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Autore: _Cthylla_    10/10/2020    2 recensioni
[Sequel della fanfic del 2013 “The Specter Bros’”]
Dopo la battaglia che ha portato alla distruzione dell’Omega Lock, molte persone in entrambe gli schieramenti si sentono perse o hanno perso qualcosa -o, ancora, qualcuno.
Il ritorno di vecchie conoscenze più o meno inaspettate sarà destinato a peggiorare ulteriormente la situazione o porterà qualcosa di buono?
Genere: Commedia, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Autobot, Decepticon, DJD/Decepticon Justice Division, Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Transformers: Prime
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Specter Bros'- la serie'
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È venuto lungo anche questo, più di 6500 parole, quindi vale l’avvertenza del capitolo precedente. Vi avviso anche che non è prevista azione qui, è molto Spectra-centric, ma in fin dei conti con l’azione ho già dato abbastanza l’altra volta. Buona lettura, e grazie a chi sta seguendo questa storia!
 
 
 
 
 
 
 
19
(Tra sogno e realtà)
 






 
 
 
 
 


 
Una luce accecante costrinse Spectra a socchiudere le ottiche poco dopo averle aperte, abituandosi gradualmente all’ambiente. In fin dei conti quando aveva chiuso le ottiche per l’ultima volta era buio.
 
“Quindi è così una volta offline...”.
 
Si guardò attorno, anche se in realtà non c’era molto da vedere: si trovava su una sorta di “isola” in pietra, tra le rovine di un antico edificio pieno di archi e colonne, e tutt’intorno non vedeva altro eccetto un infinito specchio d’acqua piatto come una tavola.
 
“Un’eternità da sola? Mi aspetta questo? Allora forse ho fatto peggio di quanto avessi pensato” pensò “Se mi tengono lontani anche i morti”.
 
«Spectra?»
 
Aveva sentito quella voce solo una volta tempo addietro, ossia quando aveva sognato il giorno della sua nascita -o l’aveva ricordato? Era ancora insicura sulla natura di certi suoi sogni, nonostante tutto- ma, com’era ovvio che fosse, non sarebbe riuscita a dimenticare la voce di Sparkleriver Specter.
 
Dopo oltre un mese passato nella tristezza, nel rimorso, nell’incertezza e nell’angoscia, dopo una vita intera passata a convivere con una malinconia subdola, latente e costante data dall’essersi sentita sempre poco utile, poco sveglia, poco bella e poco tutto, la giovane femme era totalmente e indiscutibilmente felice. Lo era in un modo in cui non si era sentita nemmeno quando si era sposata.
 
Ci si sarebbe potuti aspettare una riunione di famiglia con più lacrime di commozione, ma quando Spectra corse ad abbracciare sua madre non pianse, anzi, fece una risata di pura gioia che contrastava abbastanza col sorriso triste sulle labbra di Sparkleriver.
 
«Lo speravo! Ho sperato tanto che una volta terminata avrei... sono contenta di vederti, mamma» disse Spectra.
 
«Io avrei preferito che ci conoscessimo di persona in una circostanza diversa, sono sincera» ammise l’altra femme accarezzandole la testa «Però anche io sono contenta di poterti abbracciare».
 
«Adesso avremo tutto il tempo, vero?» domandò Spectra.
 
Forse per una volta nella sua esistenza aveva preso la davvero decisione giusta.
 
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
 
 
«Aiutami ad aiutarti, E CHE CAZZO!» esclamò Nickel.
 
Erano passate oltre quarantotto ore dal momento in cui lei e Vos avevano portato Spectra nella Peaceful Tiranny, e in quel lasso di tempo il medico di bordo della DJD non aveva avuto un momento di pace.
Benché Helex avesse intelligentemente portato Kaon nell’infermeria della Nemesis -sapendola impegnata con un altro membro della squadra che era messo male, alias Spectra stessa- Nickel stava passando quelle ore in uno stato di costante tensione. Era riuscita subito a capire l’entità del danno alla camera Scintilla di Spectra, grave ma, nonostante ciò che sembrava all’inizio, senz’altro meno di quanto fosse stato quello di Tesarus, ed era assolutamente sicura di aver seguito tutte le procedure corrette; eppure ogni volta che si convinceva di essere riuscita a stabilizzarla ecco che i parametri tornavano a precipitare al punto da rendere quasi “rabbiosi” i segnali acustici delle macchine a cui era attaccata.
 
Proprio come stava succedendo in quei minuti.
 
Che in certi casi volontà del paziente facesse la sua parte nello scampare o meno la morte non era solo una leggenda metropolitana, Nickel era medico da parecchio tempo e lo sapeva bene, ed era proprio per quella ragione che riusciva a vedere come nel caso di Spectra la volontà ci fosse, sì: quella di andare offline una volta per tutte.
 
«Questa testardaggine dovresti usarla nell’altro senso» sbottò la minicon, spostando qualche leva di un macchinario che generava una serie di impulsi elettrici per cercare di mantenere costante l’energia della Scintilla «Giuro che se ti salvi mi sentirai!»
 
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
 
 
 «Avremo tempo, vero? Sono stata terminata, sono qui per questo… quella cos’è? Una barca? È bellissima!» esclamò Spectra, indicando un’imbarcazione che alla vista sembrava fatta di cristallo «Sei venuta qui con quella?»
 
Fuori la sua situazione era critica, ma lei in quel mondo di sogno -se poi era davvero un sogno- dal tempo tutto suo non se ne rendeva affatto conto, e forse era proprio quella gioia che sentiva a star finendo di trascinarla nel baratro.
 
