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Autore: Henya    23/09/2020    3 recensioni
Salve a tutti :) questo è il proseguimento della mia prima fanfiction "Never Lose Hope".
Anya , dopo essere partita con Rai per la Cina, ritorna a Tokyo dopo avere ricevuto alcune notizie dalla sua amica Hilary. Da qui ha inizio una lunga e ingarbugliata serie di eventi che, per chi già mi conosce, non saranno certo rose e fiori ^_^""
Spero possa piacervi :) Buona Lettura!
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hilary, Kei Hiwatari, Nuovo personaggio, Rei Kon, Yuri
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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“ Posso parlarti un attimo?”.
Sono arrivato a casa di Anya per prendere Hope e portarla con me. Pensavo di metterci poco tempo, ma questa richiesta mi fa intuire che non sarà così.
“E’ necessario?” chiedo con aria di superficialità. E dalla espressione che mi sta mostrando, credo proprio che sarà necessario. “ Fa’ che sia una cosa veloce!” la avverto, entrando di mala voglia in casa.
Arriviamo in salotto e lei, dopo aver mandato via Hope con una scusa, inizia a torturarsi le dita, facendo vagare lo sguardo da un punto all’altro della casa, mentre io, con braccia incrociate al petto, attendo con impazienza che si decida ad aprir bocca.
“ Pensavo volessi parlare” esordisco in tono pungente, rompendo il silenzio che si era creato.
“ Ecco…oggi pomeriggio, a quello stupido incontro a scuola, una delle mamme mi ha riferito una cosa” inizia a dire, esitante, interrompendosi improvvisamente.
“ Cosa?” chiedo impaziente e infastidito dal suo continuo perder tempo.
“Mi ha detto di averti visto insieme ad un’altra donna ieri sera” sussegue a dire, guardandomi storto.
“ Quindi?” chiedo, con la mia solita nonchalance.
“ Quindi ha pensato che tu mi stessi tradendo con un’altra! Sapevi che tutti, lì dentro, pensano che noi siamo una famiglia? Una vera famiglia, dove noi due siamo sposati?” dice, ridendo nervosamente e mimando un cerchio che vuole includere, probabilmente, lei, me ed Hope.
Tzè.
“Ascolta, non mi interessa quello che pensano!” spiego sinteticamente, mostrando la mia solita strafottenza verso i pettegolezzi.
Il che lascia la qui presente Anya, alquanto perplessa, tanto da decidere di voler prolungare il discorso.
“ Ricordi perché hai deciso di far cambiare scuola ad Hope?” domanda avvicinandosi al sottoscritto, con aria minacciosa.
Questa domanda mi costringe a prendermi del tempo per riflettere. Infatti, punto gli occhi verso un punto indefinito della stanza e spremo le meningi, nel tentativo di ricordare il motivo che mi aveva spinto a compiere quel gesto, che col senno di poi, ho reputato sconsiderato.
 “ Perché sono andato a letto con una delle maestre?” rivelo, con una certa perplessità nel tono. Era davvero questo il motivo? Non ricordo, ma dalla faccia di Anya, credo che lei non fosse a conoscenza di questo piccolo dettaglio.
“TU-COSA??!!” chiede in tono alterato, ponendo le mani avanti per fare luce sulla questione.
Ah, forse lei si riferiva alla storia di Rai e dei due padri e delle maestre un po’ confuse…
Serro le labbra, come chi si è fatto sfuggire un segreto che non avrebbe mai dovuto rivelare e faccio cader la testa in avanti in segno di rassegnazione: oramai lo hai detto, Kai!
“ Tu cos’hai fatto??” ripete a domandare, pretendendo una spiegazione.
“ Senti, non sapevo fosse una sua maestra e poi è successo per caso, quindi…”. Ma la mia sintetica e forse inutile spiegazione, non basta a calmare le acque, dal momento che continua a fissarmi come se volesse uccidermi.
“Kai Hiwatari, c’è qualcuno che non abbia visto il tuo pene??” dice a gran voce, portandosi le mani ai capelli senza rendersi conto di aver urlato la parola pene, pur sapendo che Hope si trova proprio nell’altra stanza con la porta aperta.
Rido dentro di me, mostrandomi, invece, serio in volto, per non alimentare le sue furie.
E solo adesso mi rendo conto che si è fermata, osservandomi malamente, come se attendesse veramente una risposta.
Stavo per aprire bocca, ma è lei stessa a fermarmi. “ Lascia perdere, non voglio saperlo!” esclama, disgustata. “Kai, ti rendi conto di quello che combini? Continui a mettermi a disagio ovunque io vada e tutto questo perché non sai tener quel coso dentro ai pantaloni?” mi rimprovera furibonda.
Porto gli occhi al cielo, sbuffando dentro di me.


***

Io non posso crederci, anzi mi rifiuto di crederci.
Quello che le mie orecchie hanno appena udito ha dell’assurdo!
E il fatto che lui si dimostri così impassibile e superficiale di fronte alla gravità della situazione, mi manda ancor di più su tutte le furie.
“ Cosa dovrei fare? Nascondermi o guardarmi le spalle per la paura di essere visto da qualche mammina un po’ troppo impicciona?”.
“ Dico solo che dovresti usare un po’ più di discrezione quando fai certe cose!” gli rammento, duramente.
“ Potrebbe capitare anche a te di esser vista con Takumi…” afferma, pronunciando l’ultima parola in modo strano.
Un momento. Come fa a ricordare ancora il nome di Takumi?
Ad ogni modo, non ho intenzione di deviare il discorso su questo versante al momento.
“ E poi, cosa ci facevi con un’altra? Ti ricordo che sei sposato!”.
“ Grazie per avermelo ricordato, ma questi non sono affari tuoi” si limita a dire, seccato.
“ Avete appena perso un bambino, dovresti stare vicino ad Eva, hai idea di cos…”.
“ Ok, basta!” mi interrompe bruscamente, alzando il tono di voce. “Questi non sono, decisamente, affari tuoi!” ribatte duramente, con voce autoritaria.
E questo suo improvviso cambio di atteggiamento inizia a mettermi in soggezione, tanto da farmi pentire di essermi spinta così oltre con lui.
“ Io volevo sol…”.
“Non intrometterti più in questa storia!” conclude categorico, lanciandomi una delle sue occhiate più truci.
Rimango interdetta al suono di queste parole e, stavolta, decido di non parlare, e di limitarmi a fissarlo mentre, a passi da gigante, si dirige nella stanza a prendere Hope per portarla via. Mi passa davanti senza degnarmi di uno sguardo, tenendo mia figlia in braccio, che con sguardo confuso, mi agita la manina in segno di saluto, prima di svanire dall’appartamento.
Scuoto la testa, in segno di rassegnazione, ma soprattutto disperazione.
Kai Hiwatari non ha decisamente limiti.
È un caso perso.






