Libri > Percy Jackson
Segui la storia  |       
Autore: platinum_rail    23/09/2020    1 recensioni
Sono passati quattro mesi dalla fine della Guerra dei Titani.
Percy ed Annabeth salvano Piper, Leo e Jason al Grand Canyon, senza sapere che avrebbe significato l'inizio di una nuova guerra.
Percy scompare la notte successiva, ma quando mesi dopo arriva al Campo Giove non ha perso la memoria. Ha un passato diverso da quello che conosciamo, e dei poteri incredibilmente pericolosi.
(IN FASE DI RISCRITTURA)
Genere: Avventura, Azione, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Annabeth Chase, Percy Jackson, Percy/Annabeth, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

La Casa di Ade

Percy percepì l’acqua per miracolo.
Mentre lui ed Annabeth sembravano cadere verso il nulla più assoluto, Percy desiderava solo potersi svegliare da quell’incubo.
Non sapeva se la loro caduta fosse durata minuti, ore o settimane, ma più il buio li avvolgeva più lui percepiva il terrore serrargli le viscere.
La roccia intorno a loro sembrava pulsare di sangue vivo, l’odore di morte gli penetrava nei polmoni e l’oscurità gli faceva pietrificare il cuore dalla paura dell’ignoto.
L’unica sicurezza che Percy aveva, era il corpo di Annabeth che stringeva a sé quasi disperatamente. Aveva seppellito il viso nell’incavo della sua spalla, gli occhi chiusi dal vento che gli sferzava dolorosamente il viso.
Annabeth lo stringeva con la stessa forza, e dopo qualche secondo Percy percepì il viso della ragazza voltarsi verso il suo orecchio.
Annabeth singhiozzò tenuamente: -Ti amo… -
Percy avrebbe voluto risponderle, ma era come se avesse la gola serrata.
La strinse ancora di più a sé.
Ci siamo, pensò, è la fine.
Ma poi, la luce cambiò.
Percy se ne rese conto quando, aprendo appena gli occhi, riuscì a scorgere il profilo del viso di Annabeth, improvvisamente illuminato da una tenue luce vermiglia.
E subito dopo, prima ancora che riuscisse a metabolizzare la cosa, il tunnel di oscurità si aprì intorno a loro.
Il ragazzo si ritrovò a cadere in un’enorme camera scavata nella roccia.
Percy per un istante fu troppo sconvolto per pensare lucidamente, i suoi occhi assorbivano le immagini senza che la sua mente riuscisse a comprenderle.
Quella caverna era grande abbastanza grande perché non riuscisse a vederne la fine. Caddero attraverso una nebbia di nuvole rosse come sangue, e all’orizzonte Percy distinse i piani di roccia scura come ossidiana e delle montagne frastagliate nere come pece, interrotte da delle faglie abissali nel terreno che brillavano di fuoco vivo. Sotto di loro, il terreno si infossava ancora di più con una serie di dirupi a gradino.
Percy rimase a fissare ad occhi spalancati l’abisso, e il suo sgomento gli fece quasi dimenticare di star cadendo verso la morte.
E poi, improvvisamente, Annabeth si mosse al suo fianco:
-Percy! – si sentì urlare all’orecchio. -L’acqua! –
Acqua?
Percy si voltò a guardare Annabeth, gli occhi vacui e annebbiati.
I suoi sensi sovraccaricati sembrarono improvvisamente tornare lucidi. Percepì il fiume.
Ed era troppo vicino.
Il suo sguardo d’un tratto terrorizzato si puntò sull’acqua che scorreva sotto di loro.
Il suo cervello riuscì solamente a realizzare che a quella velocità, l’impatto con l’acqua sarebbe stato letale.
All’ultimo secondo, urlò con sfida, e il fiume eruttò in un’onda gigante che li inghiottì completamente.
Quando l’acqua si schiantò contro la sua pelle, Percy scoprì che nonostante avesse vissuto un intero inverno dormendo per strada, lui non aveva idea di cosa fosse il vero freddo.
Sembrò penetrargli nella pelle come delle pugnalate, e nonostante lui potesse respirare sott'acqua trattenne il fiato. Forse perché ora la sentiva ignota e ostile, così tanto da fargli credere che l’avrebbe ucciso.
Lottò disperatamente per riportare la testa sopra la superficie, e quando emerse spalancò la bocca alla ricerca d’aria.
-Annabeth! – urlò mentre tentava di tenere la testa a galla. Il fiume lo stava trascinando giù, verso il fondo, e lui non riusciva a contrastarlo.
-Percy! – si sentì chiamare, e cercò di voltarsi verso il suono.