«Sei curiosa come tuo solito» sorrise Sparkleriver «Sono venuta qui con quella, sì».
 
«Posso salirci su?»
 
«Puoi» concesse la femme «Però mentre facciamo un giro dovremmo parlare un po’, Spectra».
 
«Va benissimo!» annuì lei, entusiasta «Ascolta, papà dov’è? È anche lui qui da qualche parte?»
 
«Lui è un po’più lontano. Quando si è trattato di decidere chi sarebbe venuto qui ha suggerito che fossi io: non perché non desiderasse vederti» chiarì Sparkleriver mentre aiutava Spectra a salire sulla barca «Ma perché nelle fattezze somiglia veramente moltissimo a Spectrus, come sai».
 
«Somiglia a lui, però non è Spectrus. Spectrus non è stato terminato» disse Spectra.
 
La barca salpò senza che nessuna delle due facesse alcunché, scivolando sullo specchio d’acqua immobile nel modo in cui una forbice da sarto scivolava nel tagliare la seta più fine. Spectra si inginocchiò vicino a uno dei bordi e immerse una mano nell’acqua.
 
«C’è tanta pace qui» disse «Mi piace l’idea di restare per sempre. Ad averlo immaginato…»
 
«Ad averlo immaginato avresti deciso di fuggire da prima?» completò Sparkleriver, che ormai non sorrideva più e anzi, osservava la figlia con uno sguardo severo e abbastanza triste nelle ottiche color serenity.
 
L’ambiente circostante rimase immutato ma l’atmosfera sulla barca cambiò improvvisamente. Spectra continuò a tenere la mano nell’acqua. «Non credo di capire».
 
«Io invece penso che tu capisca benissimo, dopotutto non sei una sciocca» ribatté l’altra femme, incrociando davanti al petto le braccia candide  come quelle di Spectra «Io non ti ho dato la vita perché tu la buttassi via come e peggio di quanto stia facendo tuo fratello».
 
«Mi dispiace che tu l’abbia presa male ma è proprio perché stavo buttando via la mia vita e quelle altrui che ho preso la decisione che ho preso, ero convinta».
 
«“Eri convinta”» ripeté Sparkleriver «Se davvero eri convinta, spiegami quell’impulso di scappare… e ringrazio Primus che ci fosse».
 
«Quello non conta, ciò che importa è che io sia andata fino in fondo» replicò la giovane femme.
 
Spectrus le aveva descritto la loro madre come una persona dolce, carina e gentile, ma qualche volta aveva anche detto che era in grado di essere abbastanza schietta. Quello però rispetto al modo in cui si erano salutate all’inizio era un po’più di “abbastanza”.
 
“Perché fa così?” si chiese Spectra, che non provava più tutta la felicità di poco prima.
 
Riuscì a darsi da sola una risposta pensando che nessun genitore sano di mente sarebbe stato felice di sapere che la propria figlia aveva cercato la morte e l’aveva trovata. Riflettendo su questo provò reale dispiacere verso Sparkleriver e anche un certo senso di colpa. Pareva proprio che quello fosse destinato a perseguitarla anche lì.
 
«In ogni caso ormai è fatta» continuò «Almeno uno tra me e Spectrus ha smesso di essere una disgrazia per tutti quelli che lo incontrano anche solo per sbaglio, no? Quindi è meglio così».
 
«Non credo che le altre persone la pensino allo stesso modo».
 
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
 
«Io pretendo di vedere mia moglie».
 
Soundwave nel corso della sua vita si era trovato davanti ostacoli di ogni genere, tanto come gladiatore quanto come Decepticon, e avendo svariati vorn di vita alle spalle aveva vissuto parecchie situazioni inaspettate, ma fino a due mesi prima non avrebbe potuto neanche lontanamente immaginare che un giorno si sarebbe trovato a dover oltrepassare Tarn per riuscire a vedere una compagna di vita ricoverata nell’infermeria della Peaceful Tiranny.
 
«Pensavo di essere stato chiaro già all’inizio ma a quanto pare sono costretto a ripetermi: il mio medico di bordo non permette neppure al sottoscritto di entrare in infermeria, e purtroppo anche tu puoi sentire il motivo».
 
Sì, Soundwave lo sentiva, il rumore dei macchinari che segnalavano problemi era perfettamente udibile sebbene né le pareti né la porta fossero sottili, ed era proprio per quello che lui avrebbe solo voluto poter entrare.
 
Quando era tornato nella Nemesis col medico degli Autobot ancora tramortito gli era sembrato tutto normale, effettivamente per qualche ora lo era stato davvero, poi nel suo lavoro di sorveglianza era venuto a conoscenza del fatto che Helex della Decepticon Justice Division aveva portato il suo compagno di squadra Kaon nell’infermeria della Nemesis, per di più con una certa urgenza. Già da lì il suo morale abbastanza alto per la missione portata a compimento era tornato giù di botto: se qualcuno della DJD aveva riportato danni del genere era estremamente probabile che fosse opera di Spectrus Specter e, pur avendo quel gruppo di fanatici tutt’altro che in simpatia, era ovvio che Soundwave odiasse l’altro mech molto di più.
Dopo quello non aveva saputo altro per un pezzo, dunque era tornato a occuparsi del suo lavoro notando tra le altre cose che la DJD, prima che Helex portasse il ferito nella Nemesis, aveva preso in prestito una delle loro navicelle piccole. Anche quello però non era un problema, Megatron aveva dato loro carta bianca a riguardo, e non era neppure una novità considerando che anche la DJD si fidava ben poco del proprio Ponte.
 
