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Autore: lady lina 77    27/09/2020    2 recensioni
La storia dei Romelza riscritta in modo del tutto nuovo, partendo da zero...
Lui è un giovane disilluso dall'amore che dopo aver trascorso tre anni a combattere in Virginia, torna in Cornovaglia e scopre che tutto il mondo che aveva lasciato è in distruzione, suo padre è morto lasciandolo pieno di debiti e il suo grande amore, Elizabeth, è in procinto di sposare suo cugino Francis.
Lei è una giovane ragazza povera di Illugan che viene presa per caso alle dipendenze dei Boscawen e finisce per sposare il nipote di Lord Falmouth, Hugh Armitage, un giovane dalla salute malferma che ha perso la testa per lei...
Ross e Demelza, anime sconosciute, lontane, le cui strade si incrocieranno in modo del tutto imprevisto scardinando ogni loro convinzione sull'amore, sulla vita e sul futuro...
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Demelza Carne, Elizabeth Chynoweth, Francis Poldark, Ross Poldark
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il buio nella sua anima e la totale assenza di sentimenti eccezzion fatta per la rabbia, faceva un tutt'uno con l'oscurità di quella notte tempestosa.

Ross galoppò come impazzito verso Trenwith, spingendo il suo cavallo a una corsa al limite delle sue capacità, chiedendosi con il poco raziocinio che gli era rimasto, in cosa avesse sbagliato. A fidarsi di lei? A sperare, ancora, nonostante già una volta si fosse scottato con la medesima acqua bollente? O era rabbia verso se stesso e quanto era stato cieco? Oppere era rabbia verso Elizabeth o verso l'amicizia che la univa a George o che altro ancora?

Difficilmente la furia che aveva in corpo gli avrebbe fornito le risposte di cui necessitava e nemmeno sarebbe riuscito a capire il perchè di quella galoppata furiosa. Perché andava a Trenwith? A urlare e strepitare? Per cercare di capire? O per reclamare ciò che pensava fosse suo?

Era stata una giornata orribile in cui la morte aveva sfiorato di nuovo la sua miniera, in cui le poche certezze a cui si era aggrappato erano cadute di nuovo, con il solo calore delle parole amiche di una strana ragazza dai capelli rossi... E ora di nuovo, l'incubo dell'oscurità e delle promesse tradite lo colpivano, ancora e poi ancora. E la colpa era sua o della donna in cui aveva riposto ogni speranza?

Quando arrivò a Trenwith, tutto era ovviamente buio. La casa sembrava avvolta dal tepore del sonno e la pioggia che vi batteva contro incessantemente non sembrava scalpirne il silenzio opprimente.

Sceso da cavallo Ross si avventò sulla porta, batté con forza i palmi ma quando vide che nessuno arrivava ad aprire, corse sul retro della casa e si arrampicò sull'albero i cui rami poggiavano sul davanzale che dava sul corridoio del primo piano dove si trovavano le stanze da letto. Si stava comportando come un ladro ma la furia in lui gli impediva di fermarsi.

E così bagnato, infreddolito, furente, saltò sul davanzale, ruppe il vetro, introdusse la mano e aprì la finestra. E in un attimo fu dentro casa, alla ricerca di chissà che...

Quando fece per arrivare alla porta di Elizabeth per aprirla, buttarla giù a calci o chissà che, fu la donna ad anticiparlo, comparendo da dietro l'uscio in camicia da notte, coperta unicamente da una vestaglia di seta verde. Lo guardò ammutolita, osservò con orrore il vetro della finestra rotta e poi, come se non capisse il perché, porse la più ovvia delle domande. "Ross... Cosa ci fai quì?".

Furente le si avvicinò, si mise la mano in tasca e ne estrasse la lettera che gli aveva fatto recapitare a Nampara. Stropicciata, bagnata, strappata, era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso e Ross questa volta non aveva intenzione di assistere all'ennesima disfatta della sua vita in modo inerme. "Cosa ci faccio quì? Con che coraggio me lo chiedi, dopo questa?".

Elizabeth deglutì. "Ross, forse dovresti tornare domani e così potremo parlarne con calma davanti a una tazza di tè".

"Al diavolo il tè, ne parliamo ora, non domani, non dopodomani. ORA!" - disse, categorico, spingendola con forza dentro la camera e chiudendosi l'uscio alle loro spalle.

Elizabeth arretrò. "Ross, non dovresti essere quì".

Finse di non sentirla o forse non la sentì affatto. Al diavolo le buone maniere, al diavolo il cavallierato, al diavolo tutto. "Che significa questo?".

