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Autore: Sheep01    08/10/2020    1 recensioni
[IT, Principalmente Movieverse, possibili accenni a Doctor Sleep]
Ogni giorno gli sembrava andasse un po' meglio, fino a quando non si trovava di nuovo a pensare a cosa avrebbe potuto fare per impedire quell'orribile, definitivo epilogo.
Se solo quel drammatico giorno avesse interpretato in modo fulmineo quello che le luci gli avevano suggerito. Quello che aveva visto, attraverso l'infinito mistero dei Pozzi Neri. Ma Eddie lo aveva strappato al suo tragico destino troppo presto, troppo rapidamente perché potesse assorbire appieno quello che la sua coscienza sul futuro gli stava rivelando.
Genere: Dark, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Cross-over, Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO 7

 

Richie non ricordava affatto di essersi alzato dal letto. Non ricordava nemmeno come avesse fatto a vestirsi a uscire di casa e attraversare mezza città.

Si trovava di fronte allo spiazzo che aveva ospitato la casa di Neibolt. Il terreno ancora disordinato, le macerie ancora non del tutto rimosse, a imprigionare ciuffi d'erba ribelli che cercavano il sole.

Tutt'intorno un silenzio irreale.

La città dormiva, così come avrebbe dovuto fare lui, invece di starsene laggiù, nel bel mezzo della notte. Una notte inspiegabilmente luminosa.

Cominciò a pensare di essere diventato sonnambulo quando si rese conto di non provare freddo. Nonostante non indossasse che una camicia che... non aveva più indossato dal giorno in cui Eddie era morto. O scomparso, se voleva indorarsi la pillola con una parola meno mostruosa.

Una camicia di cui non si era liberato, ancora impregnata del suo sangue. Non aveva avuto il coraggio di farlo, come se quel sangue fosse l'unica cosa concreta che gli fosse rimasta di Eddie. Patetico, ma straordinariamente consolatorio.

Abbassò lo sguardo senza ritrovare quelle penose macchie di sangue rappreso, color ruggine. La camicia immacolata, come il giorno in cui l'aveva indossata. Come il giorno prima di essersi infilato nella tana del mostro.

Avvertì un singhiozzo scioccato emergergli dalle labbra, il fiato che faticava a uscire. Quella non era la sua camicia, non poteva esserlo o qualcuno aveva appena commesso l'ultimo errore della sua vita, lavandogliela. Ma il sangue, lo aveva imparato a sue spese, non è una di quelle cose che si eliminano facilmente e la sua camicia, lo ricordava bene, era infagottata in una tasca del suo borsone da viaggio. Quello stesso borsone che se ne restava, inviolato, in un angolo dell'appartamento di Mike.

Rialzò la testa, guardandosi attorno alla ricerca di altri indizi, qualcosa che gli dicesse cosa ci fosse di sbagliato in quella situazione.

E ben presto si rese conto che la notte era luminosa sì, ma non grazie alla luce dei lampioni che irradiavano un bagliore irreale come tutte le cose che gli gravitavano attorno. E le case, persino, sembravano pervase da una luminescenza fittizia, spettrale.

«Che diavolo significa?» sussurrò, rendendosi conto che persino la sua voce risuonava ovattata, affettata, in quell'atmosfera statica. In equilibrio.

Come in equilibrio su due... mondi, realizzò, mentre nella sua mentre si faceva strada un'idea malsana, ma piuttosto plausibile dati gli avvenimenti del tutto straordinari delle ultime ore, degli ultimi giorni.

«Eddie», disse solo una volta, lasciando che la sua voce accarezzasse i dintorni, rimbalzasse sulle case, per le strade.

«Richie», alle sue spalle. Socchiuse gli occhi, in parte confortato dal fatto di aver avuto ragione, in parte frustrato all'idea che probabilmente quello non era che un sogno.

«Non posso nemmeno riposare in santa pace...» esordì, voltandosi, ritrovandolo a pochi passi. Concreto, visibile come il giorno prima, quando lo aveva incontrato assieme a Stan.

Ma se in quell'occasione sapeva di parlare con lui, attraverso un inspiegabile velo fra due mondi, come doveva prendere una cosa simile?

