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Autore: Ksyl    22/09/2020    3 recensioni
Castle e Beckett si sono incontrati solo una volta, durante quell'unico caso risolto durante il Pilot e da lì più nulla. Si rivedono solo alcuni anni dopo. E a quel punto inizia questa storia.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Richard Castle
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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"Pronta per questa sera?"
Castle doveva averle letto nel pensiero, oppure aveva la sua stessa spasmodica voglia di godersi lunghe, pigre ore insieme.
"Che cosa devi fare questa sera, mamma?", si intrufolò una vocina autoritaria.
Nonostante Castle le avesse solo sussurrato la domanda, le antenne tese di suo figlio, in apparenza impegnato in attività più interessanti di una noiosa conversazione tra adulti, captarono al volo l'informazione che, tra tutte, gli premeva di più. Tommy azionava sempre un radar speciale quando c'era di mezzo sua madre.

Non c'era niente di speciale nel fatto che lei fosse in grado di capirlo con una semplice occhiata. Lo considerava connaturato al suo ruolo, avendo studiato con attenzione ogni suo lineamento fin da quando gli aveva contato le dita delle mani e dei piedi, mentre erano ancora in sala parto. Che lui fosse altrettanto capace di leggerla con la stessa precisione l'aveva inizialmente spiazzata. E un po' preoccupata.
Non poteva essere diversamente, si era detta con il tempo, quasi sentendo il bisogno di giustificarsi, nel suo affannoso e costante monitorare che Tommy fosse sereno e non mostrasse segni di disagio dovuti alla loro particolare condizione.
Non c'era stato nessun altro che condividesse la loro quotidianità. Dai suoi primi giorni di vita lei era stata l'unica presenza fissa e immutabile in un universo instabile, la sola bussola che lo guidasse, le uniche braccia sempre pronte ad accoglierlo. Avevano quindi sviluppato un rapporto strettissimo che li portava a essere immancabilmente sintonizzati l'uno sull'altra, pronti a cogliere la minima variazione di stato d'animo, un dettaglio fuori posto o un tono diverso dal solito che nessun altro avrebbe notato.
Da sempre convinta di essere una persona che bastava a se stessa, era stata colta in contropiede dalla profonda affinità che si era naturalmente dispiegata tra lei e un altro essere umano, che da lei dipendeva ma che aveva presto mostrato una propria individualità separata dalla sua. Erano intimamente connessi a un livello che non si sarebbe mai immaginata. Lo riconosceva come uno dei doni che le aveva fatto suo figlio, una delle maggiori sorprese dopo la sua stessa venuta al mondo.
E ora era arrivato Castle ad aggiungere tasselli che le erano sempre mancati, a mostrarle parti di se stessa in cui non aveva mai pensato di imbattersi.

Dovette sforzarsi in fretta di imbastire qualcosa di coerente da rispondere. Nonostante la piccola eccezione avvenuta quando aveva invitato Castle a cena da loro, continuava a ritenere valida la regola di dirgli sempre la verità. Ultimamente il compito era reso molto più arduo dal voler preservare un minimo di vita personale che includesse Castle, ma che non prevedesse la costante presenza di suo figlio.
Castle la precedette, vedendola in affanno.
"Io e la mamma abbiamo del lavoro da sbrigare insieme". Aveva un'aria così convincente che quasi gli credette lei stessa.
"Davvero?", non poté fare a meno di lasciarsi sfuggire.
"Sì", confermò Castle, rivolgendosi intenzionalmente a Tommy dopo averle inviato una muta richiesta di reggergli il gioco. "La mamma è stata così gentile da offrirsi di darmi dei consigli sul libro che sto scrivendo. Ti ricordi che te ne ho parlato?"
Tommy lo ascoltò e poi annuì, dapprima con riluttanza e poi sempre più convinto, come se la spiegazione lo avesse soddisfatto. Lei rimase in silenzio, sentendosi complice di un reato. Una esperienza non esattamente esaltante, visto che si trattava pur sempre di suo figlio.

