanza vicina, erano già dentro alle quattro strette mura, porte aperte e stanze vuote. Soldi, monete d’oro lasciate sul letto disfatto, Porthos cominciò a contare il denaro con indifferenza.

 

“Sapete cosa lo affligge? Non ricordo averlo mai visto così!”- disse Aramis, indicando la parete che segnava le loro stanze. Porthos prese tempo, sbadigliò, distese entrambe le braccia in un ampio arco per portarle ai fianchi. 

Strinse le palpebre diverse volte prima di rispondere, come se quella domanda fosse scontata e non meritasse veramente una risposta. 

 

“Che importa? Vuole stare da solo, lasciatelo solo!”- disse notando l’espressione incerta dell’amico.

 

“Solo che...” 

 

“Aramis!”- lo riprese.

 

“Veramente non c’entra neanche la sua salute: Buckingham non è l’uomo che credevo. Sono forse l’aiuto di un meschino?”

 

“Non é questo il punto...”

 

“E che mi dite della collana?”

 

“Cosa?!”

 

“Maledetta fin dal primo momento... Non avrei mai dovuto portarla via... L’ho... Rubata! Sono forse un ladro?”

 

Porthos alzò le spalle e sbottò accennando indifferenza alle sue incertezze.

 

“Troppo tardi per tornare indietro... Qualcun altro l’ha rubata alla Regina prima di voi. Con l’intento di riportarla alla Regina vi siete onorato di un pensiero giusto. Quella donna ha fatto lo stesso con noi e i nostri documenti! Vendetta è stata compiuta!”

 

“Ma... Ne stiamo forse pagando il prezzo?”

 

“E questo che c’entra con voi? Per una buona volta siete stato intelligente, proprio come me, ed avete avuto l’arguzia di non lasciarvi incantare da una donna bella e malvagia. Almeno me lo auguro!”

 

“...Però Athos...”

 

“Avanti! Voi non siete così ingenuo da non sapere affatto cosa lo affligge!”

 

“No ma ho fatto del mio meglio e non è contato a nulla... Potrebbe essere davvero per via di un cuore spezzato? Non siete preoccupato per le sue sorti?”

 

“Certo, ma sono anche affamato e, francamente, è stato lui a cercarsela”.

 

In una vita passata al fronte, gente che perdeva la testa per una donna o una bottiglia, non erano una novità. Porthos trovava la cosa fin troppo normale.

 

“Ci sono due modi per uscire dall’eterna sbornia: quella vera e quella dell’anima, uno è il suo. Potrebbe funzionare, ma è il gesto di un folle. Sapete cosa succede a gente come lui? Ricordate quando ha smesso di bere?”

 

Aramis scosse la testa come se il discorso dell’amico fosse qualche cosa di incomprensibile alle sue orecchie. Aveva sicuramente studiato e visto la melencolia coi suoi stessi occhi, ma quando cadeva così vicino non sembrava più la stessa. 

Era davvero pronto a combattere da solo contro un drago invisibile?

 

“E cosa volete fare? Aspettare qui senza fare nulla?”- chiese Porthos al suo silenzio.

 

“Dovremmo aiutarlo in qualche modo. Ma se vuole stare da solo, lasciatelo solo! 

A pancia piena si ragiona meglio! Andiamo! Venite con me e fate come vi ha detto...”

 

“Andate voi, io aspetto qui ancora un po’...”

 

Porthos gli voltò le spalle sgarbatamente, accennò un saluto verso D’Artagnan, annuì con più cortesia ai suoi occhi increduli e pose la sua quota di denaro tra le mani senza lasciarlo ribattere.

 

***

 

Aramis fissò la porta, ma di fronte al giovane non c’era che la visione del vuoto di un precipizio immaginario. Guardò in basso, verso la sua stessa vertigine, sotto il peso di un lungo sospiro carico di incertezze. 

 

Incapace di andare avanti, non potè altro che voltarsi indietro e ricordare tutto ciò che era appena accaduto, caricarsi della colpa di aver commesso errori irreparabili. Lo sconforto di avere in qualche modo provocato quella situazione.

