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Autore: An13Uta    12/10/2020    2 recensioni
Che bestia curiosa, il tempo.
Che creatura abitudinaria.
Genere: Drammatico, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Happy Mask Salesman, Skull Kid
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'occhi d'ambra'
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Oitesch





 

Che bestia curiosa, il tempo.

Che creatura abitudinaria.

Uno strano animale dai movimenti circolari, il cui corpo è in un costante processo di muta: gira in tondo ripercorrendo metodico il percorso lasciato dalla sua pelle morta, ripetendone i motivi su quella nuova mentre scivola inesorabile verso gli strati già persi, lento ma infallibile oracolo del destino.



Il suo secondo viaggio nel canyon predestinato a maledirsi attraverso l'odio lo aveva portato a vendere la sua preziosa merce in un infame periodo di guerra.


Ah, la felicità – cosa si darebbe per anche solo un briciolo della sua effimera beltà! Quali atrocità uomini savi e coscienziosi sarebbe disposti a commettere per assicurarsene anche solamente un fiato! Lui la distribuiva ai bambini in semplici vassalli di legno dalla pittura sbiadita dal sole, e la guardava serpeggiare dietro di loro mentre correvano come una sottile scia di formiche carnivore.


Non lo aveva visto – no, solo intravisto.

Il segno del suo passaggio erano porte sbattute, colpi sordi contro ossa appena coperte, minacce gridate, piccoli piedi ricoperti di graffi che sgattaiolavano via, occhi grandi come lune spariti in un istante, scapicollati via tra la polvere e le rocce di un regno tanto fiorente quanto inospitale, verso il cimitero reale.


Lo seguì alla maniera delle volpi nascoste alla cui effigie tanto somigliava: come seta strisciò radente ai muri e si infilò nei buchi di pareti abbandonate.


Riuscì a vederlo solo quando il corpo tutto ossa si erse su una massiccia lapide, dandogli le spalle nella sudicia tunica a maniche corte tessuta per un corpo ben più grande. Tremava come una foglia sebbene la gelida notte della valle non fosse ancora arrivata, braccia e gambe scosse da spasmi terribili; il suo volto fissava lontano, lontano, all'interno dell'informe alveare oscuro che si ergeva come un presagio di malasorte nel punto più alto del canyon, nelle verdi pupille fiammeggianti del mellifluo tesoro dell'odio più profondo, la più grande eresia contro l'amorevole forza creatrice dell'universo.


(Nel suo primo viaggio aveva assistito al momento in cui le ultime pietre della torre erano state poste con una frenesia disperata e violenta; aveva guardato dall'ombra come la matta furia insensata tanto anelata dagli antichi aveva cominciato a prendere possesso delle loro menti, portandoli lentamente alla rovina come un pastorello crudele che indica alle pecore la via verso il dirupo; aveva fissato a lungo nell'anima senza cuore che cercava di straripare dal legno, e per quanto la sua ipnotica melodia che prometteva la libertà da ogni limite non lo potesse sedurre aveva deciso che l'avrebbe fatta sua. Ma era giovane, troppo giovane, e se fosse rimasto lo avrebbero ridotto a brandelli come una bambola di pezza.)


Non fece rumore. Il bambino si voltò verso di lui con la criniera rossa insanguinata da un sole morente.


Aveva occhi rotondi e vacillanti tra il vacuo e il vivo.


Un brivido lo percorse violento dalle caviglie alle spalle, e quasi cadde dalla dura roccia su cui era abbarbicato.

Le dita scheletriche si indurirono a formare quelli che sarebbero dovuti essere artigli e irrigidì quali muscoli aveva. Gli mostrò i denti tremanti con la ferocia animalesca ormai tipica degli abitanti di Ikana.


Parlò in un flebile soffio roco, quello di un gatto appena nato incapace di difendersi per quanto ci provi; parlò con astio tra il fracasso delle sue magre mandibole che si scontravano come fosse già un morto sepolto da anni.

“Io sono Oitesch.” parlò con quella lingua dura in cui le voci di Termina affondarono le radici anni ed anni dopo la fine del regno maledetto. “E non ho nessuno al mondo.”

Parlò nel modo in cui i bambini ripetono ciò che sentono senza comprendere appieno il significato delle parole che cadono dalle loro labbra; parlò come un mendicante distrutto dalla fatica di una vita di stenti, ripetendo fino alla nausea la stessa preghiera.