***






Un nuovo giorno è appena iniziato e, come al solito, mi ritrovo a dover fare colazione da sola in questa grande casa. Kai è di nuovo rientrato tardi, passando la notte chissà dove. Ho cercato di rimanere sveglia per aspettarlo e, così, dirgliene quattro, ma i miei occhi non hanno retto la lunga attesa e si sono chiusi abbastanza presto.
Ho sentito dei rumori verso le sette del mattino e la voce della bambina, che Kai avrà accompagnato all’asilo.
È dunque questo quello che ha deciso di fare: ignorarmi. Ed è la cosa che più detesto, essere ignorata.
Proprio questo mi ha portata a dover mentire spudoratamente riguardo alla gravidanza, perché per la prima volta Kai Hiwatari si stava preoccupando per me.
E questo è il risultato. Vengo ignorata, ancor peggio di prima.
Non me lo merito. Non dopo quello che ho dovuto sopportare per colpa sua.
Sto qui a fissare i giochi di fumo creati dalla bevanda calda posta sul tavolo, persa in una mare di pensieri, ma a riportarmi alla realtà è il suono del campanello della porta principale e, qualche istante dopo, l’arrivo di Reina che annuncia l’arrivo di qualcuno.
“ Signorina Eva, ci sono delle visite per lei”.
Chi sarà mai?
Curiosa, mi alzo e mi avvio in salotto, dove vi trovo una persona, a me nota, ad attendermi.
“ Yuri, se cerchi Kai non c’è, è andato via” esordisco, andando dritto al sodo.
“ In realtà, non sono qui per lui” spiega, lasciandomi perplessa. “ma per te”.
Wow, Yuri Ivanov vuole parlare con me? Non succedeva da…tanto tempo!
Le sue parole mi lasciano sbigottita e la mia espressione glielo sta rendendo noto.
“ Come stai?” chiede, apprensivo.
Finalmente qualcuno che si degna di chiedermi un semplice come stai! Sono commossa!
“ Beh, puoi immaginare!” mi limito a dire in modo vago, alludendo a lui sa cosa.
Il rosso abbassa gli occhi, con fare pensieroso. “So che non dovrei intromettermi” inizia a dire, parando le mani avanti in segno di difesa. “E non voglio sapere il motivo per cui lo hai fatto” sussegue ad affermare in modo distaccato, ma comprensivo “ Ma…sono preoccupato per te e anche per Kai, vi conosco abbastanza bene da poter affermare che non sapete gestire il problema” rivela, espirando sonoramente.
“ Io sto provando a calmare le acque, ma il tuo amico è troppo…”. Non riesco a trovare una parola che possa descriverlo in pieno, quindi mi dovrò arrangiare con il primo termine che mi sovviene alla mente “…testardo, per ascoltarmi e perdonarmi”.
Le mie parole non lo sorprendono affatto.
“ Posso chiederti una cosa?” domanda poi, improvvisamente. E con un cenno della testa lo incito a continuare. “Come aveva preso Kai il fatto di avere un bambino?” chiede investigativo.
Non so rispondere con certezza alla sua domanda. In realtà, non lo so nemmeno io come l’avesse presa. E se anche avessi una vaga idea, non saprei descriverla a parole. Quindi, decido di mostrarglielo con i fatti.
“ Vieni con me, ti faccio vedere una cosa…”.




***




Eva mi invita con un cenno a salire sino al piano di sopra, per mostrami qualcosa. A passi incerti, decido di seguirla fino ad una porta, che lei, dopo qualche attimo di esitazione, si decide ad aprire.
Senza accorgermene sono già dentro e i miei occhi curiosi scrutano ogni angolo di questa camera vuota. Ciò che sale immediatamente all’occhio è il colore delle pareti, di un azzurro vivo e il pungente odore di vernice, fa intuire che esse siano state dipinte da poco tempo. Infine, in un angolo della stanza vi è posto un oggetto facilmente riconoscibile, dico facilmente, perché a casa mia ne ho ben due: si tratta di una culla.
A piccoli passi mi avvicino ad essa e ne sfioro col dito uno dei bordi, constatando il fatto che questa ha tutta l’aria di essere la stanza per un bambino in arrivo.
“ L’ha preparata lui” sento dire dalla voce di Eva alle mie spalle, che vedendomi confuso, ha anticipato la risposta alla mia imminente domanda.
E questa frase mi fa voltare di scatto verso di lei, portandomi a chiedere conferma di ciò che ho appena sentito. “E’ stato Kai a fare questo?” e il movimento del suo capo e i suoi occhi fissi a terra, mi suggeriscono di avere capito bene.
Cazzo.
Impreco mentalmente e  stringo un pugno, mentre lo adagio sul bordo di quella culla che, nelle intenzioni di Hiwatari, doveva accogliere suo figlio.
Questo è decisamente strano…