 

L’ombra di Aramis, appoggiata allo stipite della porta, bloccò il passaggio di D’Artagnan. Le loro stanze erano chiuse a chiave e il giovane non gli diede la possibilità di entrare o avvicinarsi.

Chi era veramente? Un amico? Un rivale? Lo stava aiutando o lo voleva ostacolare?

 

Le sue mani poggiate sulla porta chiusa, celavano un’altra realtà.

Il cavaliere sul cavallo bianco era disceso tra i mortali. Era dunque il santo martire e militante? No.

 

Eppure nemmeno lui aveva avuto il coraggio di partire con Constance, non aveva avuto la virtù e non aveva mantenuto la sua parola di riaccompagnarla a Parigi.

 

Il brindisi di qualche tempo prima aveva in un certo senso rovinato la fiducia del giovane sulla ragazza, che era partita senza avvisare neppure lui. Ai suoi occhi, Aramis aveva cercato di celebrare ciò che ancora non era stato veramente ottenuto: la presunzione di colui che è avvezzo alle vittorie facili.

 

No, l’ombra che ostacolava la sua traversata non era nient’altro che quella un ragazzo, solo di qualche anno più grande, quale grande esperienza aveva mai potuto avere? 

Quali segrete conoscenze nascondeva? Sebbene lui era stato al fronte, D’Artagnan, il giovane Conte de Batz aveva visto la morte in faccia, aveva combattuto le intemperie, domato pochi uomini e fin troppi animali, aveva attraversato il regno da parte a parte, viaggiato per giorni, dal tramonto all’alba: aveva avuto a che fare con altrettante durezze. 

 

Il semplice fatto di aver benedetto un paio di soldati feriti al fronte non rendeva Aramis così tanto più sacro ed esperto di lui, non così tanto da poter reclamare su di lui alcun diritto o atteggiamento.

 

I due si scambiarono un lungo e silenzioso sguardo. Un’armatura dell’anima disciolta dalle fiamme di draghi invisibili, eppure vivi e dominanti.

 

Con sorpresa, notò quello sguardo nei suoi stessi occhi, in un tempo lontano e quasi dimenticato, la preoccupazione di qualcuno che ha perso una persona importante ed il timore di perderne un’altra. Di fronte a lui non compariva il nobile arrogante dei suoi gesti, ma un giovane ferito nell’anima e preoccupato per le sorti di qualcuno.

 

Il danno con Constance era irreparabile, era partita con la collana e senza di loro.

D’Artagnan aveva dato la sua parola! L’avrebbe riportata in Francia, a Parigi! Come l’avrebbe mai potuta raggiungere?

 

Aveva dato la sua parola, ma non gli era stato concesso di mantenerla. Doveva trovare il modo di rimediare...

 

Aramis sospirò, arreso dal suo stesso destino. Scosse la testa come se i fatti evidenti, ma mai annunciati a voce alta, l'avessero in qualche modo offeso. Preso da altri pensieri che lo affliggevano molto di più della dama e la sua collana e disse:

 

“Non temete per Constance”.

 

“Come? Non siete anche voi preoccupato per le sue sorti? Le ho fatto una promessa! È una bella da salvare! Pensavo che...”- le parole veloci di D’Artagnan furono presto interrotte.

 

“Sabra da Cirene, intendete”.

 

“Sabra da...”- D’Artagnan esitò, la principessa di tante favole e le leggende, la bella in pericolo, data in pasto al terribile drago. Annuì con incertezza.

 

“È colei che ha legato e tenuto fermo il Drago: è sua Cirene, la città che ha ereditato dal padre, per la quale fu pronta a sacrificarsi. È lei, disposta ad ogni costo a fare il volere del suo popolo, sprezzante della sua stessa vita. Il miracolo è stato compiuto sui suoi sacri cingoli, non dalla spada impugnata dalle mani dell’uomo: è sua la stola al collo del drago ed è con quella stessa cinta che il mostro è stato riportato nella sua città”.

 

La voce dell’amico corse chiara e veloce, triste, ma allo stesso tempo così rassicurante, D’Artagnan non potè fare a meno che ascoltare.

