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Autore: Luinloth    26/09/2020    7 recensioni
Gli angeli sono scesi sulla terra e hanno soverchiato l’umanità, regredendola ad uno stato quasi medievale. Gli umani lavorano come schiavi alla costruzione di una torre, di diverse torri sparse intorno al globo, ma nessuno sa cosa succederà una volta che il loro lavoro sarà concluso. John Winchester è a capo di una delle cellule della Resistenza e Dean nei confronti degli angeli non ha mai provato altro che odio, per ciò che hanno fatto alla sua famiglia, per ciò che hanno fatto a Sam. Finché, un giorno, Castiel non viene assegnato al suo cantiere e tutte le certezze che aveva iniziano a sgretolarsi. Ma come gli ripete spesso suo padre, un umano non dovrebbe mai fidarsi di un angelo.
80% AU, 20% what if (vi assicuro che non è così complicato come sembra)
Dal testo:
«Perché?» […]
«Perché ho sempre creduto che non mi importasse» […] «Ma mi sbagliavo»
Genere: Angst, Drammatico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Sam Winchester
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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Disclaimer: storia scritta senza scopo di lucro, nessuno dei personaggi mi appartiene






24. Tradimento




6 giugno 2009

Sotto certi punti di vista, lo sgabuzzino con servizi che lui, Sam e Jack si erano ritrovati costretti a condividere non era poi tanto male.

«Tutto questo è assolutamente ridicolo!»

Dean lanciò un’occhiata esasperata a suo fratello — piantato a braccia conserte tra i due stipiti della porta — ottenendo in risposta soltanto un sospiro, e un’alzata di spalle fin troppo accomodante, considerata la quantità di tempo, energie e preghiere inefficaci che entrambi avevano già sprecato per quella che al cantiere, in Colorado, non avrebbero nemmeno qualificato come ‘ferita’.

Il maggiore chiuse gli occhi per qualche istante, massaggiandosi le tempie con i polpastrelli.

Se non altro — nel suo tentativo di sottrarsi a quella che altro non era che un po’ d’acqua e sale, per la miseria! — il nephilim era andato a incastrarsi tra la parete e il letto di Sam, tagliandosi da solo ogni via di fuga che non prevedesse il gettarsi sul materasso e rotolarci sopra fino a cascare dall’altra parte, e Dean era abbastanza sicuro che il bruciore delle sue ginocchia insanguinate sarebbe bastato a farlo desistere da ulteriori manovre evasive.

Senza contare che la loro stanza era talmente piccola che non avrebbe potuto scappare chissà dove. Non con un abbondante metro e novanta di Sam Winchester che piantonava l’uscita.

«Jack, ti stai comportando come un bambino!»

«Ma brucia!»

Fu un’affermazione mossa con una schiettezza tanto stupita che Dean avrebbe quasi sorriso, se non fosse che era circa mezz’ora che cercava di metterlo seduto per pulirgli il piastriccio di sangue, sudore e polvere che gli si stava seccando all’altezza delle rotule.

Quella mattina Charlie era di nuovo sparita — naturalmente insieme ad Anna e Missouri — ma almeno stavolta si era degnata di avvertirlo. Ash aveva promesso di insegnare a Sam il funzionamento dei walkie-talkie a lunga distanza, così Dean si era offerto — in nome della recente accoglienza del nuovo, strambo membro, all’interno della famiglia — di occuparsi dell’allenamento di Jack per quella mezza giornata.

Ciò su cui non aveva riflettuto, però, era che il nephilim — a differenza di tutti gli altri umani che lui si fosse mai ritrovato ad affrontare, ed esattamente come il suo amico Kevin — possedeva la stessa attitudine al combattimento di un coniglietto pasquale.

Abituato ai modi più pazienti e premurosi del minore dei Winchester, Jack aveva rimediato un paio di lividi già allo sferrare dei primi colpi e, malgrado tutti gli accorgimenti di Dean, era finito a grattugiarsi le ginocchia sul cemento nudo e ruvido del bunker nemmeno dieci minuti dopo.

