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Autore: A_Typing_Heart    10/10/2020    0 recensioni
«Sto cercando un libro sui vampiri... qualcosa che parli di loro, della loro psicologia... qualcosa che non sia solo letteratura.» disse con una certa delusione interiore: nella sua testa suonava molto meno ridicolo. «Esiste qualcosa del genere?»
«Ovviamente esiste.» rispose lui, con uno sguardo che sembrava brillare di eccitazione. «Posso chiederti come mai ti interessa un argomento così singolare o è una domanda troppo intima per il primo incontro?»
«Mi interessano perché non ne so niente e ne devo prendere uno.»
Qualsiasi altra persona a quella frase avrebbe riso o l'avrebbe preso per matto, ma non quell'uomo, che sorrise se possibile ancora di più.
«Stai cercando quell'assassino, il Vampiro di West End.»
Genere: Drammatico, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Crowley Eusford, Ferid Bathory, Krul Tepes, Mikaela Hyakuya, Yūichirō Hyakuya
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La spada di Dio'
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Un rumore indistinto svegliò Ferid all’improvviso. Spalancò gli occhi celesti sul soffitto consapevole di aver sentito qualcosa, ma non seppe dire cosa e la casa era immersa nel silenzio. Intontito si puntellò sui gomiti e girò la testa, cercando la fonte di un rumore che potesse averlo svegliato, ma sembrava tutto tranquillo; persino Pandora era immobile acciambellata sulla sedia davanti al computer.

Una mano più grande della sua si mosse sul suo addome e l’uomo alla quale apparteneva sospirò profondamente nel sonno. Ferid lo guardò e scosse la testa divertito: mentre dormiva aveva invaso l’altra metà del letto e di fatto erano entrambi in poco più di un metro di materasso.

Il rumore si ripresentò e lo fece sussultare, convinto com’era di averlo solo sognato: qualcuno bussava alla porta dell’appartamento. Guardò la finestra per avere un riferimento di luce, ma sembrava ancora piuttosto buio e ne dedusse che dovesse essere mattina presto.

Chi può bussare a quest’ora?

Sentì bussare di nuovo e fissò la porta d’ingresso attraverso il disimpegno, poi lentamente spostò il braccio di Crowley e scivolò fuori dalle coperte. Mentre girava intorno al letto facendo quasi nessun rumore cercò di sistemarsi l’enorme t-shirt che il suo ospite gli aveva dato come indumento da notte, probabilmente larga anche a lui, ma quella persisteva nel cadergli da una spalla o dall’altra. Quando fu davanti alla porta esitò prima di avvicinarsi allo spioncino, ma si rilassò almeno in parte quando vide Dante De Stasio bussare nuovamente alla porta e guardare l’orologio da polso.

Aprì la porta quel tanto che glielo consentiva il meccanismo a chiavistello.

«Oh, Ferid.»

«Dante… che cosa fai qui?» gli chiese lui piano.

«Sono venuto per parlare di una cosa… Crowley sta ancora dormendo?»

«Sì… è successo qualcosa?»

Improvvisamente venne colpito da un angosciante pensiero: era venerdì mattina.

«Oh, no, ne avete trovato un altro?»

«No, no… non ci sono arrivate segnalazioni di ritrovamenti né di bambini che mancano all’appello… è stata una notte tranquilla.» gli rispose l’italiano, con la sua voce più calda e rassicurante. «Mi fai entrare?»

Ferid annuì; richiuse, aprì il chiavistello e abbassò la maniglia, ma prima che potesse aprire più di qualche centimetro la mano di Crowley la sbatté e l’altro braccio lo afferrò trascinandolo un passo indietro.

«Non aprire mai la porta.»

«Va tutto bene… è solo Dante.»

«Sono De Stasio.» disse lui da fuori. «Crowley, apri, imbecille.»

«Oh?»

Crowley passò da quell’aria seria a una faccia sorpresa e aprì la porta. De Stasio sembrava vagamente seccato, l’irlandese invece non dimostrava alcun imbarazzo.

«Ancora a letto a quest’ora, Crowley? Ti dovresti vergognare.»

«Quest’ora… che ore sono?»

«Quasi le nove di mattina. Di nuovo al pub ieri sera?»

«No, che dici? Siamo stati in casa, proprio come due scolaretti delle scuole cattoliche…»

«Allora vergognati il doppio.»

De Stasio entrò e si chiuse la porta alle spalle, mentre Ferid guardava dalla finestra del soggiorno per accorgersi che era la giornata grigia a falsare la luce. Quando tornò a lui vide che lo stava guardando fisso, e Crowley stava invece guardando il collega con sospetto.

«Chi ti ha dato quello straccio, Ferid? Una maglietta degli Spartans non è buona neanche per fare da culla a una nidiata di ratti.»

«Fuori da casa mia, rinnegato.» gli sibilò Crowley.

«Ferid mi ha detto di entrare.» ribatté lui con vaga ilarità. «Ti dispiace vestirti? Un uomo che mi riceve in mutande mi mette in imbarazzo.»

Crowley fece un buffo verso, a metà tra una sbuffata e una pernacchia, e andò verso la camera da letto.

«Anche Ferid è in mutande, l’hai notato?»

«Quell’orribile maglietta è peggiore di qualsiasi altra cosa che potrei vedere di lui.»

«Tifavi Spartans anche tu!»

«Beh, abbiamo tutti dei peccati giovanili.»

«Rinnegato. Rinnegato!»

De Stasio fece un sorriso storto e guardò Ferid, che onestamente non aveva la minima idea di che cosa stessero parlando: lo sport era forse l’ultimo dei suoi interessi per quanto variegati fossero.

«Ti racconteremo la diatriba degli Spartans in un altro momento.» gli disse, indovinando la ragione della sua perplessità. «Ho qualcosa per te.»

«Per me?»

Senza parlare estrasse una busta che teneva sotto la giacca e l’appoggiò sul tavolo della cucina, prima di mettersi a curiosare nelle credenze a caccia, forse, di qualcosa da mangiare. Ferid l’aprì e scoprì che erano alcuni suoi effetti personali: il suo portafoglio con le carte di credito, le tessere e gli assegni, la chiave di casa, l’orologio di Claude e un cellulare. Perplesso guardò quest’ultimo oggetto davanti e dietro, prima di guardare Dante.

«Questo non è mio. Io non ho un cellulare.»

«Ora ce l’hai, gentilmente offerto dalla contea. È una scheda vergine, quindi se ti chiamano rispondi, perché è qualcuno di noi del dipartimento. Siamo i soli a conoscere questo numero.»

«Ma io vivo qui, adesso. Potete chiamarmi in qualsiasi momento a casa del detective.»

«Crowley non vuole che rispondi al telefono e pensiamo che sia una buona idea. Dopotutto stiamo cercando di nasconderti per quanto possibile, quindi meno contatti non sicuri hai col resto del mondo e meglio è, per adesso.»

Ferid studiò lo schermo con una certa perplessità e con curiosità, perché anche se ne avevano uno per gestire le prenotazioni dei clienti del negozio non ne aveva mai posseduto uno personale.

«Quindi, quando ti chiamo rispondimi, anche di notte!»

Ferid guardò l’italiano, accigliato per la stranezza del suo tono di voce più alto del normale e per l’inflessione vagamente allusiva, poi si accorse che Crowley era di ritorno.

«De Stasio, se ti piace così tanto puoi tenerlo a casa tua, lo sai? Non sono un tipo possessivo, possiamo dividercelo come due bravi genitori divorziati fanno con i figli.»