«Stiamo... sognando?» la risposta alle sue domande arrivò rapida e concisa, proprio dalle labbra di Eddie.

«Elementare Watson.»

«Stiamo sognando... entrambi?»

«Immagino di sì, per quanto poco... elementare sia.»

«Ero dall'altra parte della città. Stan mi ha portato nel posto in cui si è sistemato: una casa sfitta vicino alla biblioteca... ed ora sono qui e...» sembrò rendersi conto solo in quel momento della mancanza della villa di Neibolt.

«S-siamo nel mio sogno o nel tuo?»

Richie si strinse nelle spalle: «Magari in quello di entrambi. A quanto pare non riesco a liberarmi di te, nemmeno quando dormo.»

«Potrei dire lo stesso», ma Eddie stava sorridendo ora.

Era strano parlare con lui, ancora più strano farlo sapendo che era un sogno e che riusciva a pilotarlo più di quando riuscisse a fare con i suoi poteri psichici.

«Se funziona come i sogni è molto probabile che domani mattina non ricorderemo un accidenti di niente. Non li ricordo mai i miei di sogni», disse Richie. Mentre con gli incubi, con quelli era molto diverso. Aveva avuto incubi costanti da quando era tornato a Derry. E li ricordava tutti. Tutti quanti.

«Peccato», commentò Eddie, concordando sulla precarietà della propria memoria, «perché stavo per chiederti se avessi parlato agli altri, di quello che è successo lo scorso pomeriggio.»

«Posso raccontartelo ugualmente e sperare per il meglio?»

Eddie si strinse nelle spalle e gli venne incontro, accorciando le distanze. Incredibile come gli sembrasse molto più concreto in sogno di quanto non fosse mai successo durante le precedenti volte che era riuscito a mettersi in contatto con lui. Si chiese se, allungando la mano, avrebbe avuto almeno l'illusione di toccarlo. Il ricordo di come era toccarlo.

Richie gli raccontò tutto quello che si erano detti a casa di Mike. Della tartaruga, della sua presunta progenie. Della possibilità di contattarla di nuovo e Eddie sembrò ragionarci su in modo molto serio.

«Ricordate quella volta che tu e Mike siete finiti in una tenda per la prova del fumo? Quell'antico rituale indiano a cui ci siamo sottoposti. Quella volta che avete avuto la visione di Pennyise che arrivava sulla Terra, milioni di anni fa?»

Richie dovette sforzarsi molto per ricordare, ma improvvisamente qualcosa si sbloccò nella sua memoria. Alcuni ricordi ancora intrappolati fra le pieghe del tempo. Ricordi che It si era preoccupato di nascondere per ventisette anni.

«Piccolo genio che non sei altro!» si illuminò tutto «Come ho fatto a non pensarci prima?»

Eddie gli sorrise.

«Non che sia così sicuro di volerci riprovare, Spaghetti, stavo per soffocare là dentro.»
«Solo tu? Io credevo di morirci, per quello sono uscito...»

«Tu e la tua asma fasulla.»

«Io e i miei attacchi di panico. Questo erano. Solo stupidi, ingiustificati attacchi di panico.»

Richie lo guardò con consapevolezza. Lo aveva sempre sospettato. Forse saputo e dimenticato. E la sua convinzione si era concretizzata il giorno in cui Eddie era morto. Il giorno in cui aveva rinunciato a quel suo respiratore del cazzo.

«Ingiustificati non direi, Eddie...»

Lo vide scuotere la testa, arreso a una evidente realtà.

«Ne ho avuti di continuo, spesso, senza la scusa di Pennywise. Ne ho avuti tanti durante il liceo, il giorno in cui mi sono laureato, quello in cui mi sono sposato, ne ho avuti pochi, costanti, dal giorno in cui è morta mia madre. Ne ho avuto uno prima di venire qui, a Derry.»

«E poi hai affrontato un clown divoratore di bambini senza averne.»

«E sono morto.»

«Eddie...»

«È stato quel che è stato», lo prevenne, «non sto cercando scuse. Solo che ho creduto di essere malato per una vita intera e il giorno in cui ho capito di non esserlo per davvero... è finita.»

