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Autore: Restart    28/09/2020    0 recensioni
Caterina vive il suo grande amore con Stefano. Lo sa, è certa che passerà il resto della sua vita al suo fianco. Ma lui se ne va troppo presto. Caterina si sente affondare in una spirale di dolore che rischia di risucchiarla completamente, se non fosse per l'aiuto di Andrea. Insieme cercheranno di affrontare la vita dopo la perdita di Stefano.
Secondo capitolo della serie "Per le vie di Firenze". Trovate la prima parte sul mio profilo.
Genere: Drammatico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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I mesi che seguirono furono determinati da profondi alti e bassi. Caterina riusciva ad alternare momenti di forte carica, di energia, voglia di vivere, ad un profondo malessere che le impediva ad avere rapporti sociali. Perfino occuparsi dei figli era una sfida. Anche per Andrea non era sempre facile. Soprattutto gestire i bambini, diventati sempre più irascibili e incontrollabili.
La prima domenica di aprile, un timido e tiepido sole fece capolino, illuminando le strade petrose di Firenze. Andrea si era affacciato alla finestra, con un caffè in mano e scrutando la luce posarsi sulle case, sulle vie. Per un attimo desiderò essere ancora a Napoli, con il mare cristallino brillare, un sole caldo, che brucia la pelle. L’aria era fin troppo inquinata. Fin troppo per i suoi gusti.
Quei pensieri innocenti subito divennero pressanti e il desiderio di vedere il mare fu improvvisamente insostenibile. In quattro mesi non era mai uscito veramente dalla città. Andò a bussare in camera di Caterina sperando che fosse in piedi. Un mugolio sommesso rispose.
«Caterì, se oggi andassimo al mare? Una bella passeggiata, far respirare un po’ di aria buona ai bambini» lei si alzò poggiandosi sui gomiti.
«Non lo so, io non me la sento. Vai tu con i bambini» si gettò nuovamente tra le coperte e affondò la testa nel cuscino. Andrea rimase qualche secondo in piedi alla porta, tentato dall’idea di convincerla. Il timore lo bloccò e lo convinse ad uscire, in silenzio.
Al mare andarono loro tre. Era impossibile distinguere quale fosse il più emozionato. Lucrezia canticchiava gioiosa in una lingua inventata, dimenandosi tra le braccia dello zio, mentre Giulio guardava ammirato fuori dal finestrino. I luoghi correvano velocemente davanti a sé ed erano tutti così splendidamente diversi, nuovi.
Il mare poi li fece emozionare come non mai. Fu difficile trattenerli da non andare dentro l’acqua. In particolar modo Lucrezia ne sembrava particolarmente attratta. Si agitava nelle braccia dello zio affinché lui non restasse fermo sul telo steso sulla sabbia, ma perché la portasse là, a vedere le onde toccare dolcemente la riva e ritirarsi. Li portò sulla battigia, là dove l’acqua bagnava le punte dei piedi. La gioia che animava la bambina era la stessa che aveva sempre visto nel proprio fratello. Lucrezia lo invitava a imitarla, a zampettare nell’acqua bassa, schizzandosi i pantaloni, ma ridendo di gusto. Anche Giulio li seguiva, finalmente spensierato.
Negli anni Andrea avrebbe pensato spesso a quel momento: un misto di nostalgia, dolore e dolcezza l’avrebbe avvolto, facendolo rifugiare in una bolla da cui non avrebbe mai voluto uscire.
*
Giugno
Da un paio di mesi, Caterina aveva imparato a rifugiarsi in un angolo del giardino di Boboli. Là, immersa nel verde, il profumo dei fiori che la stordivano, poteva sentirsi fuori dal mondo. Poteva fuggire, poteva fingere di non avere compiti, responsabilità. Poteva fingere di non essere vedova. Passava il tempo facendo schizzi su un taccuino che le aveva regalato Stefano e che non aveva mai usato.