Forse era stato anche per quello che il suo processore era piombato in una muta confusione quando Megatron era venuto da lui e, dopo avergli domandato a che punto era col lavoro, gli aveva comunicato che Spectra era nella Peaceful Tiranny e per colpa di Spectrus era messa molto male.
 
Da lì in poi lui non aveva capito più niente, ricordava di aver visto muoversi la bocca di Megatron ma non aveva ascoltato una parola, tutto quello che aveva fatto era stato precipitarsi nell’altra astronave come se l’avesse inseguito Unicron in persona. Lui e Spectra avevano grossi problemi, però non significava che i suoi sentimenti per lei fossero svaniti, dunque l’ultima cosa che Soundwave avrebbe voluto era che lei si facesse male! Anzi, se aveva insistito tanto col fatto che tornasse nella Nemesis era stato anche per quello: oltre al fatto che essendo sua moglie doveva stare con lui e non discutere, al di fuori della Nemesis c’erano maggiori rischi di essere attaccata da qualcuno.
 
In quei momenti aveva solo desiderato vederla e poterle stare vicino, diviso tra la speranza che sopravvivesse, l’ansia spaventosa che invece non fosse così e l’odio più che mai profondo verso quello che, ahilui, era suo cognato. Lei era la sua compagna di vita, era normale che si fosse sentito così e avesse sperato con tutto se stesso che non andasse offline prima di essere riusciti a fare pace. Soundwave continuava a non darsi la colpa di nulla -“Se lei non fosse fuggita, se lei fosse tornata quando gliel’ho detto, se Dreadwing non l’avesse manipolata”- ma sapeva che non si sarebbe perdonato facilmente una cosa del genere.
 
Peccato che arrivato davanti all’infermeria si fosse trovato davanti un Tarn fermissimo nel suo intento di non far passare nessuno: era malconcio -era ferito, sporco di energon suo e, aveva supposto Soundwave, altrui- con parte del volto ridotta a un macello, ma la sua scatola vocale stava benissimo e non aveva vacillato un attimo quando gli aveva detto che nessuno, incluso lui stesso, poteva entrare. Il primo pensiero di Soundwave, ben poco razionale in quel frangente e in vari altri ultimamente, era stato provare a toglierlo di torno con la forza, e forse ci avrebbe provato sul serio se Megatron non fosse arrivato dietro di lui stroncando tutto sul nascere.
 
 
 
“Sono certo che quando la situazione di Spectra sarà più stabile avrai il permesso di vederla in quanto suo compagno di vita. Tarn, conto sul fatto che entrambi verremo tenuti aggiornati”.
 
 
 
Si era dovuto accontentare di questo e, sempre conscio del nome di Dreadwing che lui aveva fatto aggiungere di straforo alla Lista, non aveva potuto permettersi di protestare più di tanto quando Megatron gli aveva detto che nonostante l’accaduto non avrebbe potuto lasciar perdere il lavoro e che avrebbe dovuto regolare le visite in base a quello: erano in una fase delicata dunque non poteva stare davanti all’infermeria della Peaceful Tiranny per tutto il tempo, azione che in ogni caso sarebbe stata inutile.
 
«Sono passate oltre quarantotto ore» disse Soundwave «Se dopo tutto questo tempo mia moglie non è ancora stabile allora devo cominciare a pensare che il tuo medico di bordo sia incompetente».
 
«Ritengo Nickel il medico più competente che sia presente su questo pianeta, se la situazione attuale con la paziente è questa significa che le sue condizioni sono più complesse del previsto» gli rispose Tarn con una certa freddezza «Occorre ricordare che la spada che ha ferito Spectra è grande almeno quanto lei».
 
«Lo so» replicò Soundwave, con lo sguardo rivolto verso la porta dell’infermeria.
 
Il senso di impotenza che provava era grande quanto la sua angoscia e la sua rabbia per tutto quel disastro, e altrettanto forte era il suo desiderio di sfogare il tutto in qualche modo. Ad aver avuto Spectrus Specter o Dreadwing tra le mani avrebbe saputo benissimo come fare, ma nessuno dei due era presente, c’era solo Tarn.
Il mech che gli impediva di vedere sua moglie e che aveva avuto Spectrus tra le mani ma non era riuscito a farlo fuori una volta per tutte.
 
«Spero che il medico della tua squadra sia più efficiente di quanto siano gli assassini».
 
Era stata una pessima idea, se n’era reso conto benissimo prima di aprire bocca. Seguì un breve momento di gelo.
 
«Potrei quasi pensare di raccogliere il tuo tentativo di provocazione, ma ho altre priorità» replicò Tarn, indicando la porta con un cenno del capo «E le tue dovrebbero essere simili».
 
Purtroppo quello schizzato fanatico aveva ragione, l’ex gladiatore lo sapeva; sembrava proprio che in quel periodo non potesse evitare di fare pessime figure, anche se era sempre convinto di non aver detto niente di sbagliato nella sostanza.
Le macchine all’interno dell’infermeria smisero di suonare di continuo, segno che l’intervento di Nickel per stabilizzare le condizioni di Spectra era andato a buon fine. Ma per quanto?
 
«Appena cambia qualcosa-»
 
«Lord Megatron ha impartito ordini precisi, non c’è altro da aggiungere».
 
