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Autore: Stephanie86    07/10/2020    0 recensioni
AU | SwanQueen | Storia a 4 mani
Emma, figlia di re David e della regina Mary Margaret, è l'erede del regno del sud, Anatlon. Quando il regno cade, la bambina è costretta a nascondersi presso Camelot, protetta da Artù e dai suoi Cavalieri. Crescerà sapendo di dover vendicare la morte dei genitori e del suo popolo. Sapendo che un giorno dovrà affrontare colei che le ha portato via tutto.
Regina, la sovrana di Mehlinus, sale al trono molto giovane, affiancata e istruita dal consigliere Tremotino. Anche lei vuole vendetta e non è disposta a rinunciarvi per niente al mondo.
Le strade di queste due donne apparentemente così diverse si incroceranno presto. Ci sono molte cose che non sanno. Il loro viaggio sarà molto lungo e le persone che tramano alle loro spalle sono pericolose e assetate di potere.
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Altri, Emma Swan, Nuovo personaggio, Regina Mills, Signor Gold/Tremotino
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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FEAR NO DARKNESS

 

 

 

Deep Valley. Lothian. Ovest.

 

 

- Cavalieri che lasciano Camelot all’improvviso diretti verso sud. E sembra che ce ne sia uno nuovo, che nessuno conosce, forse appena nominato. – Morgause, la signora del Lothian, sedette su una vecchia sedia in legno di quercia, nella sua stanza. Posò il calice di vino sul vassoio che un servitore le stava porgendo e gli fece segno di andarsene. Lui si affrettò a levarsi di torno.

- Così pare, mia signora. – rispose maestro Archibald, l’insegnante di Mordred. – Ma forse non dovremmo essere così sorpresi. Artù è... un re. Invia spesso i suoi cavalieri nelle terre dei lord o nelle città minori, a est di Camelot. Ha molte cose a cui pensare. Molti alleati da mantenere. Molti amici. Senza contare che c’è il matrimonio del Vostro terzogenito. Potrebbe...

- Il matrimonio di Gareth non c’entra nulla. E poi i cavalieri erano diretti a sud. Perché a sud? Non c’è niente laggiù! Niente che possa interessare ad Artù.

- È una via comoda, mia signora. È più sicura. Ci sono percorsi segreti. Viaggiare sulla Via dei Re... non è sempre facile. I cavalieri sarebbero troppo scoperti. Se i messaggi che Artù vuole far giungere a destinazione sono messaggi importanti, allora...

- La Via dei Re non sarà la più sicura, ma è la più breve. Artù l’ha usata altre volte, in passato. Se i messaggi sono così importanti, beh allora non vedo perché dovrebbe passare da sud per poi raggiungere l’ovest. Allungherebbe di molto il tragitto. – Morgause si alzò, avvicinandosi al camino dove, pochi giorni addietro, aveva bruciato il messaggio scritto in codice.

- Forse i messaggi non sono così urgenti. Ma è comunque necessario che arrivino a destinazione intatti.

- La verità, Archibald, è che qui c’è qualcosa che non torna.

- Non penso dobbiate preoccuparvi, mia signora. Due di quei cavalieri sono Vostri figli e sebbene siano fedeli al re di Camelot, sono anche fedeli alla loro madre.

O forse no, pensò Archibald. Ma si guardava bene dal dire cose che avrebbero potuto causare le ire della signora del Lothian.

- Non ho paura per me, Archibald!

E allora di cosa?

Il maestro deglutì e tacque. Viveva a Deep Valley da parecchi anni, ovvero da quando Mordred aveva solo qualche luna. Il suo compito era quello di seguirlo nella crescita ed istruirlo. E l’aveva fatto. Pensava di conoscere bene, quel bambino. Conosceva lui così come conosceva Morgause e la sua sorellastra, Igraine, la madre di Artù e Morgana.

Ma di Morgause aveva sempre avuto paura. Paura del suo sguardo verde, affilato e penetrante. Paura delle sue reazioni. Paura delle parole di Merlino, il consigliere di Artù che, anni addietro aveva avuto modo di incontrare. Era un druido saggio e potente, che vedeva molto lontano. E gli aveva detto qualcosa a proposito della Grande Madre, la divinità femminile primordiale venerata ad Avalon, ovvero che la Dea aveva quattro volti, quattro aspetti, quattro diversi modi di manifestarsi; il Primo Volto era il volto affascinante, dolce ma giusto, forte, appassionato, il volto di un’indomita guerriera.