Un pomeriggio fu raggiunta da Andrea con i bambini. Un puro caso. Lo vide arrivare da dietro un albero, Giulio tenuto a poca distanza, Lucrezia per mano. Doveva piegarsi un po’ per poter raggiungere la manina paffuta della nipote e forse sarebbe stato più comodo tenerla in braccio, ma lei non voleva sentire ragioni. Le piaceva poter fare come i grandi, come suo fratello. Giulio si illuminò nel vedere la madre.
«Scusa Caterì, non sapevo che tu fossi qui» Andrea era sinceramente dispiaciuto. Sentiva il bisogno di uscire, di far uscire i bambini, farli divertire all’aria aperta. Caterina in un primo momento si era lievemente innervosita, ma poi aveva eclissato. Non c’era motivo. Fece cenno di lasciar perdere e invitò Andrea a sedersi accanto a lei sul prato.
«Hai fatto bene a portarli qui. A Giulio piaceva venirci con Stefano» ricordò Caterina, continuando a disegnare con mano svelta, sicura. Ritraeva ciò che vedeva davanti a sé, le stesse distese di prato, gli stessi alberi, le stesse colline dietro. S’intravedeva perfino la cupola in lontananza. Ma in primo piano c’era un uomo seduto che sorrideva. Sembrava essersi messo in posa per una fotografia. Aveva i capelli scuri tenuti lunghi, gli occhiali e con l’indice teneva il segno di un libro che stava leggendo. Niente era cambiato nello sfondo, ma davanti a loro mancava il personaggio principale. Il protagonista. Dello schizzo e della loro vita. Caterina e Andrea erano semplicemente personaggi secondari.
Non parlarono: rimasero solo seduti uno accanto all’altro, ognuno occupato dai propri tormenti interiori. Andrea giocava con Lucrezia, mentre Giulio cercava di imitare Caterina.
Si rivolsero le prime parole sulla via del ritorno a casa, quando i bambini erano crollati tra le loro braccia e camminavano tra le vie di Firenze che splendeva sotto la luce dorata del tardo pomeriggio.
«Pensavo di andare a Giulitta quest’estate. Farà bene a loro cambiare un po’. La città diventa invivibile. Hanno bisogno di essere liberi» comunicò Caterina. Era stata una decisione che le era costata ben poco. Ritornare in quei luoghi sarebbe stato fare un tuffo nel passato, un ritornare ai momenti felici della sua vita. E poi non ce la faceva a vivere in quella casa che le ricordava Stefano. non ce la faceva a stare in quella città che nascondeva in ogni suo angolo un istante della sua vita passata accanto al marito. Le avrebbe fatto bene.
Andrea si limitò ad acconsentire. Avrebbe acconsentito a tutto pur di vederla stare meglio. Anche se poco.  
*
Caterina si svegliò la mattina del suo compleanno con la sola voglia di dormire ancora, almeno finché non fosse stato il giorno dopo. Erano passati solamente cinque anni da quando Stefano le aveva chiesto di sposarlo, ma sembrava passata una vita. Avevano deciso di vivere insieme, di invecchiare insieme. Ma lui non era riuscito a stare al patto. Se ne era andato troppo presto. Era quasi arrabbiata per questo.
Si alzò e aprì la finestra. La vallata si apriva davanti a lei, l’aria frizzante dell’alba la colpì, facendola rabbrividire. Non era la stessa casa che avevano sempre affittato. Era nel paese, il giardino era molto più piccolo, ma andava bene comunque. Per Giulio era meglio perché poteva trovarsi meglio con i loro amici. Lucrezia invece aveva fatto amicizia con la vicina, un’anziana signora di Milano, con la passione per i dolci. Così la bambina passava interi pomeriggi a casa sua, osservando i movimenti veloci di Ottavia, scattanti, estremamente abili. Era stato difficile per Caterina lasciare la figlia con quella donna, perciò per qualche settimana la seguiva, la teneva stretta in braccio, controllandola con sguardo ansioso. Non si fidava di nessuno, solo di Andrea. Ma poi si era sciolta, convinta dalla bontà dell’anziana. Così nei momenti di solitudine poteva dedicarsi completamente al lavoro che le avevano commissionato alcuni signori del posto. Si stava pian piano rasserenando.
