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Autore: flaaminia_    15/10/2020    0 recensioni
| Leario |
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Il mistero che si celava sotto quell'espressione cortesemente impassibile, quella postura sempre dritta, mai rilassata, come quella di un soldato, ma con molta più grazia ed eleganza, aveva fatto nascere in Leonardo il desiderio incontrollabile di studiarne ogni aspetto, che fosse psicologico o fisico.
Fortuna che il soggetto del suo nuovo interesse fosse estremamente gradevole da guardare.
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Girolamo Riario, Leonardo da Vinci
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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de aenigmate viri

Quando Zoroastro entrò nel suo laboratorio, quella mattina, sembrò avere tutt'altro che un'aria fresca e lieta. Leonardo non diede molto peso al suo umore; spesso, dopo una notte passata a bere e divertirsi con le donne del Cane Abbaiante, capitava che l'emicrania gli martoriasse il capo e la luce gli ferisse gli occhi. Dopo qualche ora di riposo e tantissima acqua si riprendeva senza problemi ed era subito pronto a fare come le spugne, che s'imbevono di liquido finché non ne possono più.
Il suo fedele amico trascinò mollemente le gambe entro le mura del suo impero e si lasciò cadere sgraziatamente sul tavolo che spesso ospitava uomini in condizioni ben peggiori di quelle in cui si sarebbe mai trovato durante le sue sbronze.

«Non va affatto bene» esordì, apparentemente rivolgendosi ai modellini esposti che lo guardavano dal soffitto di legno. Leonardo scese le scale e gli appoggiò un calice d'acqua all'altezza della mano, ma ad una distanza sufficiente per evitare che si rovesciasse in caso Zoroastro avesse fatto qualche movimento brusco. Come al solito considerava ogni variabile.
«Se pensi di dover vomitare ancora, ti pregherei di farlo fuori, possibilmente lontano da qui» gli rispose con voce indaffarata, prestando poca attenzione alla sua condizione.
«Oh, certo. Sia mai che qualcuno possa essere disturbato dall'olezzo del mio vomito, abituato com'è a quello dei tuoi cadaveri» ribatté puntualmente Zoroastro, senza muovere un muscolo che non fossero le labbra e le corde vocali. Era rimasto lì, a fissare il soffitto, senza prendere il calice.
«Comunque non mi riferivo a quello» continuò, consapevole di ricevere solo metà dell'attenzione dell'artista, che era perso nei suoi disegni di un ennesimo studio sul volo degli uccelli. Infatti, ottenne da lui solo un «mh?» distratto e vagamente infastidito.
«Riario è a Firenze» disse ancora, issandosi finalmente a sedere e prendendo il calice d'acqua. La visita del Conte Riario a Firenze poteva significare solo problemi da Roma; papa Sisto non non era il genere di capo politico che mandava i suoi legati in missione di pace, specialmente se il suo legato era proprio Riario. Sicuramente avrebbe scoperto il motivo della sua visita quel pomeriggio, nella casa dei Medici, dove era certo che alloggiasse il Conte durante la sua permanenza a Firenze.
«Dov'è Nico?» chiese, regalando a Zoroastro il primo vero sguardo della giornata. Si strinse nelle spalle e disse che non lo sapeva. Questo era strano. L'assenza di Nico, che normalmente era sempre intorno a Zoroastro o al suo maestro Da Vinci, per il quale stravedeva, sembrava coincidere pericolosamente con l'arrivo del nipote del papa. Che Riario avesse in simpatia il giovane apprendista non era un mistero: Leonardo lo aveva più volte visto avvicinarsi a lui e parlargli con la sua solita freddezza, che però si discostava vagamente dal suo naturale distacco.
Benché Zoroastro non facesse altro che lamentarsi di quanto potesse fuorviarlo, Leonardo trovava interessante osservare un cambiamento nell'atteggiamento gelido e serrato di Girolamo Riario, che sembrava non permettere mai a nessuno di capire cosa gli attraversasse la mente e quali sensazioni invadessero il suo spirito. 