Per qualche motivo Dante trova divertente punzecchiare la sua gelosia… che tra l’altro, sembra non esistere.

«Ferid? Mettitela.»

Ferid dovette voltarsi per vedere che gli stava tenendo aperta la vestaglia. Sorrise e l’infilò, obbediente, lasciando che fosse lui a liberare i suoi capelli esattamente come aveva fatto quando gliel’aveva regalata.

«Grazie~»

«Di niente. De Stasio, vuoi del caffè?»

«Suppongo non sia espresso.»

«Naturalmente no, la sola cosa italiana che ho è la fame vorace che mi prende davanti a un piatto di spaghetti.»

«Allora non lo voglio.»

«Oh, detective, io prenderei molto volentieri una tazza di tè, o anche due~»

Crowley lo guardò stupito, come se gli avesse chiesto una colazione a base di zuppa di pesce, ma poi rimise a posto il barattolo del caffè e prese il bollitore.

«Arriva.»

«Come sei servizievole, Crowley. Hai passato una bella serata, forse?»

«In realtà, sì, molto.»

Ferid si limitò a sorridere quando Dante lo guardò alla ricerca di una spiegazione più dettagliata. Quel giovedì era stata la serata di lettura più bella che avesse mai passato, a leggere ad alta voce un libro mentre Crowley l’ascoltava con la testa appoggiata sulle sue gambe. Non aveva mai condiviso il suo rito con qualcuno dopo la scomparsa di Claude e l’aveva percepito ancora più intimo di allora.

«Sai, De Stasio… da quando ti conosco non ti ho mai sentito fare tante allusioni sessuali come da quando conosci Ferid.»

«Fatti due domande e datti due risposte, dunque.»

«Vuoi venire anche tu, la prossima volta? Facciamo un sandwich.» disse Crowley, prendendo dal frigo bacon e uova. «Io non sono avaro, sai.»

De Stasio emise una sottile risata.

«Non spaventare Ferid, Crowley. Sembravi quasi serio.»

«Dovrebbe spaventarsi per un sandwich? Io sono bravissimo a farli, quelli col tonno sono deliziosi.»

«Ah… okay, mi hai preso, stavolta.»

Crowley fece un sorriso divertito e si mise a cucinare, mentre De Stasio si sedette di fronte a Ferid intavolando una conversazione molto funzionale su come si trovasse nel suo nuovo alloggio per il tempo sufficiente affinché la colazione fosse ultimata: quando bacon croccante, uova al tegamino e tè furono sul tavolo con una tazza extra per l’italiano, lui cambiò sguardo.

«In realtà non sono venuto solo per il telefono e i tuoi effetti di prima necessità, Ferid.»

«In realtà lo sospettavo.» ammise lui. «Dunque, che cosa è successo?»

«Il capitano e McCray mi hanno autorizzato a mostrarti qualcosa che era stato tenuto segreto… che non ti abbiamo fatto vedere neanche nei fascicoli, perché solo il capitano e il sergente lo sapessero e si evitassero fughe di notizie.»

«Lo hanno fatto davvero?» domandò sorpreso Crowley.

«Sì, per evitare di incappare in qualche mitomane, soprattutto. Ma ora, dopo quello che ti è successo, si sono convinti che tu possa essere escluso dai sospettati e quindi sei promosso a consulente specialissimo.»

«Oh, ma che bello~ ma se sono budella di corvo appese a feticci di legno voglio mangiare, prima.»

«No, sono disegni. Simboli, sembra.»

Dante estrasse alcune immagini nel formato di una fotografia standard e le passò sul tavolo sparpagliandole. Non appena il suo sguardo passò sui simboli composti di trattini, puntini e triangoli si rabbuiò e guardò Dante come se avesse fatto una pessima battuta.

«Mi stai prendendo in giro?»

«Che vuoi dire? Che cosa sono?»

«Dove hai trovato questa roba?»

L’espressione dell’italiano tradiva l’irritazione di non comprendere il motivo del suo disappunto.

«Sui corpi dei bambini. Il Vampiro li ha incisi sulle loro schiene, probabilmente dopo averli dissanguati e uccisi e prima di lasciarli nel luogo del ritrovamento.»

«Ma stiamo scherzando, avanti…»

«Ferid, che cosa sono?» s’intromise Crowley. «Vuol dire che li conosci?»

«Naturalmente li conosco, ma mi chiedo… beh, mi chiedo chi diavolo d’altri potrebbe mai conoscerli.»

I due detective si scambiarono un’identica occhiata confusa. Sebbene l’idea di diffondere quella stupidaggine in altre menti lo ripugnasse capì che era necessario e si fece coraggio con un respiro profondo.

«Sono glifi di Grimbald.»

«Glifi di che cosa?»

«Glifi di Grimbald.» ripeté lui, e bevve un sorso di tè. «Sono contenuti in un testo raro correlato alla tradizione vampirica, Linguaggio segreto della Dinastia della Notte, di Helga Torres.»

«Vuoi dire che arrivano da un libro, tipo, super antico?»

«No, per niente. Il libro della Torres è un testo stampato nel 2015, quando dico che è raro intendo dire che è uno spreco di pagine che per fortuna è stato riprodotto in una quantità estremamente limitata.»

«Ferid, non ti avevo mai sentito mettere tanto disprezzo parlando di un libro!»

«Perché questo è una porcheria.» infierì lui. Provava una sensazione di liberazione a poterlo criticare apertamente. «Ci sono nozioni ovvie, basilari del folklore vampirico, cose che sanno anche i bambini grazie alla moltitudine di opere derivate dal Dracula, miste ad assolute scemenze inventate dalla Torres, e persino discordanti tra loro. Un capitolo piuttosto consistente di questa vigliaccata parla dei glifi di Grimbald, che lei attribuisce a un sedicente conte Grimbald di Svezia, mai esistito secondo le cronache dell’epoca né nei volumi di genealogia e araldica. Glifi che sostiene siano la lingua degli abitatori della notte.»

«E non lo sono?»

«I vampiri sono sempre stati mescolati al tessuto sociale dell’uomo, per quale motivo avrebbero dovuto inventare una lingua diversa? Vivono tanto a lungo da imparare decine di lingue, e secondo tradizioni molto più accreditate gli Antichi parlano latino tra di loro… e soprattutto, non hanno interesse nei propri simili e quindi non ha senso che inventino una lingua per tramandare memorie o cultura dei vampiri ai… posteri.»

«Oh, sì, è vero, questo l’ho letto anch’io.»

«Mh… e quindi, questo sarebbe un libro poco diffuso perché non… affidabile, diciamo?» domandò De Stasio, scorrendo le foto.

«Sì e no. Il principale motivo per il quale è raro è che l’ha pubblicato una casa editrice minore, oserei dire amatoriale… il tipo di casa editrice che invece di pagare gli autori gli chiede di coprire le spese di stampa, mi spiego?»

«Sì, ti spieghi chiaramente.»

«Probabilmente in tutti gli Stati Uniti ci saranno in giro meno di duemila… forse anche di mille copie.»

Crowley ingoiò il boccone di bacon, gli occhi fissi sui simboli.

«Stai dicendo che il Vampiro ha usato un codice in un libro inventato per… per… quale motivo, De Stasio, secondo te?»

«Perché è uno psicotico, forse? Avrà preso per vere le idiozie di questi libri.»

«Io penso di sapere perché.»

I due poliziotti fissarono Ferid: persino De Stasio faticava a celare lo stupore.

«Vi stava mandando dritti dritti da me.»

«Oh… dici che servivano a mandarci al Magick alla ricerca di un libro che decifrasse questi simboli?»