"Visto? Io non gli mento mai, a meno che non sia tu a costringermi a farlo. Stasera ho bisogno della mia Musa".
Castle le fece l'occhiolino, strappandole un sorriso che avrebbe preferito tenere per sé, per non incoraggiarlo a proseguire su una strada non del tutto irreprensibile su cui avrebbe avuto qualcosa – molto – da dire. E più tardi lo avrebbe minacciato di ritorsioni se avesse continuato a definirla Musa in pubblico. In privato era più indulgente.

Sul fatto che non avesse mentito, formalmente non aveva torto. Era vero che spesso le si rivolgeva per chiederle delle consulenze, con l'intento nascosto di andare a caccia di dettagli personali che lei avrebbe preferito tenere per sé, ma che, secondo lui, sarebbero serviti ad aggiungere spessore e realismo al suo personaggio.
In sostanza si era dovuta presto rassegnare al fatto che tutto ciò che la riguardava, dentro o fuori dal distretto, sarebbe diventato fonte di riflessione creativa per il detentore del suo alter ego narrativo.
Di certo però nessuno avrebbe negato che si trattasse anche e contestualmente di omissione parziale della verità, perché si augurava che non tutto quello che sarebbe successo quella sera venisse etichettato come consulenza, categoria decisamente ampia e dai contorni sfilacciati che Castle tirava in ballo con un po' troppa disinvoltura.
Forse avrebbe dovuto pensarci per tempo e mettere per iscritto, con l'aiuto di un avvocato, dei limiti precisi al materiale privato da cui Castle avrebbe potuto attingere. Il resto avrebbe potuto compensarlo con la sua tanto decantata fantasia, che era ormai per lei fonte di perenne angustia. Ma a quel punto era ormai tardi. Alla peggio avrebbe sempre potuto cambiare identità non appena quel romanzo, il primo di una serie - così si augurava Castle mentre lei faceva gli scongiuri-, sarebbe stato dato in pasto al mondo, insieme alla sua intera esistenza.
Bisognava scegliere oculatamente le battaglie da combattere.

"Posso venire anche io?", fu la successiva, prevedibile, uscita di Tommy.
"Tra poco passerà a prenderti il nonno", gli rammentò, intervenendo decisa. Non avrebbe potuto cancellare quell'appuntamento tra congiunti nemmeno se fosse intervenuta una volontà superiore alla sua a imporglielo. Suo padre avrebbe fatto appello a ogni genere di convenzione che riguardasse i diritti dei nonni nei confronti dei loro amati, unici nipoti e se non fosse esistita l'avrebbe fatta stilare lui in persona. Dal canto suo non aveva nessuna intenzione di opporsi a un avvocato dalla lunga esperienza, famoso per non mollare mai la presa in tribunale.

"Avete fame? Perché non andiamo a mangiare qualcosa?", propose con studiata allegria per sviare l'attenzione di Tommy – e Castle – da quello spinoso argomento. Sapeva che nel giro di poco suo figlio avrebbe reiterato in toni sempre più insistenti e disperati la sua richiesta di essere incluso nei loro progetti, agitandosi inutilmente. Non trovava giusto consegnare un bambino ululante a un nonno pieno di buona volontà.
Anche Castle, dal canto suo, doveva essere fermamente indirizzato; lo conosceva ormai abbastanza bene da sapere che nel giro di poco avrebbe ceduto alle suppliche di Tommy, a cui non sapeva resistere. Sarebbe crollato al primo mento tremante.
Qualcuno doveva pur fare la parte del cattivo per mantenere intatto il miraggio di una lunga serata romantica che non capitava da un discreto numero di giorni, che lei aveva invero contati tutti.

Rivolse a Castle un'occhiata omicida – tra le migliori del suo repertorio – che fece immediatamente centro, convincendolo a simulare un entusiasmo eccessivo perfino per lui riguardo all'idea da lei espressa, ma che ebbe il vantaggio di distogliere Tommy dai suoi intenti, portandolo a focalizzarsi dove lei lo aveva indirizzato. Era andata a colpo sicuro, sapendo di toccare il tasto giusto con suo figlio – fare merenda seduto al tavolino di un bar era qualcosa che Tommy amava molto, forse perché lo faceva sentire più adulto.