Il Secondo Volto era quello più pio e benevolo, il volto di un’amica, di una consolatrice. Archibald aveva pensato ad Igraine, a quella donna così silenziosa e gentile.

Il Terzo Volto era il volto saggio, il volto della maga sapiente, che poteva essere capace di grandi affetti, ma era anche dura ed implacabile, disposta a tutto pur di difendere Avalon e i suoi abitanti dai nemici.

E poi c’era il Quarto Volto. Il volto oscuro. Il volto segreto. La giustizia senza compassione. Una notte senza luna.  

Morgause?

Le ombre che la signora del Lothian si portava addosso da quando era nata l’avvicinavano molto al Quarto Volto della Dea. Per questo Archibald era preoccupato. Preoccupato per Mordred, che era stato affidato alle cure di Lot e, quindi, di sua moglie. Era preoccupato persino per il re di Camelot. Per l’est. Perché Morgause era anche molto ambiziosa. Il suo primogenito era il più vicino al trono.

“Archibald, spera che Morgause non sia il Quarto Volto”, gli aveva detto Merlino. “Spera di non vederlo mai, il Quarto Volto. Anche se temo che sia tu che io lo vedremo.”

- Archibald, è meglio che tu vada. Da Mordred. Ti starà aspettando. – disse la signora di Deep Valley, ancora voltata di spalle.

- Certo. Certo, vado subito. – Si profuse in un breve inchino e lasciò la stanza. I suoi occhi azzurri erano offuscati da parecchi pensieri.

Che cos’ha in mente, mio nipote?, pensava, frattanto, Morgause. Perché ha in mente qualcosa, ne sono certa. Come se non bastasse, Regina è partita proprio questa mattina. Che Artù ne sappia qualcosa? Forse crede che lei si prepari ad attaccare Elohim? O forse lui sa qualcosa su di me? No, non può essere. Se lo sapesse, mi avrebbe già mandata a chiamare o sarebbe arrivato con un esercito. Nella migliore delle ipotesi mi avrebbe mandato un avvertimento o un ultimatum.

Avrebbe ordinato alle sue spie di tenere gli occhi aperti e di comunicarle altri, eventuali spostamenti o decisioni prese dal re di Camelot.

Se solo possedessi ancora una barlume di Vista!, pensò Morgause, fremendo di frustrazione. Sarebbe tutto più facile.

La Vista era un potere che le sacerdotesse di Avalon avevano fin da bambine, un potere che permetteva di prevedere eventi che erano in procinto di verificarsi. Ma la Vista di Morgause non era mai stata così potente e lei se n’era andata presto, seguendo sua sorella Igraine, che aveva sposato il padre di Morgana. Non aveva la minima intenzione di starsene rinchiusa ad Avalon! Ogni tanto aveva qualche visione, ma niente di chiaro, niente che potesse davvero capire.

Mi terrò in contatto con Tremotino e non solo con lui. Qualsiasi cosa Artù stia tramando, non gli permetterò di realizzarla!

 

 

Verso ovest.

 

Camelot era scomparsa presto dietro di loro.

Emma aveva visto le mura della città di Artù e Ginevra svanire pian piano, mentre lei e i cinque cavalieri che la seguivano si inoltravano nella foresta, seguendo la strada che li avrebbe condotti verso sud, per poi portarli verso le terre dei lord a ovest.

All’inizio, avevano condotto i loro cavalli al trotto. In seguito, per non stancarli, li avevano riportati al passo. Emma era davanti a tutti, affiancata da sir Gawain. Dietro c’erano Galahad e Percival, che aveva voluto unirsi a loro ad ogni costo. Chiudevano il gruppo Agravain, spesso impegnato canticchiare un vecchio motivetto popolare, nonostante non avesse una voce particolarmente gradevole e Thomas, silenzioso come sempre.