 

Senza Sabra non ci sarebbe mai stata giustizia, il drago non sarebbe mai stato sconfitto. Sabra non aveva mai atteso con pazienza l’arrivo del Santo.

 

Il discorso di Aramis si fermò di colpo.

“Ed ora vi chiedo un’altra volta: qual'è la vera morale della favola? Chi è il vero eroe della storia?”- chiese, riportandolo al presente.

 

Senza la principessa non ci sarebbe mai stato un martire da ricordare.

 

A quel pensiero, D’Artagnan sbuffò in silenzio, senza rispondere all’amico.

 

“Siete voi quel Santo martire? Alle volte mi chiedo... Vorrei essere come voi”- disse arrendendosi all’evidenza di come Aramis fosse davvero migliore di lui anche in quei momenti in cui non cercava di esserlo.

 

A quelle parole, il giovane cavaliere abbassò la fronte, come se guardasse la chiave con cui aveva appena chiuso la porta delle stanze del compagno. Occhi nascosti sotto la frangia dei capelli, un sorriso amaro pronto a tendere una delle guance. Non più il giovane impassibile dalle virtú inarrivabili, pronto a farsi beffe di se stesso e delle sue azioni.

 

“La mia è un’altra storia, è quella dell’ hidalgo sognatore...”- disse Aramis tra le labbra tese, un sussurro nervoso. 

 

Il sangue divampò rovente sulle tempie, caldo e potente come il fuoco stesso, il fiato di un drago vivo e presente tra di loro. Così reale da poter essere visto: nero e rosso come il sangue, verde come la bile.

 

“Non siate come me, non siate il folle cavaliere errante, viaggiatore senza meta, il cuore rapito dall’illusione di un amore o l’inarrestabile sete di vendetta... Languire per una Dulcinea che non esiste piú. Folle, folle hidalgo! Povero me!”- disse con rabbia, la voce quasi spezzata da un pianto sapientemente trattenuto. 

Nessuna lacrima solcò il suo volto, inspirò dal naso e si impettì di un falso orgoglio. La compostezza allenata di un vero uomo, privo di emozioni, un nobile cavaliere abituato al peggio.

 

Aramis si ripiegò sugli stivali dalle punte impolverate per poi notare le gambe raccolte tra le braccia. Come il santo dal volto giusto sotto l’elmo aperto, colui chino ad osservare il drago, l'oggetto spaventoso delle sue paure, un essere incapace di descrizione. 

 

Orribile e orrificante, che non sfida soltanto il Santo e la Principessa: sfida chiunque gli si ponga davanti, con le sue ampie ali tese: faccia a faccia con una terrificante falena dalle ali spalancate. Quando lo sguardo raggiungeva la terribile creatura, frutto dell’immaginazione illogica e delle paure di un povero artista, così il santo diventava semplicemente un altro soldato dallo sguardo vuoto. Anche la principessa perdeva importanza, relegata ai confini della grotta. 

 

“Abbiate il giudizio, siate il santo militante, date a Sabra le sue redini, perché solo in questo modo le mani del Santo saranno libere di imbracciare sia lo scudo che la spada...”

 

Non c’era gioia nel giovane. Rimpianto e dolore, Aramis irreprensibile, irraggiungibile e impeccabile era stato colto e schiacciato da una da una malinconia che non sembrava più derivare dalla partenza di Constance. 

 

Era piegato e immobile, nell’attesa di qualcosa, o qualcuno.

 

“Soltanto un folle si toglierebbe da un guaio per infilarsi in un altro...”- disse, nascondendo la bocca tra le braccia e senza guardarlo.

 

D’Artagnan non la pensava allo stesso modo.

 

“Badate, l’hidalgo è solo un folle per gli abitanti della Mancha, ma in cuor suo è un cavaliere a tutti gli effetti. Draghi e principesse, la sua immaginazione al di sopra della fame e il sonno, suo è un mondo interessante e curioso fatto di mostri, avventure ed amore. Le sue gesta valsero la penna dello scrittore e i suoi racconti vivono nelle stampe, da più di cento anni!”

 

L’orizzonte che si parava di fronte agli occhi di un cavaliere errante non era lo stesso di una porta chiusa.