«Vi sorprenderebbe? Siamo la libreria esoterica più fornita da qui alla costa occidentale, se c’era un posto dove trovare gli alfabeti e i codici esoterici era certo il Magick. Quel miserabile cane scabbioso voleva che mi notaste e che mi arrestaste al posto suo per gli omicidi.»

«Dici che era il suo scopo?»

«Ne sono sicuro… i bambini con cui parlo, nelle sere in cui sa che sono sempre solo senza testimoni, emulando il modus operandi di un vampiro… lo sanno tutti che cosa fingo di essere, al negozio. Non è certo un segreto, e anche se lo fosse stato lui avrebbe saputo anche questo.»

«Ha un senso…»

De Stasio fissò i suoi occhi verdi dritti su di lui.

«Ferid, non l’ho dimenticato. La tua rabbia mi dice che ricordi quel nome. Dammelo

«Quale nome?» domandò Crowley, passando lo sguardo da uno all’altro. «Quale nome? Ferid, il nome di chi

«Pascal Trobiano. Questo è il nome.»

De Stasio estrasse un taccuino simile a quello di McCray e lo trascrisse con una scrittura corsiva fluida, bassa e allungata.

«Chi è?»

«Tecnicamente, il mio figliastro. È il figlio di mio marito Claude.»

«Hai anche un figliastro?» fece Crowley, con la stessa aria scioccata di quando aveva guardato la fotografia nella sua casa.

«Claude aveva due figli dal suo primo matrimonio, Claude IV e Pascal. Il maggiore è morto da ragazzo, in un incidente stradale insieme alla madre, la prima moglie del mio compianto consorte.»

«E Pascal dov’è?»

«Non lo so… lui mi ha detto… Claude intendo, mi ha detto che suo figlio era in carcere in Francia per un grave reato e che sperava che anche una volta che fosse uscito non si rifacesse più vivo. A quanto diceva è stato un delinquente fin da ragazzino.»

«Ma se è in carcere in Francia, come fa a cercare di incastrarti?»

«Me lo disse ormai dodici anni fa, a quanto ne so potrebbe anche essere uscito… non ho mai saputo quale fosse la sua condanna.» ammise Ferid, che non si capacitava di non aver mai chiesto oltre. «Ma se fosse uscito e ritornato, di certo ce l’avrebbe con me. Non è citato nel testamento di Claude se non dove dice che affida al mio giudizio se Pascal abbia le intenzioni di ricostruirsi una vita onesta e abbia bisogno di risorse a tale scopo.»

«E tu non mi sembri incline a dividere, giusto?»

«Non mi vergogno di dirlo, Dante: non darò a quell’uomo neanche una tazzina sbeccata da ciò che apparteneva a Claude, piuttosto regalo tutto quanto per la beneficenza.» replicò gelido. «Pascal era tutto quello che restava della famiglia di Claude dopo la scomparsa del figlio maggiore e di sua moglie. Avrebbe dovuto essere il suo sostegno, e non ha fatto altro che tormentarlo e divorare i suoi soldi come una locusta. Non gli permetterò di speculare su suo padre anche dopo la sua morte.»

«Capisco il tuo punto di vista, e comunque è un tuo diritto, se il testamento dice così.» commentò De Stasio in tono neutro. «Ma certo se Trobiano ha scoperto che il suo vecchio ha lasciato tutto a un marito dell’età per essere suo figlio si sarà infuriato.»

«Quanti anni ha questo Pascal, adesso?»

Ferid dovette fare mente locale per riuscire a rispondere. Claude era sempre stato reticente sulla propria famiglia, sia sui suoi cari perduti che sull’ingrato figliolo superstite.

«Se ricordo bene, ne ha quarantadue, o quarantatré. Non ricordo la data di nascita esatta.»

«Le tue bizzarrie aumentano a dismisura, Ferid, hai un figliastro che è un sacco più vecchio di te.»

«Anche la seconda moglie di Giacobbe era più giovane di quasi tutti i figli della prima moglie, sai?»

«Oh, sì, è vero anche questo.»

De Stasio lanciò uno sguardo incuriosito a Crowley, forse sorpreso che prendesse per dati di fatto accadimenti registrati in uno dei libri più rivisti e censurati della storia, ma non intervenne.

«Controllerò questo Pascal Trobiano. Ho un contatto nell’Interpol… un uomo gradevole come una poltrona di rovi, ma ha una buona posizione, in cambio di un favore a rendere mi trova tutto quello che si sa di questo tizio.»

«Stai parlando di quel giapponese, Ichinose?»

«Sì, parlavo di lui… perché?»

«Mi diverte che trovi cose sempre più moleste per descriverlo.»

«Non è un hobby, è lui che diventa sempre peggio.» ribatté De Stasio, passandosi la mano nei capelli, di fatto spettinandosi. «Potrebbe metterci ore a rispondermi, ma nel frattempo chiamerò in giro per recuperare una copia di quel libro. Mi ripeti il titolo?»

«Non serve cercarlo, abbiamo una copia del libro della Torres.»

«Davvero?!»

«Oh, davvero.» confermò Ferid con un sorriso amaro. «Krul non mi perdonerà mai per averla ordinata, dato che non la venderemo nemmeno in mille anni. Una delle molte cose che non mi perdonerà per quanto lunghe possano essere le nostre vite.»

«Quindi posso andare alla libreria a chiederle di darci il testo per scoprire che cosa significano.» concluse De Stasio. «Bene, andrò subito.»

«Questo affare funziona?»

Ferid sollevò il telefono che De Stasio gli aveva portato.

«Certo che funziona, a cosa pensi serva? A vibrare a comando? Ti avrei portato qualcosa di meno costoso per quello.»

«De Stasio, per la miseria.» lo rimbrottò Crowley. «Cosa c’è in Ferid che ti sveglia gli ormoni?»

«Dimmelo tu.»

«Shh, bambini, non litigate.» li interruppe Ferid mentre digitava. «Papà sistema tutto, state buoni.»

Attese due squilli, avvolgendosi una ciocca di capelli intorno all’indice, prima di sentire una voce familiare rispondere.

«Libreria esoterica Magick.»

«Buongiorno, zuccherino mio

La comunicazione venne interrotta e lui ridacchiò divertito. Il suo sorriso non venne intaccato dalle facce ugualmente perplesse dei due poliziotti e richiamò il negozio.

«No, tranquilli, è normale… dolcissima, buongiorno a te~»

«Se lo fai una terza volta ti denuncio per molestie sessuali!»

«Sai che ti darebbero retta solo perché sei una puffetta rosa, vero?»

«Che cosa vuoi, Ferid?!»

«Ci sono clienti in negozio, Principessa?»

Seguì un momento di silenzio, come se la ragazza stesse controllando.

«Se ci sono, sono morti e vagano in cerca della porta per l’aldilà.»

«Era difficile dire “no, Ferid caro, non c’è nessuno, parliamo pure”?»

«Difficilissimo.» ribatté lei. «Quando torni? Mi dici dove ti hanno nascosto? Sto impazzendo a trovare le cose qui dentro!»

«Potrei tornare prima del tempo se tu mi aiutassi facendo una cosetta per me, gioia dei miei occhi~ lo faresti per me?»

«Ma figurati se lo faccio.»

«Per riavermi indietro non lo faresti?»

Probabilmente i giorni di lavoro da sola l’avevano già messa alla prova, perché neanche il suo smisurato orgoglio riuscì a farle dire di no.

«Che diamine vuoi?»

«Il libro di Helga Torres per caso l’hanno comprato?»

«Tch, perché, l'ha mai fatto qualcuno che non fosse un suo parente mosso a pietà o un libraio imbecille?»