 

"Vanno le strade, lunghe e infinite
sotto le nubi e le stelle smarrite,
ma sempre i piedi che han tanto vagato
tornano infine al tetto bramato.
Gli occhi che han visto fuoco e sconquasso
e grande spavento in grotte di sasso
guardano infine i cari giardini
e i campi e i colli di quand'eran piccini”

 

- Agravain. – disse Thomas, schiarendosi la voce. – Forse potresti... raccontare una storia, invece di cantare.

- Io gli suggerirei di tacere e basta. – replicò Percival. – Le mie orecchie sanguinano.

Agravain lo ignorò. – Cantare una canzone che parla di fare ritorno a casa porta fortuna. E tiene lontano la morte. Oppure preferite che canti la canzone dei demoni che strappano i cuori dopo avervi tolto la voce?

Gawain ricordava quella canzone, perché la sentiva spesso da bambino, nel Lothian. Parlava di mostri che giungevano in una città in piena notte e portavano via le voci alla gente, per poi strappare loro il cuore, mentre le vittime urlavano senza però riuscire ad emettere alcun suono.

Sorrise al fratello. – Questa va bene, Agravain. Ma forse ti conviene riposare la voce per un po’.

 

 

Cavalcavano per la maggior parte del giorno, fermandosi solo per riempire le borracce o per mangiare qualcosa. Avevano evitato qualsiasi insediamento in modo tale che nessuno si facesse troppe domande su un gruppo di cavalieri che virava verso sud, anche se laggiù c’era ben poco.

Emma aveva indossato l’armatura che il re le aveva regalato. La cotta di maglia era d’argento, finemente lavorata; la piastra pettorale smaltata, candida come neve, come il manto del suo cavallo, Maximus; Narsil era nel fodero appeso al cinturone di cuoio bianco con le fibbie dorate; sullo scudo e sul mantello rosso agganciato alla base del collo era impresso lo stemma della sua famiglia, il cigno. Ripensò al momento in cui aveva lasciato Camelot; Ginevra non aveva fatto cenno alla loro conversazione sui camminamenti e l’aveva salutata con un semplice cenno del capo. Artù le aveva posato le mani sulle spalle e le aveva sorriso.

- Confido in te. Sento che sei pronta davvero e che puoi farcela. E allora il regno dei tuoi genitori sarà tuo. Lo ricostruirai e sarà di nuovo splendido, come un tempo.

La pantera non mi fermerà, aveva pensato Emma. Il cigno non ha paura della pantera.

Aveva visto Gawain salutare la moglie e i figli. Aveva guardato Agravain prendere in braccio i suoi e farli roteare in aria. Aveva osservato Thomas stringere la figlia di pochi mesi e baciare la moglie, Ella, in lacrime. Aveva spostato lo sguardo su Galahad che salutava suo padre, Lancillotto. Emma sperava che sopravvivessero tutti. Che quei saluti non fossero il preludio di un addio.

Percival era arrivato per ultimo. Non sarebbe dovuto venire, ma quella mattina aveva chiesto al suo re di potersi unire agli altri. Artù aveva acconsentito.

- Se è quello che vuoi, non te lo impedirò, Percival. – gli aveva detto il re.

- Vi ringrazio.

- Vuole la rivincita, ecco perché viene con noi. – aveva replicato Agravain, sorridendo, divertito. – Ti bruciano le chiappe, vero? Sei stato sconfitto pochissime volte in vita tua e mai da una donna.

- Ammiro le donne che sanno combattere bene, come Emma. E sì, quella sconfitta mi brucia, ma la principessa ha vinto meritatamente. Voglio venire perché la rispetto e credo in lei. – l’aveva rimbeccato Percival.

Eppure ieri Artù ha accordato il permesso a quattro cavalieri. Diceva che quattro bastavano. Oggi, però, non ha fatto molta resistenza quando Percival ha chiesto di unirsi a noi, aveva pensato Emma.

Merlino si era avvicinato, appoggiandosi al lungo bastone ricurvo. La pelle nera era segnata dalle rughe profonde, che parevano più marcate del solito, soprattutto sulla fronte alta, come se la preoccupazione lo stesse tormentando. Gli occhi blu sotto le fitte sopracciglia nebbiose sembravano scrutarla come se le stessero leggendo dentro. Non dubitava che ne fossero capaci. E lui non sembrava più un uomo - lo stesso uomo che si era seduto di fronte a lei nella Foresta di Rhun, un giorno di qualche anno prima e le aveva parlato di Avalon e di quanto gli fosse costato starsene al suo posto - ma una creatura saggia e potente uscita da qualche antica leggenda.

