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Autore: Ghostclimber    28/09/2020    6 recensioni
Rukawa sembra essere vittima di una crisi d'asma proprio nel bel mezzo di una partita contro il Kainan.
La sua determinazione lo porterà a continuare comunque a correre, e il successivo, prevedibile incidente lo metterà sulla strada di una sconvolgente presa di coscienza.
E delle sue conseguenze.
Warning: hanahaki
Genere: Angst, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Kaede Rukawa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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-Ce la fai? Sei sicuro?- Rukawa trasse un profondo respiro. Era la gazilionesima volta che Sakuragi gli chiedeva la stessa cosa. Gli aveva addirittura telefonato la sera prima apposta per fargli quella cazzo di domanda. Per la gazilionesima volta, Rukawa rispose: -Sì. Ce la faccio.

-Ehi, vedi di non...

-E PIANTALA!- sbottò Rukawa, poi si voltò a fissare Sakuragi. Era passato un mesetto da quando il rosso si era finalmente deciso a provare a creare un rapporto con Rukawa, le cui condizioni erano progressivamente migliorate fino a concedergli di ritornare in campo per delle brevi ma intense comparsate durante le partite.

Quella era la semifinale contro il Kainan e Rukawa non intendeva perdersela.

-E dai, Rukawa, mi sto solo preoccupando per te!- protestò Sakuragi. Rukawa gli voltò le spalle e si mise a fissare ostinatamente dentro al proprio armadietto alla ricerca del polsino di spugna che non abbandonava mai. Intorno a loro, lo spogliatoio ronzava di chiacchiere sommesse ed emozionate, e degli occasionali scleri di Miyagi, un po' nervoso per la tensione di doversi dimostrare all'altezza del capitano Akagi, l'uomo che per primo aveva portato lo Shohoku fino in finale e che quel giorno sarebbe stato in mezzo al pubblico a controllare che facessero una bella figura.

-Lo so, ma per cortesia piantala.- ribatté Rukawa, agguantando il polsino che si era andato ad infilare nella sottile fessura che c'era tra la mensola e il fondo dell'armadietto. Stupida scuola di poveracci, neanche degli armadietti decenti.

La mano di Sakuragi si posò sulla sua spalla, costringendolo a voltarsi verso di lui: -Va bene, la smetto. Ma tu prometti che se non ce la fai lo dici subito.

-Sì, mamma.

-Prometti!

-E va bene, va bene, prometto!- rispose Rukawa, -Rompicoglioni.- si liberò della mano di Sakuragi scrollando la spalla, gettò il polsino nel borsone e chiuse la cerniera con un gesto stizzoso, poi uscì dallo spogliatoio sbattendosi la porta alle spalle.

Non udì la frase involontariamente strafottente di Kakuta.

 

Di certo il ragazzo aveva solo intenzione di fare un'innocua battutina, si disse Miyagi mentre il sangue gli si ghiacciava nelle vene.

Kakuta non era certo cattivo, anzi, era una pasta di ragazzo, sembrava quasi un Kogure 2.0, ma come tutti i maschi adolescenti aveva la delicatezza di un elefante ubriaco in una cristalleria.

E infatti, quel suo “Ehi, Sakuragi, com'è che ti preoccupi tanto per Rukawa? Vi siete fidanzati?” causò un crollo a catena, un effetto domino di quelli degni di essere immortalati per i posteri.

Per prima cosa, Sakuragi si fossilizzò a metà di un movimento, bloccandosi in una posa comica con un piede alzato come per fare un passo e le braccia stesse lungo i fianchi, una in avanti e l'altra all'indietro, la bocca aperta come quella di un pesce un po' rincoglionito.

Poi, proprio come un pesce fuor d'acqua, Sakuragi cominciò a boccheggiare in modo così rigido che si potevano udire i lievi schiocchi delle sue labbra che cozzavano l'una contro l'altra; di fronte alla sua reazione inusuale, sullo spogliatoio cadde un inquietante silenzio di tomba.

La caldaia ticchettò tre volte, poi tacque.

Miyagi si frugò freneticamente nel cervello, alla ricerca di una frase abbastanza innocente e brillante da distruggere ogni sospetto, spiegare tranquillamente che tutti erano preoccupati per Rukawa, ma che solo Sakuragi con la sua faccia di bronzo aveva osato chiedergli qualcosa, inventarsi che era chiaramente una delle sue sciocche provocazioni, e come mai a Kakuta saltava in mente una cosa del genere, non è che magari era lui che voleva mettersi con Rukawa?