"Ne più ne meno ciò che vi è scritto. Francis è morto e tutto è ricaduto pesantemente sulle mie spalle. Sono sola, piena di debiti, con una madre da assistere, un figlio ancora piccolo e una grande casa da mandare avanti senza l'aiuto di nessuno. Non sono così forte da fare tutto da sola e ho bisogno della protezione di un uomo. E che qualcuno assieme a me pensi al futuro di mio figlio, rimasto senza nulla a causa dei debiti contratti da suo padre. Non capisci, col futuro di Jeoffrey Charles così incerto e la mia incapacità ad affrontare una vita da vedova solitaria...".

Ross la bloccò, furente, incapace di stare a sentire quella carrellata di ovvietà e bugie. "Io sono quì, io ci sono e ci sarei stato per ogni bisogno! Così come Verity e zia Agatha. Tu e il bambino non siete mai stati soli!".

Elizabeth scosse la testa tentando di apparire provata e poter stemperare la rabbia furiosa che vedeva in Ross. "Lo so e te ne sarò eternamente grata. Ma un marito è qualcosa di diverso, è una spalla costante su cui poggiarsi".

"George? Parli di George Warleggan? Il George Warleggan che ha tentato di farmi impiccare, che non sogna che di vedermi fallire e che ha rovinato la vita di Francis? Sarebbe LUI la spalla su cui vuoi poggiarti?".

"E' gentile con me" – si schernì Elizabeth.

Ross rise, isterico. "Gentile? George?".

"Sì! E si è preso cura di me da quando è morto Francis".

"Pura filantropia, suppongo! O sei tu che vuoi crederci e farmelo credere!".

"Mi ha riempita di attenzioni e premure, è l'uomo giusto che una donna nella mia situazione dovrebbe sposare...".

"Vuoi dire che il suo denaro si è preso cura di te". Oh, era meschino dirlo, ma non più del gioco fatto da Elizabeth alle sue spalle.

Elizabeth avvampò, furente a quell'affermazione. Come osava? "Ora mi stai offendendo!".

"Perché la cosa ti offende?".

"Perché non vuoi capire la mia posizione di donna e madre".

"Ti stai vendendo a lui!!!" - urlò Ross, avventandosi su di lei e prendendola per le braccia. "Da quando è iniziata? Da quanto mi menti sui rapporti con lui?".

"Lasciami, sei un bruto!" - tentò di divincolarsi lei.

"Rispondi!".

"Non ti ho mentito, non volevo turbarti!".

Ross rise di nuovo, fuori di se dalla rabbia. Santo cielo, l'aveva così amata e ora sentiva come di odiarla, come se nessun tradimento fosse mai stato così grande come il suo... L'aveva aspettata per anni, adorata... E lei non lo aveva mai preso in considerazione perché non poteva offrirle ciò che voleva. Non amore ma denaro e prestigio... "Turbarmi? Elizabeth, dimmi la verità, dimmi cosa vuoi e smettila di giocare a fare quella che si preoccupa per me. Cosa vuoi? COSA VUOI?!".

"Una famiglia e sicurezza".

"Denaro?".

"Mi offendi ancora! Non mi svendo per soldi, non sono una prostituta".

"Ma il tuo comportamento tradisce tali affermazioni, mia cara!".

Punta sul vivo, inorridita che qualcuno, che LUI osasse dire qualcosa del genere, Elizabeth alzò la mano e lo schiaffeggiò sulla guancia. "Sei orribile".

Ross, ancora più furioso, la spinse fino al bordo del letto. "Dimmi allora che lo ami".

"Lo amo, moltissimo".

"Non ti credo! Non ti credo perché dicesti la stessa cosa di Francis e poi ti sei rimangiata tutto, lo ricordi?".

Elizabeth, con le spalle al muro e spaventata per la piega che stavano prendendo le cose, cercò di riportarlo alla calma. "Voglio il tuo bene Ross, davvero. E forse questo matrimonio potrà sanare i tuoi contrasti con George".

Lui rise, divertito o forse ancora più furioso per come stava cercando di prenderlo in giro. "Dimmi che lo ami!" - le intimò, di nuovo, spingendola sul letto e stendendosi su di lei, viso a viso.

Lei si divincolò. "Vattene!".

"Dimmelo!!!" - urlò.

Ma lei tacque. E per Ross fu troppo. Si avventò su di lei, la baciò con passione sulle labbra, con quella passione rabbiosa ma inebriante che un amante sa riservare solo alla donna da sempre desiderata. Ma non c'era amore in lui, non c'era nulla di tutto questo ed improvvisamente davanti ai suoi occhi scomparve per sempre l'immagine della Elizabeth dolce ed angelica che aveva cullato nella sua mente, fino ad idealizzarla, per lunghi anni. Questa fu la consapevolezza definitiva mentre la costringeva ad accoglierlo fra le braccia. Non tenerezza, non dolcezza, non frasi d'amore e nessun futuro da costruire. Nei suoi gesti c'erano tante promesse infrante, un'adorazione andata in frantumi, un vuoto che ben poche cose avrebbero potuto colmare.