Annabeth era alle sue spalle, e lei si aggrappò alla sua spalla perché la corrente non li separasse. La ragazza stava battendo i denti dal freddo, aveva le labbra viola.
Ma Percy era invincibile, e non sarebbe stato il freddo ad ucciderlo.
Furono le voci a portarlo ad un passo dalla morte.
All’inizio non erano altro che un debole bisbiglio, ma mentre lui cercava disperatamente di tenere Annabeth e sé stesso a galla queste si fecero così forti da rimbombargli nella testa, dilanianti e sibilanti.
-Lasciati andare! Smettila di combattere! – gridarono le voci agonizzanti.
E Percy si sentì staccare dalla realtà.
-Non ne vale la pena! - sentì urlare ancora. -È sempre stato tutto inutile… -
Gli mancò il fiato, i polmoni incominciarono a bruciargli.
L’acqua lo sommerse.
E un ricordo gli annebbiò la mente.
Si ritrovò di nuovo sul ponte di Brooklyn, con la spada e lo scudo in mano che brillavano sotto alla luce vermiglia dell’alba. I suoi compagni si erano ritirati a qualche metro dietro di lui, molti di loro feriti. I rinforzi non erano ancora arrivati.
E lui era là, in mezzo al campo di battaglia, in attesa. Di fronte a lui, all’altra estremità del ponte, c’era l’esercito di Crono. Centinaia, forse migliaia di semidei e mostri, armati fino ai denti e con gli occhi iniettati di sangue.
Un solo semidio, di fronte ad un esercito di migliaia.
Aveva già combattuto fino allo strenuo, aveva già perso troppi dei suoi compagni, ed era così stanco.
Ma nonostante quello, lui era ancora là. In piedi, pronto a combattere. Ma un solo uomo non poteva vincere contro un’intera armata.
Non si era mai sentito così insignificante, così impotente.
Era un condannato a morte.
E rivivere quel momento, fece nascere in lui lo stesso desiderio che aveva avuto allora: avrebbe solo voluto lasciarsi cadere a terra, arrendersi, lasciare che lo uccidessero.
-Si! – sentì urlare ancora. -Non importa… alla fine non importa mai. Finirà sempre così… –
Il ricordo scomparve, il buio incominciò ad inondargli la mente.
-Percy! –
Il ragazzo si ritrovò a riemergere dall’acqua, e per istinto boccheggiò alla ricerca d’aria.
Vide Annabeth che lo stringeva a sé cercando disperatamente di non lasciarlo affondare.
-Percy reagisci! – gli urlò lei.
Ma Percy sentiva la sua voce così lontana, la sua vista si faceva sfocata.
-Non ha importanza. – mormorò lui. -È sempre stato inutile… -
-No! Percy non ascoltarli! –
Percy la guardò con debole sorpresa: -Le senti anche tu? –
Annabeth sembrava sull’orlo delle lacrime.
-Si Percy! Ma noi dobbiamo arrivare a riva! Dobbiamo andarcene da qui! –
Il ragazzo si sentì sprofondare, il suo tentativo di restare a galla era debole.
-Perché…? – disse nel delirio.
Perché andarsene?
Là fuori li aspettava un'altra guerra, che sarebbe stata esattamente come quella precedente. Disseminata di morte e dolore. L’ultima volta, lui aveva vinto grazie alla disperata convinzione che se avesse vinto, avrebbe potuto vivere al sicuro e in pace per la prima volta in vita sua.
Ma aveva imparato la lezione. Era una speranza illusoria e irreale.
-Perché dobbiamo tornare a casa. – disse la ragazza, stringendogli il viso tra le mani tremanti. -Ti ricordi, vero? Dobbiamo tornare al Campo Mezzosangue. –
Percy sentì la corrente del fiume farsi più debole. I ricordi più belli della sua vita incominciarono a riempirgli la mente.
Lui aveva una casa, e una famiglia che contava su di lui. Lui aveva Annabeth.
-Dobbiamo tornare a casa. – mormorò ancora.
-Si!- disse Annabeth guardandolo negli occhi. -Ci stanno aspettando! -
Percy annuì, e incominciò a nuotare verso la riva.
Le voci erano assordanti, ma lui mise tutte le sue forze nel rimanere ancorato alla realtà. Continuò a nuotare, seguendo Annabeth, il suo punto fermo.
-Devi ancora mantenere la tua promessa. – mormorò Percy.
Annabeth corrugò la fronte, ma non smise di avanzare: -Di cosa parli? –
-Avevi promesso che avresti aiutato me e Grover… - aggiunse lui. -Dobbiamo rubare il televisore dalla Casa Grande per guardare Alla Ricerca di Nemo. –
E Annabeth rise. Una risata cristallina e sincera.