Oh, cielo, questa era davvero geniale. Miyagi si concesse il tempo di battersi una metaforica pacca sulla spalla per il colpo di genio: questo fu il suo errore più grande.

In quel millesimo di secondo, la miccia sul candelotto di dinamite che portava il nome di Sakuragi Hanamichi bruciò fino in fondo, e l'esplosivo detonò.

Il rosso diede sfogo ad una serie di improperi incredibilmente creativi e straordinariamente offensivi, cosa che lasciò i compagni di squadra perplessi e spaventati. Pareva che non ci fosse alcun modo di fermarlo.

Ayako fece capolino dalla porta dello spogliatoio, perplessa, e chiese: -Ma che diavolo sta succedendo?- il suo sguardo faceva avanti e indietro da Miyagi a Sakuragi; quest'ultimo era nel bel mezzo di uno sclero da manuale, con tanto di braccia agitate, piedi pestati a terra, e il volume del suo sbraitare avrebbe presto raggiunto e infranto la barriera del suono. Miyagi non aveva la minima intenzione di trovarsi nei paraggi nel momento in cui sarebbe successo. Ghermì il proprio borsone, prese Ayako per un braccio e la trascinò fuori, sbattendosi la porta alle spalle.

-Ryota, che diavolo è successo?- chiese Ayako, ma Miyagi la zittì. La ragazza si sentì le ginocchia sciogliersi e diventare di lava quando vide il volto del ragazzo che si avvicinava al suo, sempre di più, sempre di più... e poi si scostò, e le sue labbra si avvicinarono all'orecchio di lei invece che alla bocca: -Kakuta ha fatto una battuta infelice su Hana che si preoccupa per Rukawa. Lui è sclerato.

-Oh.

-Lascialo sbollire, prima o poi finirà la voce. Magari è la volta buona che durante la partita gioca e basta invece di mettersi a dire cose a caso.- decretò Miyagi, e Ayako soffocò una risatina dietro alla mano. Poi, i loro occhi si incrociarono e Miyagi arrossì così tanto che ad Ayako sembrò di sentire il calore sulla propria pelle; poi si rese conto di essere probabilmente arrossita a sua volta.

Le labbra di Miyagi, da quella distanza, sembravano così turgide e morbide che la lava si spostò dalle ginocchia di Ayako al suo basso ventre. Sapeva di aver giurato a se stessa di aspettare dopo il campionato estivo, ma in quel momento tutte le giustificazioni che si era data sembravano fragili e inutili, capziose come un ragionamento privo di fondamenta e una precauzione sovrabbondante e dannosa. Alzò appena il viso, tenendo gli occhi aperti e fissi in quelli di Miyagi, che ricambiò lo sguardo; i suoi occhi erano lucidi di incredulità e di una gioia così profonda che Ayako ebbe l'improvviso impulso di mettersi a cantare e ballare. Sakuragi e Rukawa erano scomparsi dalla sua mente, che di colpo era piena solo e soltanto di Miyagi, nient'altro che lui, lui e un pensiero ossessivo a lui legato: “è mio, è ancora mio, non ho aspettato troppo!” il viso di Miyagi si avvicinò ancora di più, e le vene sul suo collo che pulsavano a ritmo frenetico uscirono dal campo visivo di Ayako, che ritenne quel momento perfetto per chiudere gli occhi.

Il respiro di Miyagi le accarezzò le labbra, asciugandole appena.

Poi, un improvviso attacco di tosse giunse dalla panchina, dove Rukawa si era messo a sedere per sfuggire alle domande ansiose di Sakuragi.

 

Se da un lato era piacevole tutta l'attenzione di cui il rosso lo ricopriva, dall'altro era irritante: insomma, proprio non gli riusciva di capire quanto fosse importante per lui il basket? Rukawa si interrogò con astio sul proprio giudizio nei confronti del rosso e si chiese se davvero gli conveniva impelagarsi con un idiota del genere. Va bene fare il clown, dopotutto anche Rukawa si divertiva quando Sakuragi si metteva a fare il buffone, ma essere tanto stupido da non capire che lui voleva, doveva giocare era davvero troppo. Insomma, su che basi avrebbero potuto costruire una relazione sana? Su lui che tossiva l'anima ogni volta che Sakuragi usciva con gli amici e su Sakuragi che gli faceva venire ansia e, di fatto, cercava di impedirgli di giocare?