A Richie si strinse lo stomaco a quell'affermazione. Poteva dargli torto? No. E nemmeno riusciva a pensare a un modo per consolarlo. Perché era lui stesso inconsolabile. Ancora riluttante a pensare che fosse successo davvero.

«Non è finito un bel niente, Eddie», gli disse, «ci stiamo lavorando, no? Abbiamo occupato casa a Mike, ingaggiato un veggente con i superpoteri, ritrovato Stan, Dio santo, Stan... cercheremo di affumicarci alla ricerca di una tartaruga cosmica... col cazzo che è finita.»

Eddie rialzò su di lui uno sguardo colpevole.

«Lo so. Scusa è che a volte è davvero... davvero difficile credere che questa cosa stia succedendo sul serio», lo sentì respirare e fu certo di avvertire lo spostamento d'aria di quella semplice, all'apparenza insignificante, azione.

«Fallo di nuovo», gli disse, improvvisamente allarmato.

Eddie gli lanciò uno sguardo perplesso.

«Cosa?»
«Sbuffare. Sbuffa di nuovo.»

«Richie... sei impazzito?»

Avrebbe potuto allungare una mano e constatare di persona, ma la paura di sfiorare di nuovo aria era troppo grande per fare un tentativo senza prove.

«Soffiami sulla mano.»
«No? Ma che cazzo? Cos'è, una perversione di cui non ero a conoscenza?»
«Oh, amico mio, il tuo cervello non riuscirebbe a reggerle le mie perversioni. Fallo, forza. Ho bisogno di una prova.»

«No che non lo faccio.»
«Oh, bene, d'accordo. Allora lo faccio io», e così dicendo si avvicinò al suo viso e soffiò quel tanto che bastò a scompigliare appena il ciuffo di capelli che ricadevano a Eddie sulla fronte.

Se ne rimase qualche istante così a fissare lo spostamento, sebbene leggerissimo, come una visione spirituale.

«C-che d-diavolo... ?» sentì sussurrare Eddie, mentre si portava una mano alla fronte, realizzando solo in quel momento la portata di un tale gesto, «mi hai appena... alitato in faccia?»

Ma Richie non fece in tempo a realizzare che quella non era che un'uscita infelice perché l'attimo successivo si ritrovò le sue braccia al collo. E per la prima volta dopo giorni ad averlo solo sperato, riuscì a percepire il calore del suo abbraccio.

Si rese conto di non averlo fatto per anni. Che dal giorno in cui si erano rivisti quasi nemmeno si erano sfiorati. Se non nell'ultimo istante della vita di Eddie.

Gli restituì la stretta, incredulo di poterlo fare davvero. Di sentire il suo corpo solido e pulsante di vita, aderire al proprio. Eddie che era cresciuto ma era rimasto minuto, così piccolo nelle sue braccia.

Come era possibile fare una cosa del genere se si trattava solo di un sogno? Era forse l'idea di poterlo abbracciare, il desiderio o il ricordo di come era stato farlo, a concretizzarne la memoria?

Domande di cui non gli importava davvero una risposta, ora che poteva finalmente sentirlo.

Eddie non da meno sembrava volerlo stritolare tanto si aggrappava a lui come se ne dipendesse della sua vita. E forse in fondo era davvero così.

«Sei sicuro sia solo un sogno, Richie?» la voce di Eddie soffocata dalla stoffa di quella sua camicia.

«Ho paura di sì», rispose a mezza voce, per timore che le sue corde vocali tradissero la sua emozione.

«Sei sicuro che non ricorderemo niente una volta svegli?»

«Non lo so.»

«Perché questo non lo voglio dimenticare».

Richie si rese conto che il suo cuore aveva preso a battere più rapido, che il suo viso si era fatto incandescente.

«Nemmeno io», non gli rimase che confessare.

Avrebbe voluto dirgli tante cose, dichiarargliene altrettante, ma gli sembrava inutile e superfluo accelerare gli eventi. La tenace speranza che avrebbe potuto farlo di persona, una volta giunti al termine di quell'impresa. A lungo, in modo che contasse più di qualche frettolosa frase, pronunciata un sogno.