Che non ci fosse altro ad aggiungere era vero, e lui purtroppo doveva tornare alla sua postazione. C’era un prigioniero Autobot da tenere sotto sorveglianza e, benché Shockwave lo facesse già mentre lavorava con lui, un paio d’ottiche in più non facevano mai male. Gli Autobot a volte  sapevano essere insidiosi nella loro poca intelligenza.
 
Dopo un’ultima occhiata alla porta e all’ostacolo che gli impediva di attraversarla, Soundwave si allontanò con la speranza che la voglia di vivere di sua moglie avesse la meglio.
 
Peccato solo che Spectra e la voglia di vivere non fossero particolarmente in sintonia in quel momento.
 
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
 
 
«Mi rendo conto che Soundwave e Dreadwing potrebbero soffrire per la decisione che ho preso, mamma…»
 
Più si andava avanti più quella conversazione diventava difficile. Era morta, non c’era rimedio, dunque perché sua madre si focalizzava così tanto su quello che aveva lasciato indietro, facendo sì che lei lo facesse a sua volta? Non credeva che fosse per il gusto di farla soffrire, però le sfuggiva il senso, non capiva dove Sparkleriver voleva arrivare.
 
«“Potrebbero”? Spectra, uno è il tuo compagno di vita e l’altro sarebbe disposto a mettere in gioco la sua pur di tenerti al sicuro, cosa che sai benissimo» sottolineò l’altra femme «E non pensare che siano i soli a tenere a te a simili livelli».
 
«Sapevo che Dreadwing sarebbe stato disposto a fare più di quanto abbia già fatto, è vero» ammise Spectra «E quel che ha fatto è già molto più di quanto avrebbe dovuto o di quanto meritassi, e il risultato si è visto» disse poi, cupa e preoccupata, ricordando che Dreadwing era stato ferito da Spectrus «È per questo gli ho detto più volte di andare ognuno per la sua strada ma lui non mi è stato a sentire, ed è sempre questo uno dei motivi per cui io… io non volevo che lui vivesse in quel modo per colpa mia, che rischiasse per me e stesse in ansia per me, non era giusto. Adesso ha una cosa in meno di cui preoccuparsi».
 
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
 
 
“Che fine hai fatto?”
 
Alla faccia dell’avere una cosa in meno di cui preoccuparsi, quella era la domanda più ricorrente che tartassava il processore di Dreadwing. Solo in una grotta, rattoppato alla bell’e meglio con un kit di pronto soccorso che aveva avuto il buonsenso di intascare quando lui e Spectra avevano abitato nell’Harbinger, in fuga e ancora incredulo per essere riuscito per chissà quale miracolo a scappare dai due della DJD che avevano tentato di “occuparsi” di lui -come aveva ordinato quel mostro di Tarn- alla faccia di quel che gli aveva fatto capire Megatron tempo addietro.
 
“Infame e bugiardo, proprio degno di Starscream, non c’è da stupirsi se lo tiene con sé!” pensò.
 
Non era la situazione più dura che avesse affrontato in tutta la sua esistenza ma era la peggiore da quando era giunto sulla Terra, e oltre a essere in pensiero per se stesso lo era per Spectra, soprattutto per lei. Alla faccia di quel che diceva la filosofia Decepticon riguardo la religione, Dreadwing  pregava ogni divinità più o meno conosciuta per avere sue notizie e perché queste fossero positive, ma ne dubitava sempre più ogni ora che passava e insieme al dubbio crescevano l’angoscia, il senso di colpa e la sensazione di essere stato un completo inetto. Aveva giurato e spergiurato a Spectra che sarebbero rimasti insieme e che l’avrebbe protetta, ma appena si era trovato davanti il pericolo maggiore per lei, alias Spectrus, era stato abbattuto subito, e lei adesso non rispondeva ai suoi tentativi di contatto.
 
“Forse è per questo che mi hai detto più volte di andare ognuno per la propria strada, avevi capito che non sarei stato capace di mantenere la parola neppure provandoci” pensò amaramente “Che fine hai fatto?”
 
L’ultima volta che lui l’aveva vista era scappata via proprio come le aveva gridato di fare, e aveva visto Spectrus andarle dietro poco dopo. Utilizzare il contatto privato del responsabile delle comunicazioni della Decepticon Justice Division era stata la mossa disperata di un mech altrettanto disperato, con la speranza che l’interesse di quella squadra di macellai -o meglio, del loro capo- verso uno o entrambi gli Specter, per motivi diversi, fosse abbastanza forte da indurli a muoversi in fretta. Era stato così ma quella era stata la sola cosa più o meno “positiva” in tutto quel disastro, e in seguito lui era stato costretto a scappare. Era l’ultima cosa che avrebbe voluto fare, ma Helex e Kaon l’avrebbero terminato e, al di là dell’avere ancora voglia di restare online, da morto avrebbe potuto fare per Spectra ancor meno che da vivo.
 
“Sei ancora viva? Sono riusciti a salvarti o non hanno fatto in tempo?”
 
L’idea che fosse offline era insopportabile, e lui si stava pentendo di tutto quel che aveva fatto nell’ultimo mese: “se non fossimo fuggiti, se fossimo tornati nella Nemesis quando Megatron ci aveva teso la mano e prima che decidesse di mettermi nella Lista, se avessimo cercato il modo di lasciare il pianeta e fossimo andati via come avevo detto di fare”… l’ultima cosa in particolare rappresentava un motivo di rimpianto per lui. A Spectra sarebbe stato bene qualunque posto ma si era resa conto che per lui una scelta simile sarebbe stata solo un “adattarsi” -anche se in ogni caso sarebbe stata una sua decisione e, come sempre, sarebbe andato fino in fondo.
Se quel giorno nel relitto dell’astronave le avesse mentito e le avesse detto che sbagliava avrebbero avuto la possibilità di essere sereni, ma l’idea di mentirle o nasconderle le cose lo disgustava profondamente. Spectra aveva sentito abbastanza bugie per una vita intera, e comunque lui la rispettava troppo per dirgliene.
 