- Credi nelle parole di Morgana. Una sacerdotessa di Avalon conosce sempre la verità. – le aveva sussurrato, con la voce roca.

- Le credo. Ma non capisco. – aveva risposto Emma, alzando la testa per poterlo guardare.

- Capirai. Presto. Quando sarà il momento, capirai. C’è un momento giusto anche per scoprire cose di cui sei all’oscuro. E qui ci sono troppe orecchie.

Le parole di Merlino non avevano fatto altro che rendere assai più fitta l’oscurità. Emma sapeva che Merlino aveva delle visioni, a volte. Glielo aveva detto lui stesso. Ma le aveva anche detto che il futuro non era mai chiaro. Anche se lo fosse stato, dubitava che il druido glielo avrebbe svelato.

 

 

Verso il tardo pomeriggio del sesto giorno di viaggio il cielo, fino a quel momento terso, si riempì di nuvole minacciose e iniziò a tirare un forte vento.

- Sta arrivando un temporale. – annunciò Gawain, guardando le nubi. – Dobbiamo fermarci... qui.

- Qui? Ma sei uscito di senno? – esclamò suo fratello Agravain, strabuzzando gli occhi verdi.

- Abbiamo scelta?

- Preferisco cavalcare sotto la pioggia, tra i fulmini e i tuoni, piuttosto che fermarmi a Thorntown. È una città di spettri!

Thorntown era un villaggio di mercanti e contadini che, un tempo, sorgeva a sud ovest, tra il Lothian e quello che un tempo era il regno di Emma. Era uno dei villaggi distrutti dall’avanzata dell’esercito del nord, undici anni prima. Ora era in rovina e non ci viveva più nessuno, ovviamente. A parte gli spettri dei suoi abitanti, secondo alcune storie. Le case, in legno e pietre, erano malridotte, con squarci nei muri, tetti in larga parte crollati. Le stradine erano dissestate. La vegetazione si stava prendendo tutto quanto.

- Non possiamo cavalcare sotto la pioggia e lo sai bene. – intervenne Galahad, scrutando il posto. – Rischiamo di perderci. E saremo comunque costretti a fermarci, perché non vedremo niente. La notte è nera.

- E poi... da quando uno grande e grosso come te ha paura degli spettri? – lo prese in giro Percival. E tuttavia qualcosa lo innervosiva. Si guardava intorno e alle spalle.

- Non si tratta di paura. – ribatté Agravain. – Gli spettri ci... disturberanno. Potrebbero condurci alla follia. Lo sapete cosa dicono le leggende.

- Sì. – confermò Gawain. – Le leggende dicono molte cose. Cose terribili. Ma al momento non vedo un’altra soluzione. Emma?

“Ad ovest... vicino al confine con il regno del sud, c’è una città chiamata Thorntown. Alcuni... non vogliono fermarsi in quel posto. Superstizione. Magari nelle storie che raccontano c’è qualcosa di vero, ma tu dovrai fermarti, Emma. Dillo ai cavalieri che verranno con te.”

Tutti si voltarono a guardarla. Lei si tolse l’elmo, liberando la folta chioma biondo oro. Il mantello rosso svolazzò, sospinto dal vento. Era proprio come aveva detto Morgana. Thorntown. Ma cosa poteva esserci di importante in quel luogo dimenticato e in rovina? Forse la persona che l’avrebbe seguita ad Avalon si trovava a Thorntown? Si nascondeva?

E si rese conto che tutti stavano guardando lei. Se avesse detto di no, probabilmente non avrebbero contestato la decisione e avrebbero proseguito. Avrebbero... eseguito. Perché lei era l’erede al trono. Anche se quegli uomini l’avevano protetta, erano di rango inferiore al suo. Servivano un re, ma il re in quel momento non c’era. C’era solo la futura regina di Anatlon.