Forse avrebbe dovuto riconsiderare l'idea di farsi operare.

In fin dei conti, Sakuragi si era avvicinato a lui, uscivano spesso insieme, a volte anche con i ragazzi della Gundan, ma aveva detto chiaro e tondo che non poteva mettersi in testa di innamorarsi di lui a comando e Rukawa non aveva potuto ribattere nulla.

Era vero, in fondo, e forse anche non tanto in fondo, che non ci si innamora a comando. Sakuragi poteva fare tutti i passi in avanti verso di lui che riusciva a fare, ma non poteva forzarsi a provare dei sentimenti che non erano spontanei. Tralasciando il fatto che probabilmente Rukawa sarebbe peggiorato, perché a quanto sembrava la sua malattia non dipendeva solo dai suoi pensieri e stati d'animo ma anche da quelli di Sakuragi, di certo non era un buon punto di partenza.

Egoismo a parte, Rukawa si sarebbe sentito un vero schifo a sapere che stava obbligando il ragazzo che amava a ricambiare i suoi sentimenti. Già ogni tanto si sentiva schiacciato dal senso di colpa, perché lui davvero stava bene ad amarlo da lontano. Non si era mai sentito particolarmente attratto dal contatto fisico, e al contrario dei suoi coetanei non fremeva all'idea di fare del sesso; forse era una sua naturale inclinazione dovuta alla timidezza e alla ritrosia, forse una vera e propria caratteristica di orientamento sessuale, in ogni caso Rukawa non se n'era mai fatto un cruccio. Riteneva che se si fosse trovato Sakuragi nel letto non avrebbe certo perso l'occasione, ma fin quando quel caso non si verificava lui stava benissimo com'era.

In ogni caso, per il momento guardarlo ed essere spettatore della sua felicità gli era sufficiente. Avvertiva il sospetto, come un vago pizzicorino alla nuca, che probabilmente in futuro non sarebbe stato in grado di accontentarsi e che avrebbe desiderato stringere i rapporti, ma lui era sempre stato un amante delle evoluzioni lente. Si era guadagnato pezzo per pezzo quel poco di fiducia reciproca che entro la fine del primo anno si scambiavano e ne andava orgoglioso.

Non andava orgoglioso, invece, della coercizione che era stato costretto ad applicare a forza su Sakuragi, pressato dall'incedere della malattia.

Forse, si disse sospirando, se avesse rimosso quel sentimento d'amore sarebbe rimasta solo la voglia di fare amicizia: d'altronde, Sakuragi era uno di quei ragazzi che in fondo si fanno voler bene da tutti, anche dagli avversari che in campo li coprono di insulti. Un esempio era Kiyota Nobunaga che, pur non risparmiandosi nessun tipo di presa in giro, l'estate precedente gli aveva scritto qualche lettera per informarsi della sua salute; Fukuda gli aveva addirittura fatto recapitare un libro molto semplice e ben spiegato sul trattamento degli infortuni alla schiena con lo yoga.

Rukawa ricordò la prima volta che era stato in camera di Sakuragi e aveva visto il volume sulla sua scrivania, aperto ad una pagina con un complicato esercizio per le anche e il tratto lombare dal criptico nome “Il Re Piccione s'Invola” e gli aveva scherzosamente chiesto se si rendeva conto che lui e il Nirvana stavano su due rette parallele.

Sakuragi aveva ammesso candidamente di non provarci nemmeno, con la meditazione, ma gli aveva raccontato da dove arrivava quel libro e quanto beneficio avesse tratto dallo yoga e Rukawa si era lasciato scappare un “proprio non si può evitare di volerti bene, in un modo o nell'altro” che aveva fatto arrossire Sakuragi fino alla punta delle orecchie.

In ogni caso, si disse riscuotendosi dal ricordo del pomeriggio passato a cercare di replicare i movimenti del Re Piccione (e a scoprire che Rukawa era snodato più o meno come un manichino del supermercato), era quasi certo che se si fosse fatto operare sarebbe svanito solo l'amore, e non l'affetto in generale. Quello, Sakuragi se lo tirava addosso da ogni parte, per la sua assurdità e per quella strana e imbranata specie di buon cuore che si ritrovava e che, in un modo o nell'altro, prima o poi emergeva e stupiva chiunque gli stesse di fronte con il suo abbacinante splendore.