Ferid incassò la frecciata stoicamente.

«Benissimo, fagottino di gioia, ora muovi i tuoi adorabili piedini e vammelo a prendere.»

«Prima di tutto dacci un taglio con questi soprannomi vomitevoli, e subito dopo: i tuoi ordini ficcateli in…»

«Ehi ehi, Principessa, niente parolacce~»

«Ti ho già detto che cosa fare con i tuoi ordini.»

«Krul.» fece lui, con tutt’altro tono. «Basta capricci. Prendimi quel libro, mi serve. Adesso

Krul tacque per un secondo e poi parlò, abbandonando anche lei il tono brusco e iracondo. Era diventata seria.

«A cosa ti serve un libro simile? Sono barzellette. Niente di più, lo sai.»

«Certo che lo so, ma tu prendimelo comunque.»

«Intendi dirmi perché?»

«Vorrei, ma non posso. Sappi solo che riguarda la mia consulenza.»

Seguì un altro momento di silenzio.

«Dove lo trovo?»

«Sotto la L, amore mio. Linguaggio segreto della Dinastia della Notte, no?»

«Perché non puoi fare come tutti i librai e ordinare per nome dell’autore?»

«Perché di norma i clienti cercano per titolo o per argomento, non per autore. Lo sapresti se passassi meno tempo a far bollire le tue erbette e a infilare perline di legno incise in braccialetti.»

«Probabilmente.»

Mhh, docile. Dev’essere un po’ triste, non è mai stata una settimana senza vedermi fin da quando sono diventato suo cliente.

Sentì camminare, poi il cigolio della scaletta. La sentì mormorare sillabe come faceva sempre quando cercava un libro e poi tossire con un’insistenza allarmante.

«Tutto okay, Principessa?»

«Un c-corno, questo maledetto libro ha più polvere di un sarcofago egizio! Ma perché è tutto pulito tranne questo?!»

«Beh… lo disprezzo in modo particolare…»

Ferid ignorò le espressioni corrucciate e confuse dei due uomini di fronte a lui e fissò la fetta di limone galleggiare nel fondo di tè della sua tazza mentre in linea Krul dava qualche altro colpo di tosse sporadico.

«Non posso dire di non capire. In effetti lo brucerei io stessa. Beh, che cosa ti serve da questo deplorevole spreco di alberi?»

«Ti ho trovato un delizioso passatempo, mia cara… ti mando delle foto di alcuni glifi di Grimbald, mi cerchi il loro significato?»

«Stai scherzando, i glifi di… ma sei serio?!»

«Credimi che sono umiliato oltre ogni dire a dovermi rifugiare per conoscenza in un simile mucchio di str… ampalerie.»

«E non mi dirai niente?»

«Al momento non posso proprio, ma se finiamo in fretta questa storia ti dirò tutto quanto… lo faccio sempre, no? Ho qualche altro segreto, per caso?»

Inspiegabilmente, Crowley ridacchiò.

«Ma non ha senso questa domanda, se tu mi tieni un segreto io come faccio a saperlo?»

«Com’è sveglia la mia piccola~»

«No. No, il piccola non te lo faccio passare, no.»

«Pasticcino va bene?»

«Perché mi dai tutti nomignoli di cose piccole?!»

«Perché tu sei una cosa piccola… che cosa pretendi, che ti chiami Golia? Non è romantico!»

La sentì cedere: ogni volta che si arrendeva emetteva un verso che era insieme un sospiro, un brontolio e un ringhio.

«Abbastanza idiozie per oggi, Romeo! Allora, come me li manderai questi glifi?»

«Devo prenderci un po’ la mano, ma ho un cellulare, adesso esploro. Non conosco questo modello.»

«Un cellulare? Caspita, bentornato dal Medioevo, Ferid.»

«Grazie Gioia, ti mando le foto. Scrivimi appena sai che cosa significano, d’accordo? A più tardi, Passerotto, ti amo~»

«Smettila, sei rivoltante!»

Ferid chiuse la conversazione prima che lei potesse proseguire e sorrise con particolare convinzione a Dante.

«Mi aspetto dei ringraziamenti appassionati per tutto il tempo che ti ho fatto risparmiare, Dante~»

«Prometto solennemente che li avrai.»

«Devono per forza essere appassionati?» domandò Crowley, che riprese a mangiare il suo bacon con scarso entusiasmo. «Perché non so se De Stasio ne sia capace, è uno strano tipo di italiano.»

«Insultami su tutto, ma non dire che sono un italiano anomalo.»

«Ma è vero, gli uomini italiani sono divertenti, spiritosi e passionali. Tu no.»

«Non tutti gli uomini di un paese rispondono allo stereotipo che il resto del mondo gli attribuisce.» ribatté Dante, versandosi altro tè. «Tu sembri un irlandese, secondo te? Scopi troppo per esserlo.»

«E tu scopi troppo poco per essere italiano.»

Ferid tossicchiò rumorosamente, alzando gli occhi dalle funzionalità del telefono che stava esplorando. Fissò prima Dante e poi Crowley con una certa fermezza.

«Vi dispiace parlare dell’impiego dei vostri apparati genitali in separata sede o quando io non ci sono? Onestamente, se non avete intenzione di usarli con me non sono interessato a conoscere i dettagli di quanto e come e dove li usate.» disse loro. «Non c’è niente di più disgustoso della vanagloria maschile.»

Tornò al telefono, che aveva configurato un servizio di messaggistica che Krul usava anche per le prenotazioni dei clienti del negozio, mentre gli altri due osservavano un colpevole silenzio per qualche istante.

«Ti dà proprio fastidio…»

«Sono conversazioni che mettono a disagio chi le ascolta, non ci arrivate da soli?»

«Non ti ho imbarazzato quando ti ho parlato di Connor, però.»

«Mi stavi raccontando di qualcuno che conosci, e non mi hai detto come, dove e quanto giocherelli con le sue appendici… oh, pare che ci siamo, facciamo un tentativo?»

Completamente indifferente all’improvviso imbarazzo di Crowley prese uno dei fogli con un glifo, l’inquadrò e scattò la foto. Aveva una buona qualità. Uno ad uno fotografò tutti i simboli e spedì le acquisizioni nella chat che aveva aperto dal numero di cellulare di Krul. Le spunte gli confermarono che erano arrivate alla destinataria.

«Sembra che ce l’abbiamo fatta.» osservò distrattamente, più con se stesso che agli altri due.

La spunta sul display cambiò colore e pochi secondi dopo un messaggio l’informò che lei stava scrivendo, anche se scomparve quasi nel momento stesso in cui apparve.

Questo è il tuo numero adesso?

Tre tocchi bastarono per risponderle affermativamente.

Posso chiamarti su questo numero se ho bisogno di te?

Ferid sorrise, temporaneamente dimentico dei due poliziotti e disinteressato a quello che si stavano dicendo, e digitò sulla tastiera sulla parte bassa dello schermo.

Chiamami se ti senti sola.

L’applicazione gli disse che lei stava scrivendo, ma poi smise e non ci furono risposte. Non poteva dire di essere sorpreso ed era certo che non avrebbe mai avuto una risposta a quel messaggio, quindi abbandonò il telefono sul tavolo e lanciò uno sguardo a Crowley.

Per quanto mi sembri incredibile pensarlo, non sono più solo come lo sono stato in questi anni.

I suoi pensieri si interruppero quando Dante si alzò dal tavolo, e Crowley si alzò dopo essersi infilato in bocca tutto quello che restava nel piatto.

