Aveva sorvolato l'Inferno più
volte, aveva percorso i suoi lugubri corridoi sino a
consumarsi le scarpe, eppure non aveva trovato un solo
indizio che lo portasse ai rivoltosi dei quali suo fratello
aveva parlato.
La cosa stava iniziando a diventare noiosa, ma se aveva
passato del tempo fermo in un'auto senza fare sesso, poteva
sopportare anche quello. Era chiaro che a quel punto degli
eventi fosse necessario approcciarsi al problema in maniera
più discreta, come avrebbe fatto lei.
Lucifer sospirò al ricordo. Quanto tempo era passato sulla
Terra? Magari lei aveva ripreso la sua vita come sempre,
occupandosi della piccola parassita che non contribuiva
all'affitto, il detective Douche le avrebbe coperto le
spalle. Sicuramente al distretto le avevano già assegnato un
nuovo partner che la proteggesse, non che lei ne avesse
bisogno, ma lui preferiva pensare fosse al sicuro. Se le
fosse accaduto qualcosa, se lei fosse morta...
Si accarezzò le labbra, meditabondo a quel pensiero, e alzò
lo sguardo alle nubi vorticanti sopra la sua testa. Lui era
stato bandito dal Paradiso, non l'avrebbe mai rivista, ma
avrebbe preferito così, piuttosto che vederla all'Inferno,
dove sarebbe stato costretto a torturarla e no, quello non
l'avrebbe sopportato.
Chloe era fastidiosamente buona e altruista, non sarebbe
potuta finire all'Inferno, ma era anche fastidiosamente
umana, aveva fatto degli errori, ma li aveva fatti a fin di
bene, era pronta a sacrificarsi per la piccola umana,
sottrarre prove non ne avrebbe intaccato la morale e
l'etica, non l'avrebbe fatta finire lì.
Un movimento attirò il suo sguardo. Il Diavolo sorrise. Sino
a quel momento si era sempre comportato a modo suo, ovvero
palesando tutto il suo potere per tenere buoni i suoi
sudditi, ma era chiaro che non fosse l'approccio adeguato.
Era ora di mettere lanciare la propria esca.
Il demone si muoveva furtivo,
cercando di tenersi nascosto alla vista dell'alto trono del
Signore Oscuro. Si guardò attorno circospetto, per poi
aprire la porta di una delle celle e scivolare al suo
interno. Non si accorse delle iridi di zaffiro che lo
fissavano gelidamente.
Il corvo planò silenziosamente, atterrando davanti a quella
porta, riassunse le sue sembianze umane e, dopo aver
controllato di non essere osservata, entrò a sua volta.
I contorni della realtà sfumarono, assumendo un altro
aspetto e Ravekeen si ritrovò in un parco, circondato da
edifici. Una grossa insegna sul lato del viale riportava il
nome del luogo: University of Southern California.
Ravekeen aveva torturato abbastanza umani per sapere cosa
significasse un luogo simile. Mutò il suo aspetto, per
assomigliare a una studentessa che aveva interpretato in
passato in un altro loop infernale e attraversò il campus.
Sotto a un grande albero diversi demoni stavano inveendo
contro un'anima dannata.
La demone entrò in uno degli edifici e percorse il
corridoio, incrociò un paio di studenti che limonavano
davanti agli armadietti. Stupidi demoni lavativi che si
divertivano invece che tormentare le anime. «Datevi una
regolata» ringhiò con disprezzo. Fece una smorfia ed entrò
nell'aula, una stanza imponente con una cinquantina di
studenti seduti nell'emiciclo e diversi professori sul palco
in fondo, che facevano lezione di fronte alla lavagna. Uno
di loro però era vestito in maniera differente, sembrava uno
studente, che si stava divertendo accendendo e spegnendo uno
zippo.
La porta alle spalle di Ravekeen si aprì; evidentemente i
due lavativi si erano decisi a fare qualcosa di utile.
«Le nostre ferite si sono ormai rimarginate, ancora qualche
giorno e ci muoveremo» disse uno dei professori.
Uno studente alzò la mano per porre una domanda. «Lucifer è
tornato, non sarà un problema?»
«Ne parleremo a tempo debito» rispose il professore.
«Ah!» un'esclamazione alle spalle di Ravekeen attirò lo
sguardo degli insegnanti e di diversi studenti, che si
alzarono. La demone stessa si voltò, trovandosi Lucifer alle
spalle, vestito come uno studente... come lo studente che
limonava nei corridoi.
«Io vorrei proprio sapere la risposta, in realtà e credo che
sia il momento adatto per spiegare...» esordì il Diavolo,
continuando a scendere le scale. Additò il piromane in erba,
sorridendo estatico. «Michael Simmons, presumo!»
Il ragazzo si era alzato e guardava confuso gli insegnanti
accanto a sé, incerto su cosa fare.