«Sento la voce di Mike», esalò strozzato, avvertendo uno strappo alla base dello stomaco. La sensazione che il sogno si stesse frantumando e che non potesse fare nulla per trattenerlo.

Sentì la presa di Eddie farsi ancora più tenace, cercando di trattenere brandelli di lui, il più a lungo possibile.

«Ci rivediamo presto», lo sentì pronunciare, mentre il paesaggio tutt'intorno a sé si sgretolava in pulviscolo onirico.

Ad un tratto Eddie non era più nelle sue braccia, improvvisamente le luci sembrarono svanire per lasciar spazio all'oscurità più profonda.

Chiuse gli occhi e quando lì riaprì venne accecato da quello che non poteva essere altro che un raggio di sole piuttosto molesto.

«Richie! Rich...» una mano sulla spalla a scuoterlo in modo piuttosto concreto.

«S-sì. Sono Richie. Che c'è? Cosa?»

«Parlavi nel sonno, stavi stritolando quel cuscino come volessi ucciderlo», Richie lo guardò in viso cogliendo del sollievo, «un altro incubo?»

Richie si mise a sedere sulla branda che stava occupando, Ben e Beverly ancora addormentati, Danny disperso chissà dove, solo Bill, sveglio al tavolo della cucina con una tazza di caffè caldo fra le mani.

«Non lo so. Non credo, non me lo...» sgranò gli occhi, mentre strascichi del sogno si stavano allontanando irreversibilmente, «la prova del fumo!»

Mike quasi si ritrasse all'esclamazione, osservando alternativamente lui e Bill.

«Mike, dobbiamo rifare la prova del fumo. Ha funzionato con Pennywise quando eravamo bambini. Può funzionare ora per trovare la tartaruga.»

«La prova del... ?» lo guardò Mike perplesso per qualche istante, prima che il ricordo, cominciasse a materializzarglisi nella testa, «la prova del fumo! Ma certo!»

«Ma di che diavolo state parlando?» domandò Bill, allargando le braccia.

«Richie ha appena trovato un modo per contattare quella tartaruga del cazzo!»

«Ehi, modera i termini è pur sempre un Dio», lo rimproverò Bill, scioccato «Se lo fai incazzare potremmo ritrovarci catapultati in un universo dove piovono ciambelle».

«Mica male come universo, dove devo firmare?» intervenne Richie, sollevato come nemmeno gli avessero comunicato la formula per la vita eterna.

«Come ti è venuto in mente, Richie? Un'ispirazione onirica?»

Richie si strinse nelle spalle.

«Suppongo? È l'unica cosa che ricordo...» disse. E sebbene la sensazione di un abbraccio fosse ancora viva e presente sulla sua pelle, era ben lontano dal sapere che il suggerimento sul rituale indiano non era certo la cosa più importante di quello stupido sogno.

 

*

 

Eddie si era svegliato al suono dei passi di Stan per la casa. Nella testa, solo gli strascichi di un sogno particolarmente piacevole. Era certo avesse a che fare con Richie, ma non volle indagarne la natura. Deludente anche solo pensare che ultimamente riuscisse a ricordare solo gli incubi.

Si guardò attorno, cercando di abituarsi all'idea di aver dormito in un letto vero e non sulla panchina di un parco o il divanetto di una biblioteca, con l'eterna paura di diventare improvvisamente visibile agli abitanti di quella Derry.

La casa che avevano occupato era arredata in modo provvisorio. I vecchi proprietari avevano lasciato il minimo indispensabile per i nuovi acquirenti, nel caso volessero tenere i mobili e integrarli o liberarsene senza sforzi. C'era da essere grati per il letto e l'arredo spartano della cucina.

Il profumo di caffè accarezzava l'aria e decise di rimettersi in piedi, riscoprendosi di nuovo affamato.

«Ehi...» mormorò con voce ancora impastata dal sonno, dopo aver raggiunto Stan in cucina. Ritrovandolo indaffarato ai fornelli.

«Buongiorno Eddie», gli rispose con un mezzo sorriso. Incredibile come ancora fosse sorpreso di aver finalmente qualcuno con cui parlare. E non di meno qualcuno che aveva creduto morto (che era... morto) non meno di un mese prima.