«Jack, per favore»

Se in quel momento qualcuno gli avesse fatto notare che il ragazzino tremante appiccicato alla parete era il figlio di un Arcangelo, Dean gli avrebbe certamente riso in faccia.

«Ti prenderai un’infezione coi fiocchi se non mi lasci pulire quel disastro, e a quel punto sarà ancora peggio»

Che poi, in virtù delle sue origini celestiali, Jack non avrebbe dovuto essere capace di curarsi da solo? O il sangue umano che scorreva nelle sue vene gliene precludeva la capacità?

«Magari potremmo chiedere a Rufus se in infermeria hanno qualcosa che non bruci così tanto…» propose Sam, in uno slancio di pietà, sebbene non apparisse così chiaro se nei confronti di suo fratello o del nephilim.

Ad ogni modo, Dean lo fissò come se gli fosse appena spuntata una seconda testa. Pelata, per giunta.

«Ma tu da che parte stai?» esclamò strabuzzando gli occhi «Lo sai che medicinali e affini già scarseggiano, Charlie ci metterebbe a rammendare calzini fino alla fine dell’estate se scoprisse che abbiamo anche solo pensato a una soluzione del genere per due graffi»

«Era solo un’idea…» si schermì il minore, sospirando «Se tu ne hai di migliori…»

Una camicia di forza, per Dio.

Una camicia di forza sarebbe stata indubbiamente un’ottima soluzione.

Peccato soltanto che Sam non avrebbe mai condiviso una trovata del genere — considerata la plateale e snervante indulgenza che accordava al piccoletto — perciò Dean si concesse ancora un ultimo tentativo da persona civile.

«Andiamo Jack, è questione di cinque minuti. Adesso siediti e piantala con questi capricci»

«No!»

La mano che planò senza la minima grazia ad afferrargli una spalla e a strattonarlo sul letto lo colse talmente alla sprovvista che il nephilim fu appena in grado di esalare un discreto ‘ehi’.

Poi, il panno imbevuto che gli venne piazzato con rapidità implacabile sul ginocchio sinistro gli mozzò il respiro e Dean, accovacciato di fronte a lui e non particolarmente incline alla tenerezza — non dopo aver trascorso la mezz’ora precedente a implorare e rincorrere quell’irragionevole figlio di un Arcangelo e la sua ridicola soglia del dolore — cominciò a ripulirgli scrupolosamente le ferite incrostate, masticando borbottii indecifrabili.

Quando rialzò lo sguardo gli occhioni di Jack si erano già riempiti di lacrime.

«Sai…»

Tutta la sua irritazione sprofondò dentro quei due laghetti d’oro tremolante e svanì.

«Quando ero piccolo, forse per il mio terzo compleanno ma non ne sono così sicuro, papà arrivò a casa con una bicicletta nuova di zecca»

Posò gentilmente la mano libera sulla sua coscia contratta.

«Una bicicletta?»

Forse fu per la dolcezza di quel ricordo, o perché il luccichio traballante all’orlo delle ciglia di Jack pareva essersi già affievolito.

Dean sorrise.

«La bicicletta è un mezzo di trasporto, un po’ come l’automobile, però ha soltanto due ruote e non ha un motore» gli spiegò, mentre goccioline d’acqua rosa gli scorrevano lungo il polso «Serve solo un po’ di tempo per riuscire a guidarla e a mantenere l’equilibrio senza cadere»

Sam si staccò dalla porta e andò a sedersi sull’altro letto, alle spalle del nephilim, la cui attenzione era stata ormai definitivamente calamitata da quello strano trabiccolo che erano capaci di portare persino i bambini di tre anni.

«Io non ho mai imparato ad andarci come si deve, in realtà» gli confidò Dean «Non ne ho avuto il tempo» ammise tristemente «In compenso però sono caduto e mi sono fatto male un sacco di volte, tentando di fare pratica. E quando papà cercava di disinfettarmi le sbucciature facevo un mucchio di capricci, doveva inseguirmi per tutta la casa!»