***




“C’è qualcuno?”.
Sono in officina, sdraiato su un carrellino sotto una delle auto da sistemare, quando all’improvviso, l’arrivo di un cliente mi costringe ad uscire.
A fatica mi alzo, prendendo dalla tasca il panno che di solito uso per pulirmi le mani unte di grasso di motore e a passi lenti mi dirigo all’entrata, dove ad attendermi vi è un uomo, che mi sembra di aver già visto da qualche parte.
“ Serve una mano?” chiedo.
“ Sì, mia macchina serve controlo motore” mi spiega, in una lingua improvvisata, indicandomi l’auto parcheggiata qui vicino.
Continuo a pulirmi le mani, spostando gli occhi dal soggetto che ho di fronte, all’oggetto indicatomi.
Che strano signore.
Senza dire altro, getto il panno dentro l’officina e mi dirigo verso l’auto, invitandolo ad aprire il cofano anteriore per ispezionare il motore.
“ Beh, c’è un po’ di manodopera da fare qui” spiego, toccando diversi punti. “ci penso io”.
Una volta preso tutto l’occorrente, mi metto a lavoro, buttando, di tanto in tanto, un’occhiata verso il proprietario di questa vettura, dall’aria seria e scorbutica. Credo di sapere dove l’ho già visto. È il tizio che mi ha prestato l’accendino l’altro giorno di fronte la caffetteria.
“Non sei di qui, vero?” gli domando, continuando a fare con attenzione il mio lavoro.
“ No” risponde prontamente.
Immaginavo.
“ E di dove sei?”. Susseguo a domandare, con aria investigativa.
“ Io di Russia”.
Bingo! Lo sapevo!
“ Davvero?” dico, mostrando un certo stupore “ Di dove esattamente?” aggiungo, assottigliando lo sguardo.
“ Mosca”.
“ No! non posso crederci, sai anch’io vengo da lì, beh, ci vivevo tanto tempo fa…” racconto, con aria stizzita.
“ Perché tu andato via?” chiede, calcando il suo forte accento russo.
“ Beh, eto dolgaya istoriya …” mi limito a dire, sforzandomi nel pronunciare bene –è una lunga storia- nella lingua che non pratico ormai da tanto tempo. “Pochemu ty zdes'?”. Non mi capita spesso, anzi, quasi mai di incontrare russi da queste parti, quindi gli chiedo cosa ci faccia da queste parti.
 “ya ishchu koye-kogo” risponde, assumendo uno strano atteggiamento che mi lascia alquanto perplesso. Forse non ne vuole parlare.
Ad ogni modo, non voglio farmi i fatti suoi, volevo solo scambiare due chiacchere in russo.
 “ Beh, spero tu troverai chiunque tu stia cercando!” esclamo, chiudendo con forza il cofano, rendendogli noto che il mio lavoro, qui, è finito.
“Skol'ko ya dolzhen?”, domanda, prendendo da una tasca del denaro.
“ Oh no, no, tranquillo! Per i compatrioti il servizio è gratuito! besplatny” gli spiego, accennandogli un sorriso amichevole, per poi porgergli la mano. “E’ stato un piacere, davvero!”.
All’inizio non sembra capire, ma poi, rilassa le spalle e ricambia la stretta di mano con forza.
Con molta forza.
Cazzo, ma…
Ok, la situazione mi mette alquanto a disagio.
Continua a tener forte la mia mano e a fissarmi in modo strano, come se fosse perso in chissà quali pensieri. Io, dal canto mio, rimango per un attimo interdetto, a fissare quegli occhi chiari e quel viso dai lineamenti marcati, poi, però, decido di ritrarre la mano costringendolo a mollare la presa.
Cazzo, ma che gli prende?
Gli ho solo detto che non doveva pagare, che avrà capito?
Fingo un colpo di tosse, e riprendo la parola, per cercare di riportarlo alla realtà “Bene, io torno al mio lavoro, è stato un piacere”. Dopo averlo salutato, decido di dileguarmi prima che la situazione diventi ancor più imbarazzante. Ma mentre mi incammino all’interno del garage, una parola mi costringe, improvvisamente, a fermarmi, lasciandomi di sasso.
“E’ stato un piacere, Boriska”.
Sbarro gli occhi e mi volto all’istante verso di lui, intimandogli di ripetere ciò che ha appena detto.
Ho capito bene?
Mi ha chiamato Boriska?
Come diamine fa a sapere il mio nome? Non ricordo di averglielo mai rivelato.
E poi, conosco solo una persona che, un tempo, mi chiamava in quel modo.
“ Come mi hai chiamato?” sibilo a denti stretti, parandomi di fronte al suo viso impassibile.
Ho il cuore che mi martella in petto dalla rabbia.
Ho una sensazione così strana. In realtà l’ho avuto sin dal primo momento in cui l’ho visto, ma non ci ho dato molto peso.
Più lo osservo e più credo di conoscere quest’uomo.
I suoi lineamenti sono, adesso, così dannatamente familiari.
Diamine!
Stringo un pugno, cercando di contenere la rabbia che ho dentro, attendendo con impazienza una risposta.
Lui abbassa lo sguardo, toccandosi un braccio, ed io abbasso gli occhi insospettito, seguendo ogni suo minimo gesto.
“ Ricordi questo?” domanda, alzando una manica della sua giacca, per mostrare un tatuaggio, lo stesso che giorni fa avevo distrattamente notato.
Il falco.
Deglutisco, alzando gli occhi per incrociare quelli suoi, ma poi si abbassano verso le sue labbra, che ora stanno schiudendosi per pronunciare ciò che di più temo.
“Ya tvoy papa, Boriska”.
Al suono di queste parole, il mondo mi crolla letteralmente addosso ed istintivamente indietreggio, scuotendo nervosamente la testa. No, no, non è possibile.
“ Vattene subito!” asserisco, digrignando i denti ed indicandogli la direzione in cui andar via.
“ Borisk…”.
“ Vattene via, ho detto!” ripeto ancor più categorico, prendendo una chiave inglese per puntargliela in modo minaccioso. “non so chi tu sia, ma mio padre è morto tanto tempo fa!” sentenzio, assumendo l’atteggiamento di chi non ha intenzione di ripeterlo un’altra volta.
E con mio sollievo, quell’uomo, che ha appena affermato di essere mio padre, dopo qualche attimo di esitazione  si arrende e indietreggia accigliato, alla vista di quell’oggetto divenuto pericoloso nelle mie mani e rivolto verso di lui, con cattive intenzioni.
Infine abbandona il garage senza proferire parola, lasciandomi qui a fissare il vuoto e cercare di riconnettere le idee.
Il mio respiro inizia a ritornare regolare e piano piano allento la tensione alle spalle, rilassandole. Solo adesso mi rendo veramente conto di avere impugnato questa chiave inglese e d’istinto la getto a terra, spaventato.
Porto due dita al centro della fronte, stringendo gli occhi e tentando in tutti i modi di dare un senso a ciò che è appena successo. Tuttavia, il fatto sembra molto chiaro…
“Porca puttana” emetto in un sospiro di stanchezza, accasciandomi di peso a terra.






***





“ Hai notato che stamattina  Boris non è venuto a bere il suo caffè?” sento dire a Dana, mentre pulisce uno dei tavolini di fronte al bancone.
È vero.
“ Vedo che noti la sua assenza!” affermo con sorriso furbo, beccandomi una brutta occhiataccia.
“Dico solo che è strano, non ci rinuncia mai!” si giustifica prontamente.
“ Beh, potresti portarglielo tu in officina, sono sicura che lo apprezzerebbe” le propongo, con fare malizioso.
“Perché non glielo porti tu, visto che ci tieni tanto” ribatte, acidamente.
Santo cielo, non le si può dire niente che riguardi Boris! Dovrebbe rilassarsi un po’.
Ad ogni modo, non è una cattiva idea portargli un caffè in officina. Anch’io penso sia strano che non sia venuto fin qui a prenderlo.
Credo proprio che farò un salto da lui per vedere che combina.