Non rispose.

(per le volpi è malasorte rispondere a chi non vuole sentire)

Dalle pieghe della sua veste estrasse una maschera cornuta, dalla forma di teschio, e con il suo sorriso di volpe a tre code gliela offrì.


Oitesch, che non aveva nessuno al mondo, fissò i suoi grandi occhi rotondi sull'avorio di legno, e lentamente smise di tremare. Le sue spalle si abbassarono, le dita si ammorbidirono in quelle di un bambino, i folli folti capelli rossi seguirono il tranquillizzarsi del suo respiro intrecciandosi con raggi di luce arancione.

Scese adagio dalla lapide, i denti nascosti dalle labbra. Con passi piccoli e claudicanti si avvicinò, piano, piano, piano -


La sentì.


Era sottile, sottilissima, appena un alito.


Non era né una voce né una musica; era un richiamo senza parole, senza suono. Dalla sua prigione nascosta tra le grandi e scure finestre della torre cantava senza melodia, senza testo, senza bocca. Cantava melliflua e accattivante; prometteva di togliere tutto, tutto, tutto. Prometteva di togliere il pensiero, la ragione, il volere, l'anima, l'orrendo limite del corpo. Prometteva senza amare né mantenere, prometteva ridendo ed aspettando uno sciocco tanto disperato da credere alla sua canzone.


La sentì, e come anni ed anni prima, non ne fu toccato.


Il peso della maschera ancora nelle sue mani lo distrasse e si riscoprì solo in un cimitero deserto. Di Oitesch, che non aveva nessuno al mondo, riuscì solo a intravedere la veste sporca dietro ad una tomba, un braccio allungato verso una sporgenza nel muro, un'ultima lancia di luce attraverso una ciocca focata impolverata.


L'ultima volta che lo intravide fu anche l'ultima che lo sentì.


Lo svegliò dal suo giaciglio roccioso il grido flebile e terrorizzato che si espanse con la maledizione nella mattina, mentre ancora il sole non scottava e i soldati cominciavano a prendere le armi; intravide l'uscio della torre appena aperto, la colata ingorda della maledizione, la bocca spalancata che gridava con tutta l'aria nei suoi piccoli polmoni, il lampo rosso e scuro che serpeggiava tra i corpi ancora vivi dei presto morti di Ikana verso la pianura.


Intravide Oitesch, che non aveva nessuno al mondo, scappare con la maledizione aggrovigliata alla caviglia mentre la sua gente gridava nella lenta e agonizzante morte a cui la loro ascendenza li aveva predestinati.

Intravide Oitesch, che non aveva nessuno al mondo, sparire nel fogliame di un bosco da cui non sarebbe mai più riuscito ad uscire, gettandosi nelle braccia di legno di una lunga vita senza memoria, senza crescita, senza affetti.


E nella sua ingenuità pensò, mentre camminava attraverso le sale senza luce che lo avrebbero condotto a stringere tra le dita il cuore d'odio puro da lui tanto agognato, che Oitesch, che non aveva nessuno al mondo, al suo destino di portatore di morte fosse riuscito a scappare.



Quando il suo terzo, sfortunato viaggio nella terra devota al ciclo della Luna arrivò all'alba di un nuovo giorno, fissò a lungo lo spiritello che tutto aveva causato mentre tremava mortificato nella pianura; fissò il modo in cui teneva la testa, in cui le sue dita si accartocciavano, in cui il suo corpo era colto da piccoli spasmi irrefrenabili, in cui i vestiti pendevano larghi dalla sua magra figura, in cui dondolava appena claudicante quando camminava.

Fissò il modo in cui la maschera del teschio (la stessa che aveva trovato a chi donare la propria gioia solo grazie al ragazzo che aveva salvato il mondo in tre giorni) pendeva appena nascosta sotto la sua larga tunica.


Lo fissò a lungo e bene, sorridendo con il suo volto aguzzo da volpe a tre code.


Non disse nulla.

(per le volpi è malasorte rammentare il proprio passato a coloro a cui i boschi maledetti hanno negato ogni memoria)

Gli passò accanto come se non si fossero mai scontrati.



Che bestia curiosa, il tempo.


Che creatura abitudinaria.

   
 
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