Jack rise, e la linea delle sue spalle si abbassò; i muscoli delle sue gambe si rilassarono e Dean ne approfittò per passare a dedicarsi al suo malridotto ginocchio destro.

«Dopo un po’, tra pianti e strilli, non mi rimaneva più nemmeno la forza di protestare e lui riusciva ad acciuffarmi» proseguì «Dopodiché mi faceva una ramanzina di un quarto d’ora e mi spediva sul divano a riprendere fiato e a riflettere sulla stupidità dei miei atteggiamenti. Ma ogni volta — per quanto l’avessi fatto impazzire — faceva sempre finta di non guardare quando la mamma si sedeva accanto a me con la scatola dei biscotti»

Aveva quasi finito: erano graffi talmente superficiali che non sarebbe valsa neanche la pena fasciarli.

«E lei com’era?»

Immerso fino al collo nelle reminiscenze deliziosamente crudeli dello zucchero caramellato e del burro fuso, Dean rimase per un attimo interdetto.

«Mia madre?»

Jack annuì.

«Oh, io…» ci pensò su per qualche istante «Non saprei dirtelo con esattezza. Aveva i capelli biondi, lunghissimi, e papà mi ha sempre raccontato di lei come di una donna gentile e molto bella ma io… io non ricordo nient’altro che il suo maglioncino giallo e la sensazione che non mi sarebbe successo mai nulla di male finché lei rimaneva nella mia stessa stanza e… ecco qua!» esclamò d’un tratto, sviando la conversazione con bizzarra esultanza.

«E’ stato così drammatico come temevi?» domandò, rimettendosi in piedi e asciugandosi le mani sui pantaloni «Questione di cinque minuti, che ti avevo detto?»

Jack abbassò lo sguardo.

«E adesso…» mormorò contrito «Adesso toccherà anche a me una ramanzina di un quarto d’ora?»

«Oh, senza dubbio te la meriteresti» intervenne Sam, strappando al fratello un confuso ‘oh’ di sorpresa «Ma direi che per stavolta va bene anche così»

I lineamenti del nephilim si distesero in un’espressione riconoscente, e Dean si ritrovò a chiedersi se lui ricordasse qualcosa, delle sue primissime settimane di vita.

La moquette nera dell’appartamento di Lucifer, Ellen, Joe, l’oscurità polverosa del montacarichi, che aveva restituito Sam alla vita, la marcia estenuante lungo i binari della metropolitana.

Se almeno Jack, nella sua memoria, fosse riuscito a trattenere l’odore di sua madre o se invece rammentasse soltanto quello acre del sangue, così come lui conservava solo quello del fumo, e della plastica che bruciava.




A New York il freddo di quell’ultimo giorno d’aprile graffiava come in gennaio. Castiel era un corpo caldo, contro il suo.

Dean si era rigirato sulla schiena che aveva ancora il respiro corto.

Non ricordava le sue ultime parole ma ricordava — qualche minuto dopo — di aver piegato la testa sul petto dell’angelo e di aver chiuso gli occhi, avvolto dall’oscurità azzurrina che seguiva la mezzanotte.

«E’ appena l’alba»

A incunearsi sotto le sue palpebre adesso erano riflessi più chiari, arancioni, ma Castiel era ancora un corpo caldo contro il suo.

«Puoi dormire un altro po’, se vuoi»

Dean mugolò qualcosa che assomigliava a un ‘ho dormito anche troppo’ e l’angelo rise, e se lo tirò più vicino.

La prima luce del giorno arrotondava tutti gli angoli della stanza.

«Castiel…»

Castiel era nudo sotto di lui. Il mucchietto bianco e azzurro dei loro vestiti continuava a impolverarsi sotto la scrivania.

«Castiel, saranno almeno le sei del mattino»

«Le sei e quattro minuti»

L’angelo lo guardava e non capiva.

«Mi sono addormentato addosso a te e tu per tutta la notte non ti sei mai mosso?»