«Non essere timido! Sei una specie di un unicorno, un'anima
dannata che nonostante sia all'Inferno non sta venendo
punita come si deve, anzi!» esclamò Lucifer, guardando i
professori. «Credo mi dobbiate spiegare diverse cose...»
disse, assumendo tono cupo e un'espressione mortalmente
seria. «Asmodeus» aggiunse, mentre un ghigno sarcastico gli
si disegno sulle labbra. «Magari vuoi illuminarmi?»
A partire dal nominato, i demoni assunsero il loro aspetto
originale, umanoide, eppure mostruoso, qualcuno con le carni
marcescenti che lasciavano vedere le ossa, altri simili a
corpi mummificati. Asmodeus era differente, biondo,
avvenente, indossava un completo due pezzi color sabbia, con
camicia nera. Peccato per gli occhi con la pupilla
orizzontale come quelle delle capre e i denti affilati come
rasoi, ma fortunatamente in quel momento non stava
sorridendo.
Il povero Michael Simmons non era evidentemente preparato a
quella carrellata di orrori e iniziò a urlare di puro
terrore, finché a un cenno della mano di Asmodeus, due
demoni non lo trascinarono via.
Asmodeus era chiaramente il leader di quel gruppo di demoni.
Avanzò verso Lucifer, affondando le mani nelle tasche dei
pantaloni di velluto. Sorrise, scoprendo la dentatura
ferina. «Mio Signore, è bello riaverti qui» esordì, chinando
il busto in avanti in segno di rispetto.
Lucifer si voltò di scatto, fermando la mano armata di
Ravekeen, prima che la lama demoniaca gli affondasse nel
collo. Con un movimento rapido e aggraziato della mancina,
afferrò il pollice dalla demone, le torse il polso con la
mano destra, strappandole un gemito di dolore e l'arma, per
poi far roteare il pugnale in mano, dopo aver infilato
l'indice destro nell'anello all'estremità dell'impugnatura.
«Sembra che l'esempio di Dromos non sia stata una lezione
sufficiente» disse Lucifer, fissando severamente Asmodeus.
«Sono stato paziente, Ass-modeus...» disse con un ghigno
furente sulle labbra.
Il demone inclinò la testa verso la spalla sinistra e
strinse le labbra in un'espressione mortificata. «Tu,
paziente? Tu ci hai abbandonato, noi eravamo la tua famiglia
e poi sei tornato... per cosa? Forse perché ti preoccupava
di queste anime dannate? O di noi?» Scosse il capo. «La tua
unica preoccupazione è stata proteggere la Terra. Persino
quell'idiota di Dromos alla fine ha capito che non eri più
degno di guidarci... Perché, da quello che si dice, il primo
angelo caduto sembra che ora abbia a cuore una mortale»
commentò il demone, per poi fare fissare Lucifer con
disprezzo. «Non c'è posto per i teneri di cuore qui
all'Inferno, non c'è più posto per te.»
Un movimento sul limitare del campo visivo attirò
l'attenzione del Re dell'Inferno, il quale si volse di
scatto ma non vide nulla. Una risata argentina,
fanciullesca, gli fece salire i brividi lungo la schiena. Si
girò in cerca della fonte di quel suono, ma i suoi occhi non
incontrarono nulla, però si accorsero dei demoni che stavano
fuggendo dalla porta dove era scomparsa anche l'anima di
Michael Simmons.
Stava per partire all'inseguimento, quando sentì chiaramente
una vocetta infantile.
«Fratellone...»
Il timbro era così simile a quello della progenie di Chloe,
ma Lucifer sapeva che non si trattava di Trixie. Si voltò e
lo vide, un bambino di non più di dodici anni, i biondi
capelli a caschetto, splendevano come il grano maturo,
mentre gli occhi azzurri erano gelidi come i ghiacciai
alpini.
Indossava una camicia bianca e il lederhose, ovvero i
pantaloncini in pelle della tradizione bavarese.
Una serie di spostamenti d'aria lo avvisò dell'arrivo degli
altri. Le iridi di Lucifer si mossero rapidamente attorno a
sé, individuando tutte e diciannove le figure, dieci
bambine, nove bambini, tutti attorno ai dodici anni e i
maschi con i lederhosen e le femmine con il dirndl, il
classico abito femminile bavarese con grembiule.
Il Diavolo sorrise. «Fratellini e sorelline... Sembrate
pronti per il remake di Tutti assieme appassionatamente...»
esordì Lucifer, adocchiando qualsiasi via di fuga.
Prima della sua ribellione,
gli Zabanyya erano i gemelli più pestiferi di tutto il
Paradiso. Lui era sempre stato convinto che Papà e Mamma
si fossero distratti mentre li creavano o, forse, crearne
19 contemporaneamente non era stata una grande idea
nemmeno per Dio e la suprema Dea. Erano dei monelli
ingrati e disubbidienti e non ascoltavano nessuno, a parte
Maalik. Ancora nessuno si spiegava come quei ragazzacci
inclini al riso avessero fatto a legare così tanto con il
musone del Paradiso ma, se era vero che gli opposti si
attraggono, il legame che c'era tra loro e suo fratello
Maalik ne era la dimostrazione perfetta.
