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Autore: Kimando714    16/10/2020    0 recensioni
Giulia ha solo quindici anni quando impara che, nella vita, non si può mai sapere in anticipo che direzione prenderà l’indomani. Questa certezza la trova durante una comune mattina di novembre, quando il suo tragitto incrocia (quasi) del tutto casualmente quello di Filippo, finendo tra le sue braccia.
E cadendo subito dopo a causa dell’urto.
Un momento all’apparenza insignificante come tanti altri, ma che, come Giulia scoprirà andando avanti nel suo cammino, potrebbe assumere una luce piuttosto differente.
“Il camminare presuppone che a ogni passo il mondo cambi in qualche suo aspetto e pure che qualcosa cambi in noi” - (Italo Calvino)
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Walk of Life'
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CAPITOLO 59 - BRAND NEW START 

 
 
But now I feel I've lost my spark
No more glowing in the dark for my heart*
 
Il sole tiepido che batteva sul vetro delle finestre dell’aula aveva cominciato a infastidire Giulia sin dai primi momenti in cui si era seduta lì, in uno dei banchi su quel lato della classe. Erano tre mesi che non ricordava esattamente cosa significasse doversi alzare poco dopo le sei per doversi preparare, prendere la corriera, ed andare a scuola.
Era solamente la prima ora del 12 Settembre, e già si sentiva del tutto stanca, e già in parte spaventata.
L’unico lato positivo era che essere in ultima fila – accanto a Caterina, a sua volta affiancata da Valerio, seduto al banco più vicino alla finestra- le permetteva di potersene stare con la testa appoggiata alla superficie fredda e liscia del banco senza destare troppo interesse su di sé da chiunque fosse alla cattedra, dall’altra parte della classe. Non che, ascoltando così distrattamente, si stesse davvero perdendo qualcosa che già non sapesse: era passata solo mezz’ora eppure, Giulia ne era sicura, la loro professoressa d’inglese non aveva smesso di nominare gli esami di maturità neppure per un secondo. Il metodo più adatto per rigirare il coltello nella piaga, e far passare quel pizzico di voglia di continuare ad ascoltare che Giulia stava per perdere definitivamente.
Girò piano il volto nella direzione di Caterina e Valerio, e intuì, dalle loro espressioni, che anche loro dovevano pensarla esattamente come lei: mentre la prima assumeva sempre più un’aria vagamente disperata, oscillante tra il pessimismo più nero e la voglia di dimenticare tutto ciò che aveva a che fare con la maturità, Valerio annuiva ironicamente ad ogni parola della professoressa, senza però commentare causticamente a voce.
Quello che doveva essere il loro ultimo primo giorno passato al Virgilio stava assumendo sempre più, ogni secondo che passava, le sembianze di una strada che portava dritta all’inferno.
Cercando di far piano e senza farsi vedere, Giulia recuperò il proprio telefono dalla tasca dei jeans: con sua somma delusione, si accorse di non aver ricevuto nessun nuovo messaggio. Filippo non doveva ancora essersi svegliato, nel suo nuovo e piuttosto piccolo appartamento di Venezia, preso in affitto con Nicola giusto due settimane prima. Le aveva promesso di scriverle non appena avesse aperto gli occhi, ma i corsi all’università sarebbero iniziati solo tra qualche giorno, e Filippo, probabilmente, senza avere alcun impegno per quel giorno doveva essere ancora nel mondo dei sogni a quell’ora, dormendo tranquillo nel suo letto.
In quel momento Giulia riusciva facilmente a immaginarselo steso sul materasso e con i ricci corti scompigliati contro il cuscino; non potè fare a meno di invidiarlo profondamente a quel pensiero. E non riuscì nemmeno a trattenersi dal pensare che raggiungerlo sarebbe stata decisamente una cosa migliore di quel che si stava sorbendo in classe in quel momento.
Sospirò demoralizzata, lasciando scivolare di nuovo la testa verso la superficie del banco: non era ancora passata un’ora, e già desiderava ardentemente l’arrivo del primo intervallo.
“Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate”.
Forse non era quello l’Inferno che aveva immaginato Dante, ma quel primo giorno di quinta liceo cominciava pericolosamente ad avvicinarsi parecchio.
 