Emma deglutì. Improvvisamente aveva la gola arida. - Ha ragione Gawain. Dobbiamo fermarci. Se proseguissimo saremmo... certamente sorpresi dal temporale.

Agravain borbottò qualcosa di incomprensibile.

La strada davanti a loro si allargò e si rivelò ingombra di erbacce. Quella, un tempo, doveva essere la via principale del villaggio. Molte delle abitazioni erano evidentemente inagibili, gusci sbilenchi invasi dalla vegetazione. Ma tra di essi, trovarono un edificio in pietra e legno che, nonostante fosse pieno di crepe e muschio, sembrava abitabile. Il tetto era intatto. C’era persino un altro edificio, attaccato ad esso, forse una vecchia stalla. Una vera fortuna, visto che stava arrivando la tempesta e i cavalli dovevano essere messi al riparo.

- Cerchiamo di capire se possiamo avere accesso a questa casa. – disse Emma.

Il pianterreno consisteva in un grande stanzone. Contro una parete erano accatastati panche e tavolacci. Agravain, che si era liberato dal bisogno di fare polemica e parlare di fantasmi, prese un pannello di legno, lo saggiò con le sue grandi mani un po’ callose e poi lo portò davanti all’unica finestra priva di vetri in modo da chiudere l’apertura.

- Io e Galahad ci occuperemo dei cavalli. Li portiamo sul retro. – annunciò Gawain, risoluto. – Abbiamo poco tempo.

- Sì. Io vado a dare un’occhiata al pozzo. Forse c’è ancora dell’acqua. – disse Emma.

- Vengo anch’io. – disse Percival.

- Bene. Andate. Io do un’occhiata in giro. – disse Thomas.

- Ecco. Controlla che non ci siano fantasmi. – rispose Percival, accennando un sorriso.

- Fai pure lo spiritoso e prenditi gioco di me. – replicò Agravain, guardandolo con gli occhi socchiusi. – Sai poco del mondo.

- Ah, invece tu credi di sapere tutto...

- Ho parecchi anni più di te. E ho due figli. Ho visto molte più cose. Ho viaggiato di più...

Percival roteò gli occhi.

Il pozzo del villaggio era dalla parte opposta dell’edificio in cui avevano trovato riparo, in quella che, un tempo, poteva essere stata una piazza in cui veniva allestito il mercato. Il tamburo a manovella sotto il tettuccio marcio aveva ancora la sua fune, ma il secchio, che Emma districò da un ammasso di rovi a destra del pozzo, era privo del manico.

- Non importa. Ho portato una corda. – disse Percival. Si mise al lavoro. Tagliò un pezzo della fune e infilò le estremità nei fori in cui, in precedenza, era agganciato il manico.

- Ben fatto. – commentò Emma, sorridendo. – E nel pozzo c’è acqua.

“Magari nelle storie che raccontano c’è qualcosa di vero, ma tu dovrai fermarti, Emma. Dillo ai cavalieri che verranno con te.”

Non c’era nessuno, lì. Emma si guardava intorno, ma il villaggio era abbandonato. Thomas stava perlustrando i dintorni, ma non aveva lanciato alcun segnale.

Percival gettò il secchio nel pozzo, trattenendo la corda e, pochi istanti dopo, lo issò. Lui ed Emma diedero un’occhiata all’acqua.

- Mi sembra bevibile. Percival? Cosa vedi?

- Solo acqua. E noi.  

Emma sollevò un sopracciglio. – Bene. Ditemi, sir Percival. Perché avete deciso di unirvi a noi?

- Perché era la cosa giusta da fare. – rispose, senza esitazioni, fissando l’acqua. Ad Emma parve che le stesse nascondendo qualcosa. Qualcosa che lo toccava nel profondo. Fu sul punto di fargli qualche domanda.

In quel momento vi fu un colpo di tuono. Molto vicino.

- È meglio sbrigarsi. – gli fece notare Emma.

- Certo.

 

 

Da nord a ovest.

 

La luna era una falce sottile in cielo. Lungo la riva del fiume Acheron, Regina si era accampata non appena era calata la notte, con i cinque uomini che componevano la sua scorta. Due di loro, adesso, montavano la guardia.