Dopo circa un quarto d’ora esco dal locale con un bicchiere pieno di caffè per dirigermi alla volta dell’officina di Huznestov. Non è molto lontano, anzi, giusto a due passi dalla caffetteria, e per ripararmi dal sole cammino sotto a degli alberi che costeggiano la strada.
“ Ciao Boris!” saluto allegramente, entrando.
Ma credo non mi abbia sentito, dato che non ha smesso di colpire un qualcosa posto sul tavolo con un martello.
“ Boris, ci sei?”.
Al mio secondo richiamo, si blocca per un istante osservandomi col pelo dell’occhio, giusto per assicurarsi della mia presenza “Non ti avevo sentita” si limita a dire, tornando a martellare con forza.
“ Ti ho portato il caffè. Ho notato che stamattina non sei passato a prenderlo, beh in realtà è stata Dana a farmelo notare!” rivelo divertita, aspettando una sua risposta che, a differenza di quanto mi aspettassi, tarda ad arrivare.
“Lo berrò dopo” risponde atono, continuando a dar colpi, i cui suoni arrivano in modo acuto alle mie orecchie, facendomi persino sussultare.
Mamma mia, quanta violenza!
Ho la sensazione che ci sia qualcosa che non vada.
È troppo assorto in questo ripetuto gesto meccanico che reputo insensato, dal momento che sta colpendo una lastra di metallo ormai completamente appiattita. Cosa vuole fare? Distruggerla? Beh se continua così, distruggerà persino il tavolo.
“ Va tutto bene, Boris?” chiedo, preoccupata, cercando di parlare tra un colpo di martello e l’altro.
“Sì”.
Non so, non mi convince.
“ Sei sicuro?” chiedo una seconda volta, nella speranza che si decida a smettere di fare questo rumore infernale.
Ed è quello che succede, ma in un modo che non mi aspettavo.
“ Senti, Anya, ho tanto lavoro da fare e non ho tempo da perdere con te!” spiega alterato, abbandonando la sua postazione per raggiungerne un’altra, vicino a una cassetta degli attrezzi, in cui inizia a rovistare, senza un apparente senso.
“ Boris, sicuro di non voler parlar…”.
“Anya, oggi non sono dell’umore, quindi fatti gli affari tuoi e lasciami in pace”. Solo adesso si gira per guardarmi, ma solo per lanciarmi addosso queste parole pronunciate in un tono così duro che non gli ho mai sentito usare.
E rimango alquanto scettica di fronte a questa reazione, ma soprattutto perché è già la seconda volta che questa settimana mi viene suggerito, in modo poco carino, di farmi gli affari miei e, posso capire che me lo dica uno scorbutico come Hiwatari, ma Boris?
Cosa ho fatto di male?
È forse un reato preoccuparsi per qualcuno?
Mi sono persa in questi pensieri, senza accorgermi che Boris è tornato a colpire col suo stupido martello, lasciandomi qui con in mano il bicchiere di caffè ancora caldo, che mi pento di avergli portato.
Cosi lo poggio con risentimento in un angolo e me ne vado amareggiata, ripercorrendo a ritroso il cammino verso il luogo di lavoro, pensando e ripensando al fatto che gli uomini con cui ho a che fare siano solo un branco di stupidi egoisti senza un briciolo di sentimento.


***




“ Guarda a destra, adesso a sinistra” spiego puntando una lucina negli occhi ametista del paziente. “Come ti senti? Capogiri, vista appannata?” chiedo, investigativo, per controllare che fisicamente stia bene.
“Nulla di tutto questo” rivela, con serenità.
Perfetto. Quindi, dato che fisicamente non ha nessun problema, io direi di passare subito al piano emotivo.
“ E, invece, con Eva come va?”.
A questa domanda, chiude gli occhi ammiccando un sorriso. “Dunque non era un semplice controllo…” inizia a dire, rivelando il mio piano. E ahimè, sono stato scoperto e il mio sguardo si mostra colpevole.
Inizia a dondolarsi sulla sedia, sbuffando stancamente e indugiando nel dare una risposta alla mia semplice domanda.
“ Sta andando bene…” si limita a dire, non molto convinto e con aria vaga. Ma il mio sguardo serio su di lui, lo costringe ad abbandonarsi alle rivelazioni.
“ Ok, forse non va così bene” confessa, alzando le mani in segno di confessione.
E ancora non sono soddisfatto.
“ Ok, senza il forse…” ammette infine, arrendevole, intuendo di non poter riuscire ad abbindolarmi che le sue mezze frasi senza senso.
Finalmente. Lo ha ammesso, anche se ci è voluto un po’. Ma adesso arriva la parte più complicata: fargli ammettere il vero problema. E ci sarà da sudare, e tanto. Perciò l’ho fatto venire adesso. In realtà non sto lavorando, sono venuto nel mio studio con la scusa di studiare.
“ Ti ha detto perché l’ha fatto?” chiedo, usando un tono cauto, necessario per addentrarmi nella mente di Hiwatari.
“ Posso fumare?” domanda, invece, lui, ignorando ciò che ho detto.
“ No che non puoi fumare” asserisco categorico, provocando una smorfia di disappunto nel mio interlocutore, costretto a rimanere qui dentro con me.
“ Sì, me lo ha detto” racconta accigliandosi “e il motivo è più stupido di quanto immaginassi” aggiunge poi, leggermente stizzito.
Non credo abbia intenzione di raccontarmi ogni dettaglio e, di certo, non me lo aspetto da uno come lui, quindi andrò dritto al punto.
“ Kai, tu eri d’accordo nel volere quel bambino?”.
“ Non è mai esistito!” puntualizza amareggiato.
“ Lo so, ma…” come glielo spiego? “quando Eva ti ha annunciato di essere incinta, come l’hai presa?” torno a domandare, stavolta in modo più chiaro. Spero.
Alza lentamente gli occhi verso di me, fissandomi pensieroso. “Beh, cosa potevo fare? Di certo non me l’aspettavo, non così presto” ammette con sincerità. “ Non mi sentivo pronto, ma…”. Si blocca improvvisamente, distogliendo lo sguardo verso altre direzioni.
“ Ma cosa?” lo incito, curioso.
Dai Kai, stai per farcela. Sei andato bene, finora.
Giunge le mani sull’addome, muovendo nervosamente una gamba accavallata sull’altra. E’ come se si stesse trattenendo dal dire una cosa che per lui è difficile da ammettere.
Avevo preannunciato che ci sarebbe stato da sudare.
“ Kai…Ho visto la cameretta e la culla”. Queste parole bastano a riavere la sua attenzione su di me. “Tu volevi quel bambino, vero?”.
Sbuffa dal naso, mettendosi comodo sulla sedia con fare spazientito, e anche se questo atteggiamento mi fa intuire di aver centrato il punto della situazione, voglio comunque sentir proferire dalla sua bocca la verità.
Voglio che lo ammetta. Non di certo per compiacere me, ma per ammetterlo a sé stesso.
I miei occhi lo supplicano di farsi coraggio e parlare, spero non invano.
“ Volevo che le cose andassero diversamente stavolta” ammette, arrendevole,  ma restando comunque aggrappato al suo orgoglio.
Cosa che mi costringe a scavare ancora.
“ Ti riferisci ad Hope?”.
“Già…”.
Sto per fare l’ennesima domanda, ma, con mia gran sorpresa, è lui stesso a parlare.
“ Credevo fosse un’occasione per rimediare…” confessa, assorto nei suoi pensieri. “Stavolta ci sarei stato fin dall’inizio” conclude poi, amareggiato, giocherellando con un lembo della sua giacca.
Quindi, è come pensavo: lui voleva quel bambino.
“ Ti sei pentito di essere scappato da Hope?”.
“ Non lo so, ai tempo era tutto diverso” spiega, confuso.
Beh, in effetti, era molto diverso. Andavamo ancora a scuola e non volevamo di certo grandi responsabilità.
“ E’ per questo che ce l’hai tanto con Eva?” chiedo poi, volgendo il discorso sull’altro problema da risolvere.
“ Ce l’ho con lei perché è una stupida e si comporta ancora come un’adolescente viziata” asserisce con tono duro.
“ Forse avrà esagerato, ma… è forse da stupidi pretendere delle attenzioni?”.
Colpito.
Dalla sua espressione sorpresa, capisco di averci preso.
Non era difficile da capire in fondo. Li conosco fin troppo bene.
“ Non è questo il modo di farlo” ribatte duramente.
“ Lo so, non la giustifico, anzi! Ma se mi metto nei suoi panni capisco il suo bisogno di chiedere attenzioni e, ripeto, non giustifico quello ha fatto. Ma per arrivare a tal punto, vuol dire che era un gesto disperato!” spiego, cercando di essere il più chiaro possibile. “Avete avuto un incidente, siete arrabbiati l’uno con l’altro. Hai voluto che si sentisse in colpa e penso tu ci sia riuscito alla grande, ma arriva un momento in cui bisogna porsi dei limiti e sai di cosa parlo…” concludo poi, sperando intuisca senza bisogno di essere esplicito.
Conosco le sue brutte abitudini, come quella di uscire la sera e spassarsela allegramente senza sentir nessun rimorso.
“ Se la seduta è finita, io andrei…” dichiara, infine, alzandosi con fare seccato. “Ci vediamo, Ivanov” saluta poi, andandosene e lasciandomi qui a sperare che le mie parole non vengano buttate al vento. Ho messo da parte lo studio per parlare con lui, quindi spero di non aver sprecato fiato.
Perso in questi pensieri, vengo colto di sorpresa dal suono del mio smartphone che segnala l’arrivo di un messaggio.
È di Boris.
-    ty zanyat?
Rimango perplesso a fissare il testo di questo messaggio sul display.
Non capita spesso che Boris utilizzi la lingua russa per comunicare, il che mi fa insospettire parecchio.
Mi chiede se sono impegnato? Beh, in teoria dovrei studiare ma…
Sembra che un’altra anima inquieta abbia bisogno del mio consulto oggi.
Dovrei iniziare a farmi pagare o se ne approfitteranno troppo.



