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questa one shot
ha un rating arancione per la descrizione di atti di violenza
Le
era sempre piaciuto
ridere, ma soprattutto le piaceva quando gli altri pensavano che la sua
risata
fosse suscitata da una loro battuta. E invece, molto più
frequentemente, era
dovuta al pensiero dell'ingenuità dei suoi
interlocutori.
Così
era stato per
Sosuke Watanabe, giovane medico in una clinica privata e ricco
ereditiere della
famiglia Watanabe, famosa per la fortuna accumulata per il brevetto, la
produzione e la vendita di diverse attrezzature mediche.
Fujiko
camminava a
braccetto con il giovane Watanabe, ascoltando con attenzione quello che
aveva
da dire e ridendo al momento opportuno.
Insomma,
l'ordinaria
amministrazione di una ladra che sa sfruttare il suo fascino a proprio
vantaggio.
I
lampioni lungo la riva
pedonale del fiume Tama illuminavano praticamente a giorno la sera
limpida e
impreziosita dalle stelle, ma gli occhi di Watanabe erano solo per lei,
unica
stella che camminava per le strade di Tokyo.
Fujiko
era perfettamente
consapevole delle attenzioni del medico e ogni sfumatura del suo
atteggiamento
era volta a convincerlo del suo interesse nei confronti delle sue
parole e
della sua persona.
Atteggiamento
nemmeno
troppo forzato, dato che il giovane uomo, rispetto allo standard degli
uomini
avidi, egocentrici e pieni di boria con cui Fujiko aveva normalmente a
che
fare, era una compagnia piuttosto piacevole.
Stava
ridendo a un
evento buffo che Watanabe aveva raccontato e che era successo nella sua
clinica, quando la vista periferica della ladra colse qualcosa che la
mise in
allerta.
Voltò
la testa di scatto
per vedere meglio quello che stava emergendo dal Tama e pochi istanti
le
bastarono per capire due cose: 1. Che la figura nera e allungata che si
stava
trascinando a fatica fuori dal letto del fiume era nient'altro che
Daisuke
Jigen; 2. Che i rantoli che produceva e la visibile fatica che gli
richiedeva
muoversi erano i segnali che era ferito e anche piuttosto
gravemente.
Senza
pensarci due
volte, Fujiko si lanciò nella discesa oltre il parapetto che
definiva il
confine della strada pedonale e poi giù verso il letto del
fiume, ignorando il
fango che le inzaccherava le prestigiose scarpe di Dior e i richiami di
Watanabe.
Quando
ebbe raggiunto
l'uomo, Fujiko notò le estese macchie di sangue che gli
imporporavano gli abiti
ed ebbe un tuffo al cuore.
-Sosuke!-
chiamò a gran
voce -Vieni a darmi una mano!
Mentre
il medico la
raggiungeva, Fujiko tirò il pistolero fuori dall'acqua e gli
prese il viso tra
le mani per capire se fosse ancora cosciente.
Gli
occhi di Jigen erano
pesti e gonfi, ma uno era ancora abbastanza aperto da poter vedere il
mondo e
la sua iride scura agganciò quella castana di
Fujiko.
-Fu…
ji… ko…- scandì a
fatica il pistolero.
-Tranquillo,
Jigen- lo
rassicurò lei, rincuorata dal fatto che l'uomo fosse ancora
abbastanza cosciente
da riconoscerla -Mi occuperò io di te, è tutto
finito.
-No!-
disse Jigen con
maggiore foga, usando quello che rimaneva delle sue forze per
afferrarle il
braccio -Ta… na… ka!
Negli
occhi del
pistolero, mentre pronunciava quel nome, la ladra lesse un miscuglio
inquietante di emozioni, che comprendevano furia, odio e
paura.
Capì
allora che, in
qualunque brutta storia si fosse cacciato Jigen, non era ancora
finita.
*
Lo
spostamento del corpo
inerme di Jigen era stata una fatica degna di Ercole, soprattutto per
via
dell’insistenza di Watanabe nel volerlo portare in ospedale.