Ma quel giorno avrebbe preferito che non arrivasse comunque. Non aveva voglia di festeggiare niente. Il suo compleanno l’anno precedente era stato perfetto. Chiudendo gli occhi poteva rivivere ancora dei momenti di inclassificabile gioia: era circondata da tutte le persone che amava, amici, parenti, ma soprattutto lui. E lui quell’anno non c’era. Non ci sarebbe più stato.
Giulio entrò in calma tenendo stretto tra le dita un muffin. Andrea apparve alla porta con Lucrezia in braccio. Avevano tutti lo sguardo assonnato, ma sorridevano. Cantarono sottovoce, all’unisono. Per quell’attimo Caterina si dimenticò di tutti i suoi pensieri, di tutti i ricordi legati a quel giorno. Soffiò sulla candelina, desiderando che quella gioia, quella leggerezza, fossero eterne.
*
Quella sera trovò il regalo di Andrea sul cuscino. Fece passare la carta ruvida sulle mani, sfiorò il fiocco rosso fuoco. L’aprì con delicatezza. Un taccuino e una scatola di matite. Un biglietto le accompagnava.
Per una nuova vita, una vita piena di colore
Caterina si rese conto tardi di sorridere tra le lacrime. Quella doveva essere la sua nuova ripartenza.
*
Nei mesi successivi, Caterina riprese a vivere. Un passo alla volta, piano piano. Non fu sempre facile. Ogni tanto sentiva la voce di Stefano e quello la faceva estraniare dal mondo. Era come un canto delle sirene. Lei ne rimaneva ammaliata, attratta, non recepiva niente. Entrava in un luogo in cui era sola, sola con lui. Lo poteva percepire, lo poteva toccare. Diventava la sua isola felice.
Ma poi arrivò dicembre, accompagnato da un vento forte, che non permetteva di rimanere in piedi. E quel dicembre Andrea non ce la fece a rimanere in piedi. Era passato un anno. Lui non era ancora riuscito a colmare quella mancanza.
La mattina del 3 dicembre scomparve. Lasciò un biglietto a Caterina e poi prese un treno. Il vento glaciale era sferzante, un guerriero imbattibile. Ma lui non si ferì. Il dolore che si portava dentro era più forte. Era arrabbiato con se stesso. Credeva di essere riuscito a metabolizzare, ad andare avanti con la propria vita, ma non si era reso conto di aver solamente vestito gli abiti del fratello per annullare le distanze tra loro. E tutta l’angoscia che aveva soffocato per un anno era venuta fuori quella notte, all’improvviso, prendendolo alla sprovvista e asfissiandolo. Sentiva il bisogno di respirare.
Il mare davanti a sé era burrascoso, scuro, terribile. Non c’era nessuno sul pontile, solo lui. Se ne stava seduto su quella panchina fredda tenendo lo sguardo fisso sulle enormi onde. Il forte odore di iodio perforò le sue narici e lo inebriò fino a fargli quasi perdere i sensi. Dal cielo un fragore risuonò prepotentemente. Ma lui non lo sentì. Cercava in ogni modo di avvicinarsi a Stefano. Quel giorno più del solito. Rimase là seduto per delle ore, non lo mosse niente, nemmeno l’acqua scrosciante.
Dei tacchi accompagnarono il rumore della pioggia che ticchettava sul terreno. Poi una figura si piazzò davanti a sé. Caterina era avvolta dall’ombra: i suoi capelli erano improvvisamente scuri, gli occhi sembravano pozze di pece. Stringeva l’ombrello talmente forte da renderle le nocche pallide.