E intorno a loro l’acqua si ritrasse, spingendoli verso riva.
Percy si chiese se nessuno avesse mai riso nel Tartaro, e sorrise a sua volta.
Quando raggiunsero la riva, si gettarono a gattoni sulla terraferma. Percy si lasciò cadere a terra ansimando, pronto a rimanere lì finché la sua testa non avrebbe smesso di pulsare.
Ma avrebbe dovuto prevederlo. Avrebbe dovuto sapere che quello era solo l’inizio. E che non esisteva pace in quel luogo.
Infatti, dopo un lampo di silenzio, Annabeth al suo fianco urlò.
Percy aprì di scatto gli occhi, e si voltò verso di lei con il cuore in gola.
-Annabeth?! – la richiamò, e la vide alzarsi freneticamente in piedi, stringendosi le mani al petto e serrando gli occhi dal dolore.
Percy si alzò a sua volta, e corse di fronte a lei. Le toccò delicatamente le mani, e lei lasciò che il ragazzo le guardasse. Alla vista del sangue lui si irrigidì.
Annabeth aveva le mani tremanti e macchiate di rosso scuro, i palmi e le dita piene di tagli corti e profondi che sanguinavano copiosamente.
Percy guardò poi il terreno, e solo allora se ne rese conto.
Sotto ai loro piedi, la terra era ricoperta da frammenti e schegge nere, che scintillavano alla luce tenue dell’abisso vitree, taglienti e acuminate.
E come se non bastasse, quando tornò a guardare Annabeth, la vide ansimare. Ogni volta che la ragazza inspirava il suo fiato emetteva un suono raschiante, come se l’aria le graffiasse la gola. Il ragazzo restò a fissarla per un breve e orribile istante, guardando impotente la pelle del suo viso e delle sue braccia che si riempiva di piaghe.
Percy sentì il cuore stringerglisi, mentre il panico lo assaliva.
Annabeth si stava osservando le braccia mugolando dal dolore, ma i suoi occhi rimanevano spalancati e pieni di paura.
Il ragazzo realizzò l’orrore in cui erano piombati.  
La terra era tagliente, e l’aria era tossica, e lui era immune a tutto quello solo grazie alla sua invincibilità.
Ma non Annabeth.
Lei stava morendo, e il pensiero gli fece venire la nausea.
Non si erano mai trovati in una situazione simile.
E lui non aveva idea di come sarebbero sopravvissuti in un luogo dove ogni singola cosa era fatta per essergli letale. Tutto laggiù lavorava contro di loro, e tutto sembrava attentamente creato per ucciderli.
Per la prima volta dopo tanto tempo, non aveva idea di cosa fare.
-Ehi, ehi… - mormorò alla ragazza, tentando di mantenere la calma. -Va tutto bene Annie, adesso troviamo il modo di…–
La ragazza sembrava soffocare lentamente: -Non riesco… non riesco a respirare…l’aria… -
-Lo so. - disse lui. -Ma ci deve essere una soluzione, persino qui. –
Annabeth rimase in silenzio, e Percy si rese conto che nonostante la ragazza avesse le mani piene di tagli, le stava stringendo alle sue con tutta la forza che aveva.
Poi, lo sguardo stanco della ragazza si puntò alle sue spalle, e un barlume si accese nei suoi occhi arrossati e gonfi.
-Percy, guarda… - mormorò.
Il figlio di Poseidone si voltò all’istante seguendo i suoi occhi, e guardò giù, oltre i gradoni di pietra che si infossavano ancora più giù nell’abisso. E vide un altro fiume.
Un fiume di fuoco, nel quale le fiamme vive scorrevano seguendo la corrente come lava.
-Si, forse è meglio se ci allontaniamo da quello. –
-No! – esclamò Annabeth, e Percy la guardò insicuro, ma lei continuò. -Quello è il Flegetonte. –
Percy sorrise appena, seppur forzatamente: -Carino il nome. –
Annabeth inspirò profondamente: -È il fiume dei dannati, dove loro vengono puniti. –
-Questo non dovrebbe incentivarci a non avvicinarci? –
-Teoricamente sì. – disse lei, tossendo. -Ma alcune leggende parlano del fatto che il fiume mantenga interi i dannati così che possano sopportare le torture per l’eternità, come punizione per i loro crimini. –
Percy si voltò di nuovo a guardare il fuoco liquido che scorreva in lontananza sotto di loro.