Alla fine, dopo
interminabili (e inutili) discussioni, il medico aveva acconsentito ad
aiutarla
a portare Jigen nella sua camera d’albergo e a prendersi cura
di lui.
Gli
ci erano volute
quasi due ore e diversi asciugamani puliti per arginare le emorragie,
ma al
termine di un tempo che per Fujiko, costretta ad osservare senza poter
fare
poco o niente, era stato un’agonia, Watanabe aveva estratto
due proiettili,
chiuso cinque tagli da arma bianca e medicato
un’infinità di contusioni.
Per
fortuna, aveva
dichiarato il giovane medico, non sembravano esserci particolari danni
agli
organi interni, sebbene il paziente avesse perso molto sangue.
-Avrà
sicuramente
bisogno di una trasfusione- aveva commentato Watanabe, prendendo il
polso
debole, ma costante, e osservando il pallore quasi cadaverico della sua
carnagione.
-B
negativo.
-Come?-
chiese il
medico.
-Il
suo gruppo sanguigno
è B negativo- aveva risposto Fujiko, sul cui volto erano
improvvisamente
apparse delle piccole rughe sulla fronte e attorno agli occhi che
Watanabe non
aveva notato.
-Molto
bene- sospirò
Watanabe -Dato che per qualche ragione non si può portare
quest’uomo in
ospedale, farò qualche telefonata e mi farò
portare il necessario per la
trasfusione.
Il
sorriso sul volto di
Fujiko a quella notizia, pensò il medico, avrebbe potuto
sciogliere anche il
più imponente degli iceberg e si sentì quasi in
imbarazzo: -Grazie Sosuke-
rispose la donna -Sei un brav’uomo.
Assicuratasi
che il
pistolero fosse in buone mani, la donna uscì dalla stanza,
adducendo la scusa
di avere bisogno del bagno, e cercò il cellulare nella
borsetta.
Trovatolo,
digitò un numero
di telefono e attese che la persona dall’altra parte
rispondesse: -Chérie!-
sentì chiamare dopo un paio di squilli a vuoto.
-Ciao
Lupin!- cinguettò
lei, sfoderando la sua voce da seduttrice -Come stai? Mi manchi tanto!
-Anche
tu mi manchi,
chérie!- rispose Lupin con trasporto.
-Dove
sei, mio caro?
-In
questo momento mi
trovo a San Diego. Vuoi venire a farmi una visitina?
-Oh,
magari, tesoro!
Magari!- esclamò Fujiko, riuscendo a immaginare con
facilità il sorriso rapito
che il ladro doveva avere in quel momento sul volto -Sai, ti stavo
pensando e
mi sono chiesta: chissà se Lupin ha fatto qualche bel lavoro
interessante di
recente? Senza di te è una noia mortale!
-Mia
cara Fujiko, anche
per me è lo stesso! Nemmeno io ho fatto granché
ultimamente, giusto un colpetto
qualche settimana fa a Nagoya, ma niente di che.
-Cosa
ci sei andato a
fare a Nagoya?- lo incalzò Fujiko, nascondendo dietro il
miele della sua voce
l'impazienza che provava.
-Io e
Jigen abbiamo
alleggerito le casse di un casinò, poi siamo venuti in
California per
rilassarci un po’, ma lui ha preferito tornare in Giappone
dopo qualche giorno
e ora sono solo soletto. Che casinò era? Il Tanaka.
A
quel nome la schiena
di Fujiko venne percorsa da un brivido e la sua mente le
restituì l’immagine del
volto di Jigen, tumefatto e coperto di sangue, contratto nel tentativo
di
parlarle.
Chiuse
le telefonata
promettendo a Lupin che sarebbe andata a trovarlo a San Diego, ma la
sua mente
non registrò i calorosi saluti e i baci che l’uomo
le aveva mandato attraverso
la cornetta: il suo cervello, infatti, aveva iniziato a mettere insieme
i pezzi
e a creare collegamenti tra i fatti.
La
conclusione era una
soltanto: qualcuno avrebbe pagato per quello che era stato fatto a
Jigen.