«Mi domando che scena surreale sarebbe se qualcuno entrasse qui dentro all'improvviso», domandò Eddie, passandosi una mano fra i capelli scompigliati, annusando l'aria che sapeva di toast e uova fritte, «vedrebbero le cose muoversi da sole? Tipo spostate da un... fantasma?» non volle aggiungere che tecnicamente loro potevano esserlo, dei fantasmi.

Stan scrollò le spalle: «Un buon pretesto per tenere alla larga gli avventori. E poter usufruire della casa il più a lungo possibile.»

«Prima dell'arrivo di un esorcista», aggiunse Eddie, divertito.

«Gli esorcisti sono per il demonio. Per i fantasmi ci vuole un medium.»

«E chi chiamerai?».

«Ghostbusters!» canticchiò Stan riempiendo di uova due piatti, prima di porgerne uno a Eddie che stava ridacchiando.

«Grazie. Non dovevi.»

«Ah, non è niente...» disse, andando a sistemarsi al tavolo. Eddie lo seguì «a casa preparo sempre io la colazione. È un'abitudine.»

Eddie lo sbirciò appena, cercando di capire se si fosse reso conto di quello che aveva detto. A casa. Pensare a casa aveva un che di assolutamente pazzesco e forse anche irrilevante a conti fatti. A titolo personale non riusciva a mantenere viva e godibile la realtà in cui aveva vissuto prima di quel trapasso. A quanto pareva per Stan non era così. Forse perché non aveva affrontato Pennywise una seconda volta. Forse perché non aveva dovuto contrastare l'orrore per la seconda volta. La sua vita, il suo corpo, ancora aggrappati alla sua vecchia vita. Eddie alla vecchia vita non ci teneva. Non teneva alla sua casa, ottenuta con immensi sacrifici, non al suo lavoro che non riusciva a gratificarlo, non alla moglie. Myra. Da quanto tempo non pensava a Myra? Un dettaglio che di lui e delle sue priorità poteva dire molto.

«Da quanto sei sposato?» gli chiese, trascinato dal pensiero coniugale. Nelle orecchie ancora i singhiozzi rotti della moglie di Stan, che comunicava loro il suo suicidio, la sera che aveva mancato visita al ristorante.

«Dieci anni, più o meno», gli rispose, passandogli del caffè nero e un tovagliolo, «fidanzati da cinque».

«Quindici anni insieme.»

«Sedici, se conti l'anno in cui ci siamo conosciuti.»

Eddie notò l'espressione quieta e affettuosa sul volto di Stan. Doveva amare molto la moglie. Per quello gli parve ancora più tragico l'averla abbandonata, mettendo fine alla sua vita con un gesto tanto eclatante. Stan sembrò leggergli nel pensiero, quando riprese a parlare.

«Non ero esattamente in me, quel giorno», disse, senza guardarlo in viso. Continuava a imburrare il suo pane tostato, come se lo stesse informando del tempo. Un modo come un altro per deviare l'attenzione dalla sua agitazione, «è come se qualcosa di oscuro si fosse scatenato nel mio cervello. Qualcosa che mi ha spinto a credere che non ci fosse alcuna soluzione. Alcuna via d'uscita.»

Lo guardò posare il pane e posare i gomiti sul tavolo, lo sguardo sempre perso nel vuoto.

«Non ho pensato alle conseguenze. Non al fatto che potesse essere proprio una punizione di Pennywise per aver ricordato. Il suo tentativo di rendervi vulnerabili spezzando il nostro legame, facendo fuori uno di noi. Ci ho ragionato tanto, troppo forse, e questa è l'unica risposta che mi sono dato», finalmente alzò gli occhi, «avevo promesso. Non vi avrei abbandonati. Non avrei mai lasciato Patty. Per quanta paura potessi avere, non lo avrei mai fatto... non in quel modo...»

Eddie annuì, senza sapere esattamente che altro dire.

«Non vedo l'ora di riabbracciarla, sai? Anche se probabilmente sarà traumatico per lei sapere che sono ancora vivo.»