*
 
“Sembra di essere tornate al primo anno passato qui”.
Era una sensazione che Giulia non si sarebbe aspettata di provare, non al primo giorno dell’ultimo anno al Virgilio. Eppure c’era un’inaspettata somiglianza al loro primo giorno in assoluto passato lì nel camminare per quei corridoi con la sola compagnia di Caterina, senza l’urgenza di trovare la classe dove si trovavano Filippo, Nicola e Pietro.
Era un po’ come essere andate avanti con la vita, ed essere tornate indietro allo stesso tempo.
La 5°A per quell’anno si ritrovava esattamente dall’altro capo dello stesso corridoio in cui era rimasta l’anno scorso; era comunque piuttosto vicina alle scalinate che conducevano al pianterreno, un lato piuttosto comodo calcolando quanto Giulia provasse l’insano bisogno di caffè, e quindi di dover arrivare il prima possibile ai distributori del piano inferiore.
-Fa strano avere così tanto tempo libero a ricreazione- borbottò Caterina, mentre imboccavano la via per le scale – Fa fin troppo strano-.
-Quanto il non dover pensare di dover andare a cercare la loro classe- commentò Giulia. Non c’era bisogno di specificare a chi si riferisse con quel loro: era ovvio, per quanto implicito, che Caterina se la stesse passando esattamente come lei. Stranita, malinconica, forse anche un po’ disorientata per quel cambiamento decisamente importante.
Fecero appena in tempo ad imboccare la tromba delle scale, prima di doversi bloccare al primo gradino per evitare uno scontro frontale – che di sicuro sarebbe stato doloroso- con un ragazzo che stava salendo a passi lunghi e veloci, e che sembrava essersi accorto di loro solo all’ultimo momento.
Giulia si sentì raggelare quando riconobbe la figura sorpresa di Giovanni, gli occhi azzurri spalancati in sorpresa. Per un attimo ebbe quasi la tentazione di rivolgergli una smorfia e passare oltre, ma Caterina glielo impedì:
-Ciao, Giovanni- lo salutò come se nulla fosse, alzando una mano e muovendola in un gesto di saluto. Dopo quel segno di disponibilità, il viso dell’altro si rilassò notevolmente, fissando lo sguardo più su Caterina.
-Ciao- rispose lui, rimanendo a distanza di qualche scalino, sollevando il viso – Scusate, forse stavo correndo un po’ troppo-.
“Ma dai, non l’avrei mai detto”.
-Andavi in classe?- gli chiese Caterina. Giovanni annuì subito:
-Sì, è proprio lì-.
Giulia si girò qualche secondo per seguire la direzione che Giovanni stava indicando con il braccio alzato: effettivamente la 5°A dell’indirizzo elettronico si trovava esattamente di fronte alle scale, pericolosamente vicina alla loro classe. Non certo ad una distanza ragionevole, si ritrovò a pensare infastidita; quella mattina non aveva nemmeno fatto caso a quali altre classi ci fossero lungo quel corridoio, troppo di malumore per porci la dovuta attenzione.
-Di nuovo vicino alla nostra, quindi- commentò ad alta voce, tornando a fronteggiare Giovanni, e incrociando le braccia contro il petto, in una posizione non esattamente amichevole.
-A quanto pare- rispose lui, alzando le spalle – È da un po’ che non ci si vedeva-.
Giulia pensò che non sarebbe poi stato così male continuare a non vederlo affatto.
-Da quando è finita la scuola a giugno, credo- puntualizzò Caterina, con fare pensieroso, come se stesse cercando di ricordare se aveva detto giusto.
Non era un’osservazione del tutto sbagliata, rifletté Giulia: le loro classi erano state posizionate nello stesso corridoio anche l’anno prima, e ricordava perfettamente di averlo incrociato diverse volte tra aprile e giugno. Ma se doveva essere precisa, era perfettamente sicura che né lei né Caterina avessero avuto qualche conversazione con Giovanni da dopo la gita a Parigi – da dopo quella mezza dichiarazione fatta di elementi impliciti ed altri più espliciti che, in un modo o nell’altro, le aveva portate decisamente distanti da lui.
-Come stai?- la voce di Caterina la distrasse, facendole quasi cadere le braccia per quell’eccessiva premura. Non riusciva a capire cosa la stesse spingendo a continuare quella conversazione, quando ricordava perfettamente che anche Caterina non aveva preso alla grande i fatti successi a Parigi.
-Direi bene- Giovanni, per la prima volta da quando avevano iniziato a parlare, le aveva sorriso – Un po’ assonnato, forse-.
-Passato una buona estate?- Giulia si intromise di nuovo, con un finto sorriso che, ne era sicura, Giovanni doveva ritenere tutt’altro che credibile – Magari hai conosciuto qualche ragazza-.
-Nessuna di importante, a dire il vero. Non è così facile incontrare qualcuno di davvero interessante- Giovanni le rivolse un’occhiata veloce, atona come il tono di voce che aveva usate per parlarle, e che lasciava trasparire del tutto l’ostilità con cui stava ricambiando la sua – Però sì, è stata una buona estate. Almeno è stata tranquilla, prima dell’anno che ci aspetta-.
Prima che Giulia potesse ribattere qualcosa, Caterina la precedette:
-Hanno assillato anche voi con mille discorsi sulla maturità?- gli chiese, a tratti ridendo con una vena di disperazione.
Giovanni rise a sua volta:
-Ovviamente. Non hanno perso tempo- disse, scostandosi una ciocca di capelli mossi finitagli davanti al viso – E voi, come avete passato l’estate?-.
-È andata bene. Piuttosto tranquilla- Caterina rispose brevemente, ma Giulia non aveva alcuna intenzione di perdere quell’occasione:
-Abbiamo fatto una magnifica vacanza in Puglia- iniziò a dire, perfettamente consapevole dell’occhiata disorientata che Caterina le aveva lanciato non appena aveva iniziato a parlare con quel tono enfaticamente soddisfatto – Sai, con amici e con i nostri ragazzi. Davvero fantastica, è stato grandioso passare così tanto tempo con loro-.
Osservò Giovanni annuire con espressione indifferente, un po’ troppo indifferente di quel che aveva sperato.
-Buon per voi- le rispose infine – Se non sbaglio ora non sono più qui a scuola, giusto? Sono andati all’università?-.
Poteva sembrare un commento del tutto innocente, e forse anche logico visto che era stata lei per prima ad averli nominati, ma Giulia quasi non riuscì a non incenerirlo con gli occhi.
-Sì, iniziano lunedì. Hanno ancora qualche giorno di ferie, beati loro- Caterina intervenne prontamente, dopo averle lanciato un’occhiata veloce. Sembrò intuire al volo ciò che le stava passando per la testa in quel momento.
“Se lo ascolto un altro secondo, giuro che …”.
-Beh, ora si è fatto davvero tardi. Stavamo andando in segreteria per ritirare alcuni moduli- disse con voce serafica Giulia, fregandosene del tutto che potesse sembrare insolito dover aver bisogno di moduli da firmare già al primo giorno di scuola – E non vorremmo rimandare ancora al prossimo intervallo-.
Giovanni non fece una piega, annuendo subito:
-Certo- rispose a mezza voce, spostandosi di lato per lasciarle passare – Allora ci si vede in giro-.
“Ti piacerebbe”.
Caterina fece appena in tempo a salutarlo brevemente, prima che Giulia la trascinasse visibilmente lungo il resto degli scalini, fino a raggiungere il piano inferiore – mettendo, finalmente, una degna distanza tra loro e Giovanni. Appena girarono l’angolo verso il corridoio dove si trovavano i distributori automatici, Giulia tirò un sospiro di sollievo, lasciando la presa sul braccio di Caterina.
-Non sapevo dovessimo andare in segreteria a ritirare dei moduli non ben specificati-.
Giulia si girò a guardare l’altra: stava ridendo sotto i baffi, evidentemente divertita da quella situazione. Giulia si ritrovò a sbuffare sonoramente:
-In effetti mi servirebbe proprio un modulo che servisse per tener fuori dai piedi certe persone-.
Caterina scosse la testa, continuando a camminare con calma:
-Oh dai, non stava facendo nulla di male- mormorò, sospirando a fondo – E poi ormai credo che potremo archiviare quella specie di dichiarazione che mi aveva fatto. Sono passati sei mesi e non è successo nulla-.
Era vero, e per quanto Giulia detestasse doverlo ammettere, effettivamente non poteva negare quel dato di fatto. Negli ultimi mesi avevano sì e no incrociato Giovanni da distante, ma come loro nemmeno lui aveva tentato qualche approccio. Si era, in un certo senso, allontanato senza che nessuno glielo consigliasse apertamente, ma ciò non voleva comunque significare che potesse cambiare idea in futuro, con Nicola altrove e con Caterina che sembrava avergli perdonato qualsiasi cosa.
-Solo perché non è successo nulla finora, non vuol dire che non possa provarci ancora-.
Caterina si fermò di fronte a lei, allargando le braccia:
-Non credo. Probabilmente abbiamo ingigantito la cosa e basta- sospirò di nuovo, rumorosamente, alzando gli occhi al cielo – Sarà un anno noioso e monotono a non finire, fidati di me-.
Giulia non fece in tempo a dire nulla, che Caterina si voltò e ricominciò ad avviarsi verso la zona dei distributori. L’unica cosa che le rimase da fare fu seguirla, scuotendo la testa. Sperava solo che fosse Caterina ad essere nel giusto, e che quei nove mesi fossero veloci a passare, per lasciarsi alle spalle quell’inferno che le si prospettava davanti.
 