No, doveva essere onesta con se stessa. La verità era un'altra. Ciò che suo figlio apprezzava era la prospettiva di stare tutti insieme. E per tutti si intendeva un circolo ristretto che includeva lui, sua madre e Castle, un terzetto indivisibile che Tommy aveva iniziato a considerare normale, che dava anzi per scontato e su cui faceva affidamento.
Ed era proprio quello il punto dei suoi tormenti, quelli che non rivelava a nessuno.
Si stavano avvicinano troppo velocemente – secondo lei addirittura precipitosamente –, ma con una spontaneità inarrestabile, verso un'idea, un costrutto simbolico che le faceva un po' paura.
Qualche volta, osservandosi da fuori, si imbatteva in piccoli, emozionanti scorci di loro, che le facevano sperimentare un calore e una dolcezza mai provati, ma che la mettevano anche sottilmente in allarme. Era così che si comportavano le famiglie. Quelle felici. Quelle che si assomigliavano un po' tutte. Ed era facile e desiderabile crogiolarsi in quel tepore, non porsi domande, non guardare troppo in avanti, non preoccuparsi che andasse tutto a rotoli.

Tommy, con la spensieratezza della sua giovane età aveva già ampliato i confini della quota di fiducia che destinava al mondo fino a includere Castle. Lei, al contrario, e considerando suo dovere farlo, si opponeva con gli ultimi brandelli di pura ostinazione a una meta che cominciava ad apparirle inevitabile. La razionalità le suggeriva che sarebbe stato meglio comportarsi in modo più cauto, rallentare i tempi, procedere solo se veramente sicura che fosse la cosa giusta – visto che ormai Tommy era stato coinvolto - ma all'atto pratico era un compito che andava oltre le sue possibilità. Si rammaricava di non avere più controllo su una situazione che le pareva esserle sfuggita di mano troppo in fretta. Ma ormai si dissetava regolarmente a una fonte che le era stata preclusa e, che le divinità della Prudenza la perdonassero, non ne aveva mai abbastanza.

Presero posto all'aperto in quello che era diventato il loro locale abituale, quello in cui rifugiarsi nelle giornate uggiose o dove fare una sosta dopo una passeggiata al parco o una visita al museo. Piccole cose. Cose di famiglia, appunto.
Castle si preoccupò di ordinare per tutti. Non era un'incombenza difficile, Tommy si manteneva fedele a poche varianti gastronomiche e lei sceglieva sempre lo stesso tipo di caffè, che Castle aveva subito memorizzato. Tra tutti, era lui quello più imprevedibile. Ecco perché si faceva portavoce dei loro gusti, un ruolo che si era ritagliato e che nessuno metteva più in discussione. Un altro tassello verso quella normalità che l'attraeva e l'atterriva insieme.

Castle le accarezzò il dorso della mano per richiamarla alla realtà, mentre Tommy chiacchierava senza sosta, sbocconcellando quello che aveva nel piatto. Alzò gli occhi, rendendosi conto di essere stata assente dalla conversazione, alle prese con le proprie inquietudini.
"Adoro tuo figlio, ma non vedo l'ora di stare da solo con te", bisbigliò Castle, questa volta senza farsi sentire da nessuno.
"Soprattutto perché godremo di qualcosa di cui siamo stati a lungo privati". Fece una pausa. Castle avvicinò la testa alla sua, improvvisamente molto interessato a quello che aveva da dire. "Il silenzio", concluse lapidaria, fingendosi esasperata.

Risero, richiamando l'attenzione di Tommy che, sentendosi escluso, rivendicò presto l'attenzione di Castle, facendolo partecipe di un articolato discorso che mostrava qualche carenza di logica. Castle si concentrò su di lui, teso ad afferrare meglio qualche concetto nebuloso.
All'inizio era intervenuta spesso per tradurre pensieri poco lineari del proprio pargolo a beneficio di interlocutori inesperti. Ma doveva riconoscere che Castle aveva fatto passi da gigante. Era sicura che si esercitasse a interpretare il singolare idioma del bambino anche quando era da solo.