Non aveva permesso molte soste. Il minimo indispensabile per far riposare i cavalli. Non avevano tempo da perdere. Avevano evitato di passare vicino ai villaggi sparpagliati per le sue terre, in modo che la gente non si accorgesse di nulla e non facesse troppe domande. Avevano attraversato campi arati, le zolle smosse. Avevano costeggiato il fiume fino a poco dopo il tramonto. Allora Regina aveva ordinato di fermarsi. Era la sera del sesto giorno di viaggio.

Anche Regina aveva scelto di non percorrere la Via del Re. Per sicurezza, ovviamente. Avrebbe impiegato più tempo, ma il tempo forse le sarebbe servito per elaborare il piano.

Non riusciva a dormire, per questo era uscita a guardare le acque del fiume che scorrevano, lente e tranquille, verso l’Oceano Occidentale, dove l’Acheron si gettava. Frinire di grilli e folate di vento che smuovevano le fronde.

Regina ripensava al mattino della sua partenza.

- Vi ripeto di fare attenzione. – le aveva detto Tremotino, quando Regina era montata in sella a Rocinante, il suo cavallo, un destriero giovane, marrone e con una macchia bianca sul muso, protetto da una gualdrappa nera di maglia metallica che mostrava le insegne araldiche del cavaliere, ovvero la pantera, nel suo caso. L’armatura nera, forgiata per lei, era perfetta, lucida, non troppo pesante ma comunque robusta.

- E Voi fate attenzione al mio regno. Fino a che non sarò di ritorno dovrete occuparvene. – gli aveva ricordato Regina.

- Contate su di me. E tenetemi informato.

- Lo farò.

- Un’ultima cosa. Guardatevi dal Branco.

- Branco?

- Sono... sono dei selvaggi, Maestà. Uomini che hanno deciso di vivere lontano dai loro simili. Uomini che hanno... che hanno ucciso e tradito. Niente più che mercenari. Si spostano spesso, insieme ai lupi. Lupi veri, intendo. Forse non li incontrerete mai e sarà meglio per Voi. Ma io Vi ho avvertita.

- D’accordo. Vi ringrazio.

Tremotino l’aveva fissata dal basso, sorridendo. – Avete tagliato i capelli...

Regina aveva sempre portato i capelli lunghi, fin da quando era piccola. Ma la notte prima di partire, guardandosi allo specchio, aveva deciso che era giunto il momento di tagliarli. Per comodità, ma anche perché le cose stavano cambiando. Presto sarebbe stata la regina non solo del suo regno, ma anche di quello dei Blanchard. Quindi aveva preso le forbici e se li era tagliati. Ora erano corti, non le arrivavano neppure alle spalle.

- Vi donano molto, Vostra Maestà. – aveva commentato il Genio, rinchiuso nello specchio.

- Sono ancora la più bella del reame?

- Lo siete sempre.

Ma non contava quanto fosse bella. Contava quanto fosse potente e quanto fosse disposta a rischiare per avere ciò che le spettava. Contava cosa fosse disposta a fare per vendicare i suoi genitori e il tradimento subìto anni prima.

Anche Daniel era venuto a salutarla. Regina non l’aveva voluto con sé, perché sapeva benissimo che non era d’accordo con la sua decisione di partire e prendere Anatlon.

- Maestà, siete sicura che... sia meglio per me restare qui?

- Sì, comandante. Mi servite a Nymeria. Occorre qualcuno che tenga d’occhio i confini della capitale. Usate pure tutti gli uomini che Vi servono. Se non Vi dovessero bastare, non esitate a cercarne altri. Ho dato disposizioni al mio consigliere affinché possiate disporre del denaro necessario a pagare...

- Credo che gli uomini basteranno, Maestà.

- Bene.

A quel punto, si erano uniti al gruppo gli ultimi due soldati. Erano giovani. Uno era alto ed era a testa scoperta; ciò attirava subito lo sguardo sui suoi capelli folti, di un nero splendente. Il viso dalle ossa minute era ben modellato e gli occhi erano di un azzurro tenebroso. L’altro, invece, si era già sistemato l’elmo sul capo e da sotto spuntava un ciuffo di capelli biondicci.

- E questi chi sono? – aveva domandato Regina a Daniel.

