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Autore: Baudelaire    02/10/2020    6 recensioni
Una poesia che poesia non è.
Ma credo andasse pubblicata qui, perchè egli stesso era poesia, come la sua musica.
Spero che, ovunque sia, possa leggerla e sapere quanto è ancora amato, dopo tutto questo tempo.
Genere: Poesia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non so scrivere poeticamente; non sono un poeta. Non posso suddividere così artisticamente le parti del discorso da dare luce ed ombra; non sono un pittore. Non so esprimere neppure con cenni e pantomime le mie idee e i miei pensieri; non sono un ballerino. Posso però farlo con i suoni; io sono un musicista.
 
 
Ho molto piacere d’essere allegro, ma stia certo che nonostante tutto, so essere anche molto serio. Da quando sono partito da Salisburgo (e anche a Salisburgo) ho incontrato gente cui mi sarei vergognato di assomigliare nel parlare e nell’agire, sebbene siano persone di 10 e 20 e 30 anni maggiori di me! La prego dunque, ancora una volta e molto umilmente, d’aver un’opinione un po’ più buona di me.
 
Mi dia pure il miglior pianoforte d’Europa e per uditori gente che non capisce niente o che non vuol capire niente e che non ascolta insieme a me quel che suono, ed io, allora, perderò qualsiasi piacere di suonare.
 
Lo sento a quel che provo, che l’ora suona; sono in procinto di spirare; ho finito prima di aver goduto del mio talento. La vita era pur si bella, la carriera s’apriva sotto auspici tanto fortunati, ma non si può cangiar il proprio destino. Nessuno misura i propri giorni, bisogna rassegnarsi, sarà quel che piacerà alla provvidenza, termino, ecco il mio canto funebre, non devo lasciarlo imperfetto.
 
(W.A. Mozart – Epistolario)
 
 
 
 
 
Genio e sregolatezza, così ti hanno sempre definito, ragazzo.
Non ti hanno mai capito davvero, dico io.
Io, cresciuta al suono della tua musica, chiusa nella mia stanza, prima, e dentro la mia casa, poi. Gli anni sono passati, ma non l’amore per te. È cresciuto, come un’onda che si approssima alla riva, la cresta spumeggiante e allegra, come eri tu, compositore dalle mille sfaccettature, amato e odiato, elfo irriverente e satirico, sprezzante delle regole e delle imposizioni, come me.
Lacrime sublimi hai suscitato, toccando nel profondo le corde della mia anima in tempesta, simili a quelle del tuo violino che le tue dita toccavano appena, dando libero sfogo alla magia.
Ti ho cercato, ti ho inseguito, nella Getreidegasse, quella casa gialla dove il tuo corpo nacque, nella Wohnhaus, e infine a Praga.
Ti ho trovato a Salisburgo, dove ogni angolo racconta di te, dove la musica aleggia ovunque, per le strade, tra i violini maldestri di musicisti improvvisati; al Mozarteum, dove tutti ti rendono onore, nel giardino quella casetta dove, dicono, fu composto il Flauto Magico.
Il tempo è fermo, laggiù, a quel 1700 che ti ha visto protagonista, a combattere contro un mondo che non capiva davvero chi eri.
Sei fuggito, per trovare te stesso, la tua strada, inseguendo la libertà di essere ciò che volevi, sempre pochi spiccioli in tasca, sempre in affanno, eppur libero, finalmente.
Hai lottato contro molti, tuo padre, Colloredo. Dura è stata la vita, spietata, troppo, con una persona del tuo calibro.
Perché tu, nel frattempo, angelo del pentagramma, mai ti stancavi di buttar giù note su note, instancabile, frenetico, mordace. Era la tua vita, il tuo respiro, il senso stesso del tuo esistere.
Era tutto.
Tutto il resto non era che contorno indefinito, effimero, vacuo.
Tutto il resto, forse, non esisteva davvero.
Non esisteva che la musica, estatica, divina. Quelle note erano il tuo legame con Dio, musica degli angeli tramandata fino a noi, miseri e meschini mortali.
Tu non lo eri, oh no. Te ne sei andato, sì. Troppo presto.
Ma non te ne sei mai andato davvero. Hai lasciato lei, la tua musica, a noi esseri benedetti da Dio per un dono tanto generoso e, forse, immeritato.
Forse non sai quanto ancora sei amato, dopo tutto questo tempo.
Oppure sì. Forse, da lassù, vedi tutto. Forse sei orgoglioso di ciò che sei stato e di quel che hai lasciato.
Troppo dura la vita con te, troppo.
Poca considerazione hai ricevuto. Pochi onori, in cambio del patrimonio immenso e inestimabile che hai lasciato.
Te ne sei andato così, senza nemmeno poter finire quel Requiem che ho ascoltato così tante volte. Ipnotico, incompiuto, mentre la tua anima volava in cielo pietosamente.
Una fossa comune, null’altro. Ecco il riconoscimento di un popolo che non aveva compreso chi eri. Ma le anime speciali non sono mai comprese veramente, fino al momento in cui ci lasciano. Ed è allora, solo allora, che l’ipocrisia umana li rimette al loro posto.
Tardi, troppo tardi ti hanno conferito quel trono che ti spettava di diritto, da sempre.
Non te ne sei andato, no.
Rimane la tua musica, rimane l’incanto, rimane il miracolo.
Rimane lo stupore di fronte al talento, alla passione, alla perfezione di quelle note posizionate ognuna al proprio posto, esattamente dove devono essere.
Troppe note, osservò l’imperatore.
Solo quelle necessarie.
 
Come sempre, avevi ragione tu.
   
 
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