Inoltre, operarsi ora sarebbe stata una scelta furba: dalle lastre periodiche che il dottor Yamamoto insisteva per fargli fare era risultata una sensibile regressione della malattia. Rimanevano delle macchie scure nei polmoni, ma il cuore era ritornato ad essere libero e Rukawa non aveva dovuto ricorrere all'inalatore nemmeno una volta negli ultimi dieci giorni.

Il dottor Yamamoto, dopo aver parlato con il coach Anzai e con Miyagi, gli aveva dato l'autorizzazione a giocare un tempo intero contro il Kainan, e Rukawa non aveva la minima intenzione di rinunciare. Si fottesse Sakuragi e la sua ansia da mamma rompicoglioni.

Il torrente di pensieri di Rukawa era così travolgente che nemmeno si accorse del trambusto che proveniva dallo spogliatoio, dove Sakuragi si stava esibendo nella più plateale crisi di nervi del secolo, né tantomeno si rese conto che dall'altro lato del campo Miyagi e Ayako si stavano fissando negli occhi e si avvicinavano l'uno all'altra al rallentatore, come nei film.

Ma evidentemente, il suo corpo sapeva cosa stava dicendo Sakuragi.

Di punto in bianco, senza averne avuto il minimo sentore, Rukawa ebbe una violenta crisi di tosse.

 

-Rukawa!

-Rukawa, stai bene?

-Hai bisogno dell'inalatore?

-Ma che succede?

-Oh, no, Rukawa sta male di nuovo!

-Aria, ragazzi, aria! Fatelo respirare!- Rukawa non riconobbe nemmeno una delle voci che urlavano intorno a lui; le percepiva distanti e vaghe, quasi come se si trovasse sotto ad una campana di vetro che attutiva ogni suono proveniente dall'esterno. Tutto il suo essere era concentrato nel tentativo di incamerare aria nei polmoni, che di punto in bianco sembravano essersi contratti e ridotti alla dimensione di due stupidi chicchi di uvetta passa, del tutto inutili al loro scopo di riempirsi di ossigeno per poi spedirlo in giro per il corpo.

Non era minimamente cosciente del fatto che stava tossendo minuscoli fiorellini bianchi, ma ne avvertiva il solletico sulla pelle del viso, e la sua visione periferica li notava posarsi sulle sue braccia, candidi e puri in confronto al nero tessuto tecnico della tuta; scivolavano e veleggiavano a terra, lasciando dietro di sé infinitesimali puntini più scuri dove avevano bagnato la stoffa posandovici sopra.

Poi, due mani lo presero per le spalle e lo trassero all'indietro; Rukawa sbatté la schiena contro la solidità di un corpo muscoloso e caldo, e gemette. Anche solo quel minimo contraccolpo gli aveva causato una fitta di dolore che gli aveva intrappolato la parte alta del ventre e tutta la gabbia toracica. Due dita gli tirarono il mento verso il basso, e Rukawa avvertì la sensazione liscia della plastica dell'inalatore che gli sfiorava un labbro e sbatteva appena contro gli incisivi superiori.

-Cerca di respirare, Rukawa, da bravo. Va tutto bene.- disse una voce calda e tremante, e Rukawa obbedì. Non riuscì a tirare un respiro degno di tale nome, ma il salbutamolo riuscì ad aprirgli un minimo la trachea, e quando la voce disse: -Coraggio, ancora uno.- Rukawa riuscì finalmente ad avvertire i primi effetti. La tosse proseguì, intermittente e un po' meno forte, accompagnata da un forte singhiozzo. Due braccia lo sollevarono come se fosse una sposina, e Rukawa si sentì sballottare e trasportare da qualche parte. Riconobbe l'ufficio di Anzai per la particolare qualità della luce, sempre un po' rossastra per il colore delle tende che la moglie del coach aveva confezionato e appeso di fronte alla finestra. Fu depositato su una sedia, e finalmente mise a fuoco la persona che l'aveva trasportato fin lì: Sakuragi.

-Scusami, Rukawa.- disse il rosso in un filo di voce, -È tutta colpa mia.- Rukawa scosse il capo.