 

“E chi era il Santo Martire, se non un folle spavaldo per gli abitanti di Cirene, pronto a sfoderare la sua audacia sulla sgargiante armatura, combattere un drago inarrestabile fino a quel momento, per la semplice vita di una donna, che loro stessi avevano deciso di sacrificare?”- chiese il ragazzo, riflettendo sulle stesse storie citate dal giovane.

 

La natura di un cavaliere errante rimaneva la stessa, nonostante le situazioni fossero così diverse. Il ragazzo gli tese la mano e lo fece rialzare

 

“Nel dono dell’amore, gli Dèi ci donano il coraggio!”- disse D’Artagnan ritrovando in se stesso l’entusiasmo che lo aveva spinto così lontano.

 

“Siate sia il Santo, il Martire e il Folle Hidalgo! Combattete in egual misura sia il drago che il mulino, amate Sabra e Dulcinea della stessa passione e andatene fiero!”- continuò. 

 

Gli occhi di color turchese incendiati di quel fuoco che sempre arde e mai si spegne: la speranza.

 

Il giovane lo ascoltò con attenzione. Il mento contratto, le sopracciglia piegate. Ed in quel momento, l’essere umano, in carne ed ossa e sangue, si mostrò con una lacrima furtiva, scappare tra le ciglia. Le guance arrossire di un’emozione nascosta.

 

D’Artagnan lo abbracciò in silenzio e con un impeto improvviso. Aramis non potè che ricambiare quell’abbraccio così animato. Sorpresa e indecisione si trasformarono presto in un dolce sorriso fraterno, la testa del ragazzo accarezzargli il mento.

Attimi dopo, il giovane cavaliere gli prese le braccia ed incrociò il suo sguardo dicendo:

 

“Constance è partita, ma Athos non partirà oggi. La mia scelta è quella di rimanere qui e rimetterlo in piedi. Non vi chiedo di rimanere con me, siamo noi di veglia e non ne avete il motivo. Non vi chiedo di andare, non sono io ad aver dato la mia parola a Constance. Vi chiedo però di fare ciò che ritenete più giusto per voi stesso, seguire la vostra meta, non le mie scelte o quelle di Porthos e neppure quelle di Constance. I vostri sogni prima di chiunque altro”.

 

Il ragazzo strinse i pugni e i denti, annuì con coraggio, sapendo quello che avrebbe fatto. Lo salutò e si allontanò di qualche passo, per poi voltarsi un’ultima volta. 

 

“Quando parlavate di Dulcinea... Non vi stavate riferendo a Constance, vero?”- chiese 

 

Aramis sgranò gli occhi con sorpresa, pensò lentamente alle parole di D’Artagnan ed accennò uno strano sorriso di imbarazzo.

 

“Certo che No!”- disse a voce alta.

 

Il ragazzo annuì e sellò il suo cavallo deciso di partire di corsa all’inseguimento di Constance.

 

Irruppe all’uscita della stalla e galoppò in fretta attraverso il ponte, in direzione di Meung, ma non fece in tempo ad uscire dalle porte della città, quando la visione terrificante lo fermò.

 

***

 

Nel silenzio dei piani alti della taverna, i lunghi passi tranquilli, tacchi duri e speroni tintinnanti sostituirono la corsa veloce di D’Artagnan.

 

“Non Avete atteso abbastanza?”- chiese Porthos.

La sua voce riecheggiò nell’anticamera.

 

Aramis si voltò con insofferenza, voltandogli le spalle di proposito, ma stanco di combattere e allietato dalle parole di D’Artagnan, scosse la testa e non reagì in altri modi.

 

“Credo di aver perso il senso della ragione”- disse tra se, evitando il suo sguardo.

 

Porthos accennò una smorfia di dispetto, come se l’amico avesse detto finalmente qualcosa di soddisfacente per le sue orecchie.

 

“Non temete, non potete perdere ciò che non avete mai ottenuto! Piuttosto, badate a me! Sono io che ho perso davvero tante cose care...”- disse lui. Aramis non gli prestò attenzione.

 

Il moschettiere si interruppe. Pose una mano davanti alla bocca, il tentativo di trattenere lamentele noiose, dette fino all’esasperazione, come se non volesse ricordare all’amico o a se stesso di aver sacrificato tutte le sue cose costose. 