***




Diversamente dalle altre sera, sono tornato a casa abbastanza presto, tormentato dalle parole di Ivanov che non mi hanno permesso di rilassarmi e godermi la serata.
Rientro in casa, facendo il meno rumore possibile, ma passando davanti al salotto mi accorgo, nella semi oscurità, di una sagoma sdraiata sul divano: è Eva.
Mi avvicino a passo felpato per osservarla dormire come un sasso.
Si ostina ad aspettarmi ogni sera e detesto quando lo fa. Mi fa sentire controllato.
Lentamente la sollevo, cercando di scuoterla il meno possibile, aggrappandola a me per salire le scale, e arrivare sino in camera da letto.
“ Kai, sei tornato…” mormora nel sonno, circondandomi il collo, per tenersi meglio, ma continuando a dormire. Aiutandomi con un gomito, abbasso la maniglia, spingendo la porta per aprirla e poi mi avvicino al letto, adagiandola su di esso.
Assicuratomi che stia ancora dormendo, mi dirigo all’armadio per cambiarmi, andare in bagno e infine mettermi sul letto a pancia in su, con le mani dietro la nuca a fissare un punto fisso del soffitto per perdermi in strani pensieri, i quali vengono interrotti dall’avvicinarsi di Eva. Mi mette una mano sull’addome e posiziona la testa sul torace, continuando a dormire.
Rimango di sasso di fronte a questo gesto. Non sono pronto per un riavvicinamento, tuttavia, mi limito a sbuffare e tornare a fissare il punto del soffitto e riprendere il flusso di pensieri che avevo lasciato in sospeso.




***




Apro gli occhi e mi ritrovo sdraiata sul letto accanto a Kai, che sentendomi muovere, apre i suoi puntandoli al soffitto.
“ Kai”.
Forse non dovrei cantare vittoria, ma il fatto di trovarlo qui al mio risveglio mi sembra un segno positivo.
“ E’ bello trovarti qui al risveglio” affermo sorridente, abbracciandolo, nonostante lui rimanga rigido come una roccia. Ma non mi importa, per una volta, voglio bearmi della sua presenza. “Come mai sei qui?” chiedo poi, alzando la testa verso di lui, che a fatica stacca gli occhi dal soffitto per incrociarli, anche se per un istante, con i miei.
“ Non avevo molto fare” si limita a dire, atono.
Che si sia arreso? Il fatto che non sia ancora scappato mi fa pensare che forse ha abbassato l’ascia di guerra.
Accarezzo il suo petto, sorridendo dentro di me.
“ Mi fa piacere che tu sia qui” inizio a dire poi, avvicinandomi alla sua mascella serrata per poggiarvi le mie labbra.
Tuttavia, ciò non sembra suscitare in lui nessuna reazione. Rimane impassibile nella sua posizione, come se questo gesto non lo scalfisse. O quanto meno, finge abbastanza bene.
Decido di osare di più. E posiziono le mie labbra a pochi centimetri dalle sue. All’inizio sembra infastidito, ma io ignoro tutto ciò e gli scocco un bacio e poi un altro e un altro ancora, finché le sue labbra, sino ad allora rigide, si lasciano andare, facendosi trasportare dalle mie, in movimenti che diventano sempre più intensi e pieni di desiderio.
Mi è mancato così tanto.
Spero davvero che abbia messo da parte l’orgoglio e la rabbia e sia riuscito a perdonarmi.
Lo spero veramente.





***




Sciacquo il viso, lasciando scorrere l’acqua tiepida lungo tutto il corpo. Avevo bisogno di una doccia rigenerante.
Una volta uscito, indosso l’asciugamano intorno alla vita ed esco dal bagno, mentre con un altro asciugamano strofino i capelli umidi.
Eva sta rivestendosi e mi osserva sorridente, cercando la mia complicità. Ma faccio finta di non badare a lei e velocemente mi asciugo e mi rivesto anch’io.
“ Pranziamo insieme oggi?” propone, mal celando un certo timore nel fare una domanda così azzardata.
“ Non credo di avere tempo” rispondo in modo secco, prendendo il mio telefono per poi uscire dalla stanza.
Poco fa, per un momento, mi sono lasciato andare insieme a lei.
Non mi è dispiaciuto, ma non sono pronto a perdonarla del tutto.