“Cosa devo fare ora?”
 
Si sentiva perso, una sensazione tutt’altro che nuova da quando aveva iniziato la sua vita di reietto che però era resa ancora più acuta dalla mancanza di Spectra. Non era un peso per lui e non lo era mai stata, la sua presenza aveva reso tutto sopportabile fino ad allora. In certi momenti il tutto era stato anche molto più che “sopportabile”, tipo quelli in cui avevano parlato mentre la teneva tra le braccia. Aveva avuto delle relazioni in passato ma erano state sempre brevi, sempre più “fisiche” che altro perché la sua vita da militare non gli aveva concesso molto altro né si era messo d’impegno a cercarlo, nulla a che vedere con la fiducia reciproca che riteneva si fosse creata con quella femme. Non che loro due avessero una relazione, naturalmente: lui era un reietto ma era ancora un mech d’onore, lei invece non era una reietta ed era una donna sposata, e comunque nessuno dei due pensava all’altro in quel senso.
Giusto?
 
“Non è il momento dei castelli in aria, non è mai il momento per quelli” concluse bruscamente.
 
Avrebbe pensato a una qualche prossima mossa, avrebbe continuato a cercare di avere notizie di Spectra, ma in quel momento tutto quel che poteva fare era mettere ordine nel suo processore, per il bene di tutti quanti.
 
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
 
 
«Dici così, Spectra, “una preoccupazione in meno”» ripeté Sparkleriver «Ma tu come hai preso il fatto che il tuo compagno di vita non abbia dato minimamente peso a certe tue scelte né a come ti sentivi a riguardo? E come hai preso il fatto che lui continuasse ad agire di conseguenza, o provarci, perché “ha ragione e basta”?» domandò «Mi risulta che non ti sia piaciuto e ti sia sentita trattata come una persona stupida, l’hai ritenuta una mancanza di rispetto vera e propria e ti dispiace che lui non l’abbia capito e non lo capisca ancora».
 
Spectra, ora seduta vicino al bordo della barca che continuava a vagare, annuì. «Sì, è così... non era tutto il problema, perché poi c’era anche la questione del vedermi rovinata e di volermi “sistemare”, ma quello che hai detto tu è il motivo che mi ha allontanata da lui all’inizio».
 
«Bene. Ora ti faccio una domanda: ritieni Dreadwing uno stupido?»
 
«No!» esclamò Spectra, sgranando gli occhi «Ovvio che no, non potrei mai pensare una cosa del genere! Lui è una persona fantastica, è solo che su certe cose non… non è uno stupido, è un ufficiale Decepticon, so che fuggire con me e continuare a starmi vicino era stata una sua scelta e che conosceva i rischi» disse «È che quando si trattava di me Dreadwing ragionava in un modo che lo metteva in pericolo, e io volevo solo… volevo solo che stesse un po’più al sicuro, volevo eliminare il problema, almeno… così, lui…»
 
La giovane femme ammutolì rendendosi conto che tutto quel discorso suonava spiacevolmente familiare: seppure con un esito diverso, si era comportata con Dreadwing in modo molto simile a come Soundwave si era comportato con lei. Aveva ritenuto poco lucido Dreadwing riguardo lei stessa e i rischi che aveva scelto di correre e aveva deciso di rimuovere il problema -ergo togliersi di mezzo- indipendentemente da come la pensava lui; Soundwave, ritenendola poco lucida riguardo Spectrus, aveva cercato a sua volta di togliere di mezzo il problema, ed era molto probabile che l’avesse fatto esattamente per gli stessi motivi.
 
«Non ci credo» mormorò, prendendosi il viso tra le mani «Ho fatto con Dreadwing la stessa cosa che Soundwave ha fatto con me… e che avessi buone intenzioni non conta, se Soundwave ha sbagliato allora ho sbagliato anche io, e non solo non ho capito come Soundwave potesse aver preso quella decisione, ma ho anche fatto soffrire Dreadwing più di quanto credevo!»
 
“Dicevano che non ero come Spectrus? Forse hanno ragione, oltre che a essere un’idiota sono perfino peggio!
 
«Spectrus almeno deve pensarci, a come fare del male alla gente, io invece per riuscirci dovevo solo comportarmi normalmente! Aveva ragione lui… aveva ragione lui!»
 
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
 
 
Da quando Soundwave se n’era andato era passata qualche ora, e in quel lasso di tempo Tarn aveva perso il conto delle volte in cui aveva sentito i segnali d’allarme delle macchine nell’infermeria, unico rumore a spezzare il silenzio totale di quel freddo corridoio nella Peaceful Tiranny.
 
Le condizioni di Spectra non avevano fatto altro che precipitare, tornare stabili e precipitare di nuovo da quando era stata ricoverata, ma non poteva dire di aver fatto l’abitudine a quei segnali. Ogni volta era come le prime, ogni volta temeva che fosse l’ultima nonostante gli sforzi di Nickel, ed era anche per quel motivo che lasciava la sua postazione davanti all’infermeria solo per andare a sincerarsi delle condizioni dell’altro membro ferito della sua squadra, ossia Kaon. Farlo era il dovere di un buon comandante, oltre che una sua precisa volontà.
 