Quando il dialogo parve scorrere fluido anche senza il suo contributo, si appoggiò allo schienale della sedia, lasciandosi andare a un lungo sospiro di godimento. Il lavoro per quel giorno era terminato, le temperature si mantenevano ancora gradevoli e la loro serata si stagliava nitida contro l'orizzonte.
Per una volta poteva permettersi il lusso di alleggerire il carico mentale – da sempre impegnativo - che si era ingigantito una volta diventata una madre single. La tensione accumulata nelle lunghe ore trascorse alla scrivania svanì lentamente, lasciando il posto a un'invidiabile leggerezza. Guardò Castle, intento a spiegare qualcosa a suo figlio, che pendeva dalle sue labbra.

Un bizzarro interrogativo si fece strada nelle maglie allentate del rigido controllo che di norma esercitava su se stessa. Chissà come sarebbe andata se. Se avesse detto di sì. Se avesse accettato, anni prima, quel suo goffo appuntamento. Se l'avesse lasciato entrare nella sua vita.
Si raddrizzò sulla schiena, dandosi della sciocca e imponendosi di frenare quelli che non erano nient'altro che pensieri oziosi. Dannosi, per giunta. Sapeva benissimo che tra tutte le cose da non fare, tra quelle più ingiuste, quelle che non le facevano onore, quella era in cima alla lista. Non aveva nessun senso – nessuno – immaginare varianti di un passato che, semplicemente, non sarebbero mai esistite. E per un motivo. In più non ci sarebbe stato il suo bambino, esattamente per quello che era, con ogni suo ricciolo, fossetta e discorsi strampalati.

Fu Castle ad accorgersi dello squillo del telefono, che per qualche secondo aveva fatto da sottofondo alle sue riflessioni senza catturare la sua attenzione.
"Non rispondi?"
Si riscosse. "Sì. Sì, certo. Scusami". Non sapeva perché si stesse scusando. Si alzò e gli fece cenno che si sarebbe allontanata. Non aspettava nessuna chiamata di lavoro, ma non voleva turbare l'atmosfera serena con l'infausta notizia del ritrovamento di un cadavere che avrebbe annunciato un caso che avrebbe avuto bisogno della sua presenza. Anche se forse Castle avrebbe apprezzato e le avrebbe chiesto di portarlo con sé.
Tornò dopo pochi minuti, ancora scossa.

"C'è qualcosa che non va?", si informò Castle inquieto, alzandosi in piedi a sua volta. Dal tono della sua voce e dall'espressione preoccupata con cui la scrutava, si rese conto che non doveva avere una bella cera. Prese fiato, ma si bloccò, prima di parlare.
"Kate...", insistette Castle paziente, stringendole delicatamente il polso. Il tocco le diede ossigeno per tornare in sé.
Non voleva che Tommy ascoltasse, ma era necessario comunicare a Castle il contenuto della chiamata appena ricevuta. Non c'era tempo da perdere.

"Devo andare in ospedale", gli disse con voce a malapena udibile, dando le spalle a Tommy. "Mio padre... ha avuto un incidente", confessò accorgendosi solo allora di essere molto spaventata. Castle prese il proprio cellulare dalla tasca e, senza dire niente, cercò un video che potesse isolare Tommy dall'ambiente circostante. Poco educativo ma utile.
"Vai", la esortò. "Penso io a lui".
"No, Castle, non posso chiederti una cosa del genere", protestò febbrilmente, recuperando la sua borsa, frugando all'interno di essa per cercare le chiavi. "Devo contattare la babysitter e aspettare che mi raggiunga per lasciarlo con lei...". Le ultime parole le morirono in gola. Avrebbe dovuto sperare che la donna accettasse di occuparsi di Tommy senza preavviso, che arrivasse in fretta e potesse rimanere ad attenderla fino a tarda notte. Mentre lei aveva bisogno di precipitarsi in ospedale il prima possibile e non poteva portare Tommy con sé. E che come avrebbe giustificato il cambio di programma senza allarmarlo? Come stava davvero suo padre? Il medico al telefono era stato parco di dettagli, si era limitato a informarla dell'incidente. Significava che era grave? O che non lo era?