«Sarò onesto, vederti mangiare fa quasi schifo, Crowley.»

«Cercherò di sopravvivere a questa ferita mortale al cuore.» ribatté lui distrattamente. «Ferid, è meglio se vado anch’io al distretto, a quanto pare dobbiamo aspettare ancora qualche giorno per reintegrare l’organico. Siamo ancora troppo pochi.»

«Oh… certo, capisco.»

«Te la caverai senza di me, no? Sei autosufficiente da un pezzo, ormai.»

«Sono più autosufficiente di te sotto molti aspetti, detective, te lo posso garantire.»

«Era vagamente allusivo questo o sembra a me?»

«Ah, chissà~»

«Ferid, appena ti fa sapere qualcosa di quei glifi, per favore chiama.» gli disse Dante, allungandogli un biglietto da visita. «Questo è il mio numero, nel caso che Crowley non possa rispondere o sia al laboratorio o dal coroner.»

«Oh, d’accordo, ma Krul è pur sempre una principessa. È pigra, potrebbe volerci tutto il giorno.»

«Non importa, possiamo sempre lavorare ad altro mentre aspettiamo, ma se non ci lavorerà avvertimi e andrò a prendere io la copia del libro.»

«Di certo la renderesti felice, odia quel volume quasi quanto me. Sai, è naturalista, per lei un albero si deve tagliare per qualcosa che valga la pena.»

De Stasio parve improvvisamente interessato.

«Per caso fa parte anche lei della Congregazione wiccan come i genitori di Gaia Windsor?»

«Ne fa parte, ma non partecipa mai alle celebrazioni. È una cosetta solitaria, lei.»

«Vi siete proprio trovati.» osservò Dante, con aria seria.

«Niente affatto! Lei sta da sola perché non va d’accordo neanche con se stessa, io sono molto socievole invece~»

«Fin troppo, direi… io ci sono stato al college, ma neanche alle feste mi avevano sbottonato la camicia tanto in fretta.»

«De Stasio

Crowley, che si stava infilando la giacca davanti alla porta, lo guardò con una fenomenale faccia da poker del tutto inespressiva.

«Hai finito con le chiacchiere?»

«Non essere così geloso, Crowley. Stava annusando la mia acqua di colonia, sai che ha un prodigioso naso? Ha indovinato che profumo è.»

«Sì, sono certo che Ferid ha uno sproposito di talenti straordinari, ma non è il momento di parlarne. Hank si arrabbierà.»

Dante De Stasio accennò un sorriso e invece di dare il biglietto da visita in mano a Ferid si sporse per infilarlo sotto il cellulare, di modo che si trovò molto vicino al suo orecchio.

«È geloso di te.» gli sussurrò in un soffio udibile a fatica.

«Vuoi che mi avvii per primo, dicendo al capitano che ti sei preso un permesso?»

«Eccomi, eccomi.» disse Dante. «A più tardi, Ferid.»

Crowley gli lanciò un’occhiata strana, come combattuto se dirgli o no qualcosa.

«Chiamami comunque oggi, anche se Krul non ti ha fatto sapere niente.» gli disse alla fine. «I ragazzi qui di fianco ti terranno d’occhio, ma così sono sicuro che stai bene mentre non ci sono.»

«Oh, che carino che sei quando sei preoccupato per me~»

«Ti ho già detto che mi preoccuperò sempre… e in questo momento, anche più di allora. Quindi non strapazzarmi che ho il cuore delicato.»

«Mh, ma non avevi detto che non era vero?»

«È verissimo, quindi non mi strapazzare.»

«Bugiardo~»

Dopo avergli strappato la solenne promessa di non uscire, di non fare nulla di pericoloso e di chiamare per qualsiasi minaccia potesse pensare essere una possibilità, Crowley e De Stasio lasciarono l’appartamento. I muri sottili, l’eco della tromba delle scale e il silenzio caduto dentro casa permisero a Ferid di sentire che cosa si stavano dicendo.

«Non ti ingelosire, Crowley, non è che lui mi interessi… ma è divertente vedere quanto interessa a te. Sei molto preso.»

«Non ho mai detto che non ci tengo a lui. Te l’ho detto fin dal primo giorno, no?»

«Sì, ma è molto meglio di così… per lui hai messo il lavoro in secondo piano, più di una volta. Hai trovato quella cosa importante a cui dedicare il tuo tempo?»

Qualsiasi cosa avesse risposto Crowley, se l’aveva fatto, era stata coperta dal rumore metallico della gabbia dell’ascensore che veniva aperta. Non sentì più voci e il ronzio dell’elevatore che scendeva fu l’ultimo suono proveniente dal corridoio. Silenziosamente, quasi furtivamente, come se non volesse svegliare qualcuno dal sonno leggero che dormiva sul divano, Ferid si versò dell’altro tè.

«Quella cosa importante a cui dedicare il tuo tempo

Ferid restò a rimuginare lunghi minuti sul significato di quella frase, su quanto esattamente un uomo che lo conosceva da meno di tre mesi potesse considerarlo una parte importante della sua vita, e inevitabilmente ciò lo portò a pensare ai due grandi amori della sua vita, Robert e Claude.

Con Robert, un ragazzo del paese rurale vicino alla sua casa d’infanzia, era stato fuoco improvviso bruciato in poche settimane grazie soprattutto a una vivace curiosità adolescenziale; con Claude un amore scoccato in meno di venti minuti grazie all’ammirazione che quell’uomo aveva per la sua bellezza e per la sua famelica ricerca della conoscenza.

Che cosa vede in me un detective, un uomo dall’anima semplice, che può avere chiunque altro e chiunque altra? Ha visto attraverso i miei artifici, a tutte le mie recite più o meno intenzionali… ma che cosa ha visto, esattamente? Che cosa c’è in me al di là di un commediante, di un libraio dalla memoria portentosa… al di là di una bellezza straordinaria?

Ferid si alzò dalla sedia e, ancora assorto nelle sue riflessioni, prese lentamente a riordinare le stoviglie. Aveva la netta impressione che quel viaggio avrebbe svelato la sua reale identità quanto quella del Vampiro di West End.

 

Diverse ore dopo Ferid era così impegnato che lo squillo acuto del cellulare lo prese del tutto di sorpresa, dimentico persino della sua esistenza. Abbandonò il mestolo sul bordo di una pentola e si allungò sul tavolo per prenderlo, riconoscendo un numero familiare sul display.

«Buonasera, Principessa, ti manco già?»

«Che stai farfugliando? Ah, ti riferisci allo stupido messaggio di stamattina.» commentò Krul. «No, imbecille. Ho trovato i tuoi preziosi glifi.»

«Oh, di già? Hai lavorato proprio tan-ahia!»

Ferid lasciò ricadere sopra la pentola il coperchio che aveva cercato di sollevare, causando un fracasso metallico spaventoso.

«Che è successo?»

«Ahh… n-niente, Principessa, niente… per motivi a me sconosciuti il detective Eusford ha in casa un coperchio dal manico infido che diventa incandescente quando sta sopra una pentola, per la gioia di ustionare le dita di chi prova incoscientemente a sollevarlo…»

«Dire che ti sei scottato era troppo banale per te?»

«Avrebbe perso di poesia, non trovi?»

Ferid aprì il rubinetto con il gomito e ficcò le dita sotto l’acqua con un sospiro.

«Di nuovo la mano destra… che cosa ha fatto questa mano per meritarsi un tale accanimento del fato, mi domando?»

«A me vengono in mente un paio di cose.»