La sua sicurezza nella risoluzione della vicenda, come non fosse altro che uno scomodo, temporaneo inconveniente, destabilizzò un po' Eddie. Lui che di certezze non riusciva a ricavarne nessuna.

«Penso che sia un trauma che sarà disposta ad affrontare...» a nessuno viene data una seconda possibilità del genere. A quanto pare lui e Stan erano l'eccezione che confermava la regola.

Una nuova possibilità. La prospettiva lo atterriva ed elettrizzava al tempo stesso.

Avrebbe potuto redimere ventisette anni di una vita che non gli era mai appartenuta veramente?

«E tu che mi dici? Sei sposato, Eddie? Mi sono appena reso conto di non sapere un accidenti di niente di voi... a parte Bill che fa lo scrittore e... che Richie sembra rimasto lo stesso.»

Eddie sorrise appena, lieto di quel cambio d'argomento, un po' meno di portare Myra sul piatto.

«Sì, sì sono sposato... o ero. Francamente non lo so più.»

«Che significa?»

Eddie fece schioccare la lingua, indeciso se tergiversare ancora o essere sincero. Che aveva da perdere, dopotutto? Stan era stato uno dei suoi migliori amici. E avevano condiviso e stavano condividendo più di qualsiasi cosa avrebbe mai condiviso con Myra.

«Che dopo tutto quello che è successo, dopo essere tornato a Derry e aver ricordato tutto quanto... non sono più così sicuro di voler tornare alla vita di prima. Sconfiggere Pennywise, recuperare un'identità che mi è stata negata per ventisette anni, Stan, io non credo di voler tornare indietro.»

L'uomo gli rivolse un'occhiata seria, ma straordinariamente comprensiva.

«Ho passato tutta la mia vita da adulto a evitare i traumi, proprio come facevo da bambino. Solo che con voi ero riuscito a superarle certe paure, ero riuscito a cambiare. Prendendosi i nostri ricordi IT si è portato via anche tutti i progressi che avevo fatto, grazie a voi o grazie a me stesso, insomma... ho vissuto una vita intera nella paura. E sono così stanco di avere paura.»

Stan lo osservava impassibile, come aspettasse una conclusione.

«Myra, mia moglie, è solo una delle conseguenze delle mie paure di una vita. Qualcosa che non credo di volere se ce ne andremo da qui.»

«Quando...» lo corresse Stan, «quando ce ne andremo da qui.»

Eddie serrò le labbra ma poi, si ritrovò ad annuire: «Quando», confermò.

«Mi sembra il minimo che possiamo fare, visto che ci è stata data una seconda possibilità, Eddie. Vivere le nostre vite liberi dagli incubi. Noi e tutti gli altri... qual è la prima cosa che intendi fare una volta di nuovo a Derry. La nostra Derry?»

Abbracciare Richie, pensò come un riflesso incondizionato, senza doverci ragionare troppo a lungo.

«Distruggere le fogne di Derry?» disse invece ed entrambi scoppiarono a ridere.

«Ora ti prego, raccontami degli altri...» gli chiese Stan.

Eddie lo fece.

 

*

 

Si erano spinti di nuovo in quello che era il rifugio sotterraneo di Ben, Richie e gli altri.

Danny era rimasto piuttosto impressionato dal prodigio architettonico ideato da un ragazzino di soli tredici anni. Le fondamenta sembravano essere più solide di tante catapecchie in cui era vissuto nella maggior parte della sua vita adulta e ci aveva tenuto a metterne al corrente i Perdenti, facendoli ridere, allentando la tensione.

Nessuno di loro sembrava particolarmente felice di rivivere l'esperienza soffocante del rituale indiano, tutti improvvisamente memori di quello che era successo ben ventisette anni prima.

«La sola differenza ora è che esistono gli smarphone», commentò Bill, «in caso di necessità, intendo.»

«All'ospedale di Derry cominceranno a pensare che li abbiamo presi per una struttura di villeggiatura», lo riprese Richie, contando che da quando erano riemersi dalle fogne di Derry erano finiti in massa al pronto soccorso per medicazioni di varia natura.

«Non finirà così, ragazzi, andiamo», intervenne Beverly, «ce la siamo cavata la prima volta.»