"Non me la stai chiedendo, mi offro volontario".
"Non hai mai badato a lui così a lungo. Potrebbero volerci ore, non so quando..."
Faticava a comporre delle semplici frasi, qualcosa le stringeva la base del collo rendendole difficile articolare le parole.
"Motivo in più per lasciarlo con me, senza impegnare la babysitter chissà per quanto tempo".
Chiuse gli occhi. Aveva fretta – una fretta che se la stava mangiando viva, ma non poteva andarsene prima di garantire che Tommy fosse al sicuro.
"Non è possibile", protestò a corto di energie, impossibilitata a spiegarsi meglio.
"Kate, non ci sono alternative. O mi lasci il numero della babysitter e sarò io a mettermi d'accordo con lei o mi permetti di stare con tuo figlio. In entrambi i casi devi fidarti di me. È questo il problema? Temi che possa tingergli i capelli e portarlo oltre confine?"
Sorrise debolmente. Castle la incalzò. "Credi che potrei mai fare una cosa del genere a un capitano di polizia che mi metterebbe contro l'Interpol, l'FBI e qualsiasi rappresentante delle forze dell'ordine? Non sono pazzo a tal punto".
"Non servirebbero, verrei io stessa a farti lo scalpo e non sarebbe un'esperienza piacevole".
Le era almeno tornato un po' di spirito.
"Quindi, appurato che non temi che io lo rapisca e posto che è già stato sotto la mia responsabilità senza la tua supervisione – solo un paio di volte, d'accordo -, che cosa potrebbe mai accadere? Gli preparerò la cena, giocheremo insieme e guarderemo un cartone animato in tv. O no, se preferisci che gli declami qualche verso di poesie francesi per prepararlo al test di ammissione al college".
"Non è mai stato a casa tua". Perfino lei avvertì il tono petulante e del tutto irragionevole della sua obiezione.
"Non organizzo bische clandestine e in ogni caso non stasera, con un testimone che potrebbe incastrarmi raccontando tutto alla madre poliziotta".

Rimase in silenzio, stringendo il telefono tra le dita.
"Dove vai, mamma?"
Tommy spostò i suoi grandi occhi espressivi su di lei. Non era tranquillo. Nonostante le precauzioni, doveva essersi agitato sentendoli confabulare.
Castle si intromise. "Deve tornare in ufficio per proteggere la città dai cattivi, come fa sempre". Le fece segno di sbrigarsi ad andarsene. "Che ne dici, Tommy, di venire a cena da me mentre aspettiamo la mamma? Possiamo organizzare un pigiama party", propose Castle senza far menzione della serata con il nonno, mentre lei se ne stava in silenzio bloccata dai rimorsi e dall'indecisione.
Tommy si illuminò. "Sì!", gridò cancellando temporaneamente l'udito a tutti gli avventori seduti nei pressi e qualcuno anche un po' più lontano. "Mangiamo la pizza? E i pop-corn?", propose elettrizzato come al solito quando c'era di mezzo Castle.
"Certo, ma la pizza la prepareremo noi due insieme. E poi faremo tutto quello che vuoi. Ci sono i dinosauri che ti aspettano. E qualche spada laser".
Tommy gli gettò le braccia al collo, scalpitante. Castle scoppiò a ridere e lo sollevò in aria.

Sì, era la soluzione migliore, decise, assistendo al loro spettacolo privato. Anzi, non avrebbe potuto chiedere di meglio anche se sapeva Castle lo avrebbe viziato in modo indecente. Era certa che Tommy sarebbe stato più che bene e che per lui sarebbe stata una serata memorabile, pensò consolandosi con quel pensiero, mentre correva veloce verso la sua automobile alla volta del pronto soccorso, con il cuore rimpicciolito dall'apprensione.

Perdonate il ritardo, domenica ho avuto un'emergenza che si sta ancora protraendo. Spero di farcela per la prossima settimana a pubblicare regolarmente. 

   
 
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