Porthos alzò le spalle e scosse la testa, pose una mano sulla cintura, impettito dall’aria dei polmoni, sazio e in pace con se stesso. Con l’altra mano verso il soffitto, come se stesse citando i versi di un profeta del passato, in un teatro la cui platea era fatta di sospiri e ripensamenti.

 

“Sapete che vi dico? Al diavolo le mie cose! Ne comprerò altre! La pancia è piena, l’albergo pagato! Cosa potrei desiderare di meglio? Forse un arrosto intero! Carni marinate e insaporite dai fumi e dai legni di tiglio... Forse una donna!”- abbandonati i suoi pensieri oscuri, l’uomo abbozzò un sorriso soddisfatto. 

 

Aramis si voltó verso di lui, con uno sguardo incredulo, scosse la testa, come se le parole dell’amico fossero solo sogni ad occhi aperti di qualcuno non pronto ad accettare la realtà.

 

“Se non avete neanche il letto! Ricordate? Athos vi ha chiuso fuori dalle vostre stanze!”- disse Aramis mostrandogli la porta chiusa, come l’evidenza tangibile dei dubbi che ancora non lo lasciavano e che Porthos sembrava voler negare.

 

“Poco importa! Ritornerò prima di cena e ricordate quello che vi ho detto!”- l’uomo corse via senza dargli la possibilità di ribattere, ridendo con soddisfazione e affatto preoccupato per le sorti dell’amico o di quelle di D’Artagnan. Dimenticandosi che forse sarebbe stato suo il turno di veglia. 

 

Aramis rimase solo di fronte alla porta chiusa, il dubbio che lo aveva assalito era ancora presente, ma alleggerito in qualche modo dalle parole dei suoi amici.

 

***

 

Qualcuno bussò alla porta timidamente.

La prima volta, Athos si girò verso la parete e coprì la testa con le lenzuola.

 

Nessuno bussò una seconda, ma non aveva udito i passi della persona dall’altra parte andarsene, o avvicinarsi. Si voltò, il silenzio sembrò pesare su di lui più del solito.

 

Come Athos pensava di non poter mostrare a nessuno quel suo lato debole, così non aveva ancora trovato il modo di poterlo sopportare veramente lui stesso. 

 

L’ombra immobile al di fuori della sua stanza chiusa, divenne come una strana distrazione dalle altre ombre che oscuravano il suo cuore.

Chi si tratteneva al di fuori della porta per tutto quel tempo, senza allontanarsi o senza chiedere di entrare? 

Nella volontà di voler abbandonare dietro di lui un passato di ricordi e dolori che lo tormentavano e nella curiosità di scoprire chi fosse quella persona, aprì la porta con le forze che riuscì a trovare.

 

“Cosa fate ancora qui? Vi avevo detto di tornare tra tre giorni!”- sbottò, incrociando lo sguardo del giovane.

 

Interpellato con quella domanda, Aramis si impettì in un’arroganza amichevole.

 

“Non siete mica Cristo!”- disse alzando la voce ed entrando con apparente fierezza. Il giovane in un primo momento si guardò attorno, ritrovando parte dei suoi bagagli alla ricerca di qualche cosa, fingendo di non prestare attenzione all’amico.

 

“Piuttosto voi, cosa dovevate chiedere?”- continuó senza incontrare il suo sguardo.

 

Una volta che la sua curiosità fu soddisfatta e l’amico sembrò distratto da qualcos’altro, Athos si sdraiò di nuovo nel letto, voltò lo sguardo verso il muro arido ed emise un lungo sospiro, di nuovo incurante delle azioni dell’amico.

 

“Nulla. Soltanto la strana visione di colui che cerca di rimanere sobrio a tutti i costi e rifiuta il richiamo della bottiglia”.

 

Aramis fermò la sua ricerca e si avvicinò di qualche passo.

 

“State dicendo che...”- disse in un tono quasi sussurrato.

 

Athos ritornò con lo sguardo sul giovane.

 

“Sedetevi e guardatemi negli occhi, che vi possa vedere meglio in volto e sfatare così tutti i miei sospetti!”