Elizabeth tentò ancora di divincolarsi dalla sua stretta ma Ross la baciò di nuovo e lei, forse capendo che non poteva fermarlo o forse inebriata da quel furore che mai aveva conosciuto e che in un uomo come lui poteva sembrare eccitante, rispose al bacio, con la stessa irosa passione. Un istante solo con un uomo di fuoco e acciaio prima di diventare la facoltosa moglie di George Warleggan. Sentiva di meritarselo, dopo tutto... E avrebbe fatto in modo che nessuno mai potesse sapre...

Ross la sentì gemere mentre le tirava su la camicia da notte e si insinuava fra le sue gambe e la sentì rispondere con passione ai suoi movimenti contro di lei. Senza troppe cerimonie le tolse la biancheria intima, si slacciò i pantaloni e senza alcun gesto di tenerezza la fece sua. E mentre il buio più profondo calava nel suo cuore e nella sua anima, si compì il destino infame di due amanti che poco e nulla si erano capiti nella vita e la cui corda che teneva legati i loro destini si era spezzata inesorabilmente.


...


L'alba, fredda ma serena dopo una giornata e una notte di pioggia, arrivò in fretta.

Ross, nella penombra della casa, con Elizabeth completamete nuda che dormiva accanto a lui placidamente, osservò come ipnotizzato l'opacità dei vetri completamente appannati. Non si poteva vedere nulla oltre ad essi e in un certo senso era così che si sentiva anche lui, disperso nella nebbia, dubbioso, incapace di comprendere le sue azioni e di capire cosa avrebbe dovuto fare adesso.

Si voltò ed osservò Elizabeth. Era sempre bella, ancor di più coi capelli sciolti e le gote arrossate e nel sonno pareva quasi angelica. Ma la patina che la ricopriva rendendola dorata ai suoi occhi era definitivamente caduta e ora, soprattutto ora, comprendeva che aveva sbagliato sempre tutto e che forse andava bene così, che Elizabeth sposasse George perché adatto a lei e che lui la lasciasse fare perché inadatta a lui. C'era stata passione quella notte, piacere fisico, ma tutto era finito in fretta, mestamente, lasciando solo freddezza e solitudine in lui. Qualsiasi cosa avesse sognato di trovare in Elizabeth, non l'aveva trovata. Cosa gli aveva lasciato dentro quella notte di lussuria e furore? Nulla, se non sensazioni di sporco... Si era comportato da animale, aveva lasciato agire i suoi più bassi istinti e ora non voleva che andarsene, voltare pagina, ricominciare in qualunque altro luogo che non fosse quello dove si trovava in quel momento.

Si alzò dal letto, con movimenti meccanici si rivestì e infine, prima di andarsene, con un gesto gentile e di addio che probabilmente le doveva dopo il modo in cui l'aveva presa, accarezzò la testa di Elizabeth. "Mi dispiace..." - sussurrò solo.

Si avvicinò alla porta, la aprì e solo in quell'istante la voce di Elizabeth lo raggiunse, assonnata. "Dove vai?".

Sussultò, mordendosi nervosamente il labbro. "Via...".

"Perché? E noi...? Io...?".

"Tu hai fatto le tue scelte, io le mie" – disse, senza quasi voltarsi, rendendosi conto che anche lui aveva scelto per davvero, quella notte. "E non dovrei essere quì, non avrei mai dovuto venire".

"Ma lo hai fatto" – gli fece notare lei, forse incapace di capire cosa fare adesso. Ciò che era successo rimetteva pericolosamente in gioco tutte le carte ed Elizabeth si trovò incerta sui suoi reali desideri. Mente, cuore e passione indicavano ognuna una via differente...

Ma Ross dissolse ogni suo dubbio. "Sì l'ho fatto, sono venuto quì e non avrei dovuto. Soprattutto non in questo modo. Mi dispiace... Ma una cosa l'ho capita, sai? Non posso contrastare l'inevitabile e non posso impedirti di portare a termine una tua buona decisione".

Elizabeth spalancò gli occhi. "George?".

Lui si voltò verso di lei, spossato, confuso ma deciso finalmente a voltare pagina. "Sarete felici, è una buona scelta dopo tutto e ora l'ho capito...".

"E stanotte? Noi?".