«Andrè, che stai facendo?» il tono pretendeva di essere spesso, minaccioso, ma era solo impaurita. Aveva paura che anche lui la lasciasse. Era stato uno dei suoi principali punti di riferimento in quell’ultimo anno. Era anche grazie a lui se aveva ricominciato a respirare. Lo aveva creduto invincibile. E quello che si trovava davanti in quel momento non era lo stesso uomo che le era stato accanto nell’ultimo anno. Era un fantasma. Le si era sbriciolato in un momento, proprio davanti ai suoi occhi. Tutte le sue ansie erano venute a galla e l’avevano sopraffatto.
«Ho finto Caterì. Io non sono forte. Non ce la faccio senza Stefano» la rabbia lo stracciava, faceva in modo che tirasse fuori il dialetto più stretto, sporco, incomprensibile per Caterina. «Quando era stato mandato via di casa era diverso. Sapevo che lui c’era, anche se lontano. Ma ora dov’è? Ora è morto, ora non torna. E non va bene, non va bene» buttò la testa tra le mani e cercò di contenere la rabbia. Caterina gli si mise accanto, riparandolo con il suo ombrello, anche se ormai si era bagnato fino all’osso. Tremava.
«Andrè devi imparare a chiedere aiuto. Ti sei rintanato in te stesso. Ti sei occupato di tutto, senza lasciare spazio alle tue emozioni, impedendo loro di venire fuori. Stai implodendo. Ci dobbiamo sostenere a vicenda. Non possiamo crollare. Non credo che lui ci avrebbe permesso di richiuderci in noi stessi» gli prese il viso con la mano e lo invitò a guardarla. Fu doloroso leggere in quelle iridi azzurre tutto quel male che credeva solamente proprio. «Siamo una squadra fortissima noi, no? Dobbiamo portarci a casa la Champions». Gli prese la mano e la strinse con forza. Lui si abbandonò a quella stretta, sicuro di aver trovato un porto sicuro
Rimasero su quella panchina ancora a lungo, guardando il mare in tempesta, una tempesta che si portavano dentro.
*
Marzo 2010
Caterina si schiarì la voce, guardando dubbiosa i volti curiosi delle sue amiche. Aveva persino paura delle sue stesse parole. Prese un respiro profondo.
«Un uomo mi ha invitato ad uscire» gettò tutto fuori, velocemente, come si fa quando si strappa un cerotto. Veloce e indolore. Ricevette due reazioni contrastanti. Se Mia sembrò contenta, Viola ci andò con i piedi di piombo.
«Cate non penso che noi siamo le persone giuste per dirti cosa fare. Credo che tu debba quello che preferisci, quello che ti senti. Se non ti senti, rifiuta. Capirà» non faceva una piega. Ma Caterina non riusciva a comprendere se era pronta o meno. Non riusciva a distinguere il dolore che la teneva salda all’immagine di Stefano dalla sua naturale, intrinseca paura di aprirsi. «Io non lo so. È passato un po’ di tempo, ma non so se sono ancora pronta a rimettermi in gioco» parlò sinceramente.
«E allora diglielo. Se ci tiene ti darà il tuo spazio. Sennò vuol dire che hai fatto la scelta più giusta» Viola le accarezzò la mano, riservandole un sorriso dolce, contagioso.
*
Quando rientrò a casa erano le dieci passate. C’era un silenzio quasi inquietante. Si aggirò per le stanze, cercando Andrea o i bambini. Li trovò addormentati sul proprio letto. Lucrezia era nel mezzo e stringeva al petto il braccio dello zio. Giulio invece dava loro le spalle, abbracciato al proprio pupazzo e il dito che gli stava scivolando dalle labbra. Caterina sbatté due volte le palpebre come se volesse catturare quell’immagine, renderla una fotografia che si sarebbe portata sempre dietro. Si stese accanto a Giulio, passandogli la mano tra i capelli fini, accarezzando le guance piene, morbide. Lui si scosse a quel tocco.
Lo sguardo della donna scivolò poi alla figlia. Era tranquilla tra le braccia tra Andrea. Lo era sempre stata. Avevano un rapporto speciale quei due. Quando lo guardava, negli occhi di Lucrezia era facile leggerci una profonda ammirazione. Era la sua roccia. Era il suo punto di riferimento. Anche lui aveva una predilezione per la bambina, molto probabilmente per i caratteri che stavano diventando sempre più affini.