Il ragazzo con gli occhi azzurri si era piegato leggermene su un ginocchio, portandosi una mano al petto, con il palmo rivolto verso l’esterno. Poi aveva chiuso le dita a pugno. – Maestà... il mio nome è Will Nightshade. Lui è il mio compagno d’armi, Jim.

- Jim Halloway. – aveva dichiarato il secondo ragazzo, imitando l’inchino dell’amico. Le sue iridi, ombreggiate dalle lunghe ciglia, erano marrone chiaro.

- Da dove saltano fuori, Daniel?

Il comandante accennò ai giovani di prendere i cavalli. – Li ho addestrati personalmente. Potete fidarvi di loro.

Regina decise di non fare altre domande, dato che non aveva più tempo da perdere.

- Posso dirvi un’ultima cosa? – chiese Daniel.

- Dite pure.

- State bene con i capelli corti. – E aveva sorriso.

A quel punto anche Morgause doveva essere stata informata della sua partenza. L’avrebbe aiutata, se ce ne fosse stato bisogno? Regina era disposta ad ascoltare la signora del Lothian, vecchia amica e alleata di sua madre. Ma non era sicura di poter accettare qualsiasi cosa le avesse chiesto. Non poteva concedere troppo a Morgause. Era una donna ambiziosa. Non solo, poteva essere anche pericolosa, visto che nelle sue vene scorreva il sangue di Avalon.

- Non importa. – mormorò Regina. – Affronterò qualsiasi cosa. Devo farlo. Sono la regina di Mehlinus.

“Sono convinto che se Vostra madre fosse qui sarebbe fiera di voi. Dovete prendervi la Vostra vendetta. È giusto. Ma, Regina, i Blanchard sono pericolosi.”

Era disposta a correre quel pericolo. Per la sua vendetta.

Pensò a sua madre, uccisa da quei maledetti. A tradimento. Pensò a suo padre, ucciso da David. A tradimento anche lui. Pensò al simbolo che, un tempo, era stato suo: il melo su sfondo blu. Ogni tanto lo vedeva ancora nei suoi sogni, così come vedeva i suoi genitori. Henry, soprattutto. Henry che la issava sulle sue spalle, perché lei potesse cogliere una mela rossa. Una bella mela rossa che poi suo padre tagliava in tanti spicchi...

“Grazie, padre.”

“Possiamo raccoglierne altre domani, se vuoi.”

“Sì, mi piacciono le mele rosse.”

Regina era solo una bambina che non sapeva niente di magia. Ed Henry la portava spesso nelle terre che circondavano Nymeria, dove crescevano numerosi alberi di mele. Erano quelli i momenti in cui si sentiva più felice. I momenti in cui si era sentita davvero a casa. Suo padre le aveva detto spesso che la sua casa era ovunque vi fosse qualcuno che avrebbe pensato a lei con affetto. E Regina aveva suo padre. Cora era sempre molto occupata. Non l’aveva mai portata a raccogliere mele.

“Regina, hai mangiato di nuovo fuori dai pasti?”

“No, madre...”

“Invece sì, l’hai fatto. Altrimenti, cosa sarebbe questo?”. Allungò una mano e le tolse qualcosa da un angolo delle labbra. Un residuo di succo di mela.

“Madre...”

“Quante volte ti avrò ripetuto che una fanciulla come si deve non mangia fuori dai pasti? Devi iniziare a comportarti nel modo giusto, Regina. Non è così che una futura regina si comporta.”

“Cora, senti...”, provò a dire Henry. “Lasciala stare. L’idea è stata mia.”

“Non interrompermi, Henry!”

E suo padre abbassava il capo. Sembrava così debole in quei momenti...

Istintivamente Regina posò una mano sull’elsa della spada. La spada di Henry. E si sentì subito rincuorata. Chiuse gli occhi mentre stringeva l’impugnatura e vide la mano di suo padre che la stringeva come stava facendo lei. Lo vide chiaramente. Sorrise.

Poi quella stessa mano salì al collo, a cercare il ciondolo, quello che aveva sempre avuto con sé da quando era piccola. Un ciondolo che aveva la forma di un albero di mele. Il suo vecchio simbolo. Così in contrasto con la pantera.