Si
assicurò che Watanabe
si occupasse del suo amico, poi andò nella sua stanza da
letto e si sfilò
l'abito griffato che aveva indossato per l'appuntamento della serata,
sostituendolo con una tuta da combattimento nera. Le scarpe con il
tacco
vennero rimpiazzate con quelle tattiche e i capelli vennero raccolti in
una
pratica coda.
Uscì
con il casco
sottobraccio e la pistola assicurata al suo fianco.
Watanabe
non fece
domande e Fujiko gliene fu grata.
*
La
corsa in motocicletta
da Tokyo a Nagoya fu veloce e frenetica, nella totale indifferenza nei
confronti delle regole stradali, ma la donna non era nuova a questo
tipo di
guida e a nulla valsero gli inseguimenti di una volante della polizia.
In un
battito di ciglia, Fujiko era sparita alla vista.
Arrivò
nei pressi del
casinò che era l'alba e si soffermò a studiare
l'edificio: le luci al neon
intermittenti, seducenti e multicolore come sirene silenziose, erano
accese e
invitavano la clientela ad entrare in quella bolgia senza orologi, dove
le slot
machine e i croupier lavorano 24/7.
Non
aveva tempo di
mescolarsi tra la folla dei clienti, doveva assolutamente trovare il
proprietario. Parcheggiò la moto tra un gruppo di cespugli
del giardino, dove
avrebbe potuto prenderla senza farsi notare, e aggirò
l'edificio.
Dopo
la rapina di Lupin,
che aveva completamente svuotato le casse del casinò
lasciando ad eventuali i
altri ladri solo le briciole, la sorveglianza si era ridotta parecchio
e Fujiko
aveva potuto salire le scale anti incendio senza difficoltà.
Sbirciando
attraverso le finestre identificò degli uffici all'ultimo
piano e, facendo leva
sul telaio di una di esse con un coltello, entrò.
La
stanza era buia e
vuota e la donna si mise in ascolto: se faceva attenzione riusciva a
percepire
i rumori e le risate delle sale da gioco ai piani inferiori, il
tintinnio dei
bicchieri e delle bottiglie al piano bar e qualcuno parlottare nella
stanza a fianco.
"Bingo!"
pensò
la donna e con passo felpato si appoggiò alla parete con
l'orecchio schiacciato
contro il muro.
-Mi
dispiace, illustre
Mishimoto, mi perdoni!- stava piagnucolando un uomo, probabilmente al
telefono
dato che Fujiko non riuscì a percepire la presenza di altre
persone nella
stanza.
-Sì
ho fatto uccidere
uno dei ladri, il suo sicario di fiducia è stato molto in
gamba!- continuò
l'uomo che Fujiko ritenne essere Tanaka -No sono desolato, non ha detto
dove si
trovano i soldi… Ho usato le maniere forti, anche se non
sono a mio agio con la
tortura…. Se n'è occupato il suo giovane sicario.
Non c'è traccia del secondo
uomo… Li troveremo, signore, troveremo i suoi soldi.
Sì, avrò buone notizie la
prossima volta. Arrivederci.
La
telefonata venne
conclusa e a Fujiko non servì un secondo segnale per
intervenire. Uscì
cautamente nel corridoio, assicurandosi che non ci fosse nessuno ad
osservarla,
e aprì la porta della stanza a fianco.
-Ho
detto che non voglio
essere disturbato!- abbaiò rabbioso Tanaka, ma l'uomo si
ammutolì di colpo
quando vide la canna della pistola puntata contro di lui da una donna
di
ineffabile bellezza, che gli faceva gesti con un dito di
tacere.
-Ora
noi due faremo una
chiacchierata e poi farai una telefonata per me.
*
Izumo
era stanco e in
quanto tale era anche nervoso: aveva concluso un lavoro con successo,
pur non
riuscendo ad ottenere le informazioni che il capo desiderava, e tutto
ciò che
voleva era mangiare, trovare un po' di compagnia femminile a buon
prezzo e
andare a dormire.
Era
riuscito a malapena
a consumare un pasto quando il suo cellulare di lavoro aveva iniziato a
suonare
e sullo schermo era apparso il nome del proprietario del
casinò. Gli disse di
volerlo premiare personalmente per l'ottimo lavoro svolto e a nulla era
valso
ripetergli di trasferire la cifra sul suo conto in banca: il vecchio
Tanaka
aveva voluto incontrarlo.