Quella sera, osservandoli addormentati, Caterina, per la prima volta, si accorse anche della profonda somiglianza che li avvicinava. Il colore degli occhi di Lucrezia era lo stesso pungente azzurro che aveva Andrea. Ma non era solo una questione di somiglianza fisica. Lei prendeva dallo zio anche le caratteristiche più forti, come la testardaggine, il forte senso del dovere, ma anche una profonda sensibilità che nascondeva sotto una corazza. Allungò il braccio per darle una carezza: la mano corse dal naso fino alla schiena, finché non si scontrò col corpo di Andrea. Al contatto una leggera scossa partì dalla punta delle dita, dipanandosi dentro di sé. Sorrise.
Stavano bene.
*
Luglio
Caterina organizzò una piccola festa a sorpresa per il trentesimo compleanno di Andrea. Erano tornati anche quell’anno nella casa nel cuore di Giulitta. La vicina milanese l’aveva aiutata con la torta. Aveva invitato i suoi amici. Aveva convinto Massimo a tenere Andrea fuori di casa il più possibile. L’aveva portato al mare. Gabriele si era occupato di preparare da mangiare per tutti. Lei invece si era impiegata nel preparare quel piccolo giardino con festoni e palloncini.
Stava osservando orgogliosa quello che aveva organizzato quando aveva sentito la voce profonda di Andrea arrivare dal parcheggio. Si nascosero, ma furono sabotati dal ridacchiare divertito di Lucrezia. Fu lei la prima a saltare al collo dello zio per fargli gli auguri. Lui era al settimo cielo. Non riusciva a smettere di sorridere. Gli facevano male le guance. D’ogni parte si girasse c’era qualcuno pronto a salutarlo, a baciarlo, ad abbracciarlo. Ancora non riusciva a comprendere come fosse stato in grado di meritarsi tutto quell’affetto. Ma con lo sguardo cercava solamente una persona.
Caterina lo osservava contenta dal fondo del giardino. Andrea si meritava tutto quello e tanto altro. Organizzare quella piccola festa era solamente una parte del pagamento.
L’abbracciò per ultima. Lei circondò il suo collo, lui avvolse le sue braccia attorno alla vita. Andrea aveva addosso il profumo pungente di Stefano. Lo portava ogni giorno indosso da più di un anno. Era il suo modo per averlo sempre vicino. A Caterina brillarono gli occhi dalle lacrime. Lui le mormorò un grazie.
«E’ il minimo che potessi fare» gli sorrise, facendo passare il pollice sulla fossetta che gli solcava la guancia destra. A quel tocco così intimo, loro sguardi s’intrecciarono per un momento, un momento lunghissimo. Un momento interminabile. E bellissimo.
*
Quando tutti se ne andarono, rimasero solamente loro quattro in giardino. Caterina era seduta sulla panchina e teneva in grembo la testa di Giulio, profondamente addormentato. Lucrezia dormiva sul lettino di fronte alla madre, avvolta in un pareo. L’aria era piacevolmente fresca.
Dopo aver salutato gli ultimi ospiti, Andrea si sedette sulla panchina, portandosi le gambe di Giulio sulle sue. Cercò Caterina con lo sguardo: si scrutarono a lungo, entrambi con un sorriso dipinto sulle labbra, gli occhi che brillavano sotto la luce della luna e si un lampione lontano.
Le loro dita scivolavano sul corpo di Giulio e si scontrarono. Ci fu un attimo di esitazione. E poi si strinsero.
«Grazie per tutto» disse piano Andrea. E dentro quel grazie ne erano raccolti così tanti da non poter essere quantificati. Ma era soprattutto un grazie per essergli stata al suo fianco, di averlo accolto nella sua famiglia. Per averlo fatto sentire parte di un qualcosa.
   
 
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