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Autore: mattmary15    07/10/2020    0 recensioni
Sono passati anni dagli eventi di Cuba. Charles ed Erik si sono separati, ma il destino ha in serbo un tiro mancino per loro e a riunirli sarà l'ultima persona a cui pensano. Stavolta saranno alle prese con un nuovo avversario dei mutanti e una potente organizzazione che ne gestisce le risorse e che reclama l'eredità di Sebastian Shaw.
Seguito de 'L'anello mancante' ma può essere letta anche senza conoscere il contenuto del prequel.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Charles Xavier/Professor X, Erik Lehnsherr/Magneto, Nuovo personaggio, Raven Darkholme/Mystica
Note: Missing Moments, Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'L'eredità di Shaw'
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Capitolo IX
Non devi essere la Tour Eiffel

 

Il piano era stato un successo.

Erik lo aveva definito ‘il solito piano’ e prevedeva che Charles restasse nelle retrovie a suggerirgli come muoversi e che lui facesse piazza pulita.

Charles aveva acconsentito ma con una variante. Sarebbe entrato anche lui nel Chiostro. Se c’era una telepate, doveva essere lui a confrontarsi con lei. Erik doveva raggiungere subito Tessa.

Usare la voce di Payge per ‘fare piazza pulita’ al posto di Erik senza versare una goccia di sangue, era stato un colpo da maestro e aveva tolto ogni divertimento ad Erik costretto anche a lasciare andare Pierce.

“Non l’ho ucciso perché mi avresti biasimato ma sono certo che me ne pentirò.” Aveva sentenziato mentre guidava. 

Charles, dal canto proprio, non aveva tenuto in vita Pierce per un atto caritatevole. Non era nella sua migliore predisposizione per fare gentilezze quel giorno. Lo aveva fatto perché Pierce gli era sembrato troppo debole e stupido per essere il capo dell’Hellfire e voleva molte risposte prima di tagliare la testa dell’Idra e ritrovarsene altre due da gestire.

“Ha bisogno di un ospedale.” La voce di Erik lo riportò alla realtà.

“Nessun ospedale. Sono enti controllati dal governo. Ho perso molti studenti proprio dopo essere entrati, per diversi motivi, in una struttura medica. Alcuni di essi dirottano i mutanti proprio verso le Trask Industries.”

“Quindi cosa proponi?”

“Torna in centro e raggiungi un locale chiamato ‘Morlock’.”

“Sei sicuro di quel che fai?”

“Non perdere tempo.”

Erik guidò fino al locale e parcheggiò nel retro. Fece scattare tutte le serrature dei maniglioni anti panico del locale e precedette Charles che portava in braccio Tessa che non era più rinvenuta.

Una ragazzina si frappose fra loro e un’ultima porta. Erik s’accorse che teneva una mano stretta a pugno dal quale partivano piccole scariche elettriche di colore viola. Una voce la chiamò e la ragazza si voltò.

“Betsy, tesoro, non sono nemici. Torna a giocare di là.” Un uomo senza capelli e dalla carnagione chiarissima avanzò lentamente. Allargò le braccia e fece un cenno col capo.

“Siete i benvenuti nella mia umile dimora.” La ragazzina si nascose dietro al suo abito bianco continuando a guardare con diffidenza i nuovi arrivati. L’uomo continuò. “Vedi, mia piccola Betsy, loro sono ospiti molto importanti. Calibano è felice di ricevervi.” Charles si fece avanti mostrando il corpo di Tessa.

“Puoi aiutarci?”

“Posso aiutare il prof. Xavier. Egli è un uomo buono e compassionevole. Calibano lo ammira. In quanto al potente Magneto, Calibano cosa può fare per lui?”

“Niente. Io li ho solo accompagnati. Come sai chi siamo?” Anche stavolta fu Charles a rispondere.

“La sua mutazione gli consente di percepire quale sia la nostra. Ci ha riconosciuto per questo.”

“Per questo e per la tv. Siete mutanti molto famosi.” Erik sollevò gli occhi al cielo.

“Non le resta molto tempo.” Fece Charles.

“Venite con me. Calibano è abile in molte cose. Starà bene.”

Charles ed Erik seguirono l’uomo per il corridoio fino ad una scale e poi nel seminterrato. Lungo il corridoio c’erano diverse porte. Erik notò che le stanze del locale erano piene di mutanti, la maggior parte dei quali con mutazioni che definire evidenti era un eufemismo. Alcuni di loro gli ricordarono Azazel o Angel e gli si strinse il cuore a pensare che si rintanavano in un locale notturno con le luci a neon per non farsi notare dalla gente comune.