*
 
So I'm leaving this worry town
Please no grieving, my love, understand?
 
-Dove diavolo sono finiti i miei quaderni? Accidenti!-.
Filippo si passò nervosamente una mano tra i ricci già in completo disordine, rinunciando infine a controllare i libri rimanenti appoggiati ad una mensola dello scaffale, quello vicino alla finestra della sua stanza. La mattina del 16 Settembre era iniziata pessimamente, in maniera molto peggiore di quel che si era prospettato.
Aveva passato una notte quasi del tutto insonne, attendendo invano di prendere sonno; fu solo alla mattina che ringraziò il fatto di essere rimasto sveglio, almeno fino alle sette, quando la sveglia aveva deciso di non suonare. Immaginava già il casino che sarebbe successo se, beatamente addormentato, se ne fosse rimasto a letto ancora qualche ora. In quel momento, nervoso come mai si era sentito in vita sua, continuava a non riuscire a rintracciare i suoi nuovi quaderni che sarebbero stati fin troppo preziosi per la sua nuova vita da studente universitario, calcolando tutti gli appunti che avrebbe dovuto prendere; lanciava regolarmente veloci occhiate alla sveglia sul comodino, come se continuare a guardarla avesse il potere di fermare quelle lancette. Se avesse continuato così sarebbe finito per ritardare. Ritardare troppo, al primo giorno di università della sua intera vita.
L’appartamento che aveva affittato con Nicola non era grande – un bagno, una cucina che faceva anche da sala da pranzo, due camere da letto piuttosto strette, ed una misera sala d’ingresso-, e le cose che Filippo si era portato dietro da Torre San Donato non erano nemmeno molte. Solo alcuni libri del liceo, qualche lettura a cui si sentiva legato particolarmente, ed ovviamente alcuni quaderni che aveva già comprato. Si era ripromesso di iniziare a prendere appunti nella maniera più ordinata possibile: d’altro canto quello era il primo passo per facilitare lo studio e non arrivare troppo con l’acqua alla gola alla sessione d’esami.
Quaderni che, in ogni caso, non stava trovando. Si chiese, in un attimo di disperazione, dove diavolo avrebbe mai potuto iniziare a scrivere quel che sarebbe stato detto alle lezioni di quel giorno, se non riusciva a trovare nemmeno un misero foglio di carta che, fino a prova contraria, doveva essere in quella maledetta casa.
Si prese qualche attimo fermandosi sul bordo del letto ancora sfatto, le mani ancora tra i capelli e lo sguardo rivolto alla finestra della sua stanza: c’era un cielo parecchio grigiastro in quella giornata. C’era evidente aria da pioggia sopra Venezia, quella mattina, e Filippo sperò solamente che non piovesse per davvero almeno quel giorno: non voleva sperimentare sin da subito l’esperienza dell’acqua alta veneziana, soprattutto se mai gli fosse toccato pure andare a cercare una qualsiasi cartolibreria all’ultimo minuto.
Si fermò anche ad ascoltare il rimbombo dei passi frenetici di Nicola proveniente da fuori della sua stanza, mentre vagava da un ambiente all’altro dell’appartamento. Sembrava nervoso perfino lui, o quantomeno particolarmente di fretta.
Quasi sobbalzò quando, nemmeno un attimo dopo, Nicola aprì di scatto la porta della camera, facendolo trasalire per la sorpresa.
-Hai visto il mio telefono da qualche parte?- domandò Nicola, con tutta la tranquillità possibile, ancora in canotta e boxer. Al contrario di quel che aveva pensato Filippo qualche secondo prima, il biondo non sembrava avere la minima fretta, apparendo piuttosto come se si fosse appena alzato dal letto.
-No, certo che no! Ho già il mio bel da fare nel cercare i miei quaderni- replicò Filippo, alzandosi di scatto, e non potendo fare a meno di notare il sopracciglio alzato di Nicola – E poi tu sei ancora vestito così! Anzi, svestito … Farai tardi!-.
-Io non ho lezione oggi- sbottò Nicola, iniziando già ad allontanarsi – Devo solo andare ad un’inutile riunione per l’inizio dei corsi, a cui potrei anche fare a meno di andare-.
-Vuoi che facciamo cambio?- gli urlò dietro irritato Filippo – Probabilmente riusciresti a resistere meglio di me ad avere lezione fino a sera-.
Si lasciò sfuggire un sibilo di disperazione, nel ricordarsi tutti i corsi che lo attendevano direttamente quel giorno. E se lo lasciò sfuggire anche al pensiero di ritrovarsi da solo a doverle frequentare.
Era un particolare a cui aveva pensato spesso, negli ultimi giorni. Gli sarebbe sembrato strano doversi recare in aule sconosciute e con persone altrettanto sconosciute – almeno in quei primi giorni-, solo, in un ambiente completamente nuovo. Si ritrovò ad invidiare parecchio Nicola, Alessio e Pietro, che avrebbero avuto gli stessi corsi e tutti alla sede di Mestre; a lui sarebbe toccato rischiare di perdersi per tre diverse sedi, la stessa di Mestre e altre due a Venezia.
“Mi perderò esattamente come ho perso i miei quaderni”.
Pur ritenendosi una persona alla mano e propensa all’estroversione, Filippo si sentì, per la prima volta in vita sua, davvero perduto. Gli unici riferimenti che si ritrovava ad avere in quella città nuova non ci sarebbero stati nemmeno per quel primo giorno. Si sentiva esattamente come il primo giorno passato al Virgilio, un quattordicenne spaventato per quella nuova scuola che non conosceva per niente, con la sola differenza che all’epoca aveva potuto contare sulla presenza sicura di Nicola, Pietro e Gabriele.
Sospirò di nuovo, indeciso se rimanere ancora un po’ lì seduto o cercare di prendere in mano la situazione, farsi coraggio ed iniziare a prepararsi psicologicamente per uscire.
Prima che potesse giungere ad una decisione, il silenzio creatosi venne spezzato da una non troppo sommessa imprecazione di Nicola. Filippo si voltò nella direzione di provenienza della voce dell’altro, indeciso se andare a controllare cosa fosse successo, o rimanersene lì con la curiosità; gli ci vollero alcuni secondi prima di cedere ed alzarsi dal materasso, raggiungendo in pochi passi il corridoio: la porta del bagno era aperta, e mostrava un Nicola tutt’altro che calmo, il ritrovato cellulare in mano, e l’aria piuttosto innervosita.
-Hai ritrovato il telefono, vedo- disse sommessamente Filippo, indeciso: qualcosa gli diceva che sarebbe stato meglio non dire nulla, soprattutto nel momento in cui Nicola si voltò verso di lui, con un’aria innaturalmente irata:
-Esattamente- replicò con voce che tradiva una certa esasperazione – E mi è appena caduto nel lavandino. Pieno d’acqua-.
Filippo lasciò un sospiro, facendo ciondolare le braccia lungo i fianchi con aria stanca.
Ora capiva come mai perfino la sveglia si fosse rifiutata di suonare quella mattina: era una giornata destinata ad iniziare e rimanere disastrosa. 
 