«Krul, ti prego, hai fatto finta di non ricordarti di quella sera per un anno e più, continua così

Lei rimase in silenzio dall’altra parte e dopo qualche altro istante Ferid chiuse l’acqua e controllò i danni: i polpastrelli erano arrossati e bruciavano, ma non sembrava nulla di grave.

«Se riuscissi a farmi bastare queste tre dita, potrei svaligiare una gioielleria senza lasciare impronte.»

«Congratulazioni, sei un passo più vicino all’anonimato dei vampiri.»

«Grazie.» rispose lui senza particolari inflessioni. «Allora, dicevi di aver trovato quei glifi?»

«Sì, li ho trovati, e la mia personale idea è che siano presi a caso.»

«Cosa dicono?»

«Bacio, Fuga, Giardino, Notte, Oro, Segreto, Vergine.» snocciolò lei con aria annoiata.

«Come, prego?»

Ferid la riascoltò con più attenzione elencare il significato dei glifi, ma non ne cavò più senso della prima volta. Se li fece ripetere di nuovo appuntandoli su un blocchetto che stava attaccato con una calamita al frigorifero, ma non fece altro che fissare le parole dalla grafia sghemba da mano sinistra con le sopracciglia aggrottate.

«Principessa, sei sicura che siano giusti?»

«Certo che ne sono sicura, li ho controllati per bene tutti quanti.»

«Mhh… non hanno lo stesso numero di lettere… iniziale, finale… mi verrebbe da dire che sono sostantivi, ma non lo so. Segreto e Vergine potrebbero essere intesi come aggettivi…»

«Mi vuoi spiegare a che cosa ti servono queste idiozie?»

«Non lo so davvero, onestamente… ma tu sta’ zitta come una tomba vuota, Krul.»

«Come sempre.»

«Magari fosse vero.» commentò Ferid secco. «Beh, pare il Vampiro abbia scritto questa roba sui bambini che ha ucciso.»

«Cosa? Ma perché… che diavolo, questa roba non la conosce nessuno, come sperava che qualcuno riuscisse a decifrarlo?!»

«La mia idea è che volesse mandare la squadra omicidi nel nostro negozio…»

«Nel mio negozio.»

«… Alla ricerca del significato di questi, in modo che notassero me… e si insospettissero.»

«Vuoi dire che fin dall’inizio cerca di incastrarti?»

Ferid rimestò il sugo di carne nella padella e quando sentì il rumore del portapenne spostato, per qualche motivo, immaginò Krul seduta sul bancone come così spesso faceva. Pensarci aveva un qualcosa di nostalgico.

«Io credo che stia cercando di fare esattamente questo.»

«Ma chi si prenderebbe mai tanto disturbo per vendicarsi di un idiota come te? Vale a malapena la fatica di prenderti a schiaffi.»

«Mi commuove sempre sentire le tue affettuose lodi del sottoscritto.»

«Non c’è di che.»

«Piccola nanerottola perfida.»

«Bada a quello che dici o ti licenzio in tronco.»

«Ah, questa è bella, davvero… se decidessi di non tornare al Magick tu ti faresti tutta la strada fin qui sulle tue belle ginocchia per pregarmi di tornare, sei persa senza di me.»

«Io, inginocchiarmi per te? Morirò prima di farlo, sta’ sicuro.»

Certo, sarebbe stato opportuno ignorarla, lasciar cadere il discorso e semmai tornare a cercare di dipanare una matassa intricata di indizi confusi… ma si era irritato oltre la misura.

«Strano, sono sicuro di avertelo già visto fare e… sì, eri proprio davanti a me.»

A lei non sfuggì a che cosa si stava riferendo.

«Che pervertito.»

«Pervertito? Non te l’ho mica chiesto io, sai?»

«Non hai detto che dovevo continuare a non ricordarmelo?»

«Perché sei stata tu a dire che avresti fatto finta di niente, io non ho mai detto che me ne sarei dimenticato.» precisò Ferid, scostando il coperchio bollente con uno strofinaccio. «Io ricordo ogni minuto e ti posso garantire che continuerò a farlo per sempre. Sei difficile da dimenticare.»

«Oh, Ferid, ti sei proprio superato con le frasi da sfigato.»

«Saranno anche da sfigato, ma questo sfigato sta andando avanti con la sua valigia di ricordi. E tu?»

Seguì un momento di silenzio totale dal lato del negozio.

«C’è un cliente. Ci sentiamo, Ferid.»

«Dev’essere uno di quegli spettri, per riuscire a entrare senza far suonare il campanello della porta.»

«Crepa

La comunicazione venne interrotta e Ferid abbandonò il telefono sul tavolo, scuotendo la testa. Si chiese quanto a lungo Krul sarebbe rimasta sospesa in quella specie di limbo nel quale non sapeva che cosa voleva, senza sapere se conservare il suo orgoglio o se provare per la prima volta nella vita a smussare qualche spigolo per riuscire ad accostarsi a qualche persona senza ferirla. Per motivi opposti, lui e Krul erano fin troppo simili nelle conseguenze in cui andavano incontro con i loro atteggiamenti: per orgoglio estremo o per paura altrettanto forte non facevano che bruciare il terreno intorno a loro, lasciando solo una devastazione che odorava di cenere e fumo.

«Quando ritorno devo parlare a quella ragazza da persone adulte.»

Annuito a quest’affermazione come concordando con se stesso, Ferid archiviò la pratica e si rimise a dedicarsi alla preparazione della cena, discretamente più complessa della media di ciò che preparava normalmente per se stesso.

Aveva ultimato la preparazione da dieci minuti e stava demolendo a colpi di spugna e sapone la quantità di stoviglie sporcate nel processo quando sentì prima la gabbia dell’ascensore e poi la chiave che girava nella toppa. Crowley la spalancò bruscamente.

«Mi auguro che tu sia almeno moribondo, Ferid! Non dovevi chiamar-»

Si bloccò alla vista del tavolo apparecchiato come se non ne avesse mai visto uno e lanciò uno sguardo attonito a Ferid, al grembiule blu, ai piatti e alla terrina di sheperd's pie appoggiata sul ripiano. Ferid chiuse il rubinetto, si asciugò le mani e lo guardò sorridendo.

«Sei pronto per cenare?»

«È… hai cucinato?»

«Non dirmi che credevi sul serio che uscissi ad attaccarmi al collo di qualcuno per mangiare.»

«No, ma… è…»

Crowley lanciò un’altra occhiata alla tavola e sembrava fin troppo sorpreso da una cosa così semplice. Ferid posò lo strofinaccio e attese pazientemente che riordinasse i pensieri.

«L’ultima volta che sono tornato a casa e ho trovato la cena pronta vivevo ancora con mia madre.»

«Oh, ma davvero?»

«Sì… a volte Bernadette mi dà qualcosa quando rientro, o i ragazzi mi lasciano la cena sul tavolo da riscaldare, ma… questo è… non è proprio la stessa cosa.»

«Deduco che tu non abbia mai convissuto con qualcuno dei tuoi… fidanzati, possiamo chiamarli così?»

«No, infatti… sono abbastanza geloso dei miei spazi e dei miei tempi… delle mie abitudini, anche. Convivere con qualcuno di solito ti porta a scontrarti con le abitudini degli altri, e se non ti piace diventa difficile poi tornare indietro… capisci che cosa voglio dire?»

«Capisco che quello che hai deciso di fare per me è un grande sacrificio.»

Crowley lanciò un’occhiata tesa verso di lui e alzò le mani, quasi si stesse preparando a frenare uno scatto d’ira causato dalle sue parole, ma Ferid era molto tranquillo e ben lungi dall’arrabbiarsi.

«Ah, no, non intendevo metterla giù in quel senso!»