Per tutto il tragitto si accorse anche che la ragazzina aveva sempre tenuto la mano a Calibano come avesse paura a staccarsi da lui.

Raggiunsero una sala che doveva essere un’infermeria ma sembrava più un ospedale da campo.

Charles stese Tessa su un tavolo operatorio e Calibano si alzò le maniche della tunica candida che indossava. 

“La bambina dovrebbe uscire.” Disse Charles.

“Betsy è la mia migliore aiutante.” Rispose Calibano prendendo una siringa che conteneva un potente anestetico e infilandola nel braccio meno martoriato di Tessa. “Fa vedere, piccola mia.” 

La ragazzina passò una mano su un taglio che Tessa aveva alla gamba e una luce violacea brillò per un attimo. Quando Betsy sollevò la mano, la ferita era stata richiusa come se la pelle fosse stata passata sotto una lama incandescente.

“Non useremo questa tecnica per il viso ma per i piccoli tagli va più che bene.” Asserì Calibano. “Uscite, andate a bere qualcosa. Offre Calibano.” Charles non sembrava convinto ma Erik lo tirò per un braccio.

“Hai voluto tu che la portassimo qui. Lascialo lavorare. Vieni.”

Charles si fece condurre fino al piano superiore e, da lì, nel locale. Si accomodarono su un divanetto e una cameriera gli portò due bicchieri di wiskey. Erik le fece portare la bottiglia e le chiese di lasciarla al tavolo.

“Le ci vorranno molti giorni per riprendersi.” Disse Erik finendo il primo bicchiere. 

“So quello a cui stai pensando.”

“Hai ricominciato? Beh, l’ho voluto io e non posso lagnarmene.” Fece Erik alludendo al fatto che Charles gli avesse letto nel pensiero. “Inoltre non hai più bisogno del mio scudo. Come hai fatto? A Westchester hai fatto una tragedia asserendo che i tuoi muri mentali necessitavano di anni di esercizio per essere alzati.” Charles bevve e sorrise guardando il cubetto di ghiaccio che tintinnava nel bicchiere.

“Ho preso in prestito quelli di Tessa. Li ho visti nella sua mente e li ho replicati.”

“Sembrate fatti l’uno per l’altra!”

“Non scherzare sui miei sentimenti per Lena.”

“E’ di questo che si tratta? Nostalgia?”

“Perché? Non è di questo che si tratta? Non ti è affatto indifferente come sostenevi.”

“Non prenderti tu gioco dei miei sentimenti. Per me è solo una donna che somiglia a Lena.” Charles versò altro liquore nel suo bicchiere e in quello di Erik.

“Per me, no.” Lo ammise candidamente.

“L’ho capito a Parigi.”

“Leggere i miei pensieri è un nuovo super potere.” Lo canzonò Charles.

“Mi piacerebbe ma tu mi mostri solo quello che vuoi. Adesso per esempio,” disse sorseggiando il liquore, “non so se vuoi comunque andare a Washington o preferisci aspettare che Tessa si riprenda.” Charles bevve il suo bicchiere tutto d’un fiato.

“Andiamo a Washington. Non so se Tessa ha visto le conseguenze delle nostre azioni. Non posso fermarmi adesso. Forse è come dici tu. Non ho lottato per le cose a cui tenevo. Devo farlo adesso.”

“Prendi sempre troppo sul serio le cose che ti dico, vero? Non è stata colpa tua.”

“Cosa?”

“Il mio arresto, la fuga di Raven, la morte di Lena.”

“Non è stata neppure colpa tua. Beh, forse il tuo arresto, quello sì.”

“Dev’essere per forza colpa di qualcuno?”

“Siamo noi a muovere i fili del nostro destino.” Charles giocava con il tappo della bottiglia.

“Le tue belle frasi ad effetto. Non potrebbe essere semplicemente la vita ad avere la colpa?”

“La vita è bella, Erik.”

“La vita è vita, Charles. E’ l’unica cosa veramente nostra, per questo ci restiamo attaccati con le unghie e coi denti. Anche quando fa schifo e sembra che morire sia una prospettiva migliore.”

“Erik, una volta mi hai detto che la pace non è mai stata un’opzione per te, ricordi?”

“Non potrei dimenticarlo neanche volendo.” Erik portò il suo bicchiere alle labbra e lasciò che il liquore gliele bagnasse appena.

“La pensi ancora allo stesso modo?”

“Che vuoi che ti dica? Dimmelo tu. Sono passati dieci anni. Non c’è mai stata pace, non solo nelle nostre vite.”

“Quindi, secondo te, dovremo passare il tempo che ci resta combattendo giorno dopo giorno?”