-Stai dicendo che potrebbe mantenere interi anche noi? –
-Sì. – disse la ragazza, e Percy la vide oscillare lievemente col corpo. Le strinse le spalle, cercando di tenerla in piedi.
Il ragazzo decise in quell’istante che dovevano raggiungere quel fiume, e in fretta.
Doveva salvare Annabeth da quell’inferno a qualunque costo. Doveva portarla via da lì, e viva. Si fidava di lei più di quanto non si fidasse di sé stesso, e anche se la sua era un’idea potenzialmente letale e forse infondata, avrebbero dovuto tentare.
Tanto, non avevano nulla da perdere. L’aria li stava già uccidendo.
-Perfetto. Allora proviamo a scendere. –



Era notte fonda, quando Jason si rifugiò sul ponte della nave.
Erano ripartiti dall’Italia da poche ore, diretti verso la Grecia, e l’atmosfera sulla nave era opprimente e satura di tristezza.
Da quando avevano rimesso piede sull’Argo II, non c’erano stati né sorrisi né risate. Sembrava che tutti fossero costantemente sul punto di piangere da un momento all’altro, e per questo nessuno osava parlare.
Avevano fatto il punto della situazione, si erano incolpati per l’accaduto e Nico li aveva spronati a ricominciare il viaggio, e poi era piombato il silenzio tra di loro.
Jason non era diverso dagli altri.
Il giorno prima, quando Percy ed Annabeth erano caduti nel Tartaro, si era sentito impotente e inutile come non mai. Aveva permesso che due suoi più cari amici cadessero verso la morte, e l’idea non lo faceva dormire la notte.
Infatti, ci aveva rinunciato da molte ore.
La luna era ancora alta nel cielo quando si decise ad alzarsi del letto, per poi vestirsi e prendere la spada diretto verso il ponte.
Quando uscì, il vento fresco gli accarezzò il viso, la luce calda delle torce appese al bordo gli illuminò gli occhi.
Aveva bisogno di scaricare tutta la sua frustrazione.
Roteò la spada nella mano per un’istante, prima di mettersi in posizione. Immaginò un avversario di fronte a lui, e alzò l’arma davanti a sé. Si lanciò all’attacco.
Mentre menava colpi quasi completamente alla cieca, la sua mente iniziò a correre insieme a lui.
Pensò a Percy ed Annabeth.
I Sette non potevano essere gli stessi senza di loro.
Percy era quello che insieme a Leo li faceva ridere, a volte anche nei momenti meno appropriati, ed era quello che riusciva a infodere sicurezza e calma in ognuno di loro. Aveva anche avuta una capacità straordinaria nell'unirli come una famiglia. Annabeth li aveva sempre aiutati al meglio nel risolvere i problemi, c'era stata per tutti quando più ne avevano bisogno.
Erano gentili e amichevoli, buffi a volte, e sopratutto dei leader eccezionali.
E Jason aveva imparato a volere bene ad entrambi. Erano diventati suoi amici, e lui li aveva lasciati indietro.
Venne distratto dai suoi pensieri quando sentì dei passi alle sue spalle.
Di fronte a lui, con la spada nera legata al fianco, c’era Nico.
Il ragazzo lo guardava con aria appena divertita, e per qualche ragione la cosa sorprese Jason.
-È difficile allenarsi quando non si ha niente da attaccare, non trovi? – disse il figlio di Ade con tranquillità.
Jason si riebbe, e si tese inevitabilmente.
Avere Nico vicino lo metteva sempre a disagio. Era schivo, misterioso e solitario, e l’aura di energia che lo circondava era ignota e sinistra tanto da inquietarlo.
-Sì… sì è così. – riuscì a rispondere.
Nico sorrise debolmente, e Jason lo guardò con attenzione.
La luce delle torce gli danzava sul viso rendendo ancora più evidente quanto scarno fosse, ma il ragazzo notò con particolare preoccupazione gli occhi del più giovane.
Era infossati, cerchiati da spesse occhiaie violacee, come se non dormisse da giorni. Il suo sguardo esprimeva una debole traccia di divertimento, ma ora che lo osservava con più attenzione si rese conto che era solamente un velo. Dietro a quella scintilla, il suo sguardo era scuro e tormentato come l’inferno.
-Vuoi una mano? – esordì Nico, distogliendolo dai suoi pensieri.
Jason lo fissò spiazzato.
-In che… -
-Se vuoi che mi alleni con te. – chiarì Nico. -Mi farebbe bene, e tu potresti avere una persona vera su cui scaricare le tue frustrazioni. –
Il figlio di Giove lo guardò con uno sguardo particolarmente incerto.