Con movimenti sincronizzati, gli zabanyya estrassero i
pugnali, 19 lame arcuate, forgiate all'Inferno che avrebbero
potuto uccidere angeli o demoni senza alcun problema.
Lucifer sorrise. «Oh, avanti, voi dovreste sorvegliare
l'Inferno. Fatemi passare...» disse con poca convinzione.
Percepì il movimento alle proprie spalle e per un soffio
riuscì a parare e deviare la lama di una delle ragazzine.
«Già, dovremmo sorvegliare il perimetro, mentre tu avresti
dovuto sedere sul trono» sibilò lei.
«Sono tornato» disse serio. Un altro spostamento d'aria.
Spalancò le proprie ali e si alzò in volo, evitando per un
soffio due fendenti, portato da altre due di quelle piccole
pesti. Compì una rotazione e atterrò su uno dei banchi
dell'emiciclo. Si mise rapidamente in posizione di difesa,
portando lo sguardo sui bambini.
Stavano ridendo.
Giocavano con lui come il gatto con il topo. Erano stati gli
angeli più veloci, avevano dato parecchio da fare ai soldati
fedeli a Papà quando erano insorti.
«Sei tornato» commentò una voce alle sue spalle.
Lucifer si voltò di scatto, deglutendo nel trovarsi uno dei
fratelli così vicino.
«Troppo tardi!» commentò quello, sorridendo, prima di
cercare di colpirlo con un montante del pugnale.
Il Diavolo deviò la lama con la propria, poi d'istinto cercò
di contrattaccare, ma il ricordo di Uriel lo frenò. Non
poteva uccidere un altro dei propri fratelli. La punta del
pugnale demoniaco si fermò vicinissima alla gola dello
zabanyya. «Non voglio farvi del male» disse accorato.
Diversi battiti d'ali, gli altri diciotto bambini avevano
schiuso le loro ali e stavano volando all'impazzata. Lucifer
faceva fatica a seguirli con lo sguardo. D'un tratto venne
colpito alle spalle, con una violenza, cadde in avanti,
travolgendo il fratellino, conficcandogli la lama nella
gola.
«No!» esclamò sconvolto, mentre il corpicino sotto di lui si
dissolse. Aggrottò la fronte, mentre gli zabanyya di
fermavano.
Quello che aveva appena ucciso era davanti a lui, illeso.
Il Diavolo lo guardò incredulo.
«Stupito?» chiese quello. «Te l'ho detto: è troppo tardi.
Siamo morti. Non ci puoi uccidere con quella lama, ma noi
possiamo uccidere te. Ti abbiamo seguito nella tua guerra,
Samael, siamo venuti all'Inferno con te e tu? Tu ci hai
abbandonato per cosa? Perché eri stanco? Pensi che noi non
lo fossimo? Credi che sorvegliare il perimetro fosse
divertente? Ti abbiamo seguito perché la Ribellione sembrava
un gioco divertente!»
Attaccarono in quattro, contemporaneamente. Lucifer schivò
due lame, ne deviò una terza, mentre la quarta gli lacerò la
giacca. Guardò il taglio nella stoffa, sorprendendosi che
non fosse arrivato alla carne.
«Basta giocare» disse una delle sorelline.
«No, divertiamoci ancora un poco» rispose uno dei fratelli.
Le lame demoniache vennero piantate all'unisono su banchi,
poi gli Zabanyya aprirono contemporaneamente le loro ali
brune.
Seguì una tempesta di colpi. Lucifer riuscì a schivarne
qualcuno, pararne qualcun altro, ma erano troppi. Si ritrovò
a terra, ogni movimento gli provocava dolore e sentiva in
bocca il sapore ferroso del sangue. Tossendo, si girò su un
fianco, poi sull'addome e si mise in ginocchio, osservando
quelle piccole, letali pesti. Loro erano il motivo per cui
lui odiava i bambini.
Ragazzi e ragazze tornarono a brandire i pugnali. Si erano
stancati di giocare con lui, non riuscivano mai a
focalizzare l'attenzione troppo a lungo su un'unica cosa.
Ecco, doveva riconoscere che un po' ci si rivedeva.
Si umettò le labbra. Non
poteva fermare diciannove lame contemporaneamente.
«Maalik, dannazione, te l'avevo detto che avevo bisogno di
te...» ringhiò alzandosi in piedi, tastandosi il labbro
spaccato con i polpastrelli.
Un momento. Maalik gli aveva detto di ricordare. Lui era il
Re dell'Inferno.»
I diciannove monelli scattarono verso di lui, per porre fine
a quel gioco.