Ross annuì, prese un profondo respiro e cercò di cancellare ogni ricordo delle ultime ore. "Dimenticala, non è successo nulla che valga la pena ricordare. Io farò lo stesso". E così dicendo, uscì dalla camera da letto e la lasciò indietro. Nella stanza... Dalla sua vita...

Scese le scale, uscì dalla porta di servizio e riprese il suo povero cavallo che lasciato incustodito nel parco di Trenwith. Lo spornò a partire al galoppo e lo lasciò andare dove voleva, incapace di prendere una direzione. Non desiderava tornare a casa, non voleva andare alla miniera, era completamente sperso e privo di ogni appiglio. Voleva solo galoppare e sentire il vento freddo della Cornovaglia sul viso, nella speranza di svegliarsi e scoprire che si era trattato solo di un grande incubo.

Eppure, senza quasi rendersene conto, le sue mani sulle redini del cavallo presero il possesso dell'animale a un certo punto, guidandolo lontano, attraverso campi pieni di rugiada e pioggia.

E si fermò solo quando vide comparire la tenuta dei Boscawen davanti a se.

Cosa ci faceva lì? Perché aveva guidato il suo cavallo fino a quel luogo?

Le ultime ventiquattro ore scorsero davanti ai suoi occhi e si rese conto dell'unica luce che in quel lasso di tempo aveva illuminato la sua giornata: Demelza...

Pensò alle confidenze che si erano fatti, al suo sorriso, alle sue parole che avevano fatto apparire meno buio quanto successo in miniera e si rese conto che lei era capace di fare qualcosa di unico, sapeva risvegliare sentimenti positivi in lui, scacciando il nero che troppo spesso albergava nella sua mente. Se Elizabeth aveva risvegliato il peggio in lui, Demelza sapeva fare l'opposto e renderlo una persona migliore.

Fu in quel momento che la vide uscire di casa, a cavallo, vestita con un elegante completo da amazzone blu. Si ricordò che lei amava uscire spesso a cavallo da sola di mattina presto e realizzò che era lì davanti a casa sua senza un motivo preciso, di prima mattina. E che questo poteva apparire molto sconveniente e farlo sembrare pazzo, viste le condizioni in cui si trovava.

E infatti, Demelza lo notò subito, c'era silenzio e non c'erano che loro, sullo sterrato. Interdetta si avvicinò a cavallo, lo scrutò preoccupata e capì subito che era disperato e fuori di se, anche se non ne conosceva il motivo. "Capitano Poldark...".

Viso a viso, guardandola da vicino, si accorse che di prima mattina era ancora più bella e che il suo fascino era tutto lì, nella semplicità delle sue forme e del suo viso. E in quegli splendidi capelli rossi che in quel momento teneva legati in una lunga treccia. "Ecco..." - balbettò, a corto di parole.

"E' successo qualcosa ai bambini? Alla miniera?" - gli domandò preoccupata, entrando in allarme.

"No" – rispose, a monosillabi.

Confusa dalla sua presenzalì, lei tentennò. "Oggi non dovevamo vederci... Non dovevo venire in miniera...".

"Lo so. Ma non avete mantenuto una promessa" – disse, rendendosi conto che era completamente fuori di testa, confuso, che doveva sembrare ubriaco e che non aveva la minima idea di che diavolo stesse dicendo.

La serietà del suo volto la fece preoccupare. Demelza scese da cavallo, gli si avvicinò e con dolcezza mise le sue mani sopra quelle di lui, come a volergli infondere tranquillità. "Quale promessa?" - chiese in tono gentile, come se stesse parlando con uno dei suoi piccoli allievi.

"A Londra, lo scorso anno... Mi avete promesso una galoppata insieme... E che sareste venuta a trovare Sun a casa mia...". Santo cielo, che stava dicendo? Lady Boscawen probabilmente in quel momento doveva pensare che fosse ammattito e rincretinito del tutto.

Era fuori di se e Demelza lo capì. Non sapeva cosa fosse successo ma sentì che doveva proteggerlo e stargli vicino. "Avete ragione, mi dispiace di non essere mai più tornata a Nampara. Stamattina non posso venire a casa vostra ma vorrei tanto avervi come compagno mentre sono a cavallo".

"Davvero?".

Demelza sorrise e in lei non trovò tracce di menzogna o doppio gioco. "Davvero, a volte è così noioso andare a cavallo senza alcuna compagnia al mio fianco...". Montò a cavallo, gli si affiancò e annuì. "Sono una cavallerizza veloce al mattino, saprete starmi dietro?".

"Non vi perderò di vista" – le rispose, prima di partire con lei al galoppo, fianco a fianco.

  
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