In
una circostanza
diversa avrebbe diffidato da un simile invito, ma Tanaka era un uomo
anziano e
debole, sia di corpo che di spirito, spaventato persino dalla propria
ombra e
che si era indebitato con la criminalità organizzata nella
speranza di
mantenere aperto il suo casinò.
Izumo
ridacchiò al
pensiero della faccia terrorizzata del vecchio quando l'aveva visto
entrare nel
suo ufficio, convinto che Mishimoto, il suo capo e creditore del signor
Tanaka,
l'avesse mandato per lui.
Arrivò
davanti alla
porta dell’ufficio e bussò.
-Avanti-
chiamarono
dall’altra parte della porta e Izumo entrò. La
stanza era completamente al buio
e a malapena riusciva a distinguere la sagoma dell’uomo nella
poca luce che
filtrava dalla finestra.
-Tanaka,
ti hanno già
tagliato la luce?- chiese il sicario con una punta di cattiveria nella
voce, ma
ebbe un sussulto quando sentì la porta chiudersi alle sue
spalle.
Le
luci si accesero e
gli occhi del sicario impiegarono qualche istante per abituarsi alla
nuova
condizione di luce, ma quando le pupille gli si furono ristrette
riuscì a
distinguere più nitidamente l’anziano uomo alla
scrivania.
Il
suo corpo era
accomodato sulla sedia dietro alla scrivania, ma la sua testa era
innaturalmente reclinata all’indietro e sulla tempia destra
scorreva un rivolo
rosso, mentre il pavimento alla sua sinistra era inzaccherato di sangue
e
cervella.
Istintivamente
Izumo
girò i tacchi e fece per andarsene, ma la canna di una
pistola puntata alla
fronte lo costrinse a fermarsi.
-Izumo
Nakamura- la
donna che impugnava la pistola era la creatura più
affascinante su cui gli
occhi del sicario si erano mai posati e sentire il suo nome venire
pronunciato
dalla voce soave di quell’angelo gli provocò un
mix di emozioni contrastanti.
-Tu
sei il sicario che
Tanaka ha assoldato per torturare ed eliminare Jigen Daisuke-
continuò quella
donna meravigliosa e Izumo non fu certo se gli avesse posto una domanda
o se
avesse semplicemente annunciato un fatto.
-Chi
vuole saperlo?-
chiese alla fine il sicario, cercando di mostrarsi indifferente davanti
alla
bocca scura della pistola puntata su di lui.
-Mi
chiamo Fujiko Mine e
sarò l’ultimo volto che vedrai- rispose la donna e
nei suoi profondi e sensuali
occhi scuri Izumo vide una furia bruciante che diede conferma delle sue
parole.
-Quanto
sforzo per un
avanzo di fogna come quel Jigen- commentò il sicario,
indicando con il pollice
il cadavere di Tanaka alle sue spalle -Mishimoto verrà a
sapere di tutta questa
storia, ti troverà e ucciderà prima te e poi il
tuo caro Jigen.
Il
disprezzo con cui il
sicario aveva pronunciato quella parola le fece salire il sapore della
bile
alla gola e dovette trattenersi dallo svuotare il caricatore della
pistola
contro la sua testa.
No,
non doveva
permettergli di farle perdere la concentrazione.
Fujiko
conosceva la fama
di Mishimoto e sapeva che Izumo aveva ragione: se avesse commesso un
passo
falso, sarebbero stati perseguitati a vita dalla sanguinaria banda del
boss e
nulla di quello che aveva fatto sarebbe servito.
Doveva
rimanere
concentrata.
-Non
ti preoccupare di
questo- Fujiko sfoggiò il un sorriso ferino e Izumo
sentì una goccia gelata
scorrere lungo la linea della sua colonna vertebrale -Piuttosto,
spiegami una
cosa. Tanaka mi ha raccontato di come hai torturato Jigen e di come gli
hai sparato,
per poi gettarlo nel Tama come un sacco di immondizia. Quello che non
capisco è
come sia stato possibile che un pivello imberbe come te abbia potuto
mettere
nel sacco un pistolero esperto del calibro di Jigen.