“Non tu. Tu puoi costruire qualcosa di buono. Io credo di non avere il tocco.” Disse ridendo e mimando il movimento delle dita che Charles faceva quando chiedeva il permesso di leggere la sua mente.

“Tu potresti edificare città intere senza muovere un dito.”

“E tu vedi ancora quel lato di me che nessuno vuole.” Charles strinse più forte il suo bicchiere. “Non puoi salvare colui che non cerca la salvezza, Charles.”

“Non penso di doverti salvare. Vorrei solo che fossi felice.” Erik sentì salire le lacrime agli occhi pensando che la verità è sempre semplice. Forse, pensò, era Charles a farla sembrare semplice. Ci provò anche lui.

“Non credo che umani e mutanti possano vivere in pace. E questo mi porterà sempre lontano sia dalla pace che dalla felicità.” Charles sollevò lo sguardo dal bicchiere e lo puntò su di lui.

“Il tuo punto di vista è legittimo e, dato che siamo in vena di sincerità, credo che sia quello più realistico. Tuttavia cosa è mai venuto dalle guerre? L’umanità non ne ha già combattute a sufficienza per capire che, alla fine, sono inutili?”

“Non lo sono affatto. Hanno sempre uno scopo e raggiungono sempre un fine. Spesso immorale, te lo concedo, ma utile. Una volta Shaw mi disse che noi mutanti siamo figli dell’atomo. Forse, senza la guerra nucleare, non saremmo neppure venuti al mondo.”

“E quale sarebbe lo scopo della nostra mutazione se non migliorarci. E quale cambiamento più radicale nell’essere umano ci può essere se non l’accettazione del superamento del confronto armato?” Erik lo ascoltò con attenzione poi mosse il bicchiere di vetro come in una mossa di scacchi.

“Mi è mancato parlare con te. Stasera però vorrei ubriacarmi e pensare solo che abbiamo fatto una cosa buona.” Charles fece tintinnare il suo bicchiere con quello dell’altro ma si girò percependo un’altra persona. Era Betsy, la piccola aiutante di Calibano.

“Si è svegliata.” Disse solo e i due uomini si alzarono per seguirla verso l’uscita dal locale.

 

Tessa aprì gli occhi in un ambiente che non conosceva. Non era morta, ma il dolore che sentiva in tutto il corpo era tale da farle mancare il respiro.

Provò a concentrare le poche energie che aveva sull’ambiente circostante ma non riconobbe niente.

Si ricordò di aver udito la voce di Charles prima che Tanner la colpisse con violenza obbedendo agli ordini di Pierce. Si portò una mano al viso che pulsava e si chiese se la sensazione di essere stata di nuovo tra le braccia di Erik fosse frutto del suo dolore.

La porta della camera si aprì e un uomo magro e pallido si spostò appena di lato per consentire a Charles e ad Erik di entrare nella stanza.

“Tessa, come ti senti?” Chiese Charles sedendosi sul letto accanto a lei. 

“Dolorante.” Rispose lei piano. Il suo sguardo si spostò da lui ad Erik che era rimasto più indietro con entrambe le mani infilate in tasca. “Siete venuti al Chiostro?” Sussurrò a fatica senza smettere di fissare il più grande dei due uomini.

“Non credevi che se fossi stata in difficoltà, saremmo venuti in tuo aiuto?” Chiese Charles con dolcezza ma Erik avanzò di qualche passo e parlò.

“Non credeva che io l’avrei fatto.”

“Avete ucciso Pierce?” Chiese lei senza smettere di fissare Erik. Lui rise.

“Adesso spiegaglielo tu che l’abbiamo lasciato vivere!” Esclamò lui all’indirizzo di Charles. “Le mie proteste sono state messe agli atti e ignorate.”

“La cosa importante era portarti al sicuro.” Fece lui.

“Siamo al sicuro, Tessa?” Le chiese Erik alludendo alla sua capacità di vedere il futuro. Lei chiuse gli occhi e prese alcuni respiri profondi. Riaprì gli occhi gemendo.

“Non devi sforzarti adesso.” La rassicurò Charles, ma Tessa scosse appena il capo.

“La risposta a questa tua domanda è no, Erik.” Lui guardò Charles che, a propria volta, si rivolse a Tessa.

“Cos’hai visto?”

“Trask a Washington. Nixon gli crederà. Attiveranno le sentinelle.”

“Perché il presidente dovrebbe farlo?”

“Raven. Non ha cambiato idea.” Erik sbuffò.

“Non dovevamo lasciarla andare da sola a Washington.” Commentò con un tono carico di disapprovazione.

“C’è Hank con lei. Non le permetterà di nuocere.”

“Potrebbe essere costretta a farlo.” Disse Tessa.