 

«Siete ancora alle dipendenze dei Medici, Artista» questo era stato il saluto di Riario, pronunciato dalla sua voce calma, misurata, agghiacciante. Il mistero che si celava sotto quell'espressione cortesemente impassibile, quella postura sempre dritta, mai rilassata, come quella di un soldato, ma con molta più grazia ed eleganza, aveva fatto nascere in Leonardo il desiderio incontrollabile di studiarne ogni aspetto, che fosse psicologico o fisico.
Fortuna che il soggetto del suo nuovo interesse fosse estremamente gradevole da guardare.
«E voi alle dipendenze di Roma» constatò, con la leggerezza di una provocazione nata da uno scherzo, assolutamente innocente. Ad una persona poco attenta sarebbe potuto sembrare che il Conte fosse scarsamente incline al gioco, ma la verità era che dietro la maschera di sarcasmo, probabilmente riusciva a trarre divertimento dall'ironia dell'artista. E Leonardo questo era riuscito a capirlo. Nonostante fosse ben poco, era comunque una minuscola breccia nel muro dietro il quale Riario si proteggeva dal mondo.
«Lorenzo non fa che vantarsi per tutta Firenze del ritratto che state facendo a sua moglie, Madonna Orsini, tanto che la fama della precisione e del trasporto della vostra arte è arrivata fino alla Città Santa» gli stava dicendo il Conte, mentre camminavano nel giardino della residenza dei Medici. Lorenzo e Clarice avevano diversi ospiti ai quali prestare attenzione, quella sera, e difficilmente avrebbero notato la loro assenza.
Ancora non era il tramonto, ma il cielo cominciava a colorarsi di sfumature più scure. Leonardo guardò il volto spigoloso e affilato del Conte Riario e ne percepì lo sguardo, così profondo che non si sarebbe stupito se avesse cominciato ad avvertire i pensieri del suo proprietario nella testa. Rabbrividì all'idea: non perché non volesse sapere cosa si celava in quella mente pericolosa, ma perché avrebbe voluto che Riario traducesse per lui in parola ciò che più lo tormentava.
«Qualità che dipendono necessariamente da cosa mi trasmette il modello. Madonna Orsini è una donna molto forte e che stimo, ho svolto questa commissione volentieri» rispose.
Si fermarono davanti ad una fontana e per un istante il movimento dell'acqua rapì Leonardo al punto da fargli venire voglia di prendere il quadernino dalla tasca posteriore dei pantaloni e disegnare le increspature della superficie. Durò solo un momento, poi la voce di Riario lo riportò al giardino.
«Potrei intercedere con il Santo Padre per farvi commissionare il suo, di ritratto» stava dicendo, guardando l'acqua nello stesso punto in cui lo sguardo di Da Vinci si era fissato.
Leonardo tornò a studiare i dettagli del volto dell'altro. Non riuscì a trattenersi dal dire quello che da interi minuti stava pensando ossessivamente.
«Sarebbe molto più interessante ritrarre voi» disse con voce stranamente audace; non aveva paura di Riario, non si vergognava dei suoi desideri e della sua curiosità. E lui avrebbe sinceramente voluto ritrarre l'intera persona del Conte Girolamo Riario.
Egli, invece, parve sorpreso dal suo modo diretto di esprimere i suoi pensieri e, soprattutto, dal loro contenuto. Da Vinci voleva ritrarre lui?
«Me?» sorrise di uno di quei sorrisi gelati da sembrare innaturali. «Artista.. si ritraggono le persone importanti per la storia, o la bellezza che merita di essere resa immortale» continuò, abbassando ogni tanto gli occhi. Il suo contegno non era riuscito ad impedire alle sue gote di tingersi di un leggero rosa, che a Leonardo non sfuggì per niente.
«La vostra bellezza merita di essere immortale. E poi - rispose l'artista, assumendo quell'aria curiosa di quando scrutava qualcosa di raro e misterioso - desidero ritrarvi per riuscire a comprendervi.. almeno un po'» non abbassò mai gli occhi dai suoi, ma anzi tenne il suo sguardo fisso nell'oblio del Conte, che sembrava assurdamente stupito. Gli era difficile credere che qualcuno potesse interessarsi così a lui.
«Non c'è molto che valga la pena comprendere» disse, senza nemmeno un vago accenno di falsa modestia.
In quel momento Leonardo si accorse di una foglia solitaria che si era fermata a riposare sulla spalla avvolta dalla veste nera di Riario; proveniente, a giudicare dalla forma e dal colore, da uno degli alberi che abitavano quel giardino e che cominciavano a perdere le foglie, ormai vecchie e troppo stanche per starsene attaccate ai loro rami, come fanno gli uomini che sono arrivati alla fine della loro vita nel tempo stabilito e che la lasciano andare, pronti a cadere giù.
L'artista allungò la mano fino alla sua spalla, vicinissima al suo viso, che adesso era aperto in un'espressione confusa, e prese delicatamente la foglia tra le dita.
«Lasciate che sia io a stabilirlo» rispose, facendo sparire la foglia nella tasca. 

   
 
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