«Non volevo svegliarti»

Dai fianchi di Castiel, le dita di Dean scivolarono più giù.

«Però adesso sono sveglio»

Sopra la linea ruvida dell’orizzonte si intravedevano gli ultimi scampoli di una luna di madreperla.

Lo stridio sconfortante del percussore contro la capsula d’innesco della — stando a quanto riportato sul calcio graffiato dell’arma — Smith&Wesson 686 lo riscosse di colpo dalle sue elucubrazioni.

«Tu sei bella che andata dolcezza…»

Dean lanciò la rivoltella arrugginita nel bidoncino scrostato alla sua sinistra.

«Cos’è, ora ti sei messo a parlare con le pistole?»

La fluorescenza intermittente dei tubi al neon illuminò i lineamenti scavati di suo fratello — i capelli arruffati di chi è rimasto troppo a lungo a girarsi e rigirarsi sul cuscino — appena accomodatosi di fronte a lui dall’altra parte del tavolo.

«Ehi…»

Immerso nei propri pensieri, Dean non lo aveva neanche sentito arrivare.

«Devi avermi sentito uscire, scusami, non volevo svegliarti»

Suo fratello scosse la testa «Ero già sveglio»

«Un altro incubo?»

«No, niente incubi per stanotte» Sam stirò le labbra e cominciò a tamburellare distrattamente con le dita sul bordo della sedia «Non riuscivo a prendere sonno e basta»

«Siamo in due allora» si azzardò a confessargli il maggiore «Finiamo la seconda cassa? Qualcun altro deve esserci dedicatosi oltre a me ultimamente, perché restano solo un paio di fucili e questa vecchia doppietta qui»

Sebbene non l’avrebbe mai e poi mai ammesso davanti a Rufus, Dean aveva scoperto che dedicarsi alla pulizia e alla riparazione delle armi lo rilassava.

Era un compito ripetitivo, puramente manuale e assolutamente noioso, eppure era l’unico modo che sembrasse funzionare nell’impedire all’ultimo sorriso di Castiel di farlo impazzire: gli sgombrava la mente da qualsiasi altro pensiero che non fossero scricchiolanti contingenze meccaniche.

«Sai, pensavo…» Sam declinò la sua proposta con un cenno del capo e poggiò gli avambracci sul tavolo «Mi sarebbe piaciuto avere ricordi della mamma. Ricordi davvero miei» precisò.

«Io l’ho sempre…» s’inumidì le labbra «… vista, solo attraverso i racconti nostalgici di papà, ma per quel che so lei potrebbe anche essere stata completamente diversa da come l’ho sempre immaginata»

Dean rimase a passarsi la doppietta da una mano all’altra per qualche secondo, prima di replicare.

«Vedi, Sam» disse «I ricordi sono una bella fregatura, se non impari a lasciarli andare in fretta»

Specialmente i ricordi buoni, quei gran bastardi.

Sempre lì a soffiarti all’orecchio e a rammentarti quanto rapidamente ogni felicità della tua vita sia marcita senza che tu abbia potuto far nulla per evitarlo.

Per un po’, suo fratello se ne stette zitto. Finì di ticchettare con le unghie sulla plastica e si lasciò andare contro lo schienale della sedia.

«Credi che lo rivedremo mai?»

A New York il freddo di quell’ultimo giorno d’aprile graffiava come in gennaio, e Castiel era un corpo caldo, contro il suo.

Le canne lisce della doppietta erano ben tenute, impolverate ma prive di incrostazioni interne.

Se avesse saputo che quella sarebbe stata anche l’ultima notte avrebbe implorato Castiel di tenerlo sveglio. Di non lasciare che si addormentasse tra le sue braccia.

Sam inspirò rumorosamente dal naso «Non gli ho mai nemmeno detto grazie»

Sapessi ciò che avrei voluto dirgli io, Sam.

E invece l’ho lasciato andare.