-E invece sì.- disse ancora Sakuragi, -Kakuta ha fatto una battuta del cavolo e io sono esploso come il coglione che sono. Ho detto un sacco di cose brutte.- Rukawa si accasciò contro lo schienale. Nella sua mente turbata e spaventata passò un unico pensiero: se la sua malattia pareva percepire anche gli stati d'animo di Sakuragi, quelle “cose brutte” che lui aveva detto, dovevano essere pensieri che lui covava realmente. Se fosse stato semplicemente uno scatto, uno di quegli attacchi di rabbia in cui si dicono cose che non si pensano davvero, Rukawa non avrebbe avuto una crisi così grave. Sentì gli occhi che bruciavano e si impegnò a ricacciare indietro le lacrime.

-Non le pensavo veramente, lo giuro.- disse Sakuragi, e Rukawa si spremette un poco convincente: -Ma certo.

-È che...- Sakuragi trasse un profondo sospiro, poi proseguì: -Rukawa, quando ti ho detto che mi stava bene continuare a vederti ma che non sapevo se potevo amarti...

-Nh.- si cavò Rukawa, notando che Sakuragi aveva lasciato la frase in sospeso.

-La sera prima ho parlato con Mito. Mi ha detto che secondo lui, non sto a dirti adesso perché, io potrei anche essere...- Sakuragi abbassò la voce, -Bisessuale.- il cuore di Rukawa diede in un battito violento, poi si acquietò, lasciandolo solo con una pressante sensazione come di capogiro, solo che invece di essere nella testa era nel petto.

-Io... più ti conosco e più penso che potrebbe avere ragione, ma ancora non lo so, capisci?

-Nh.

-Quindi... non mi va che la gente si metta a parlare di me e te come di una coppia, mi conosci, sono testa di cazzo, capace che mi imbarazzo e mi metto a fare lo stronzo, e proprio non mi va, ok?

-Nh.

-Non stai capendo un'acca di quello che sto dicendo, vero?- chiese Sakuragi, e Rukawa ammise: -In effetti no.

-Beh, neanch'io capisco bene, e forse questo non è neanche il momento giusto. Volevo solo chiederti scusa, è colpa mia se adesso stai così.- Rukawa tacque a lungo, poi disse una singola frase, odiandosi per il tono lacrimoso con cui la voce gli uscì: -Hanamichi, io voglio giocare a basket.

 

Quella voce.

Quella tensione, quella disperazione, come se giocare a basket fosse l'unico e ultimo desiderio di un condannato a morte.

Sakuragi la conosceva bene.

Quasi come un dolore all'arto fantasma, la schiena gli mandò una fitta di lieve dolore. Ricordava di aver detto quelle stesse parole ad Haruko, quasi un anno prima, e ricordava la fiamma, il desiderio che gli bruciava nelle vene; non era un capriccio, per quanto poi i medici l'avessero rimproverato di aver rischiato la carriera e il corpo per un “capriccio”, era un'esigenza inestinguibile, una sete che non gli permetteva di vedere o sentire altro. Fanculo la schiena, fanculo i polmoni, c'era solo il bisogno di essere tutt'uno con il pallone, in mezzo al campo a sentirsi parte dei rumori della partita, l'autore del ritmico tunf tunf della palla, dell'acido screech della gomma delle suole sul parquet, del lieve eppure sonorissimo flup della rete che sfiorava la palla mentre questa gli passava attraverso senza sfiorare il ferro.

Sakuragi trasse in piedi Rukawa, che alzò appena il viso per guardarlo in faccia, e lo prese per le spalle: -Lo so. E giocherai. Dovessi anche portarti in spalla per tutta la partita.- poi, accadde qualcosa che Sakuragi non aveva preventivato. Dopo un istante di perplessità, Rukawa sorrise.

E il mondo si illuminò a nuovo.

 

 

 

 

Achillea millefoglie: dolore, conflitto

 

 

 

 

 

Ciaossu!

Come sempre, grazie a tutti voi che continuate a seguirmi, in particolare questa settimana grazie a cicci783 per avermi consigliato il fiore (e per lasciarmi commenti anche su AO3, so che hai già letto le storie e potresti anche non prenderti la sbattazza, ma avrei ormai perso la voglia di pubblicare se non me li lasciassi).

Battete un colpo se avete gradito, e ditemi la vostra: secondo voi, Hana pensa davvero quelle “cose brutte” su Rukawa o è il nostro volpino che non ha capito un cazzo?

XOXO

   
 
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