La
pistola era
perfettamente immobile nella mano della donna e Izumo, che riusciva a
prevedere
con facilità che non sarebbe vissuto abbastanza da vedere il
nuovo giorno,
pensò che non ci sarebbe stato modo di cambiare il suo
destino e decise di
accontentarla: -Ho pagato una prostituta perché recitasse il
ruolo della povera
ragazza indifesa che chiedeva aiuto per salvare un’amica in
difficoltà.
Conoscendo la fama di Jigen, mi ha sorpreso che ci sia cascato tanto
facilmente. Sentirlo grugnire come un maiale ogni volta che lo colpivo
è stato
un piacere impagabile.
Lo
sta facendo di nuovo,
pensò Fujiko, vuole provocarmi perché sa che
morirà e spera di farmi distrarre
per crearsi una via di fuga.
-Un
maiale che non ti ha
dato comunque quello che desideravi- ribatté Fujiko, il cui
sorriso si era
fatto più affilato.
-Gliene
rendo atto-
ammise Izumo -Ma sta invecchiando. Si è fatto lento. E
morbido.
-Può
darsi- concesse
Fujiko, pensando a come il pistolero si fosse lasciato ingannare da
quel
pivello -Ma tu non avrai l’occasione di vederlo
morire.
Quelle
parole lasciarono
Izumo perplesso: -Jigen Daisuke è morto- disse -L'ho ucciso
personalmente.
-No-
ribatté Fujiko in
un sibilo che la fece assomigliare a un gatto infuriato -È
sopravvissuto e
questo ti dimostra l'abisso che vi separa: un vero professionista non
avrebbe
mai considerato eliminato un obiettivo senza essersene accertato
personalmente,
lasciando che la propria arroganza lo rendesse superficiale. Inoltre-
continuò
la donna, compiendo un arco attorno all'uomo fino a frapporsi tra lui e
Tanaka
-Se tu l'avessi ucciso davvero, non ti avrei lasciato tutti questi
minuti di
vita.
Le
bastò premere il
grilletto una volta sola per centrare l'obiettivo e il corpo di Izumo
Nakamura
cadde senza vita sul pavimento, mentre il suo sangue si mescolava a
quello del
proprietario del casinò.
Fuori
dall'ufficio
iniziò a crearsi del trambusto. Era ora di andare.
Fujiko
pose la pistola,
che aveva maneggiato per tutto il tempo con i guanti, nella mano destra
di
Tanaka e fuggì dalla finestra, facendola scattare dietro si
sé non appena fu
fuori.
Si
lanciò nel giardino e
svanì nella mattina appena sorta a cavallo della sua moto,
mentre nel casinò
qualcuno urlava a gran voce che si chiamasse un'ambulanza.
*
Vedere
Jigen lucido e
sveglio, sebbene avvolto di bende come una mummia, bastò a
farle passare la
stanchezza di quella notte.
-Non
mi è piaciuto il
modo in cui quel medico mi esaminava- le disse il pistolero, prendendo
una
sigaretta dal pacchetto che Fujiko, seduta sul letto accanto a lui, gli
offriva
-Ti eri messa d'accordo con lui per vendergli i miei organi?
-Quali?-
domandò la
ladra, aspirando il fumo della sigaretta accesa e rilasciandolo con
eleganza
dalle labbra carnose -I polmoni o il fegato?
Jigen
sorrise e nel
silenzio che si creò ascoltò la televisione
accesa sul telegiornale.
-Sono
stati trovati,
nelle prime ore del giorno- stava annunciando il giornalista -Due
cadaveri nel
casinò Tanaka di Nagoya. Uno di questi è il
proprietario del casinò, mentre il
secondo non è stato ancora identificato. Dalle prime
indiscrezioni, sembrerebbe
che il proprietario del casinò abbia sparato alla vittima,
per poi rivolgere
l'arma contro di sé per via di debiti di grosse somme di
denaro, che stavano
portando il casinò al fallimento.