“Lui era messo male ma per fortuna si è stabilizzato subito, lei invece-”
 
Il rumore, finito da pochi secondi, era ricominciato di nuovo. Era un inferno senza fine, il prosieguo di quel che aveva visto dalla strega che si mescolava con i ricordi di una parte della sua vita che avrebbe voluto solo dimenticare ma che continuava imperterrita a tormentarlo.
 
“Lei invece vuole morire”.
 
Nel ricordare il modo in cui Spectra aveva abbassato la spada di Spectrus all’altezza della Scintilla, nel pensare all’espressione sul suo viso mentre l’aveva fatto, Tarn non poteva fare a meno di pensare a se stesso, o meglio, alla seconda delle sue precedenti “versioni”. Ricordava benissimo cosa significava provare il desiderio di farla finita: in effetti lo ricordava talmente bene da fargli venire il sospetto che, nonostante le modifiche al suo corpo e alla sua intera vita, quello fosse ancora lì, sepolto da qualche parte.
Ricordava perfettamente come ci si sentisse a non avere punti di riferimento, a non avere chiaro il proprio posto nel mondo e uno scopo che desse un’utilità all’esistenza, a non avere un luogo e delle persone da chiamare “casa”… o a credere di non averne, che non era poi così diverso.
 
 
 
“Lilleth credeva che non ci ricordassimo di lei! L’ha proprio detto, ‘Vi ricordate ancora di me, non ci pensavo’, Tarn, ti rendi conto?”
 
 
 
Quando Kaon gli aveva riferito quel particolare aveva dovuto ammettere a se stesso di essere rimasto più colpito del previsto, era stata più o meno come una stilettata; non perché quel che lei aveva detto o il modo in cui gli aveva sorriso facesse pensare che li avesse dimenticati, ma perché quella frase gli aveva suggerito che Spectra non si desse abbastanza importanza perché loro la ricordassero. O anche solo abbastanza importanza da voler continuare a vivere, considerando quel che era successo in seguito e che lui non era riuscito a evitare.
Se solo fosse stato più veloce…  
 
 
 
“Spero che il medico della tua squadra sia più efficiente di quanto siano gli assassini”.
 
 
 
Aveva risposto a Soundwave in un altro modo, ma il primo pensiero era stato “Sono sempre più efficienti di te come marito”. Si poteva dire che evitargli quella frecciata fosse stato da parte sua l’unico atto di pietà che avesse intenzione di concedere a Soundwave da lì in avanti, e solo perché aveva il buongusto di essere molto preoccupato per la moglie. Non poteva dire di non capirlo.
L’idea di condividere qualcosa con lui gli seccava ma era indubbio che il loro stato d’animo in quel momento si somigliasse moltissimo. Da dopo l’esperienza vissuta dalla strega e ancor di più quando purtroppo aveva visto avverarsi quelle illusioni riguardo Spectra, si era reso del tutto conto di come il desiderio e la volontà di tenere al sicuro quella femme, di vederla vivere serena, felice e ben lontana da pensieri suicidi fossero profondi e del tutto suoi. Che fossero avallati dal fatto che anche Lord Megatron in persona auspicasse una cosa del genere per lei era “solo” una ragione per accogliere in totale coscienza una simile consapevolezza senza esserne in alcun modo spaventato. Lo spaventava molto di più l’idea che quel membro della sua famiglia disperso da troppo tempo potesse spegnersi per sempre, non l’avrebbe meritato, non lei, dei due fratelli non era lei quella che sarebbe dovuta morire.
 
“Se solo fossi arrivato a staccare la testa a Spectrus, invece delle braccia…”
 
I suoi pensieri vennero inevitabilmente invasi dall’altro Specter, e dovette ammettere che in tutta la sua esistenza non ricordava di essersi mai trovato ad affrontare una bestia simile. Non era tanto per una forza bruta, per lui era assolutamente gestibile, in caso contrario non sarebbe riuscito a smembrarlo parzialmente la prima volta in cui era riuscito ad avvicinarsi a sufficienza; il problema era che per prevedere molte delle cose che Spectrus aveva fatto sarebbe servita una sfera di cristallo, e oltre a quello c’era la lucidità che quel grandissimo stronzo -non l’aveva detto ad alta voce, dunque niente ammonimento a se stesso- era sempre riuscito a mantenere anche in quel loro ultimo incontro.
Lui purtroppo non era in grado di fare altrettanto, aveva un’odiosissima tendenza a non reagire in maniera del tutto razionale se messo troppo sotto pressione, difetto che si trascinava dietro da sempre e non era mai riuscito a togliersi di dosso. Era anche per quel motivo che cercava sempre di avere tutto sotto controllo, specie nella Peaceful Tiranny che era il suo piccolo regno, ma il controllo totale delle cose era sempre qualcosa che veniva meno quando c’erano di mezzo gli Specter, nel bene e nel male. La sua testa e il suo volto che pulsavano ancora un po’, sebbene si fosse fatto dare una sistemata veloce da Knockout nell’andare a visitare Kaon, erano una delle tante dimostrazioni.
 
 
 
“Se ti avesse detto ‘no’ l’avresti fatta fuori tu stesso, IPOCRITA DEL CAZZO!”
 
 
 
Strinse i pugni. Ricordare quelle frasi gli aveva fatto un brutto effetto, inducendolo a domandarsi se Spectra, nonostante quel che si erano detti vorn e vorn orsono l’ultima volta che avevano dormito nella stessa stanza, nonostante il sorriso di poco tempo fa e la mano posta sulla sua, si sentisse e si sarebbe mai sentita veramente “a posto” nei suoi confronti… ma quello non era il momento delle paranoie, e in ogni caso l’insicurezza non faceva parte di quella versione di se stesso: era bene ricordarlo.
 