Nico stava meglio rispetto a quando lo avevano salvato a Roma, ma rimaneva comunque magro e debole come un sopravvissuto della fame. E vedendolo così, Jason temeva che al minimo movimento troppo affrettato Nico sarebbe crollato come una statua di vetro.
-Sei sicuro Nico? Forse… -
-Dai Jason. – lo incalzò il ragazzo, sguainando la spada dal fodero. -Ci andrò piano con te. –
Il figlio di Giove osservò la sua spada completamente nera, e per un’istante ne rimase ammaliato. La lama era vitrea, e nera come ossidiana, mentre l’elsa finemente lavorata era opaca e ancora più scura.
-D’accordo. – asserì, mettendosi in guardia.
E Nico lo attaccò senza aspettare un secondo di più.
Il ragazzo gli fu addosso con grinta disarmante, tanto che Jason riuscì a fermarlo appena in tempo.
Il figlio di Giove si ritrovò presto a rendersi conto di aver sottovalutato le capacità di Nico.
Era magro e fragile, ancora indebolito da tutto quello che aveva passato, ma sapeva lavorare d’astuzia.
E nonostante fosse rallentato dal corpo che non era in grado di sostenere uno sforzo maggiore, Nico schivava e intercettava ogni suo colpo, a volte ancora prima che Jason potesse avvicinarglisi abbastanza da colpirlo.
Questo portò Jason a provare una bizzarra sensazione di déjà-vu.
Mentre combatteva con Nico, scoprì che quella tecnica gli era familiare.
Il modo di muoversi e di danzargli intorno del figlio di Ade, le sue finte e la sua sorprendente capacità di prevedere i suoi attacchi, componevano uno schema che il figlio di Giove conosceva.
Jason si ritrovò incredulo, e realizzò che lui aveva già combattuto contro qualcuno che si muoveva in modo simile a Nico. Jason conosceva quel modo di combattere. Qualcuno che aveva affrontato combatteva in quel modo.
Qualcuno che lo aveva quasi ucciso.
Un sospetto si fece strada nella mente del ragazzo, ma scacciò il pensiero. Voleva solo continuare a combattere.
E infatti continuarono, ancora e ancora, tanto che il sole alle loro spalle stava ormai sorgendo.
Questo finché Nico non gemette di dolore. Il ragazzino si allontanò da lui improvvisamente, abbassando la spada e tossendo.
Jason sgranò gli occhi dalla preoccupazione, e abbassò a sua volta l’arma.
-Nico?! -
Il figlio di Ade barcollò fino all’albero maestro alle sue spalle, ansimando, e si appoggiò al legno lasciandosi scivolare a terra.
-Ehi Nico, va tutto bene? – chiese con agitazione, correndo verso di lui.
Il ragazzo annuì con gli occhi serrati, la bocca spalancata alla ricerca d’aria.
Jason si fermò di fronte a lui, e dopo qualche istante di incertezza gli si sedette accanto.
Dopo alcuni istanti il più giovane riacquistò fiato, la sua espressione dolorante si affievolì.
Il figlio di Giove lo guardò: -Va meglio? –
Nico annuì: -Sì tranquillo, ho solo esagerato. –
-Il tuo corpo non è ancora guarito. – mormorò il figlio di Giove. -Scusami, avrei dovuto… -
-Non dirlo.– lo interruppe Nico, appoggiando stancamente la testa all’albero maestro dietro di sé. -Mi ha fatto piacere.–
Jason sorrise lievemente: -Anche a me. Grazie per esserti allenato con me. –
Nico annuì solamente, chiudendo gli occhi.
Il figlio di Giove lo osservò per un istante, e non seppe trattenere la sua curiosità.
-Dove hai imparato a combattere così? –
Il figlio di Ade si voltò lentamente a guardarlo, e lui rabbrividì sotto al suo sguardo così penetrante.
-Perché me lo chiedi? –
Jason si strinse nelle spalle: -Il tuo modo di combattere mi ha sorpreso. È simile a... a quello di... -
-A quello di Percy. - rispose Nico, e il figlio di Giove annuì in risposta.
Il più giovane non disse più nulla, e Jason si sentì in dovere di aggiungere qualcosa.
-Avete avuto lo stesso insegnante? -
Nico distolse lo sguardo dal suo viso, e lasciò che i suoi occhi vagassero sul mare che scintillava sotto alla luce aranciata del sole.
Jason lo vide sorridere, un sorriso amaro eppure allo stesso tempo così sincero.
-È stato lui il mio insegnante. Percy mi ha insegnato a combattere con la spada. -
 

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Percy Jackson / Vai alla pagina dell'autore: platinum_rail