“Perché?” Chiese Charles.

“Trask si serve di un uomo di nome Stryker. Era con lui a Parigi. Stryker in passato ha fatto accordi con Pierce. Lui doveva individuare i mutanti e passare quelli con poteri particolarmente utili al circolo Hellfire, ma è passato dalla parte di Trask.”

“Per qualche motivo particolare,” chiese Erik, “o è un doppiogiochista?” Tessa si sforzò di sollevarsi appena e Charles l’aiutò sistemandole un cuscino dietro la schiena.

“E’ un doppiogiochista ma ha delle motivazioni personali. Odia i mutanti. Per Donnie essi hanno un valore da vivi, per Trask ce l’hanno da morti. Stryker preferisce la seconda visione delle cose.”

Erik guardò Charles masticando amaro.

“Credi ancora che abbiamo una possibilità di uscire da questa faccenda senza prendere una posizione ben definita?” 

Charles lasciò il fianco di Tessa e raggiunse Erik parlando sottovoce.

“Io ho una posizione ben definita solo che a te non piace. Non turbiamo Tessa, lasciamola riposare e andiamo a parlare fuori.” Erik alzò gli occhi al cielo.

“Non è una bambina. Lei vede il futuro, pensi che possiamo nasconderle qualcosa?”

“Non voglio nasconderle niente, voglio solo che adesso non si agiti. E’ stata appena operata.”

“Mi lasci solo un minuto con lei?” Charles sorrise intuendo i pensieri dell’altro e annuì lasciando la stanza. “E non leggermi nel pensiero, reverendo!” Esclamò Erik chiudendo la porta. 

Camminò fino al letto in cui Tessa era distesa e si sedette dove era stato Charles fino ad un attimo prima. Lei lo guardò e scosse la testa.

“Anche tu leggi nel pensiero?” Fece Erik fermandosi a guardare il braccio della donna nel punto in cui l’ago della flebo lo forava.

“Non ci vogliono i poteri di Charles per capire cosa stai per fare.”

“E cosa starei per fare?”

“Chiedere scusa.” Erik fece un ghigno con le sue labbra sottili.

“E non dovrei farlo?” Tessa scosse di nuovo il capo. “Perché no?”

“Perché non sei stato tu a farmi questo. E perché io avevo davvero intenzione di consegnarti a Pierce.”

“Questa vorrei che me la spiegassi. Se hai scaricato i ricordi di Lena, sai che non volevo ucciderla. Perché ce l’hai con me?”

A Tessa scappò da ridere ma il dolore all’addome la fece tremare e gemere.

“Non ce l’ho con te. So che non hai sparato a Lena di proposito e so anche che volevi vendetta per quello che mio padre ha fatto a tua madre. I ricordi di Lena in proposito sono molto dolorosi. Ho accettato l’accordo di Pierce perché prevedeva di consegnare te o Charles. Avevi ragione anche su questo.”

“Se me lo avessi detto, se ne avessi parlato con me sul tetto dell’hotel la sera che ti ho offerto di scaricare i miei pensieri, ti avrei accompagnato io stesso all’Hellfire. Le cose non sarebbero andate come voleva Pierce, ma avrei potuto proteggere Charles,” disse sfiorandole la fronte, “avrei potuto proteggere te.”

“Puoi ancora proteggere Charles. In quanto a me, sei venuto a salvarmi. Credo basti.”

“Questa,” disse lui toccandole il fianco fasciato, “te l’ho fatta io. Ero arrabbiato, mi sono sentito tradito come quel giorno sulla spiaggia di Cuba. Ho rivisto Lena che sceglieva Charles.”

“Per quello che vale,” rispose lei, “non intendevo più rispettare quel patto. Ero sincera quando ti ho detto che non hai perso la tua umanità nonostante tutto.”

“Tessa, io fermerò Trask. Non so se facendolo cambierò il futuro che ha visto Lena e non posso rischiare di peggiorare ancora le cose per cui tu devi scaricare la mia memoria e dirmi che succederà.”

Lei fece forza sui gomiti e si mise seduta. Guardò Erik dritto negli occhi per cercare un briciolo di dubbio o incertezza. Non ne trovò.

“Lo farò. Ho dedicato tutta la mia vita a questa missione. Voglio fermare ciò che ha iniziato mio padre. Voglio impedire il futuro che ha visto mia sorella. Voglio farlo per renderle almeno in parte giustizia.” Disse stringendo le lenzuola sporche del suo sangue. “In fondo la morte di Lena è stata colpa mia.”

“Tua?” Chiese Erik perplesso.