Sentendo il suono dei macchinari interrompersi di nuovo aspettò qualche minuto e decise di bussare. Il viso stanco di Nickel fece capolino dall’infermeria parlava da solo.
 
«Tarn, se si salva io te lo dico: la prendo a schiaffi» dichiarò la minicon «È come cercare di salvare dall’assideramento qualcuno che distrugge i pezzi dell’armatura e fugge per correre in mezzo al ghiaccio. A livello fisico non c’è alcun motivo per cui sia ancora così instabile, dunque la causa è da un’altra parte» disse, indicandosi la testa.
 
«Avevo già iniziato a pensarlo. Arrivati a questo punto allora l’unica persona che possa veramente aiutare Spectra a uscire da questa situazione è… Spectra» disse Tarn, con la massima compostezza possibile «Ti vedo molto provata, sei lì dentro da oltre quarantotto ore ed è notte, dimmi se posso aiutarti in qualche modo».
 
Nickel tentennò un po’ perché era sempre dell’idea di non volere nessuno in infermeria, poi però rendendosi conto di quanto fosse grande la stanchezza che sentiva addosso fece un breve sospiro. «Non lo so, il massimo che mi viene in mente è che potresti svegliarmi nel caso in cui finisca in ricarica senza accorgermene, ci sia bisogno di me e il casino che fanno le macchine non ci riesca di suoi. Senti, sei andato da Kaon anche oggi?»
 
«Certo che sì. È sempre stabile, hanno già cominciato a ricostruirlo e confermo che l’esplosione non ha danneggiato alcun organo vitale, neppure la scatola vocale».
 
«Almeno una mezza buona notizia c’è» commentò la minicon «Vieni».
 
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
 
 
«Spectrus aveva ragione, l’ha sempre avuta su tutto» continuò Spectra, tenendosi la testa tra le mani «E io ero un mostro!»
 
Non parlava in quel modo per farsi consolare, credeva a quel che stava dicendo: in caso contrario non avrebbe tentato di farsi uccidere.
 
«Spectra, ascoltami bene» disse Sparkleriver, inginocchiandosi accanto alla figlia con un leggero tintinnio degli ornamenti dorati che aveva sulla testa e a pendere sul viso «Hai sicuramente gestito male varie situazioni, preso alcune decisioni molto avventate e altre del tutto sbagliate, ma la malvagità che tu temi di avere non c’entra niente».
 
«Ho fatto soffrire delle persone, mamma, qualunque cosa facessi sembrava finire così e io non volevo che questo succedesse».
 
«Tutti quanti nella vita finiamo per far soffrire gli altri almeno una volta, anche senza volerlo. Quello che conta è evitare di farlo di proposito o riconoscere i comportamenti che portano a questo e correggerli. La cattiveria non è quel che tu e Spectrus avete in comune, di tante cose che lui ha fatto di proposito a te non passerebbe per la testa neppure l’idea. O vuoi dirmi il contrario? Spectra, dopo tutto quello che ha fatto tu riesci a volergli ancora bene, dimmi chi è che sarebbe capace di fare la stessa cosa!»
 
«N-non lo so, forse… tu?»
 
Sparkleriver scosse vigorosamente la testa. «Ma nemmeno per idea».
 
«No?» si stupì Spectra.
 
«No. Il fatto che mi comportassi in modo gentile e affettuoso con chi ai tempi sembrava meritarlo non significa che fossi disposta a voler bene a chi mi aveva fatto del male. La mia tata Valka, che era un bel tipo -per darti un’idea, aveva tirato su due nipoti capacissimi di combattere per gioco con degli orsi- mi ripeteva sempre “Non lasciare che gli altri ti facciano ingoiare il loro energon esausto, blyat!”».
 
«Ci credi che ho capito il significato di quella parola anche se non l’avevo mai sentita?»
 
«Tranquillamente. È la potenza del dialetto kostrobnese» annuì Sparkleriver «Per capirsi: che certe cose vengano dalla tua famiglia, biologica o acquisita che sia, non significa che tu debba accettarle per forza o pensare che siano vere. In un mondo giusto la famiglia dovrebbe essere sempre un rifugio dal male, ma questo non è un mondo giusto, dunque quando è il caso di tagliare bisogna farlo. C’è di buono che a volte si può trovare il “bene” nei posti più impensati, bisogna solo imparare a vederlo e ad assumersi certe responsabilità. Quel che tu e Spectrus avete in comune è di non esservene presa alcuna, per motivi diversi, con intenti diversi, ma è quel che è successo. Questo però non fa di te un mostro. Se lo fossi stata pensi che quegli ufficiali Decepticon, dunque non i primi sciocchi che passano per strada, sarebbero rimasti colpiti così in positivo da te?»
 
«Io… non lo so, forse… no?»
 
«Se vuoi l’esempio di come reagiscono a un mostro, ricordati cosa pensano di tuo fratello e fai un breve paragone» disse Sparkleriver «Per evitare di rifare gli stessi sbagli devi solo diventare un po’più consapevole del fatto che ci sono persone che ti vogliono bene e comportarti di conseguenza imparando a rispettarle, se davvero gliene vuoi altrettanto: tutto qui. Purtroppo tu e Spectrus siete attratti dalla distruzione come cyberfalene da una fiamma, ma ricordati sempre che tu al contrario di lui hai molto da perdere».
 