Dean smise di fingere che quella conversazione non stesse avendo luogo, abbandonò l’arma smontata sul tavolo e intrecciò le dita davanti a sé.

«A me basterebbe sapere che sia ancora vivo» sussurrò «Che sia vivo e che stia bene, e che Michael non gli abbia già cavato gli occhi dalle orbite»

I tubi al neon improvvisamente persero potenza e il bunker precipitò nel buio.

«Che succede?» il maggiore scattò in piedi, urtando il bidoncino scrostato e facendo tintinnare pericolosamente il mucchio di rottami inutilizzabili al suo interno.

I luccicanti segnali d’emergenza attaccati alle pareti — d’un fosforescente rosso acceso — sfavillavano con un’urgenza che metteva i brividi.

«Ma che invidiabile balzo da centometrista!»

Dean si voltò strizzando gli occhi, ma in quell’oscurità così densa riuscì appena a distinguere una sagoma che si avvicinava molleggiando.

«Non c’è niente di cui preoccuparsi, sono soltanto i gruppi elettrogeni che perdono colpi» continuò la voce, e infatti un istante dopo i cilindri fluorescenti ripresero vita, ronzando e sbuffando, e illuminando un profilo a loro ben noto.

«Salve, ragazzi»

Crowley aveva — prevedibilmente — smesso gli abiti dei Collaborazionisti, e ora indossava un’anonima giacca nera e pantaloni e camicia sdrucita altrettanto scuri.

Assomigliava a un grosso pipistrello.

«Non ditemi che vi siete già dimenticati del vostro vecchio amico Crowley?»

Sam alzò un sopracciglio «Beh… amico mi sembra una parola grossa…»

«Una parola molto grossa»

Dean socchiuse le palpebre «Pensavo che questo posto avesse delle celle molto più affidabili» commentò, sprezzante «Anche se ad essere sincero, non vedendoti in giro speravo davvero che Rufus ti avesse tirato un colpo in testa»

«Oh, a quanto pare alla Resistenza risulto più utile da vivo che da morto» gongolò maliziosamente l’uomo — per nulla turbato dal veleno il ragazzo gli aveva appena sputato addosso — prima di rivolgere la sua attenzione alla doppietta smontata lì accanto.

«Vi trastullate con la vecchia ferraglia?» chiese «Un hobby come un altro in fondo, anche se io ho sempre preferito le cartine geografiche, le mappe dei pirati e le cacce al tesoro» buttò lì con noncuranza.

Dean non seppe rispondergli, stranito com’era rimasto da quell’improvvisa confidenza nonché dall’idea che un soggetto della risma di Crowley potesse dedicarsi a passatempi tanto innocenti.

«Sentite, ragazzi» ne approfittò perciò lui «So che abbiamo iniziato con il piede sbagliato, noi tre…»

Il maggiore sbuffò.

«…ma ormai siamo dalla stessa parte della barricata, quindi…» deglutì «Che ne dite di mettere da parte i vecchi rancori e di ricominciare da capo?»

l silenzio notturno in cui era immerso il bunker parve condensarsi in una lastra di vetro sopra le loro teste, mentre Crowley sfilava la mano destra dalla tasca dei pantaloni e la allungava verso Dean.

Sam lanciò a suo fratello un’occhiata incoraggiante.

D’altronde lui non aveva poi tutti questi motivi per avercela con quel Collaborazionista.

Inoltre, quando gli erano stati rivelati i veri piani degli angeli, lui e Dean erano sani, salvi e sazi a duecento metri nel sottosuolo, e Jack si era appena addormentato nel suo lettino senza nemmeno un capriccio. Dopo quattro anni confinato all’ottantaquattresimo piano dell’Empire State Building, il suo stupore atterrito non era durato più di cinque minuti.

Il maggiore si avvicinò a Crowley di mezzo passo, ma — per il momento — soltanto per essere sicuro che la sua domanda venisse ben compresa.

«Stai facendo il triplo gioco, Crowley?» sibilò «Cos’è, un altro dei tuoi giochetti questo?»