***




Oggi è stata una giornata stressante e non vedevo l’ora di tornare a casa per fare una doccia calda e rilassarmi sul divano. Ho messo un film in tv, ma in realtà sto quasi tutto il tempo col cellulare in mano a chattare con Hilary, che continua a mandarmi foto dei suoi gemelli. Sono così teneri e paffutelli, che mi fanno avere nostalgia di Hope da piccola, quando la tenevo in braccio ed era un concentrato di morbidezza e tenerezza.
Rido tra me e me alla vista del video di Yuri mentre cambia un pannolino contenente una grossa sorpresa e lo getta con fare disgustato nella spazzatura, continuando a inveire contro la moglie di non voler essere ripreso dalla videocamera.
La mia attenzione, però, viene improvvisamente catturata da un rumore. Qualcuno ha appena bussato alla porta. Istintivamente controllo l’ora e mi insospettisco parecchio, dal momento che sono le dieci di sera ed io non aspetto nessuno.
“ Chi è?” chiedo a gran voce, avvicinandomi alla porta.
“Pizza” risponde una voce maschile, che mi suona familiare.
“ Non ho ordinato una pizza!” spiego, e insospettita guardo attraverso lo spioncino.
E come immaginavo, quella voce appartiene a Boris.
“ Posso entrare?” chiede, avvicinandosi allo spioncino, conscio del fatto che io stia guardando.
“ Va’ via, Boris!” ordino, con fare seccato.
“ Andiamo, Anya! La pizza si raffredderà!”.
“ Non m’importa” asserisco categorica.
Cosa vuole?
L’altro giorno mi ha trattata malissimo e adesso si presenta come se nulla fosse?
“ Sono sicuro che Hope vuole un po’ di pizza”.
“ Hope non c’è!” rivelo, uccidendo le sue false speranze.
Passano alcuni secondi di silenzio, durante i quali rimango ferma ad attendere una sua reazione.
“ Va bene, allora vuol dire che mi siederò qui, sul pianerottolo a mangiare in solitudine questa pizza prima che si raffreddi!” sento dire, avvertendo dei rumori strani.
Ma che sta facendo?
“Un tempo avevo un’amica, ma per colpa mia, l’ho persa…” dice canticchiando e la sua voce rimbomba prepotentemente all’interno della grande scala.
Oh mio dio. Non lo sta facendo veramente!
Porto gli occhi al cielo, sbuffando prima di decide di aprire la porta per farlo smettere.




***





Sono seduto sul pianerottolo, canticchiando melodie improvvisate e dopo qualche secondo, come previsto, si apre la porta da dove fa capolino la faccia incavolata di Anya.
“ Si può sapere che stai facendo?” sibila a bassa voce, guardandosi con circospezione intorno, probabilmente per vedere se ci sia qualcuno.
“Sto mangiando una pizza, ne vuoi un po’?” le propongo, porgendole un pezzo.
“No, non voglio la tua pizza e sei pregato di alzarti e andare via!” mormora minacciosa e a denti stretti, sporgendo la testa dallo stipite della porta.
“ Sono venuto in pace!” dico, alzandomi lentamente.
“ Non mi interessa! Sei stato molto chiaro l’altro giorno!” mi ricorda con tono pieno di rancore.
“ Senti, non ce l’avevo con te, non volevo dirti quelle cose” spiego, pentito.
“ E con chi ce l’avevi?” domanda investigativa, incrociando le mani al petto.
“ Se mi lasci entrare, te lo dirò” propongo, con aria di sfida.
“ Boris, è tardi e sono stanca…e se continui a stare qui, attirerai l’attenzione dei vicini, che già mi considerano strana, figurati se vedono te qui mentre canti e fai cose senza senso” confessa, con aria esausta.
In questi giorni non sono andato in caffetteria, perché ero troppo arrabbiato con me stesso, con la vita e con … beh, e non volevo vedere nessuno. Ma poi mi sono ricordato di quando è venuta Anya in officina e l’ho mandata via in quel modo senza una ragione, e mi sono sentito un po’ in colpa, soprattutto dopo aver parlato con Yuri del mio problema.
 “ Beh vuol dire che continuerò a fare cose strane, finché non mi farai entrare!” dichiaro con l’aria di chi non ha intenzione di arrendersi.
“ Che cosa vuol dire?” domanda, alzando un sopracciglio perplessa.


***



Ma è impazzito? Cosa vuole a quest’ora da me?
Secondo me è sotto l’effetto di pesanti droghe.
“ Vuol dire che potrei spogliarmi nudo qui, facendo uno spettacolino per gli inquilini” rivela con fare ammiccante.
“Non oseresti…” affermo, trattenendo una risata.
“ Tu pensi?” gli sento dire, mentre con un rapido gesto toglie la giacca, facendola cadere a terra, sotto il mio sguardo impassibile.
Davvero?
Tutto qui?
Io rientro.
Sto per rientrare e chiudere la porta, finché con la coda dell’occhio non noto che ha appena tolto la maglietta rimanendo a petto nudo.
Oh, oh…
“Smettila” sibilo in cagnesco, intimandogli di andar via e, contemporaneamente, osservandomi intorno nella speranza che nessuno stia spiando da dietro la porta questa scena imbarazzante, che lui trova divertente visto il modo in cui ride sotto i baffi.
“ Non c’è niente da ridere!” esclamo a bassa voce, prendendo l’indumento che mi ha tirato ai piedi, per lanciarglielo sulla sua faccia da schiaffi.
Ed ecco che le sue mani arrivano alla cintura e iniziano a slacciarla, il tutto accompagnato da movimenti strani del bacino.
Non ho il tempo di dirgliene quattro, poiché le mie orecchie avvertono un suono di passi che si fa sempre più vicino e mi segnalano che qualcuno sta per apparire da quella scala. E se fosse la signora con i bambini della porta accanto? O la signora di mezz’età vedova dell’appartamento di fronte? In entrambi i casi sarebbe una tragedia: mentre una cercherà di tappare gli occhi ai figli, la signora potrebbe avere uno svenimento o peggio, un attacco di cuore alla vista di un uomo mezzo nudo sul pianerottolo.
Con un gesto repentino, balzo fuori dalla porta e raccolgo i vestiti di Boris, intimandolo ad entrare immediatamente in casa.
“ Forza, sparisci dentro, su!” gli ordino a bassa voce, tirandolo per un braccio.
“ Ma non ho ancora finito lo spettacolo…”.
“ Entra subito o chiamo la polizia!” affermo categorica, puntandogli un dito minaccioso.
Alla parola polizia, sbarra gli occhi e ricomponendosi la cintura, corre in casa, seguita dalla sottoscritta che si chiude la porta alle spalle, sentendosi sollevata per il pericolo appena scampato.
“ Ma dico, ti sei bevuto il cervello?!”.
“ Ammettilo. È stato divertente” afferma, divertito, parandosi la faccia con le mani dopo avergli tirato i vestiti addosso.
“ Rivestiti e poi va’ via, per favore!” gli ordino, andando in salotto.