“Io ho forzato la sua mente, le ho mostrato uno scenario derivante dalla sua scelta di fermarti e lei ha deciso diversamente. L’ho condotta su una strada diversa e troppo breve.”

“Se non avessimo ucciso tuo padre, sarebbe stata troppo breve per tutti. Ora scarica la mia memoria e dimmi cosa devo fare.”

Tessa sollevò una mano e toccò la fronte di Erik. 

La donna avrebbe voluto scaricare solo i suoi ricordi successivi al suo primo incontro con Charles, ma fu Charles stesso a rimandarla più indietro fino ai ricordi che Erik custodiva di sua madre, di Shaw, di un popolo spazzato via alla stregua di cenere nel vento.

Istintivamente allungò l’altra mano e tenne la testa di Erik per le tempie.

Assorbì i suoi ricordi su tutti i ragazzi che lui e Charles avevano recuperato e addestrato e in particolare di Raven. 

Mentre lo faceva non si accorse che Erik stringeva i pugni e si lamentava. Si rece conto che stava soffrendo quando sentì il tocco della mano di Charles sul braccio.

“Fermati Tessa. Adesso devi fermarti.” La donna lasciò andare Erik e il flusso dei suoi pensieri e l’uomo riprese a respirare regolarmente. Solo allora il tono di Charles si fece severo. “Si può sapere cosa vi è saltato in mente? Tu sei debole,” disse all’indirizzo di Tessa, “e tu stavi per farti incasinare il cervello!”

“Deve poter calcolare ogni variabile. E non può farlo senza prevedere le mie azioni oltre alle tue. Dovevo farlo.” Gli rispose Erik guardando Tessa. “Ora dimmi che succederà.”

Tessa chiuse gli occhi e si concentrò. Nella sua mente si delinearono decine e decine di scenari e, analizzandoli, più di una volta scoprì che il progetto sentinella veniva portato a termine comunque.

Ad un tratto sussultò e aprì gli occhi di scatto.

“Esiste,” disse piano ma con fermezza, “esiste un modo per fermare Trask e Raven. Non vi piacerà.” Charles si rabbuiò.

“Se prevede la morte di Raven, non l’accetto.” Disse, ma Tessa scosse il capo.

“Nessuno morirà. Però dovrete fidarvi di me perché il piano prevede molti rischi.”

“Parlacene.” Disse Erik.

“Nixon intende fare una dimostrazione dopo gli eventi di Parigi. Trask mostrerà a tutti che le sentinelle possono fermare i mutanti. Bisogna perciò sabotarle. Fare in modo che nel momento più importante, Trask faccia una pessima figura.”

“E’ una buona idea.” Commentò Charles. Tessa continuò.

“Però abbiamo bisogno di un nemico. Qualcuno che costringa Trask a usare le sentinelle.”
“Pensavi a me?” Chiese Erik rassegnato all’idea di essere considerato quello senza scrupoli del gruppo, ma anche stavolta Tessa disse di no.

“Pensavo a Pierce. Non possiamo distruggere Hellfire. E’ troppo ramificato per sradicarlo in un colpo solo. Però possiamo togliere di mezzo Donnie e Stryker. Se portiamo al presidente le prove del complotto tra lui, Stryker e Trask, sono certa che fermeremo almeno il progetto sentinella. Dobbiamo farlo noi. Raven non deve cadere in mani nemiche.”

“Il piano mi piace,” disse Erik, “e so anche come eseguirlo. Le sentinelle sono fatte di una lega simile a quella delle armi anti Magneto.” Charles alzò gli occhi al cielo.

“Adesso abbiamo definitivamente deciso che si chiamano così?” Erik sorrise.

“Sei invidioso perché non ci sono armi anti professore?”

“Ne esiste almeno una e la usi proprio tu!” 

“L’elmo di Shaw ce l’ha il governo. Me l’hanno preso quando mi hanno arrestato. In effetti dovrei riprendermelo!”

“Vogliamo concentrarci? Che cosa stavi dicendo?” Disse Tessa all’indirizzo del tedesco.

“Se intercettiamo il convoglio che porta le sentinelle a Washington, posso contaminarle con del metallo. A quel punto, quando Trask le attiverà, sarò io a controllarle e vi assicuro che non faranno del male ad alcun mutante.”

“Non faranno del male a nessuno.” Lo corresse Charles. “Si può fare?” Chiese poi a Tessa. La donna annuì.

“Lucy ci aiuterà volentieri.”

“E come portiamo Pierce a Washington?”

“A questo penso io.” Rispose Tessa.

“Tu sei ferita. Come pensi di fare?”