«Con polmoni messi meglio di come stanno messi a quarant'anni suonati.» le rispose di nuovo Richie.

«Avresti potuto tenere di più alla tua salute e smettere di fumare per tempo», lo rimbeccò lei di nuovo.

«Ehi, credevo che di Eddie ne bastasse uno! E poi senti chi parla!»

«Volete smetterla voi due?» si frappose bonariamente Ben, «la prima regola resta che chiunque non riesca a respirare, non giochi all'eroe ed esca prima di dover chiedere aiuto a chicchessia.»

Richie annuì indicandolo e facendo una smorfia a Beverly che ancora non aveva smesso di guardarlo in cagnesco.

«Mentre il primo a cui parte il trip, si diverte anche per tutti gli altri». Disse Richie sorridendo a Danny che di quel rituale ci aveva capito poco e niente. Non aveva esitato un istante ad acconsentire di partecipare, però.

«D'accordo, vediamo di darci una mossa...» esalò Mike che si era procurato tutto il necessario per fare un bel po' di fumo in quel buco che una volta era stato il loro santo ritrovo di fanciulli.

Si misero tutti in cerchio attorno a un mucchio di sassi di un falò improvvisato. Avevano estratto chi doveva restare fuori in caso di pericolo e il fato, o chissà che altro, aveva deciso che i predestinati a quell'esperienza fossero Richie, Danny, Beverly e di nuovo Mike. Bill e Ben all'esterno a monitorare la situazione. Smartphone alla mano.

«D'accordo», disse Richie mentre le braci del fuoco spento cominciavano a rilasciare il fumo in larghe, minacciose spirali. Richie avvertì distintamente il sangue scorrergli nelle vene, presente e pulsante come poche altre volte, «it's showtime!»

Il fumo cominciò a riempirgli le narici finché non divenne così ingombrante nei suoi polmoni da costringerlo a tossire alle lacrime.

Sentì la mano di Beverly stringersi alla sua, quella di Danny nella parte opposta. Colpi di tosse sparsi si facevano largo nel silenzio della tana, finché anche quelli non divennero che suoni ovattati, lontani.

Avvertì un tonfo da qualche parte, un movimento che riuscì solo ad associare a una fuga. Passi in corsa, mentre uno spiraglio di luce riempiva la tana rimasta oscura per qualche istante.

Mike se n'è andato, fu il suo unico pensiero razionale, prima di sentire i sensi scomporsi, uno dopo l'altro. La testa in procinto di esplodere per il troppo fumo, i vapori mefitici di quel composto messo a punto per il rituale che si faceva man mano più leggera.

Il momento successivo gli sembrò di non avere più nemmeno bisogno, di respirare.

Le mani intrecciate a quelle di Beverly e Danny.

Quando finalmente riaprì gli occhi si ritrovò in un posto oscuro ma inondato della luce di milioni di stelle, di galassie.

«Dove siamo... finiti?» esalò Beverly, gli occhi enormi, spaventati, il volto livido come se ancora stesse trattenendo il respiro. Richie le strinse più forte la mano.

«Non lasciarmi», la incoraggiò a modo suo, scioccato dalla vastità annichilente in cui erano immersi. Danny, al suo fianco, osservava tutto con placida calma, come fosse abituato ad affrontare, da sempre, luoghi sconosciuti, fuori e dentro la sua mente.

«Cosa dobbiamo fare?» sussurrò Beverly, fluttuando al loro fianco ancora sorpresa ma meno atterrita.

«Aspettiamo...» le rispose Richie, sentendo che qualcosa di grosso stava per avvenire.

Ci fu un tremore lontano. Un suono che si propagava in cerchi concentrici. Richie lo avvertì nella testa, a vibrargli nelle ossa. Deciso a catalizzare su di sè tutta la loro attenzione.

Si aprì uno squarcio nel cielo. I tre alzarono la testa, lasciandosi inondare dal pulviscolo di quella luce azzurra e straordinariamente calda, benevola.

Richie sentì il corpo di Beverly al suo fianco, che si stringeva a lui. Danny ancora teneva la sua mano.