«No, ma è sottinteso. È una cosa normale, dopotutto… un po’ meno normale è che tu non abbia trovato nessuno che ti invogliasse a provare, come mai? Sei così difficile come uomo? Non lo sembri.»

«No? In realtà sono un tipo complicato.» disse Crowley, rilassandosi alla sua reazione tranquilla, e si tolse la giacca. «Non sopporto il minimo tentativo di controllo… mi irrita la gelosia, voglio il mio sabato sera libero davanti alla televisione a guardare i documentari mangiando chili di patatine e voglio anche il venerdì sera al pub per la consueta birra con i miei amici, che non è mai una soltanto. Io chiedo solo che gli hobby di chi sta con me non siano illegali, quindi mi disturba che qualcuno mi dica cosa devo o non devo fare del mio poco tempo libero… è così grave?»

«Posso capire… questo significa che questa sera andrai al pub?»

Crowley lo guardò con vago stupore.

«È venerdì, no? Non esci?»

«Ah… no, no. Questa volta no.»

«E perché? Non dovrai mica tornare a fare il turno di notte, spero.»

«No, solo… oggi non vado, tutto qui.»

«Guarda che io sono perfettamente al sicuro qui, se ti preoccupi di questo.»

«No, sei… so che è sicuro, per questo ti ho detto di stare qui… la sera c'è anche il guardiano, e i ragazzi qui accanto sono a casa… so che sei al sicuro.»

Il nocciolo del problema allora era l’altro.

«E non devi preoccuparti nemmeno di lasciarmi solo… ho abitato con il mio gatto per dodici anni. Non soffrirò di solitudine perché tu passi qualche ora a bere al pub.» ribatté Ferid, sfilandosi il grembiule di dosso. «È vero che Baudelaire non c’è più, ma non era poi di così tanta compagnia, è sempre stato un grasso pigrone. Però faceva delle fusa da sembrare un fuoribordo, l’hai sentito anche tu quando l’hai tenuto in braccio.»

«Sì… no, cioè… sei sicuro che ti stia bene? Sono stato fuori tutto il giorno…»

«E quindi? Sarai qui per la cena, faremo due chiacchiere, e poi potrai uscire a vedere i tuoi amici, o le tue amiche, quello che sono, non ti chiederò con chi uscirai.»

«Ma potrei tornare tardi… non ti disturba?»

«Dovrebbe? Non siamo mica sposati. Non ancora, almeno~» fece Ferid portando la terrina sul tavolo. «Ma se vuoi farmi una proposta prometto di prenderla seriamente in considerazione~»

Crowley fissò la terrina e Ferid alternativamente, aggrottando le sopracciglia rosse.

«Con queste premesse potrei anche farlo davvero.»

«Uomo complicato, ma dove? Sei come un bambinone~»

«Ma prima devo sapere come cucini. Saper cucinare è un requisito irrinunciabile in una brava moglie irlandese.»

«Peccato che io non sia irlandese, non sia cattolico e nemmeno una brava moglie, ma detto questo spero che la cena sarà… che cosa pensi di fare, detective Eusford? Fila a lavarti le mani, non fare il cavernicolo!»

«Ah, giusto, giusto. Chiedo scusa.»

Crowley si alzò dalla sedia velocemente quanto vi si era seduto e scoppiò in una breve risata mentre entrava nel bagno. Ferid dovette aspettare che tornasse prima di potergli fare quella domanda.

«Cosa c’era di divertente?»

«Ah, niente, niente…»

«Ho detto qualcosa di buffo?»

«Beh… in effetti, sì.» ammise alla fine lui, sedendosi. «Mia madre chiama mio padre per nome solo quando è arrabbiata. L’ha sempre chiamato agente O’Brian… e mi ha fatto ridere che nemmeno tu mi chiami mai Crowley.»

«Oh, che paragoni pericolosi, detective. Non ti starai abituando all’idea?»

«Sto solo pensando che Dio mi sta dando tantissimi segni per dirmi che tu non sei un caso.»

«Ne sembri proprio sicuro.»

«Perché lo sono.»

Ferid tacque quando lo vide unire le mani per la preghiera prima del pasto e ancora una volta rifletté sul fatto che i suoi, per quanto devoti, non avevano mai pregato prima di consumare un pasto. Quando ebbe finito di ringraziare per il cibo e per chi gliel’aveva preparato Crowley sorrise e gli lanciò un’occhiata.

«Sarò brutale, Ferid. Non puoi chiedere a un irlandese di essere gentile nel giudicare una sheperd’s pie.»

«Se avessi avuto paura del giudizio non avrei preparato proprio questo, non credi?»

«Oh, siamo sicuri di noi, eh? Allora sarò onesto senza riserve.»

«Lo saresti stato comunque… le bugie sono pericolose, detective. Prima o poi ci si rivoltano contro.»

Quel commento, detto quasi senza malizia in riferimento alla sua bugia in ospedale, sembrò turbare il poliziotto in una certa misura. Per cercare di cancellare quell’involontario disagio si affrettò a riempirgli il piatto.

«Ora mangia e sentiamo il giudizio supremo, su.»

«Sì, okay… tu… tu riuscirai a mangiarlo, Ferid? L’altra volta tu…»

«Avevo ancora lo stomaco un po’ sottosopra! Sono sicuro che stavolta non avrò problemi, non preoccuparti per me.»

«D'accordo, allora…»

Fu con una sorta di esitazione che affondò la forchetta e prese un piccolo assaggio; quasi fosse sicuro di bocciarlo su tutta la linea e fosse anche preoccupato di doverglielo dire. Mentre masticava però parve sorpreso e iniziò a sezionare lo strato di purè di patate con aria sospettosa.

«Questo… che cosa hai messo in queste patate? Non è la sheperd che conosco…»

«Ah, te ne sei accorto? È il mio segreto per il purè di patate, la noce moscata. A mio marito piaceva moltissimo preparato così.»

«Noce moscata… avevo in casa qualcosa del genere?»

«No, ma i tuoi vicini sì. Quel ragazzo brunetto che è venuto l’altro pomeriggio è molto gentile… un ragazzo vivace, ha un bel sorriso. Mi ricorda un po’ te… non vi somigliate, ma sorridete nello stesso modo.»

«Yuu sarebbe contento di sentirlo, penso, credo mi abbia preso come una specie di modello… il perché non lo so ancora.» disse Crowley, scrollando le spalle. «Ma la tua sheperd è buonissima, Ferid, sono colpito. Veramente colpito.»

«Non ti dovresti sorprendere così tanto, no?»

«No? Perché?»

Ferid si sporse sul tavolo avvicinandosi a lui abbastanza da potergli sussurrare all’orecchio.

«Io sono inglese~»

Crowley scoppiò in una gran risata.

«È vero, l’avevo dimenticato!»

«E tuo padre te l’ha ripetuto anche ieri, ma davvero sei detective, tu?»

«Sono proprio imperdonabile, hai ragione… ma visto che ne parliamo, esattamente tu da dove vieni?»

«Uhm, beh… dal Sussex.» rispose Ferid con una certa cautela.

«Sussex, uh? Sei sempre un sacco vago.»

«Oh, d’accordo. Stavo in una casa di campagna, nella zona più a nord del West Sussex… a sud di una città che si chiama… Crawley.»

«Una città che si chiama come, scusa?»

«Crawley

«Ferid, tu continui a sostenere che noi non siamo collegati in alcun modo?»

«Oh, ti prego, non è nemmeno scritto uguale.»

«Se lo pensi davvero perché hai esitato a dirlo?»