«Potrei aver mantenuto un certo… riserbo su un alcune faccende Dean…» rispose lui, adombrandosi ma continuando lo stesso a tendergli la mano «Ma non sono stato certo io ad averti mentito»

Dean sentì la propria mascella scricchiolare.

No, certo che non era stato lui.

«Se mi farai la cortesia di spiegarmi cosa caspita cercavi nella biblioteca di…» il ragazzo sfiatò qualcosa a metà tra un’imprecazione e una resa «Sì, insomma, in quel posto orrendo» borbottò, avanzando di un ultimo mezzo passo.

Crowley impallidì, e il braccio teso davanti al suo torace oscillò su e giù.

Nel breve silenzio che seguì, Dean si era già quasi pentito del colpo di spugna che stava ormai per gettare sui loro infelici trascorsi quando l’espressione dell’uomo lo stupì.

«Hai la mia parola» promise Crowley, con uno scintillio terribilmente serio dentro le sue iridi di giaietto «Da qui in poi nessun segreto, scoiattolino. E nessun rancore, mi auguro»

«Ciò non significa che non ti terrò comunque d’occhio…» brontolò il ragazzo, decidendosi finalmente a stringere la mano che gli veniva offerta.

«Non sei il primo che me lo dice, qui dentro!» ridacchiò l’altro, visibilmente sollevato, facendo l’occhiolino a Sam «Quel brutto muso nero non ha fatto altro che spintonarmi per tutto il tempo quando…»

Le luci del bunker si spensero di nuovo, fischiando.

«Strano, però…» commentò Crowley, osservando il soffitto, mentre i tubi al neon riprendevano faticosamente a funzionare.

«Non mi era mai capitato di assistere a due perdite di potenza così ravvicinate…»

«CHARLIE!»

Il grido disperato di Patience stracciò la quiete del terzo livello, facendoli trasalire.

«CHARLIE!»

Seguito a ruota da Sam e da Crowley, Dean si precipitò in direzione delle urla, verso la stanzetta disordinata dell’Occulto intorno alla quale si era già creato un gruppetto di nottambuli come loro.

Convinto che richiami così angosciati non potessero avere a che fare con nient’altro che le condizioni di salute della ragazza, nello scorgere la sua chioma rossa — piuttosto spettinata, ma intatta e incolume come il resto di lei — comparire sull’uscio, Dean sobbalzò di nuovo.

«Patience, tesoro, calmati…»

Charlie non sembrava nemmeno assonnata.

Il languore che stagnava dietro le sue pupille Dean riuscì a identificarlo solo quando Anna — scarmigliata almeno quanto l’Occulto — sbucò alle sue spalle sistemandosi i bottoni della camicetta, ma non ebbe il tempo di invidiarlo.

Patience tremava da capo a piedi e a nulla valevano i tentativi delle due donne di tranquillizzarla.

«Ero di turno… in superficie… abbiamo aspettato il rapporto di Ellen tutta la sera ma poi…» farfugliò «Poi ci ha contattati Do-donatello…»

«Quel misantropo!» Charlie strabuzzò gli occhi «Ma se di solito dobbiamo pregare, per riuscire metterci in comunicazione con lui!»

«Non è con Donatello che ho parlato!» la ragazzina eruppe in un pianto convulso «E-erano Ellen e… e Joe, s-sono… sono scappate» attraverso i singhiozzi, le sue parole risultavano appena comprensibili «S-sono scappate e si… si sono rifugiate da lui»

Dean si voltò verso suo fratello, ma la confusione sgomenta che gli trovò riflessa in volto non fece altro che accelerare il ritmo del suo battito cardiaco.

«Patience ho bisogno di sapere cosa è successo»

Anna le aveva posato le mani sulle spalle e si era piegata sulle ginocchia, in modo da tenere il viso della ragazzina esattamente davanti al suo, ma — sebbene lui e Sam riuscissero a stento a vederlo — lo sguardo che le stava rivolgendo non avrebbe potuto essere meno consolante, o tenero di così, perché Patience smise immediatamente di piangere e si irrigidì come se qualcuno le avesse appena gettato addosso una secchiata d’acqua gelida.