Regina alzò lo sguardo al cielo, osservando la falce di luna.

Presto avrebbe raggiunto il sud. Presto avrebbe affrontato i suoi nemici di sempre e li avrebbe sconfitti. Anatlon avrebbe dovuto chinare il capo e inginocchiarsi davanti ad una nuova sovrana. E pagare.

- Soldato. – disse Regina al giovane Jim Halloway, uno degli uomini che montavano la guardia. Il suo amico, sdraiato su un cumulo di pelli, alzò la testa e si mise in ascolto.

- Sì, mia regina. – disse Jim, con deferenza.

- Si dice Vostra Maestà. Portami una pergamena. Ho bisogno di inviare un messaggio.

Il soldato eseguì l’ordine e, nel giro di un attimo, fu di ritorno con ciò che aveva chiesto. Regina vergò un messaggio indirizzato a Tremotino, perché sapesse che era a buon punto e che andava tutto secondo i piani. Poi aprì una mano, pronunciò poche parole e, su di essa, comparve un corvo nero che sbatté le ali. Regina legò il messaggio alla zampa e sospinse l’uccello verso il cielo. Il corvo spiccò il volo.

Più a sud si erano assiepate pesanti nuvole temporalesche.

 

 

Vicino a Deep Valley. Lothian. Ovest.

 

Non molto lontano da Deep Valley, sorgeva Ludinsford, piccola città di mercanti di pelli e spezie, di strade lastricate da grandi blocchi di pietra, di edifici in mattoni addossati gli uni agli altri. E di ricche famiglie spesso in contrasto fra di loro. Tra queste ce n’era una, della quale era rimasta ormai solo l’unica figlia femmina del signore, che era lontanamente imparentata con Lot del Lothian.

Un servitore salì le scale che conducevano alle stanze di lady Amara, bussò discretamente alla porta, schiarendosi un po’ la voce e attese.

- Sì?

- Signora, ci sono delle missive per voi.

- Entrate.

Il servitore entrò. Tre candele di sego ardevano sul davanzale della finestra. Altre quattro, poste accanto al letto, spandevano una luce tremolante lungo le pareti, costringendo le ombre della sera a retrocedere.  L’uomo aveva riposto le lettere su un vassoio d’argento che portò alla signora, posandole sullo scrittoio, davanti a lei e chinando leggermente il capo.

- Ti ringrazio. – rispose Amara, scostandosi una ciocca di capelli dal viso.

- C’è altro che desiderate, milady?

- Niente. Ritirati.

Il servitore se ne andò alla svelta.

Amara allungò una mano e prese tutte le lettere arrivate quel giorno iniziando ad aprirle. Le lesse distrattamente e rispose ad alcune di esse, ma ciò che c’era scritto là dentro non era importante. Non aveva importanza per lei, almeno.

Il messaggio davvero importante e che da tempo attendeva era arrivato pochi giorni prima, con un corvo messaggero, che lo portava legato ad una zampa. Una piccola pergamena con poche parole scritte in codice, ma che non era stato difficile decifrare.

“È partita poco dopo il sorgere del sole. Presto saprà la verità. Ho già comunicato l’accaduto a Morgause.”

È quasi giunto il momento. Finalmente.

Amara si alzò. Guardò fuori dalla finestra, il cielo scuro e punteggiato di stelle. Poi osservò la sua immagine riflessa nello specchio vicino al letto.

Un istante dopo una magica e densa nube viola l’avvolse completamente e quando si diradò i capelli lunghi e neri della donna si erano dissolti, cedendo il posto a capelli ondulati e castani, raccolti con un fermaglio. Gli occhi avevano assunto un taglio differente e in essi brillava una luce diversa, più crudele. I lineamenti del viso si erano fatti più marcati, più duri ed erano comparse nuove rughe. La carnagione era chiara. D’un tratto la donna che indossava una lunga veste blu era più vecchia di quella che si era guardata allo specchio giusto un momento prima. Di Amara aveva solo la pesante collana d’oro a forma di serpente. Nella mano destra stringeva un lungo bastone dorato con la sommità a forma di cobra.

Cora, la regina di Mehlinus, che tutti credevano morta da undici anni, sorrise.

   
 
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