Il tè bollente che stava bevendo non sembrò bastare per fargli passare quella sensazione di freddo che si sentiva sulla pelle. Pietro si allontanò di qualche passo dal piano della cucina, avvicinandosi all’imboccatura del corridoio, lanciando l’ennesima occhiata verso la porta chiusa del bagno.
“Chissà se riusciremo ad uscire di casa in tempo”.
Erano passati diversi minuti da quando Alessio se ne era andato a farsi una doccia, promettendogli che ci avrebbe messo poco. Quella promessa cominciava ad essere meno convincente ogni minuto che passava.
Più di qualche volta, in quei lunghi minuti, Pietro si era ritrovato con la tentazione di entrare in bagno per chiedergli a che punto fosse. Ma poi aveva desistito, conscio che entrare così senza preavviso non sarebbe stata una buona idea, per nessuno dei due.
Continuò a picchiettare ritmicamente il piede sinistro contro il pavimento, quasi a scandire i secondi che passavano; concentrandosi nel silenzio, riusciva a percepire lo scroscio dell’acqua della doccia. Alessio doveva comunque essere sul punto di finire: non era passato molto da quando Pietro aveva sentito il getto dell’acqua fermarsi, probabilmente perché l’altro doveva essersi insaponato. Sperò che la sua teoria fosse giusta, e che di lì a poco la porta del bagno si sarebbe aperta, e che Alessio gli avrebbe lasciato il bagno libero. Forse farsi una doccia calda sarebbe servito per rilassarsi e farsi prendere meno dall’ansia in vista dell’inizio della loro avventura universitaria.
Più ci pensava, e più si considerava un pazzo ad aver deciso di proseguire gli studi.
D’un tratto udì un tonfo proveniente dal bagno, seguito da un silenzio ancor più intenso. Aggrottò la fronte in confusione, decidendo di tornare verso l’interno della cucina per posare la tazza del tè sulla prima superficie utile – il tavolo al centro della stanza fu il primo mobile che trovò-, decidendo senza troppe remore di avviarsi verso il bagno.
Non sapeva a cosa fosse dovuto quel tonfo, ma forse complice l’agitazione che già aveva preferì accertarsi che fosse tutto a posto. Alessio poteva sempre essere scivolato in bagno, aver sbattuto la testa da qualche parte e rischiare di morire dissanguato; meglio togliersi ogni dubbio, prima di cadere in una spirale di rimorso per non essere accorso in tempo.
Quasi rise di sé all’immaginarsi quella fine tragica e melodrammatica, ma continuò a camminare comunque: in fondo, pur non rischiando di ammazzarsi, Alessio poteva comunque aver bisogno di una mano.
Abbassò la maniglia del bagno, tirando un sospiro di sollievo nel rendersi conto che la porta non era chiusa a chiave. Sporse la testa dentro, dopo aver scostato la porta quanto bastava per riuscire a dare un’occhiata veloce all’interno.
-È tutto a … - iniziò a chiedere con fare incerto, prima di rendersi conto di quel che gli stava davanti agli occhi – Oddio, scusa!-.
Abbassò lo sguardo, arrossendo istintivamente e sentendosi la persona più idiota del mondo.
Alessio stava bene, anche troppo: nei pochi attimi in cui Pietro l’aveva individuato all’interno del bagno, l’aveva visto dargli le spalle, proteso e quasi completamente all’esterno della cabina della doccia per recuperare un asciugamano.
Non aveva idea di quale espressione Alessio potesse avere stampata in faccia in quel momento, dopo la sua intrusione. Sapeva solo che, almeno fino a quel momento, ancora non gli aveva urlato dietro né epiteti poco carini né di andarsene e di richiudere la porta.
-Che ci fai qui?- lo sentì invece domandare, con un tono decisamente più tranquillo di quel che si sarebbe aspettato.
Pietro si passò la lingua sulle labbra per inumidirle:
-Avevo solo sentito qualcosa cadere. Pensavo fossi scivolato-.
Cercò di acquisire almeno un minimo di contegno per non apparire del tutto imbarazzato. Ricordò come, poco più di tre settimane prima, lui stesso era rimasto davanti ad Alessio coperto con solo un asciugamano con tutta la naturalezza possibile: ricordava perfettamente la sua strana nonchalance, il rossore del viso dell’altro, e l’imbarazzo che lo aveva visibilmente attanagliato. Ora che si ritrovavano nella stessa situazione, a parti invertite, Pietro non riuscì a ritrovare la stessa noncuranza con cui aveva agito quella volta. Starsene mezzo nudo davanti ad Alessio, in pieno controllo della situazione, gli era parso quasi naturale, ma il contrario era tutta un’altra storia.