«“Avevo”. Sono morta» le ricordò Spectra «I discorsi che mi hai fatto mi hanno fatto capire diverse cose, e ti ringrazio per questo, però non servono a molto. La decisione che ho preso non mi permette di tornare indietro».
 
«Ora come ora lo faresti, se potessi scegliere?»
 
Spectra si strinse nelle spalle. «Aver parlato con te mi ha fatto capire diverse cose, te l’ho detto. Su alcune questioni mi sento perfino un po’meglio, nel senso… comincia a venirmi il dubbio che forse non sono un mostro, o che comunque non sono del tutto senza speranza» disse «Di sicuro tornerei indietro e chiederei scusa a tutti quanti per il modo in cui mi sono comportata, per non essermi presa certe responsabilità, per non aver fatto caso a certe cose e per non aver pensato a quanto sarebbero stati male. Il pensiero mi metterebbe un po’ di ansia, sono sincera, però sarebbe la cosa giusta» ripensando al alcuni particolari nella conversazione aggrottò leggermente le sopracciglia metalliche «Mamma».
 
«Sì?»
 
«Mi hai detto che Soundwave e Dreadwing non erano i soli che tenevano a me abbastanza da soffrire per la mia morte. Finora sei stata molto chiara, dunque… chi manca nella lista?»
 
«Hai appena parlato di una lista, Spectra. Considerando il modo in cui sei stata salutata, devo veramente dirtelo io?»
 
«No» mormorò lei «Non c’è bisogno. Anche alcuni nella DJD forse potrebbero esserci rimasti un po’ male, è vero. A quanto pare le cose di cui dispiacermi aumentano sempre di più, solo che non posso farci niente».
 
«A dire il vero puoi».
 
«In che senso, scusa?» domandò Spectra, sorpresa.
 
«Pensavi di essere offline ma non lo sei del tutto. Sei in una specie di limbo e ci sono due possibili scelte: restare su questa barca e andare avanti oppure tornare indietro, riunirti alle persone che ti vogliono bene e fare quel che hai detto poco fa» disse Sparkleriver, tornando ad alzarsi in piedi «Cercare di sistemare le cose. Non ti mentirò dicendo che tornando indietro saresti serena e tranquilla, per raggiungere questo obiettivo servirebbero tempo e forza di volontà, però è possibile».
 
«È per questo che abbiamo parlato tanto di quello che ho lasciato indietro, vero? Perché sapevi che se mi avessi detto questa cosa all’inizio avrei scelto di andare avanti con te e basta» comprese Spectra, alandosi in piedi a sua volta «Hai voluto cercare di aiutarmi a riflettere».
 
La decisione era già presa, lo sapevano tutte e due. Passarono qualche istante a guardarsi ancora, nel loro essere così simili in alcuni tratti e così diverse in tanti altri.
 
«Le mamme servono anche a questo» sorrise l’altra femme, abbracciandola «Non ho potuto aiutarti prima, ma adesso… io adesso spero di aver fatto qualcosa di buono ed essere riuscita a evitare che almeno una dei miei figli si rovini la vita sul serio. Non sei la sola a dover fare i conti con gli errori commessi, Spectra, c’è ben poco che sia più democratico della capacità di commetterne».
 
Spectra la strinse forte, affondando il viso nella sottile stoffa rosata del suo vestito. «Non sei una cattiva mamma, sono sicura che hai cercato sempre di fare del tuo meglio. E lo farò anche io».
 
«Promesso?»
 
Spectra annuì. «Promesso».
 
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
 
 
Nickel infine era stata vinta dalla stanchezza. Riposava con la testa poggiata su un tavolo lì vicino, con una mano che stringeva un cacciavite l’altra a essere vittima di leggere contrazioni che rivelavano una ricarica agitata.
 
Tarn non si era sentito di svegliarla, era evidente quanto il suo medico avesse bisogno di una dormita, e in ogni caso le condizioni di Spectra sembravano aver finalmente trovato una stabilità. Da quando era entrato nell’infermeria erano passate quattro ore, e lei ormai era tranquilla da tre: in tutto quel tempo non era mai successo.
 
“Se continuasse così potrei perfino azzardarmi a sperare che abbia deciso di non voler morire adesso” pensò.
 
Era ancora seduto dove si era messo quando Nickel si era addormentata, ossia vicino alla cuccetta dov’era sdraiata Spectra. Era cresciuta rispetto a quando l’aveva persa vorn e vorn addietro, era una femme adulta e sposata, ma vederla attaccata a quei macchinari la faceva sembrare indifesa proprio come la bambina che era stata. Gli aveva messo una pena terribile, l’aveva messa a lui che per lavoro riduceva i transformers in quelle condizioni e molto peggio; la legge del contrappasso aveva deciso di colpire per mezzo di un’innocente.
 
Era immobile da ore, ma sobbalzò quando vide le palpebre della giovane iniziare a tremolare, aprirsi, i suoi sensori ottici azzurri farsi più vivi e luminosi nel tentare di metterlo a fuoco.
 
“Mi sono addormentato anche io come Nickel?” fu l’unico pensiero che riuscì a formulare mentre il braccio sinistro di Spectra si sollevava piano e arrivava ad accarezzare la sua nuova maschera; lo fece col dorso della mano, proprio come aveva fatto lui quando l’aveva rivista lì, su quel pianeta, dopo essersi convinto che c’era davvero e che non era una visione.
 
«Tarn?...»
   
 
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