“Gli farò avere un messaggio. Gli dirò che ho cambiato idea e che voglio consegnare Magneto. Verrà, desidera il suo potere più di qualsiasi altra cosa e inoltre ora che l’ha visto all’opera, lo vorrà ancora di più.”
“Devo considerarmi lusingato?”

“Devi considerarti avvisato. Tendi ad essere impulsivo e irrazionale. Troppo per uno che pianifica vendette per anni e anni. Dovrai moderarti.”

“Qual è il mio ruolo in tutto questo?”

“Il peggiore, professore. Dovrai spingere Pierce ad attaccare Nixon.” Charles storse le labbra.

“Non mi piace controllare le persone. Anche se sono come Pierce.”

“O come Nixon.” Aggiunse Erik.

“Io posso portarlo fino ad un passo dal presidente degli Stati Uniti. La voce grossa devi fargliela fare tu.” Disse Tessa.

“Altrimenti io non potrò fare l’eroe e dimostrare che i mutanti sono buoni.” Lo prese in giro Erik. Charles ci pensò un po’ su.

“Se deve essere fatto, lo farò. Sono pronto a fare la mia parte. Contrariamente a quello che pensate,” disse per rispondere ad Erik, “la mia morale non è così rigida da impedirmi di fare delle scorrettezze se sono necessarie.”

Erik guardò Tessa e scoppiò a ridere. La donna fece altrettanto.

“Sì, prendetemi in giro, non mettetemi alla prova!” E anche Charles scoppiò a ridere mentre Erik alzava prontamente le mani in segno di resa.

Per un istante, il professore ebbe la sensazione di essere di nuovo a Westchester con il suo Erik e la sua Lena. Ringraziò il cielo che nessuno dei suoi compagni avesse il dono che aveva lui di leggere le menti altrui. Si alzò e si voltò per non dargli il vantaggio di percepire la sua emozione. 

Erik però lo conosceva bene e per togliere dall’impasse sia lui che l’amico, riprese subito il filo del piano.

“Abbiamo solo un problema. Tessa non è in grado di muoversi. Come farà a coordinarci da qui?”

La donna perse il sorriso. Anche se si fosse sforzata non era in grado di muoversi.

“Per ora tutto ciò che devo fare è chiamare Lucy. Qui c’è un telefono?” Disse sforzandosi di rimanere positiva.

“Vado a parlare con Calibano. Aspettatemi qui.” Disse Charles lasciandoli di nuovo soli.

Erik la fissò dritto negli occhi.

“Prima che Charles ritorni, voglio dirti una cosa.”

“Ti ascolto.”

“Quando ho detto che a Cuba mi sono sentito tradito da Lena non intendevo dire che non penso che lei mi amasse. So che è morta per salvare Charles e so che teneva a lui, ma so cosa provava per me. Sono certo che se ci fossimo trovati a posizioni invertite, avrebbe fatto lo stesso.”

“Me lo stai dicendo perché vuoi una conferma da me?” 

“Niente affatto. Te l’ho già detto. So cosa provava per me. Il mio unico rimpianto e non averle mai detto apertamente che l’amavo. A questo non c’è rimedio. Per questo voglio essere completamente sincero con te. Non riesco ad ignorarti. So che è la somiglianza con Lena ma non ci riesco. Volevo che lo sapessi in ogni caso.”

“In ogni caso?” Chiese lei.

“Per essere una sveglia, sei lenta. Piaci molto anche a Charles.”

“Anche lui rivede la sua Lena.” 

Erik infilò le mani nelle tasche dei pantaloni e si guardò la punta dei piedi.

“Non credo. E’ troppo onesto per farlo.”

“Per quello che vale, Lena ti amava. La sua memoria in proposito è chiara. Ti ammiro per la forza che sai trarre dalle tue emozioni. Amava anche Charles però e alla fine non ha potuto né dare, né avere niente da nessuno dei due.”

“Ti sbagli su questo. Io le ho dato verità ad ogni costo e passione senza freno e lei in cambio mi ha dato calore e compassione. Lena ha sempre provato compassione per la mia solitudine e ha provato a curarla in ogni modo. Charles le ha dato sicurezza e dolcezza. Sarebbe stato la famiglia che Lena voleva disperatamente. Lei gli ha dato le stesse cose. Meritavamo tutti di più.”

“Non posso riportare indietro il tempo. Se potessi, darei la mia vita in cambio di quella di Lena.”

“Non dirlo!” Esclamò Erik. “Non ti ho detto queste cose perché pensassi di aver preso il suo posto. L’ho fatto perché non ti dimenticassi che la tua vita non deve ricalcare per forza quella di tua sorella.” 