-Devi aver sentito il tonfo dello shampoo- replicò Alessio gentilmente, con fare pensieroso come se stesse cercando di ricordare cosa Pietro potesse aver sentito – Ma io sto bene. Falso allarme-.
Pietro annuì, già pronto ad andarsene, quando Alessio parlò ancora:
-Già che sei qui, però, potresti allungarmi un asciugamano. O finirò per strapparmi un braccio nel tentativo di prenderlo-.
Pietro sospirò a fondo, aggrappandosi alla maniglia della porta e prendendosi qualche secondo per sospirare a fondo, prima di decidersi a muovere un passo avanti. Attraversò la piccola stanza in pochi passi, sentendo lo sguardo dell’altro su di sé, ma cercando di ignorarlo, percependo ugualmente le gote arrossarsi. Allungò una mano verso la sedia accanto alla finestra, sopra la quale si trovava un asciugamano bianco, pulito e profumato quanto soffice. Si girò subito dopo averlo afferrato, sperando che Alessio non badasse troppo al rossore del suo viso.
Si permise di dargli un’occhiata veloce, solo per notare i capelli biondi di Alessio, resi più scuri dall’acqua che li impregnava, appiccicati alla sua fronte, e le lentiggini sul naso e sotto gli occhi, più visibili a causa del vapore e del calore, che gli addolcivano i lineamenti.
-Come mai hai quella faccia?- la voce di Alessio, a tratti divertita, riportò di colpo Pietro alla realtà: risollevò lo sguardo, trovandosi faccia a faccia con il sorriso dell’altro.
-Che intendi?- boccheggiò Pietro, allungandogli l’asciugamano, che Alessio prese comodamente con una mano, e passandoselo attorno ai fianchi.
-Sembri stranito- Alessio attese qualche secondo prima di uscire definitivamente dalla cabina della doccia, parlando e stavolta guardando altrove.
-È solo che … - Pietro si bloccò, passandosi una mano tra i capelli disordinati – Qui dentro sa di fragola. Hai un bagnoschiuma del genere?-.
Pietro tirò un sospiro di sollievo, ed ignorando completamente quanto potesse risultare idiota quella sua considerazione. Gli bastava solamente esser riuscito a sviare il discorso, nonostante l’occhiata poco convinta che Alessio gli lanciò.
-L’ho comprato perché era in offerta- replicò lui, recuperando un altro asciugamano accanto al lavandino, e cominciando a frizionarsi i capelli. Pietro fece per andarsene dopo quella risposta, superandolo velocemente, ma fece appena in tempo a fare qualche passo prima che Alessio gli rivolgesse di nuovo la parola:
-Stavo pensando che potremmo uscire un po’ prima del previsto e andare a far colazione in un bar-.
Pietro si girò a guardarlo con fare scettico – forse Alessio non aveva presente che ora fosse, e che, fino a prova contraria, lui doveva ancora lavarsi-, trattenendosi a stento dal fargli notare quei dettagli che di certo avrebbero impedito loro di uscire in tempo.
-In un bar?- gli chiese infine, lasciando trasparire tutta la sua poca convinzione.
-Non ti va di festeggiare il primo giorno di università con cornetto e caffè?- Alessio iniziò a frizionare i capelli, ridacchiando sotto i baffi.
-Ho già fatto colazione- borbottò Pietro, con tono poco conciliante – Sono più tipo da latte e cereali e tè caldo, sai-.
A quelle sue parole Alessio bloccò qualsiasi movimento, guardandolo con occhi sgranati:
-Ma che è, hai cinque anni?-.
Pietro lo guardò con un ghigno perfido stampato sulle labbra:
-Ehi, non c’è un’età per smettere di mangiare latte e cereali. Dovresti provare anche tu, magari saresti meno acido alla mattina-.
Alessio sbuffò sonoramente:
-Il latte fa schifo-.
Pietro ridacchiò ancora, un po’ più rilassato rispetto a prima. Arrivò alla soglia del bagno, ma prima di allontanarsi fuori dalla stanza, si voltò appena verso Alessio, non a sufficienza per riuscire ad osservarlo.
-In ogni caso, muoviti a lasciarmi il bagno, o non arriveremo in tempo neanche in sede-.
-Se avevi tutta questa fretta potevi chiedermi di farti la doccia con me per guadagnare tempo- Alessio lo rimbrottò con ironia piuttosto evidente nella voce, ma per qualche secondo Pietro s’immaginò comunque una situazione come quella appena prospettata. Cercò di dimenticarla l’attimo dopo.
-Avesti accettato?- gli chiese con molta più esitazione di quel che avrebbe voluto.
Anche se non poteva vederlo in viso, riusciva ad immaginarsi il ghigno furbo che Alessio doveva avere stampato sulle labbra in quel momento.
-Non credo, ma in tempi di disperazione potrebbero servire strategie per ottimizzare i tempi-.
La risata sommessa che seguì quelle parole fu l’ultima cosa che Pietro ascoltò, prima di uscire definitivamente da quel bagno e richiudersi la porta alle spalle.
 