Anna mantenne quell’implacabile contatto visivo tanto a lungo che Charlie era ormai sul punto d’intervenire, quando la più piccola trovò finalmente il coraggio di schiudere le labbra e confessare, con un filo di voce: «Lo hanno scoperto, Anna…»

Per un fugace — e altrettanto doloroso — momento, Dean credette che la ragazzina stesse riferendosi a Castiel; bastarono le due successive manciate di parole a riportarlo con i piedi per terra.

«Probabilmente gli Arcangeli sospettavano già qualcosa perché Ellen ha detto che Raphael lo ha seguito, oggi, quando è venuto qui…» Patience deglutì «E poi… poi l’ha affrontato, e… e a quanto pare devono aver combattuto perché nello scontro Raphael è rimasto ucciso!»

Anna perse l’equilibrio.

Si accartocciò su se stessa, barcollando all’indietro, e Charlie riuscì ad afferrarle un braccio e a tirarla contro di sé appena un attimo prima che sbattesse con la schiena contro il muro.

«Cosa ti ha detto di Gabriel?» domandò l’Occulto «Che ne è stato di lui?»

Fu soltanto allora che Dean capì.

O meglio, di tutta quella faccenda rimanevano comunque molti di più gli aspetti oscuri che quelli certi, ma l’evidenza era ormai sotto i suoi occhi così come sotto quelli di Sam, le cui ginocchia avevano già cominciato a tremare.

Gabriel aveva tradito.

Aveva tradito i suoi fratelli ben prima di Castiel, ed era lui la causa delle misteriose e periodiche sparizioni di Charlie, Anna e Missouri.

«Non lo sapeva…» sussurrò Patience, tirando su col naso «L’ultima volta che lei e Joe l’hanno visto era vivo» aggiunse «Ferito, ma vivo, ma non sapevano… non sapevano…»

«Maledizione!»

Charlie colpì la parete con il palmo della mano, facendo sussultare per la seconda — o terza volta, almeno — tutti i presenti.

«Fa suonare la sirena Charlene» la voce di Anna era ancora malferma «Dobbiamo far evacuare questo posto, e in fretta»

L’Occulto sbatté le palpebre.

«Ci sono centinaia di persone qui dentro, come pensi di…» osservò, prima che l’intento irremovibile nello sguardo della compagna — intento che stavolta Dean non riuscì a indovinare — la facesse impallidire.

«No, Anna, non posso permettertelo» Charlie le afferrò il polso «Potrebbe anche ucciderti»

Lei non si divincolò.

«Se Raphael ha davvero seguito Gabriel fin qui, stamattina, significa che gli angeli conoscono le coordinate di questo posto» si limitò a mormorare, compassata.

«Spezzeranno i sigilli ed entreranno nel bunker, non siamo abbastanza preparati e ci sono almeno trenta bambini che sanno a malapena tenere in mano una pistola» le fece inoltre notare «Tralasciando i vecchi, i malati, e Ada che dovrebbe partorire tra meno di tre settimane»

Uno dei cilindri fluorescenti si staccò dal soffitto e crollò sul cemento, in una pioggia di frammenti scoppiettanti.

«Trova Missouri e fa suonare la sirena, Charlene»

I riflessi arancioni, negli occhi di Anna, erano braci accese.

«Arrivano»













Al fotofinish, ma ci sono! ^^
Probabilmente ve ne sarete accorti, ma tra lavoro/università/varie ed eventuali, questo è un periodo per me po’ frenetico. Mi tocca purtroppo dirvi, quindi, che il prossimo aggiornamento arriverà tra due settimane :(
Nel frattempo però, vi ringrazio di cuore per le recensioni che mi avete lasciato allo scorso capitolo, e un secondo, enorme grazie a chiunque stia ancora seguendo questa storia. A presto ❀*

   
 
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