Tessa sussultò. Da quando quella faccenda era iniziata, lei non aveva mai fatto piani per il futuro. Non aveva mai pensato a cosa sarebbe venuto dopo la missione. Tutto per lei si fermava al momento in cui si sarebbe resa conto di essere riuscita a cambiare il futuro di Lena.

Lo chiamava ‘il futuro di Lena’, ma Lena non avrebbe avuto comunque alcun futuro e così aveva pensato per se stessa. 

Non che pensasse alla morte. L’aveva messa in preventivo come tante altre cose, ma non era per quello che non pensava al ‘dopo’. Era per la paura. Sollevò lo sguardo su Erik e parlò con tutta la sincerità che poteva permettersi.

“Una volta mi hai detto che odi le menzogne. Voglio dimostrarti che tengo a te dicendoti anche io la verità. Quando ho scaricato la memoria di Lena ho sentito le sue emozioni. Mi ero ripromessa che non mi sarei fatta coinvolgere da quello che lei provava per voi, da voi due. Ho giurato a Pierce di consegnarti perché tu non eri niente per me. Ho preso informazioni su Charles. Sapevo in che stato versava quando gli ho scritto la prima volta. Ho usato di proposito la mia somiglianza con Lena su di lui. L’ho tirato in questa storia per avere il suo aiuto sapendo che lo avrei messo a rischio e non mi importava. L’unica cosa che contava era cambiare il futuro. Io volevo dare un senso alla mia vita e distruggere quello che avevo involontariamente contribuito a creare con mio padre.” Si fermò a tirare un respiro a pieni polmoni e proseguì. “Ho fallito. La fragilità di Charles mi è entrata nel cuore sin dal principio e tu, beh tu, mi hai presa a pugni letteralmente. Mi hai mostrato che tenere a qualcosa significa sanguinare per essa. Mi hai resa umana. Te ne sono grata, Erik.” 

Il tedesco si sedette di nuovo accanto a lei le prese il viso con una mano.

“Potrei innamorarmi di te. E non perché somigli a Lena ma perché sei diversa da lei. Tu sei una guerriera. Con te al mio fianco, quante splendide cose potrei realizzare.”

Tessa sorrise.

“Vorresti sapere le conseguenze di questa scelta?” Lui scosse il capo.

“Me ne pentirei. Lo so già. Meglio sognare.”

“Erik Lehnsherr un sognatore?”

Accadde in quel momento. Le labbra di Erik si allungarono in un sorriso che Tessa non gli aveva mai visto fare e che le diede comunque un forte senso di nostalgia. Era un sorriso buono, aperto e genuino. Il sorriso di un sognatore. Si sporse in avanti e lo baciò.

Erik chiuse gli occhi e strinse appena la presa sul suo collo. Quando lei si staccò dal suo viso, l’accarezzò.

“Tu sei la mia Tour Eiffel.” Disse lei piano.

“Nessuno mi aveva mai chiamato così. Sai? Potrei amarti, Tessa, potrei. Se tu ti lasciassi amare da me.”

“Sarebbe facile.”

“Sarebbe bello.”

“Non hai detto ‘ti amo’ però.”

“Già.” Disse lui alzandosi e raggiungendo la porta. “Facciamo quel che dobbiamo. Abbiamo tempo.” 

Lasciò la stanza senza voltarsi a guardarla e Tessa si guardò le mani fasciate. 

Erik amava Lena. Lo aveva baciato perché aveva visto la parte di Erik che Lena amava di più. A fatica si sdraiò nel letto e chiuse gli occhi. 

Doveva pensare solo alla missione. Non doveva farsi condizionare da quelle emozioni. Si addormentò per il dolore e la stanchezza.

 

Charles la guardava dormire già da una buona mezz’ora.

Aveva parlato con Erik del piano ma il tedesco non sembrava ben disposto ad approfondire i dettagli. Si era seduto ad un tavolo del night club con una bottiglia di whiskey e sembrava più propenso a finire quella che il discorso con lui.

Si era deciso a sfiorare la sua mente solo per scoprire che pensava a Lena. Così l’aveva lasciato solo e aveva raggiunto Tessa.

La ragazza sembrava soffrire, così si era portato due dita alla tempia e l’aveva condizionata con il suo potere facendola cadere in un sonno ancora più profondo.

Di cosa avevano parlato lei ed Erik? Avevano parlato di Lena?

Rievocò il ricordo di lei la notte prima che partissero per Cuba. Gli aveva confessato il suo amore e lui le aveva detto che gli rendeva difficile rimanere l’uomo che lei amava.

Tessa si mosse nel letto e lui trattenne persino il respiro. 

Che senso aveva avuto essere tanto corretto e responsabile? Avrebbe dovuto stringerla quella notte stessa. Tornò a guardare Tessa e scoprì che i suoi occhi erano aperti.