*
 
-Che facciamo, quindi?- la voce di Caterina le giunse di punto in bianco, piuttosto indecisa – Restiamo qui o andiamo in stazione?-.
Giulia la guardò, se possibile, con sguardo ancor più confuso. Faceva caldo per essere metà settembre, e il solo pensiero della scarpinata che le avrebbe attese se avessero deciso di avviarsi verso la stazione di Piano Veneto, da dove avrebbero potuto prendere le loro rispettive corriere, non la entusiasmava affatto.
-Non lo so- sbuffò seccata per non riuscire a decidersi – Forse non ho molta voglia di camminare, ma non abbiamo nulla da fare qui-.
“E il non far niente mi farebbe solo pensare ancora a Filippo”.
Mancavano quindici minuti all’una, e da lui aveva ricevuto solo un paio di brevi messaggi con i quali le aveva più o meno raccontato come stava andando il suo primo giorno d’università. Giulia si sentiva sollevata all’idea che gli stessero piacendo i corsi e che avesse già conosciuto qualche altro collega, si sentiva davvero contenta per Filippo … Ma pensarlo così distante, e con solo qualche messaggio come unica comunicazione tra di loro, la stava facendo sentire molto più in crisi di quel che avrebbe immaginato. Sperava solo che il weekend arrivasse il prima possibile per poterlo vedere in carne e ossa e poterlo stringere per ore intere.
Sentì Caterina sospirare rassegnata:
-Prima o poi dovremo decidere qualcosa-.
Erano uscite da scuola da appena cinque minuti, l’ultima ora saltata per l’assenza del loro professore di matematica. La maggior parte della 5°A si era già dispersa – tra chi se ne era già andato verso la via di casa in auto, e chi invece come Valerio aveva optato per dirigersi subito verso la stazione-, ma loro erano ancora lì, a cercare di capire cosa convenisse fare.
-Forse … -
-Ehi, ciao!-.
Giulia venne interrotta da Caterina prima ancora di decidere come proseguire, d’un tratto curiosa di scoprire chi fosse la persona che l’altra stava salutando. Quando si voltò nella direzione verso cui Caterina era già girata, per poco non sbuffò sonoramente alla vista di Giovanni. Stava avanzando con lo zaino in spalla, i capelli ricci un po’ in disordine dopo un’intera mattinata di scuola.
-Anche tu fuori un’ora prima?- gli chiese ancora Caterina, con fare amichevole. Giulia si trattenne a stento dal guardarla male: cominciava a comprendere poco quel suo volergli essere amica nonostante tutto. Nei giorni precedenti lo avevano incrociato poche volte, sempre circondato da amici e compagni di classe, e forse per quel motivo né lui né Caterina avevano provato ad instaurare un’altra conversazione come capitato durante il primo giorno di scuola.
Giulia aveva sperato che la situazione potesse proseguire così per il resto dell’anno scolastico.
-Sì, sembra che al lunedì usciremo sempre un’ora prima- Giovanni arrivò finalmente di fronte a loro, le mani nelle tasche dei jeans e gli occhi azzurri cerchiati da occhiaie che, come Giulia si ritrovò a notare, erano più visibili ora rispetto a qualche giorno prima – Anche voi?-.
Caterina scosse il capo:
-No, mancava un nostro prof. È stata solo una coincidenza-.
-Beh, è pur sempre un’ora in meno di lezione-.
Giulia sospirò a fondo, vagamente irritata:
-Solo che in quinta non è proprio l’ideale, con gli esami a fine anno- iniziò a dire, le braccia incrociate contro il petto – Non vorrei arrivarci senza sapere nulla delle materie che avremo-.
Per la prima volta da quando era arrivato, Giovanni si voltò verso di lei, quasi si fosse accorto solo in quel momento della sua presenza. Giulia era sicura che avrebbe preferito di gran lunga non averla lì tra i piedi.
-Sapete già le materie?- le chiese con stupore, ma fu Caterina a rispondere:
-Sicuramente avremo tutte le lingue, tra seconda e terza prova-.
Giulia lo osservò annuire, spostando il proprio peso da un piede all’altro.
-Ve la caverete sicuramente bene, dopo cinque anni passati a studiarle- disse loro, con tono incoraggiante. Per la prima volta da quando lo conosceva, Giulia si ritrovò quasi a volere che avesse ragione.
-Dipende dalla lingua- commentò, scuotendo il capo – Per tedesco non ci giurerei troppo-.
Sentì Caterina ridere con una nota di disperazione, dandole implicitamente ragione.
-E in inglese?- chiese ancora Giovanni, dopo alcuni attimi di silenzio.
-Ce la caviamo bene, direi- Caterina annuì con fare un po’ più convinto – Come mai questa domanda?-.
Giovanni scostò lo sguardo, segno che doveva esserci decisamente qualcosa dietro quell’interesse riservato ai loro studi. Giulia acuì lo sguardo, corrugando la fronte e cercando di intuire cosa potesse frullargli per la testa in quel momento: pur senza riuscire a farsi venire in mente nulla, era sicura che sarebbe stata comunque qualcosa di pessimo.
-È che … - iniziò Giovanni lentamente, schiarendosi la voce con fare vagamente imbarazzato – Il fatto è che ho una mezza idea di trasferirmi in Olanda, dopo la maturità. Ma dovrei rafforzare un po’ di più l’inglese, almeno, se proprio non volessi studiare una base di olandese prima di andare là-.