***




“Posso sapere cosa avevi l’altro giorno?” chiede Anya, addentando un pezzo di pizza.
Dopo avere mostrato la faccia da cane bastonato, ha ceduto ed ha accettato la mia offerta di pace. Ci siamo seduti in salotto, davanti alla tv a mangiare questa pizza ormai fredda.
“ Che ti prende?” sussegue a domandare, vedendomi perso in una dimensione parallela. “ Beh, se non ne vuoi parlare, non insisto”.
Sospiro, ingurgitando mezza bottiglia di birra prima di prender coraggio e parlare.
“ Ecco…”. Giro e rigiro questa bottiglia tra le mani, riflettendo se sia giusto raccontarle questa storia. “L’altro giorno è venuto un uomo nella mia officina, dicendo di essere mio padre”.
Silenzio.
Continuo a puntare gli occhi sullo schermo della tv, attendendo la successiva domanda di Anya.
“ Ed era veramente lui?”.
Che non tarda ad arrivare.
“ Purtroppo sì” rivelo, deglutendo un boccone amaro.
***



Suo padre?
“ Ma io pensavo fossi orfano, insomma…”. Non capisco. Non viveva con Yuri in un orfanotrofio in Russia? È quello che ho appreso da quel poco che mi ha raccontato Hilary di suo marito.
“ Beh, in teoria sì, sono finito lì perché non avevo più nessuno” racconta, rimanendo sul vago.
Dal suo strano atteggiamento, comprendo che deve essere difficile, per lui, parlare di questo. Il suo sguardo si è come …spento.
“Perché sei rimasto solo?” domando, incuriosita.
“ Perché mio padre mi ha…” deglutisce amareggiato, “…abbandonato” rivela, volgendo gli occhi verso di me. E in essi mi perdo, rimanendo turbata dalla sua confessione.
“ E sai perché lo ha fatto?”.
A questa domanda, un sorriso amaro si dipinge sul suo volto.
“ Lui ha scelto la cocaina a suo figlio, mi ha, letteralmente…venduto” confessa, mostrando un’espressione di sofferenza, che cerca di celare fingendo di bere dalla bottiglia un residuo di birra.
Sono sconvolta. E credo che sia palese, per il semplice fatto che non riesco a dire nulla.
“E’ una storia terribile, lo so” afferma sarcastico, come un gesto di autocommiserazione. “Ma…io l’ho superata, mi ci è voluto un po’, ma l’ho superata” ripete a dire, come per convincere se stesso di questa verità. “E poi, lui decide di comparire. Io speravo veramente che fosse morto di overdose, come mia madre…” rivela, senza un briciolo di sentimento.
Ah, dunque, la cocaina faceva parte integrante della famiglia Huznestov.
Bevo un bel sorso di birra, come gesto per aiutarmi a mandar giù tutto quello che, stasera, sto sentendo.
“…e invece no, eccolo qui, a far tornare a galla tutto lo schifo che ero riuscito a sotterrare nella memoria” conclude, parlando più a se stesso che a me. “Ti ho sconvolta abbastanza?” mi chiede poi, vedendomi troppo silenziosa.
“Giusto…un po’” confesso, cercando di apparire il meno turbata possibile.
“La tua sarà una famiglia normale e non sei abituata a tutto questo”.
Beh, a parte l’episodio in cui mio padre voleva uccidermi quando ha scoperto che ero incinta, sì, siamo una famiglia abbastanza normale.
“ E cosa vi siete detti?” domando, tornando alla sua stramba famiglia.
“Niente. L’ho mandato via e, sinceramente, non m’importa ciò che ha da dirmi. E’ troppo tardi per le spiegazioni” asserisce categorico.
“Secondo me dovresti, almeno, stare ad ascoltare ciò che ha da dirti. Se è venuto fin qui per cercarti ci sarà un motivo, no?”.
“Mi sembra di sentire Yuri…” mormora tra sé e sé. “No. Che vada al diavolo!”.
“Ascolta. Pensavo la stessa cosa quando Kai ha voluto conoscere Hope. Ho passati anni a ripetermi che questo non sarebbe mai successo, che mia figlia non avrebbe mai conosciuto il suo vero padre e guarda adesso: lei dorme a casa sua e io sono qui sola” gli spiego, citandomi come esempio tangibile. “Quindi, forse anche lui merita una seconda possibilità. Sarai tu a valutare, dopo aver sentito le sue ragioni, se ne varrà la pena”.
Trascorrono attimi di silenzio, durante i quali si osserva intorno con fare riflessivo, per infine, domandarmi “Nel tuo caso, ne è valsa la pena?” .





***

Sono appena ritornato a casa e passando dal vialetto mi accorgo di una macchina parcheggiata che mi sembra alquanto familiare.
È l’auto dei genitori di Eva.
Cazzo.
Non voglio incontrarli e interagire con loro. Potrei scappare, solo se quel cane non si fosse messo ad abbaiare e corrermi incontro, segnalando, con molta probabilità, il mio arrivo.
“Va via” dico, allontanandolo e intimandogli di andare a cuccia.
E che cazzo!
Deve sempre saltarmi addosso.
“Deve essere Kai…” sento dire da delle voci, provenienti dal salotto. E una volta passato di lì, ho davanti ai miei occhi il quartetto familiare degli Hernandez, papino compreso.
“I miei genitori sono passati per sapere come stiamo” mi spiega Eva, che con uno strano sorriso a trentadue denti, mi raggiunge per scoccarmi un bacio.
Rimango perplesso di fronte a questo atteggiamento. Credo stia fingendo di essere felice per non destare sospetti nei suoi genitori.
“I miei resteranno a cena!” annuncia, festante.
Fantastico, avremo i suoceri a cena.
Ho il voltastomaco per la felicità.