“Una moneta per i tuoi pensieri, professore.” Lui sorrise.

“Pensavo che non riesco più a vedere la somiglianza, sai?” Lei finse di offendersi.

“Sono messa così male?” Chiese alludendo alle ferite al viso.

“No!” Esclamò Charles. “Non intendevo questo!”
“Calmati, professore, scherzavo.”

“Io no. Dopo tutto quello che abbiamo passato ti guardo e non vedo niente altro che te. Quando te nei sei andata da Giverny, non ho creduto neppure per un momento che non ci sarebbero state conseguenze riguardo alle tue decisioni. Sono stato un vigliacco a lasciarti andare via a quel modo. Sapevo che saresti finita nei guai. Sono stato sulle spine e quando Lucy è venuta a chiedere aiuto, non ho pensato al fatto che Washington potesse essere più importante.”

“Te ne sono grata. Lo sono ad entrambi.”

“Anche Erik era in pena.”

“L’ho visto.” Charles si mosse sulla sedia come se fosse ancora sulle spine e Tessa se ne accorse. “Cosa c’è?”

“Prima di andartene mi hai detto che l’Hellfire era la tua casa. Ho preso una decisione. Io distruggerò l’Hellfire. Brucerò ogni singolo pezzo di quella maledetta organizzazione. Tu sarai libera.”

Tessa sentì qualcosa tirare dentro. Aveva sempre pensato che non sarebbe mai stata libera, che anche se avesse cambiato il futuro delle sue visioni, avrebbe finito con il rimanere comunque incastrata nell’organizzazione di suo padre. Sgominarla, per lei sola, era impossibile, ma Charles poteva riuscirci? Poteva riuscirci l’uomo che era in grado di controllare la mente delle persone, l’uomo che poteva essere Dio? 

Le parole di Charles avevano il profumo di un sogno che diventa realtà.

Che diavolo stava succedendo? Prima Erik che le chiedeva di pensare al futuro e ora Charles che le parlava di libertà.

“Non sono certa che sia così semplice.” Disse, più per non illudere se stessa che per contraddire Charles. L’espressione dell’uomo la colpì e capì che stava parlando alla sua mente.

‘Posso farlo. Posso farlo insieme a te. Devi solo tenermi la mano. Essere la mia coscienza quando il mio potere sarà più forte di me.’

Tessa sentì gli occhi inumidirsi e lasciò che lui leggesse i suoi pensieri, tutti i suoi pensieri.

‘Ho paura di non avere la forza di andare fino in fondo se ti prendessi la mano ora. Ho paura di vedere il mio futuro e di non riuscire a rinunciarci.’

“Non farlo.” Disse Charles ad alta voce allungando una mano. Lei la guardò per un istante che sembrò lunghissimo poi tese la sua. Quando stava per stringere quella di Charles, sollevò gli occhi.

“Ho baciato Erik.” Vide che Charles non spostava lo sguardo, né ritirava la mano.

“Allora adesso bacia me. Non ti perderò. Non mi tirerò indietro. Combatterò per quello a cui tengo. E’ stato proprio Erik a dirmi di farlo.”

Tessa prese la mano di Charles e la strinse. Lui le sfiorò la fronte con la propria e avvicinò le labbra alle sue fino a che lei non si tese a toccarle.

Il bacio che ne seguì non fu come quello con Erik. Fu uno sfiorarsi di labbra ma ebbe il potere di unire le loro menti.

Charles vide la forza e la debolezza di Tessa e il suo desiderio di riscatto. Tessa vide i timori di Charles ad adoperare i suoi doni e il suo desiderio di farlo comunque.

Il Professore vide Tessa che si sforzava di essere Lena e Sage vide Charles che temeva di non essere come Erik. 

“Non devi essere lui.” Gli respirò sulla bocca.

“E tu non devi essere lei.”

“Potresti amare una cinica calcolatrice priva di emozioni come me?” Chiese lei lasciando che una lacrima le sfuggisse dagli occhi. Lui le prese il viso tra le mani, facendo di nuovo toccare le loro fronti.

“Ti amo già, Tessa Shaw. Dovevo dirtelo prima della fine, qualunque essa sia.” Lei chiuse gli occhi.

“Allora resta con me. Fino alla fine e, se possibile, anche dopo.”

“Lo farò.”

Charles la strinse avendo cura di non toccarle le ferite ancora fresche. Il cellulare che aveva chiesto in prestito a Calibano scivolò a terra ma lui non se ne curò.

Era come se in quel momento qualcosa che era andato in pezzi tanto, tanto tempo prima, si fosse rimesso a posto come per magia.

  
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