Ferid mangiò in silenzio e Crowley come reazione ridacchiò. Il pasticcio era riuscito ottimamente.

«E comunque, non vivevo a Crawley, solo poco lontano.» precisò. «Non vedere segni di Dio dove non ce ne sono, avanti.»

«D’accordo, d’accordo! Hai detto che era una casa di campagna, tipo una fattoria, o…?»

«No, era più una… villa. Una villa di campagna. Ma avevamo una stalla con dei cavalli. Erano la passione di mio padre.»

«Beh… tu lo conosci il mio vecchio. Il tuo com’era?»

La conversazione stava prendendo una piega che Ferid non aveva immaginato e che non gli piaceva, ma se c’era qualcuno che poteva accettare i suoi sentimenti al riguardo era proprio quell’uomo seduto con lui.

«Come me. Un uomo che preferiva scappare dai problemi piuttosto che risolverli.»

«Parli di tua madre… dei suoi problemi?»

«Sì… quando lei ha cominciato a peggiorare, lui è… semplicemente scappato. Spariva per giorni per andare da qualche parte, a trovare parenti, clienti… per curare certi affari… più lei peggiorava e più a lungo lui stava fuori.»

Crowley si fece serio e abbassò la forchetta.

«E ti lasciava a casa con una madre tanto disturbata?»

«Sì… io… non ho mai lasciato la casa e il parco finché non sono scappato in America. Se sono uscito quando ero piccolo, lo ero tanto da non ricordarmelo. Dopotutto mamma ha iniziato ad ammalarsi poco dopo la mia nascita, altro motivo per il quale credeva che fossi io il motivo per il quale aveva perso la protezione divina.»

Ferid continuò a mangiare mentre il silenzio si dilatava tra di loro, poi anche Crowley riprese a mangiare con aria pensierosa. Alla fine, quando lui ebbe spazzolato tre porzioni di pasticcio, lo guardò con un certo sorriso pieno di calore quanto una giornata di luglio.

«Ehi, Ferid… che ne dici se ti porto con me al pub, stasera? Ti va?»

Ferid lo guardò perplesso.

«Come, prego?»

«Vieni con me al pub. Ti presento quei sei o sette ubriaconi che mio padre conosce da tutta la vita, sono lì quasi tutte le sere, sono tipi simpatici… così non devi per forza stare a casa da solo. Beviamo qualcosa e quando sei stanco torniamo. Non è lontano da qui.»

«Pensi che andare a bere lasciandomi a casa da solo ti faccia sembrare come mio padre, per caso?»

Qualcosa di quasi impercettibile attraversò il blu degli occhi di Crowley e Ferid seppe di aver visto giusto, e che il racconto sul padre aveva influenzato la sua percezione di quello che stava per fare. Fece del suo meglio per sorridergli.

«Questo è un posto sicuro. Nessuno mi può fare del male, no? Smettila di tormentarti, sciocco ragazzo, e preparati per uscire. I tuoi amici ubriaconi ti aspetteranno con impazienza per svuotare un fusto o due.»

Crowley esitò, guardandolo per diversi secondi con un’aria colpevole dipinta in volto.

«Sei sicuro di non voler venire?»

«Oh, no, davvero, in realtà non mi piace la birra. No, credo proprio che metterò via questi piatti e poi… sì, mi farò un bel bagno, un po’ più tardi… oh, ma se ti piace questo programma puoi restare e bruciare un po’ di quelle calorie giocando con me a trovare tutti i modi in cui possiamo riuscire a incastrarci in due in quella vaschetta~»

«Posso essere terribilmente sincero con te, Ferid?»

«Addirittura terribilmente? Dimmi tutto~»

«In questo momento se non avessi in piedi quel famoso patto con il Signore resterei.»

Ferid restò attonito, con le forchette in mano, guardandolo come se avesse appena urlato una frase insensata di punto in bianco. Emise quasi inconsciamente una risatina per dissimulare l’imbarazzo.

«Oh, cielo, ti ho conquistato con il mio pasticcio? Che strike~»

«È successo prima di stasera… chissà se sarai in grado di capire quando?»

Crowley sorrise alla sua aria stupita e si alzò dal tavolo, sparendo nella camera da letto.

È successo… ha detto? Ha detto davvero che… l’ha detto!

Pandora gli saltò in braccio in cerca di coccole e Ferid passò distrattamente le mani nel suo folto pelo screziato bianco, nero e rossiccio, con lo sguardo perso nel vuoto. Scorse alcune memorie passate insieme al poliziotto senza venire a capo con certezza del momento del quale parlava.

Forse dopotutto sono io che non lo osservo bene… non me ne sono accorto.

«Beh, allora io vado, va bene? Ferid?»

Si accorse del suo ritorno solo quando gli accarezzò il viso spostandogli i capelli dietro l’orecchio.

«Stai bene?»

«Eh? Oh, certo, sì. Sto bene.»

«Probabilmente farò tardi, se c’è Fionnula mi incastrerà a raccontarmi di quello che è successo ultimamente a lei, ai suoi fidanzati e alle sue amiche, lo fa ogni volta tra una birra e l’altra… sai, spilla la birra al Leprechaun.» spiegò lui. «E non la vedo da un mese, avrà un sacco di cartucce da sparare… perciò, non serve che mi aspetti. Quando sei stanco mettiti a dormire.»

A Ferid sembrò proprio che Crowley stesse per chinarsi verso di lui – per dargli un bacio, forse? – quando la sua gatta mandò un soffio minaccioso che lo fece indietreggiare, ma non abbastanza velocemente da impedirle di graffiargli il dorso della mano.

«Oh, ehi, stai calma, Cosetta!»

«Pandora! Brutta pestifera, perché l’hai fatto?! Degna compare di quell’altra strega, non c’è che dire!»

Ferid la sospinse per terra, dove lei atterrò con il pelo così gonfio da sembrare grande il doppio.

«Ti ha fatto male?»

«No, no... no, guarda. Non sanguina nemmeno, ha preso solo un po' di pelle.»

«Mi dispiace, non so che cos'abbia... è vero che non è molto affettuosa, ma di solito non fa così.»

«So io cos'ha: il demonio dentro. La prossima volta che vado in chiesa prendo dell'acqua santa da farle bere.» disse Crowley, e guardò oltre la spalla di Ferid verso la gatta. «E se non la bevi te l'infilo con un clistere, capito? Non credere che non lo faccia. Non ho dimenticato la mia Santa Brigida.»

Pandora fissò Crowley agitando la coda e Ferid non aveva mai visto tanta acredine tra due specie considerate socievoli tra loro. Senza aggiungere altro alle minacce precedenti Crowley lo salutò di nuovo, senza accennare a quel movimento sospetto di poco prima, e lasciò la casa.

Ferid, ricadendo in quello stato meditabondo quasi subito, sparecchiò la tavola e passando davanti al frigorifero si sentì come se avesse inghiottito un cubetto di vetro: si era dimenticato dei glifi di Grimbald. Si affrettò a risciacquare i piatti per poi telefonare a Dante De Stasio, ma non appena infilò la mano sotto l'acqua corrente ricordò un'altra cosa che gli era passata di mente: il simbolo rossastro che credeva di aver visto sul palmo della mano quando si trovava nella chiesa di Saint Thomas, che ora si rendeva conto essere senza dubbio uno dei glifi di Grimbald.

Chiuse l'acqua e studiò in silenzio il proprio palmo, del tutto pulito se non per il leggero segno rimasto dalla ferita riportata nel bosco.

Indubbiamente, tutta quella storia stava assumendo tinte fosche difficili da interpretare.

   
 
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