 

“Quali sospetti?”- chiese l’altro.

 

“Guardatemi negli occhi, prendete la mia mano”.

 

Aramis esitò, con lieve imbarazzo, prese una mano tra le sue con gentilezza.

 

“Avete qualche cosa contro queste dita tristi?”

 

“No...”

 

L’uomo chiuse gli occhi ed annuì.

 

Quando la mano di Athos lasció la stretta, il giovane capí che il suo compagno si era di nuovo addormentato. 

 

Lacrime e sudore, qualsiasi esperienza stesse passando era qualcosa difficile da spiegare a parole. 

Aveva forse chiesto troppo al suo compagno? Era davvero possibile dimenticare il vero amore? Certo che no, un vero amore non si scorda mai. Neppure la parola d’onore può lavare via qualche cosa di così tanto profondo. 

 

“Al contrario...”- sussurrò Aramis in un lungo sospiro, ormai sicuro di non poter essere ascoltato. 

 

Si chinò sul volto dell’amico e ne studiò i lineamenti distesi con particolare attenzione. 

Le guance pallide e le labbra leggermente dischiuse dal sonno. Asciugò una lacrima con un lieve movimento delle dita e strinse più forte la sua mano, non più triste, soltanto inerme dalla stanchezza e, senza volerlo, si avvicinò di più. 

 

Sapone, l’odore intenso e gradevole delle lenzuola cambiate non più di un giorno prima, ostruiva e mascherava ancora tutti gli altri. Non a caso Aramis aveva scelto quel letto al posto di uno più soffice. 

Sospirò al profumo di un cuscino tanto desiderato, ma mai ottenuto... Profumo?

Il giovane si accorse di come il compagno non fosse adornato dai soliti odori sgradevoli, fumo, liquori e la nera bile dello stomaco dopo la solita sbronza. 

 

L’assenza di vini e liquori, gli fece capire come Athos stesse dicendo la verità e Porthos conoscesse per esperienza la causa di quel male. Non erano soltanto le ferite, dunque? C’era forse dell’altro?

Che fine aveva fatto la speranza?

 

Nella percezione del suo respiro caldo e lieve sulle guance, in quel senso di quiete silenziosa, Aramis sembrò come risvegliarsi da uno strano sogno ad occhi aperti. Scosse nuovo gli occhi da quella vista e si allontanò da lui immediatamente, raddrizzando la schiena, prese di nuovo fiato e, con un altro potente sospiro, sembró allo stesso modo allontanarsi da un pensiero non detto, il ricordo di una vita passata e la ragione di tante paure, scosse la testa.

 

Una brezza inaspettata fece tremare i vetri delle finestre, Aramis abbandonò l’attenzione sull’amico e rivolse lo sguardo verso l’esterno per qualche attimo, il tempo sembrava essere cambiato e forse una coltre di nuvole aveva adombrato il sole.

 

“Aramis!”- la voce dalla strada lo chiamò.

Il giovane non rivolse neppure lo sguardo, alzò le spalle con indifferenza e voltò le spalle alla strada e alla finestra. Se voleva veramente parlare, Porthos sarebbe potuto salire ai piani superiori e ritornare nelle loro stanze, invece di sbraitare in mezzo alla strada!

 

“Aramis! Presto!”- questa volta la voce si fece più alta, ancora una volta si rifiutò di rispondere.

 

“Monsieur le Baron, Cavalière René D’Herblay, venite fuori immediatamente. É un ordine!”

 

Erano passati anni dall'ultima volta che Porthos l’aveva chiamato così: la sua voce aveva abbandonato l’indolenza di qualche momento prima, non era più pigro e calmo, neppure insofferente ai sintomi di Athos o alle preoccupazioni sue e di D’Artagnan, ma chiaro e determinato, l’impeccabile pronuncia di colui che vuole farsi ascoltare seriamente da un compagno delle sue truppe. 

 

L'ordine di un superiore e, come un cadetto sotto il suo comando, Aramis ricevette quel comando senza protestare, si precipitó verso l'uscita della locanda verso la strada oramai divenuta completamente ombrosa.

 
  
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