Ken
Wakashimazu amava la sua vita normale: frequentava una buona scuola,
aveva
degli ottimi amici e, allo stesso tempo, giocava a calcio in una delle
squadre
giovanili più importanti del Paese. Non avrebbe cambiato
nulla della sua
quotidianità, ma il destino o chi per lui decise di metterci
lo zampino, trascinandolo
in una delle situazioni più assurde che si possano
immaginare.
Anche
per quella giornata l’allenamento era finito. Wakashimazu,
tra i pali della
porta, osservò i suoi compagni di squadra allontanarsi in
direzione degli
spogliatoi. Nonostante la stanchezza, avrebbe dovuto restare al campo
più a
lungo: il mister gli aveva chiesto di aiutare Takeshi Sawada,
l’ultimo arrivato
all’Accademia Toho, con degli allenamenti extra. Ken aveva
accettato di buon
grado, dopotutto Takeshi era uno dei suoi più cari amici ed
era contento di
potergli dare una mano. Solitamente anche il capitano rimaneva con
loro, ma
quella sera aveva preferito andar via insieme al resto della squadra.
Wakashimazu sospettava che quella decisione avesse a che fare col
compito di
matematica del giorno seguente, per il quale Hyuga, come sempre, non
aveva
studiato. Non c’era niente da fare, quel ragazzo aveva in
testa solo il pallone
e pensava di cavarsela ripassando tutto la sera prima, ma il suo metodo
non
funzionava praticamente mai e Ken era costretto a passargli tutte le
risposte. Sperava
che almeno per quella volta Hyuga riuscisse a cavarsela da solo, anche
se
dubitava fortemente che una sola serata di studio sarebbe bastata. A
volte si
chiedeva se sarebbe stato capace di farsi promuovere senza il suo aiuto.
L’allenamento
con Sawada proseguì fino a tarda serata. Quando il mister li
congedò, Takeshi corse
agli spogliatoi, uscendone dopo appena qualche secondo con il proprio
borsone,
dicendo che doveva tornare subito ai dormitori a finire una ricerca per
il
giorno dopo e salutando Wakashimazu con la mano, mentre anche
quest’ultimo si
dirigeva nell’edificio adibito a spogliatoio per la squadra
di calcio.
Subito il
gatto smise di tormentargli le scarpe e, ormai
sicuro di avere la sua attenzione, si diresse dove si trovava prima,
dalla
parte opposta dello spogliatoio. Voleva forse mostrargli qualcosa?
Wakashimazu
lo seguì e lo ritrovò davanti a un armadietto
aperto, che riconobbe come quello
del capitano. Dentro c’erano ancora tutte le sue cose, ma lui
dov’era? Ken credeva
che fosse già tornato in camera da un po’, ma che
senso aveva andarsene senza
la propria roba?
Il gatto parve
rifletterci su, poi finalmente si decise: con un agile salto,
entrò
nell’armadietto aperto e si voltò nuovamente verso
Ken. Si sedette quindi sulla
maglietta che Hyuga aveva lasciato lì e guardò
fisso il portiere, come a dirgli
“Vediamo se hai capito adesso!”. Ora che si trovava
al suo stesso livello, Ken
notò che, effettivamente, c’era qualcosa di
strano: quel gatto gli era
familiare, possibile che l’avesse già visto da
qualche parte? E poi quegli
occhi che lo fissavano … sembravano quasi umani, per non
parlare poi della sua
intelligenza!
Ebbe un brutto presentimento. Corse alle docce e controllò in ogni angolo, ma la stanza era vuota. Cercò il cellulare nelle tasche e, una volta trovato, chiamò il numero di Hyuga. Lasciando squillare il telefono, si accorse dopo poco di sentire la suoneria provenire dalla stanza accanto. Quindi il capitano aveva lasciato lì anche il cellulare. Non prometteva bene. Tornò nello spogliatoio e il gatto era ancora lì dove l’aveva lasciato, intento a cercare la fonte del rumore tra le cose di Hyuga. Davanti al suo sguardo incredulo, l’animale riuscì a scovare il cellulare sotto la maglietta della divisa del numero dieci della Toho e, con un tocco sicuro della zampa sullo schermo, accettò la chiamata. Si voltò poi verso il portiere, come ad aspettare che dicesse qualcosa. Lentamente, senza staccare gli occhi dall’armadietto, Ken spense il proprio telefono e lo rimise in tasca. Senza dar retta alla voce della ragione, che gli faceva notare come ciò che stava pensando fosse totalmente impossibile, si avvicinò al gatto. Per la terza volta si ritrovò a parlare con lui, abbassando la voce: “Capitano?”. In risposta, questo annuì.
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Ammettetelo, l'associazione Kojiro-gatto l'abbiamo fatta tutti prima o poi XD
Questa fanfic l'avevo in mente da settembre, solo che non avevo mai trovato il momento giusto per scriverla, perciò ho deciso di aspettare fino a quando i compiti non mi avessero sommersa per mettermi a buttar giù qualche riga (quindi scusatemi se la grammatica o il testo in generale non sono ben fatti, la mia testa parla solo tedesco negli ultimi giorni e non ho un beta reader).
A parte questo, è il mio primo tentativo serio di scrivere qualcosa che sia più lungo di un capitolo solo, quindi le recensioni mi sarebbero davvero utili per capire come continuare al meglio. Inoltre, potrebbe passare molto tempo da un aggiornamento all'altro, perchè quest'anno ho gli esami e i professori ci stanno già mettendo pressione con compiti e verifiche varie.
In ultimo, ma non per importanza, ringrazio per il supporto Laura, la più accanita shipper Kojiken che conosco (e che assolutamente non ho influenzato) che mi avrebbe ucciso se l'avessi fatta aspettare ancora XD
Alla prossima!