Si sentì fremere di un'emozione scomposta e incomprensibile quando dallo squarcio comparve l'enorme testa di una tartaruga. Tutt'intorno a lei uno sciame di altre piccole tartarughe che venivano verso di loro, nuotando nell'aria, in semi cerchio.

Man mano che si avvicinavano, le tartarughe aprivano altri piccoli squarci nel manto celeste da cui erano circondati. Alcune sparivano attraverso piccoli portali dorati, altre scomparivano, semplicemente disintegrandosi.

«Che cos'è questo?» sussurrò Beverly, affascinata. Richie non aveva una risposta per lei, ammutolito dallo spettacolo di luci che si riflettevano nelle lenti dei suoi occhiali. Ma ce l'aveva Danny.

«La nascita di centinaia di universi», disse solo e Richie seppe che aveva ragione.

I grandi occhi della tartaruga gigantesca erano fissi su di loro. Si chiese se fosse un altro dio o la tartaruga che aveva tentato di aiutarli quando erano ancora ragazzini. Forse era solo l'indizio di come si erano svolte le cose. Così come la visione che lui e Mike avevano avuto, dell'arrivo di IT dallo spazio. Quello era solo un ricordo di ciò che era già accaduto, chissà quanti anni prima.

Si concentrò all'improvviso sul carapace di una piccola tartaruga che sembrava nuotare direttamente verso di loro. Le piccole pinne o zampe, non riusciva a dirlo, che si muovevano nell'aria con un che di delicato e buffo. Si fermò a pochi centimetri da loro, in attesa o forse solo impaziente: gli stavano sbarrando la strada.

«Dobbiamo spostarci?» domandò Richie, mentre Danny scuoteva la testa.

«Ascoltate...» disse solo, e Richie avvertì un brusio che credeva di sentire con le orecchie ma che se ne stava quieto in un angolo nella sua testa.

Sette è il numero...

Sentì scandire le parole da una voce che non era né giovane né anziana. Né maschile, né femminile.

Dovete tornare in sette, come eravate sette all'origine di tutto.

Sette è il numero esatto.

Due gli oggetti.

Due oggetti per i vostri amici scomparsi.

«Quali oggetti?» Richie parlò nella sua testa.

Oggetti che portano con sé una parte di loro. Oggetti che li tengono aggrappati al vostro mondo.

«Non riesco a capire cosa... ?»

«Li riportiamo indietro con questi oggetti?» la voce di Danny anch'essa nella sua testa.

Due oggetti, sette persone. Di questo avete bisogno.

«Eddie e Stan cosa devono fare?» Beverly.
Attraversare il portale nella casa, affrontare il dolore più grande e... credere.

«Tutto qui?» domandò Richie, sarcastico, ma prima di ricevere una risposta la tartaruga riprese a muoversi, esplodendo, letteralmente di fronte a loro.

L'universo si fece incandescente. L'oro, l'argento e il blu della trapunta che li avvolgeva sembrò accartocciarsi su se stessa. La testa enorme, benevola della tartaruga cosmica si ritrasse, lasciando precipitare tutti in un'oscurità senza fine.

Richie sbarrò gli occhi, sentendo i polmoni in fiamme, il fumo tutt'intorno. Beverly stesa al suo fianco, svenuta.

«Fuori!» gridò soffocato Danny, mentre qualcuno apriva la botola sopra le loro teste.

Richie afferrò Beverly per la vita e la costrinse a uscire da lì. Le gambe che cedevano sotto il proprio peso, gli occhi e la testa che sembravano esplodergli dal dolore.

«Tutto bene? Bev!» la voce di Ben, le mani di qualcuno che lo aiutavano a uscire, che lo aiutavano a sedersi a terra che gli facevano aria.

«Che cosa è successo? È servito a qualcosa?» era la voce di Mike o forse di Bill?

«Ho bisogno di un drink», commentò Richie, sentendo la mano di Danny sulla sua spalla.

La risata isterica che ne seguì servì quantomeno a far capire che stavano bene.

 

Continua...

 

Note: mi sono lasciata un attimo trascinare dalle visioni oniriche, mi sembravano un buon modo di far evolvere la trama. A presto!

  
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