L’entusiasmo di Giulia nel sentirlo parlare di trasferimento e di Olanda – sarebbe stato ancor più grandioso se se ne fosse andato ancor più distante, ma l’Olanda poteva comunque andare bene-, morì subito dopo nell’ascoltare le ultime parole. Aveva l’impressione di poter già anticipare dove avrebbe voluto andare a parare.
Giovanni spostò lo sguardo da lei a Caterina ritmicamente, forse ancora non del tutto sicuro di poter aggiungere quello che stava per dire:
-Mi è appena venuto in mente che potrei chiedervi di farmi un po’ di ripetizioni, se siete ovviamente disponibili-.
“Certo, come no che ti è venuto in mente ora”.
-Non credo che … - iniziò a dire Giulia, ma esattamente come qualche minuto prima non fece in tempo a finire di parlare che Caterina decise di parlarle sopra, interrompendola nuovamente:
-Beh, dipende da come potrei organizzarmi- mormorò, con sguardo esitante – Sto anche studiando per la patente, quindi non saprei-.
Giulia si ritrovò a tirare un sospiro di sollievo tra sé e sé. Si era aspettata di sentire Caterina accettare, magari anche con entusiasmo, quella proposta che non stava né in cielo né in terra. Non aveva rifiutato, almeno non ancora, ma di certo avrebbe potuto farlo in un secondo momento.
Voleva convincersi che sarebbe andata così – non sarebbe potuta andare in nessun altra maniera.
-Capisco- Giovanni annuì sovrappensiero per qualche secondo, prima di alzare di nuovo lo sguardo su Caterina – Possiamo fare così: ti lascio il mio numero, nel caso cambiassi idea e volessimo organizzare. A parte la scuola io non credo avrò molti impegni prossimamente, quindi mi posso adattare ai tuoi-.
Giulia alzò un sopracciglio, in attesa che Caterina gli dicesse definitivamente di no. Il suo diniego continuava a non arrivare.
-Però vedi tu, non c’è nessun obbligo- aggiunse ancora Giovanni, sorridendole timidamente.
Passarono ancora alcuni secondi prima che Caterina, senza dir nulla, tirasse fuori dalla tasca dei jeans il proprio telefono per allungarglielo, di fronte a Giulia e alla sua espressione che virava dall’incredulo al disgustato.
-Va bene- mormorò ancora Caterina, mentre Giovanni prendeva in mano il cellulare che gli stava porgendo per lasciargli scrivere il proprio numero – Allora proverò a vedere prossimamente che impegni ho-.
Giovanni digitò i numeri velocemente, prima di darglielo indietro, con un sorriso decisamente più visibile:
-Certo. Anzi, grazie lo stesso- le disse continuando a sorridere, prima di fare qualche passo indietro – Ci vediamo-.
Giulia lo guardò allontanarsi sempre di più, mentre Giovanni era con tutta probabilità diretto verso casa, con gli occhi ancora sgranati per lo stupore. Quasi non credeva di aver appena visto Caterina accettare senza battere ciglio l’idea di avere il suo numero – quasi gli eventi di Parigi non fossero davvero mai avvenuti.
Si girò verso di lei non appena quella realizzazione ebbe preso definitivamente piede nella sua mente:
-Sul serio vuoi dargli ripetizioni?- sbottò, le braccia incrociate contro il petto – Che poi ricordo ancora quando probabilmente avrebbe voluto chiedertele quando l’abbiamo conosciuto-.
Era un ricorso sfocato ormai, legato ai giorni passati a Berlino; Caterina la guardò incredula, con espressione divertita:
-Ma come fai a ricordarti di una cosa del genere?- le chiese, non riuscendo a trattenersi dal ridere nemmeno di fronte all’occhiataccia che Giulia le rifilò subito dopo – Comunque non gli ho detto di sì, ho solo detto che se mai avrò del tempo libero forse potrei dargli una mano, ma non è nulla di certo. Potrebbe sempre decidere di chiedere a te-.
Giulia sbuffò sonoramente, roteando gli occhi al cielo a quelle ultime parole:
-Tanto sceglierebbe comunque te anche se avessi la media dell’otto e tu del sei- replicò, piuttosto convinta che sarebbe andata così anche solo per il fatto che, pur senza averglielo detto esplicitamente, Giovanni doveva aver capito di non star riscuotendo le sue simpatie. Di certo non sarebbe andato a chiedere favori da qualcuno che gli stava rivolgendo silente ostilità.
-Esagerata- sospirò a fondo Caterina, recuperando serietà – Mi sembrava sincero, però, e non come se fosse una scusa … In ogni caso, magari non avrò davvero tempo-.
Giulia si fermò a riflettere per qualche secondo, soppesando le parole di Caterina: che Giovanni non avesse davvero inteso quelle ripetizioni come una chance per riavvicinarsi a lei e provarci?
-È una persona a posto, in fondo- proseguì ancora Caterina, alzando le spalle –  E poi ormai stiamo finendo il liceo: che senso ha serbare rancore per cose passate?-.
Per quanto tempo fosse passato da quando erano stati a Parigi, non riusciva ancora a fidarsi del tutto, al contrario di Caterina. O magari era davvero lei ad essere nel torto; a quell’eventualità, si ritrovò a pensare, avrebbe sempre potuto cambiare prospettiva su Giovanni.
Ma davvero poteva concedergli il beneficio del dubbio? Caterina sembrava averlo fatto, o forse già aveva fugato qualsiasi dubbio sul suo conto, ma per lei sarebbe servito tempo. Forse un giorno avrebbe trovato la risposta che le serviva.
-Spero solo che in quel caso non ripieghi sul serio su di me-.
L’unica risposta che ricevette da Caterina, e che sancì di fatto la fine di quella conversazione su Giovanni, fu la sua risata mal trattenuta.
 