La cena inizia alle ventuno. Di mio malgrado, mi sono sentito costretto dalle circostanze a rimanere.
Mentre loro parlano e chiacchierano continuamente, io creo intorno a me una specie di campana invisibile che mi isola dal resto dei commensali, finché essa non viene distrutta dalle parole del signor Hernandez.
“ Kai, ho visto che non hai toccato il bicchiere di vino, insolito da parte tua, forse il fatto di avere attentato alla vita di mia figlia e del mio futuro nipote ti ha dato un briciolo di responsabilità…”.
Queste parole arrivano taglienti alle mie orecchie e mi costringono a deglutire con forza ciò che stavo mangiando e contare fino a tre prima di rispondergli poco educatamente.
Ma è Eva ad intervenire per prima.
“ Kai sta prendendo dei farmaci, per questo non ha bevuto” spiega, con aria di rimprovero rivolta al padre.
“Beh il lupo perde il pelo ma non il vizio” mormora in tono provocante lui, bevendo dal suo calice.
Ok, adesso mi sono rotto.
Serro la mascella nervosamente e arrivato a contare fino a tre, decido di aprire bocca.
“Forse sua figlia dovrebbe raccontarle una cosa” inizio a dire, fissando mia moglie con astio. “Non è vero, Eva?”.
A queste parole il suo viso cambia colore e sentendosi addosso gli occhi di tutti, inizia a innervosirsi.
“Cosa devi dirci, Eva?” chiede, curiosa, la madre.
Gli occhi di Eva vorrebbero incenerirmi, saettano da un viso all’altro, alla ricerca di una via di fuga.
Sono stanco di prendermi tutte le colpe.
Adesso è il momento della verità.
“ Se non lo fai tu, lo faccio io” suggerisco, per intimorirla ancor di più.
“Tesoro, cosa ci devi dire?”. È ancora la madre a rivolgerle questa domanda.
Dal momento che la sua bocca, per la prima volta, sembra essersi paralizzata, sarò io a rivelare tutto.
“Eva non è mai stata incinta” dichiaro, con tono serio, provocando lo sgomento nei due genitori qui presenti.
“Cosa vuol dire, Eva?”.
“Di cosa sta parlando, Kai?”.
Le domande sono tutte rivolte a lei, ma, ancora una volta mi ritrovo a dover rispondere io.
“Ha mentito a me, a voi e a tutti quanti. Ci ha fatto credere, come perfetti imbecilli, che lei aspettasse un bambino” concludo amareggiato, gettando il tovagliolo di stoffa sul tavolo, per poi alzarmi e abbandonare la stanza.
Troppo facile prendersela con Hiwatari. Danno per scontato che la colpa di tutto sia mia e sono stanco di questa storia. Almeno, così, si renderanno conto che la loro amata figlia non è così perfetta come hanno sempre pensato.



Più tardi…



“Non avevi il diritto di dire quelle cose ai miei!” mi urla infuriata Eva, piangendo.
“ E invece sì, perché sono stanco delle battute sprezzanti di tuo padre!” urlo a mia volta, calcando la tensione.
“ Ma io ti stavo difendendo, dicendogli dei farmaci!” ribatte duramente.
“No, Eva, tu stavi solo difendendo te stessa!” controbatto io, con un urlo che la fa tacere all’istante e a trattenere i singhiozzi causati dal pianto. “Era questo il tuo fantastico piano per sistemare le cose?! Mentire ancora, facendo apparire me come l’assassino di un bambino mai esistito?”.
“Ma cosa stai dicendo?”.
“ Sto dicendo la verità. E sono stanco di tutta questa storia!” rivelo, al limite della stanchezza.
“ Io pensavo che le cose fossero tornate come prima, che mi avessi perdonata!” esclama, confusa.
La mia risata stizzita ha già dato la risposta “Davvero? Davvero pensavi che le cose sarebbero tornate come prima?”.
La sua espressione confusa sembra pretendere ulteriori spiegazioni.
Bene, Hernandez, te lo spiegherò con un esempio pratico.
Mi avvicino al tavolo dei liquori e prendo in mano un bicchiere…”Lo vedi questo?” domando, in tono serio, tenendo quell’oggetto sospeso a mezz’aria davanti ai suoi occhi perplessi.
Il bicchiere scivola dalle mie dita, cadendo a terra e frantumandosi in mille pezzi.
“ Si è rotto. Adesso ho due opzioni. Posso raccoglierne i pezzi e provare a sistemarlo, pur sapendo che non sarà più come prima, oppure…”. Seguono attimi di esitazione. “posso fregarmene e comprarne uno nuovo. Cosa credi che sceglierebbe Hiwatari?” domando, con aria minacciosa.
“Mi stai paragonando a qualcosa da buttare via?” chiede, con un tono tra l’incredulo e l’arrabbiato.
“Sto dicendo… che io non perdo tempo a sistemare una cosa per cui non vale la pena” dichiaro in tono conclusivo, facendo qualche passo all’indietro, per poi voltare i tacchi e andarmene.
Mi era balenata l’idea, dopo la conversazione con Yuri, di rimettere piano piano le cose a posto. Ma dopo questa sera mi sono reso conto che forse non ne vale poi così tanto la pena.











Ciao a tutti quanti!
Rieccomi qui, e incredibilmente a poca distanza di tempo dall’ultimo aggiornamento.
Ero troppo ansiosa di continuare a scrivere il proseguimento di questo pasticcio ed eccolo qui.
Ho paura a chiedervi cosa ne pensate XD
Come anticipato, in questo capitolo Yuri ha cercato di insinuarsi nella mente di Hiwatari per cercare di psicanalizzarlo. E, in sintesi, Kai si era abituato all’idea di avere un secondo bambino, stavolta, cercando di essere presente fin dall’inizio, a differenza di quanto era successo col primo.
Povero, dai.
Voleva darsi una seconda possibilità, in fondo.
Poi ho inserito la storia di Boris (non so come mi sia venuto in mente, ma vabe XD ho voluto inserirla). Riappare il padre che a quanto si narra lo ha abbandonato da piccolo. Darà a quest’uomo la possibilità di parlare? Lo vedremo.
Ho inserito delle frasi in russo e ci tengo a precisare che non so una cippa di russo, quindi ho utilizzato Mr Google Traduttore XD e il fatto che non ci sia la traduzione è fatto apposta per confondervi XD
E infine, a parte quella specie di spogliarello di Boris, che ho messo per spezzare la tensione, ho concluso il capitolo con l’ennesima tragedia a casa Hiwatari.
Per poco non ci scappava un morto. Il suocero probabilmente non ci tiene alla sua pelle, continua a punzecchiare il genero e boom, Kai esplode, anche se ho evitato  un incontro di wrestling, ma Kai se l’è giocata d’astuzia, svelando la menzogna di Eva.
Ok, non so nemmeno io cosa ho scritto e detto, ma vabbe, spero mi facciate sapere cosa ne pensate.
Nel prossimo capitolo succederà una cosa strana XD povera Anya. Ci va di mezzo sempre lei. Non vi anticipo nulla, però :P
Un immenso grazie va a voi tutti che siete giunti fin qui a leggere.
E un grazie in particolare va a coloro che si prendono del tempo per lasciare una recensione.
Un bacio e a presto :**
   
 
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