-Tu
non ne sai niente,
vero?- domandò Jigen, mentre il giornalista rimandava a
ulteriori chiarimenti
quando la polizia avrebbe potuto svolgere indagini più
approfondite.
Fujiko
lanciò
un'occhiata distratta al televisore per poi prendere il telecomando e
spegnerla: -È perché dovrei?- rispose, spegnendo
la sigaretta nel posacenere
-Che vantaggio ne avrei tratto?
Jigen
parve riflettere
sulle sue parole per qualche istante, per poi accettarle: -Beh,
qualunque cosa
sia successa- disse il pistolero -Quel maledetto bastardo se
l'è
meritata.
Buttò
la sigaretta nel
posacenere e si lasciò cadere sul cuscino emettendo un lungo
sospiro,
interrotto da un ringhio di dolore quando la schiena toccò
il materasso.
Fujiko
lo studiò per
qualche istante, tornando con la memoria al momento in cui aveva
premuto il
grilletto contro il sicario e il proprietario del casinò
ogni volta che il suo
sguardo incontrava un ematoma o una ferita.
Il
suo viso, sebbene
gonfio e segnato dalle botte, aveva un aspetto calmo e rilassato e,
dopo
qualche minuto di silenzio, Fujiko ritenne che si fosse addormentato,
così fece
per alzarsi, ma il pistolero la trattenne afferrandola per un
polso.
La
donna si bloccò,
sorpresa dal tocco delicato e gentile che l'uomo le stava riservando,
disegnando con il pollice dei piccoli cerchi sulla pelle del suo
polso.
-Grazie,
Fujiko.
Le
sue parole furono
poco più di un sussurro, ma alle orecchie della donna
suonarono quasi come un
grido e ne fu spiazzata.
-Non
devi ringraziarmi-
rispose -Non saresti molto utile da morto.
Jigen
annuì con il capo
e la lasciò andare, ma appena prima che Fujiko potesse
uscire dalla camera
esclamò: -Quel giovane medico con cui eri ieri sera ha
lasciato un biglietto
per te sul comò. Magari la mia "visita a sorpresa" non ha
rovinato
del tutto i tuoi piani.
Fujiko
guardò dove le
veniva indicato e trovò un biglietto di spessa carta
filigranata con impresso
lo stemma della catena di alberghi.
Watanabe
vi aveva
scritto sopra con un'elegante calligrafia: "Mi sono occupato del tuo
amico
come meglio ho potuto. È un uomo straordinariamente coriaceo
e si riprenderà.
Conoscerti è stata una delle esperienze più
piacevoli e intense della mia vita,
che porterò sempre con me (che mi piaccia o meno), ma so
riconoscere quando
vengo sconfitto e spero che quest'uomo misterioso sia in grado di darti
ciò di
cui hai bisogno. Stammi bene, Sosuke".
-Cattive
notizie?-
chiese Jigen, che la osservava leggere.
-Niente
da fare con il
medico- ammise la ladra - Peccato, perché la sua famiglia
è diventata
milionaria con la produzione di presidi medici.
-Ce
ne saranno altri-
commentò il pistolero, aggiustandosi a fatica sul
materasso.
-Senza
dubbio. Ma ora
riposati. Puoi stare qui tutto il tempo che ti serve.
Lasciò
la stanza
affinché l'uomo potesse riposare, ma prima di chiudere la
porta dietro di sé e
andare a farsi una doccia, indugiò a guardare la figura del
pistolero sul letto
ancora per un istante.
Nota
dell’autrice: Ciao a tutt* e
grazie per aver letto
questo capitolo di Slices of Life!
Siamo arrivat* all’ultima parte, di quattro, di questa
raccolta nella raccolta
e abbiamo visto Fujiko all’opera. Cosa ne pensate? Come
sempre, un grosso
abbraccio va a Fujikofran che mi omaggia dei suoi commenti a fine
capitolo e
anche in quello scorso non si è fatta attendere. Grazie di
cuore!
Ci
vediamo con il prossimo capitolo che si intitolerà Shoulder rubs!
A
presto,
Desma