*
 
-Vorrei sotterrarmi-.
Filippo si accasciò sul divano senza alcun ritegno, tenendo saldamente in mano una nuova bottiglia di birra, appena recuperata dal frigo della cucina, unico rimedio – o ulteriore catalizzatore- al suo mal di testa imperante dalla fine delle lezioni di quella giornata.
Era da poco passata la mezzanotte, e nell’appartamento di Pietro ed Alessio si era ormai diffuso il tipico odore dell’alcool: sopra al tavolino del salotto si potevano contare numerose bottiglie di birra, ormai vuote, e una di vodka, prossima ad essere finita.
-Vuoi che ti dia una mano?- Pietro, mezzo steso sul divano, gli rispose subito, la voce impastata per il troppo alcool bevuto. Se non era già ubriaco, calcolò Filippo, lo sarebbe stato ben presto.
-Non ti rispondo male solo perché hai la mente annebbiata dalla vodka- replicò, scuotendo lentamente la testa.
-Spero solo domattina riesca a reggersi in piedi. Non ho la minima intenzione di sostenerlo lungo la strada- Nicola, seduto tranquillamente sul pavimento a gambe incrociate e di fronte al divano, continuò a guardare Pietro con scetticismo.
-Magari non riuscirà nemmeno a sollevarsi dal letto- intervenne Alessio, in piedi accanto alla finestra. Filippo lo raggiunse un attimo dopo, sentendo il bisogno di sgranchirsi le gambe; si accostò accanto all’amico, lo sguardo rivolto al panorama che offriva la finestra: Venezia sembrava ancora piena di vita, con le luci dei lampioni delle piazze accesi, e i fari del porto che rischiaravano le acque scure. Era una vista completamente diversa da quella a cui era abituato a Torre San Donato.
-Andate al diavolo- bofonchiò Pietro, gli occhi chiusi e il colorito cereo, scivolando ancor più giù sul divano.
Era stata una giornata a dir poco strana, per tutti e quatto. Filippo, quella mattina, aveva sbagliato strada più di una volta prima di trovare la sede giusta dell’università, dove aveva iniziato il primo corso della mattina – il primo di una moltitudine, visto che era uscito dall’ultima lezione alle cinque passate e con la testa ormai in totale pallone.
Nonostante quel primo intoppo, il resto era andato bene: i corsi sembravano interessanti, ed era riuscito anche a fare conoscenza con alcuni suoi colleghi. Come inizio, dopo il panico che l’aveva assalito nei primi momenti, gli era sembrato tutt’altro che disastroso: riusciva a sentirsi ben più fiducioso in quel momento, rincuorato e in grado di potercela fare.
Si augurava che lo stesso potesse valere per Nicola, Alessio e Pietro, i cui corsi sarebbero iniziati l’indomani – anche se cominciava seriamente a dubitare che Pietro sarebbe mai riuscito a presentarsi  in aula, visto lo stato di ubriachezza nel quale si trovava. Filippo li aveva ascoltati raccontare com’era stata la riunione che si era tenuta per le nuove matricole, durata nemmeno un’ora, di quella mattina, e come avevano passato il resto della giornata in giro per le calli di Venezia, visitando la città senza alcun impegno dopo essere tornati da Mestre.
-Forse è meglio che vada a metterlo a letto- borbottò Alessio, più a sé stesso che a Nicola e a Filippo, rivolgendo lo sguardo verso un rantolante Pietro – O domani mattina non riuscirà davvero a reggersi in piedi e finirà per saltare le prime lezioni-.
-E noi è meglio se andiamo a casa- soggiunse Nicola, alzandosi lentamente in piedi – Domani ci attende una giornata ben più dura di questa-.
Filippo seguì Alessio, rivolgendo a Nicola uno sguardo e poi un cenno verso gli altri due:
-Diamogli una mano a portare Pietro di là, prima-.
Trasportare Pietro – ormai quasi del tutto inerme e addormentato- dal salotto alla sua stanza non fu del tutto facile: passandogli le braccia attorno alle spalle, Filippo e Alessio erano più o meno riusciti senza troppi danni a trasportare il peso morto dell’altro, portandolo fino al letto e facendolo stendere. Aiutatolo a spogliarsi, non era rimasto loro che rimboccargli le coperte.
-Stai meglio così?- Alessio si sedette sul bordo del materasso, abbassato verso il volto dell’altro: sembrava più rilassato in quel momento, ad un passo dall’addormentarsi.
Filippo quasi non riuscì a trattenere un mezzo sorriso. Pietro sembrava quasi un bambino, che sarebbe rimasto nelle cure totali di Alessio dopo che lui e Nicola se ne sarebbero andati. Era in buone mani, si ritrovò a pensare.
Pietro aprì appena gli occhi, annuendo con il capo.
-Basterebbe che non vomitasse- mormorò Nicola, le braccia incrociate contro il petto e la stessa espressione scettica di prima che non se ne andava dal suo viso.
Alessio fece per alzarsi, quando Pietro parlò di nuovo, appena udibile:
-Ricordati di non girare per la casa mezzo nudo ed in mia presenza come stamattina … Ti conviene-.
Alessio si limitò ad annuire, arrossendo impercettibilmente sotto gli sguardi confusi che Filippo e Nicola gli rivolsero. Filippo non riuscì a fare a meno di chiedersi se gli effetti dell’alcool avessero davvero la capacità di far dire cose che, in altre occasioni, non si direbbero mai per i più svariati motivi.
-E tu dormi, che sei ubriaco come non so cosa-.
Alessio si avviò per uscire dalla stanza, gli altri due al seguito; spense la luce dopo qualche secondo, dopo aver richiuso la porta dietro di sé, e dopo aver lanciato un ultimo sguardo verso Pietro.
Si ritrovò ad invidiarlo, Filippo: avrebbe voluto anche lui trovarsi sotto le coperte, a ripensare vagamente alla giornata appena passata, a quel nuovo inizio che avevano davanti a loro, così ignoto e che li avrebbe accompagnati ancora per diverso tempo.





* il  copyright della canzone (Placebo - "A million little pieces") appartiene esclusivamente alla band e ai suoi autori.
NOTE DELLE AUTRICI

Siamo infine arrivati al capitolo che inaugura ed introduce l'ultimo segmento di questa prima parte di Walk of Life. Capitolo che vede anche il ritorno a scuola per l'ultimo anno di Caterina e Giulia, che si trovano entrambe a vivere un cambiamento piuttosto evidente dopo la divisione del gruppo a causa dell'inizio dell'università. Il cambio di routine le lascia piuttosto scombussolate, nonostante si sapeva sarebbe arrivato, e come se questo non bastasse ricompare pure Giovanni (per l'immensa gioia di Giulia). Vi aspettavate avremo rivisto proprio lui? Come si concluderà la questione Giovanni: ci saranno oppure no queste ripetizioni? Chissà!
A qualche giorno di distanza, mentre le nostre ragazze continuano le loro giornate piene di disperazione da pre maturità, anche i nostri ragazzi non sembrano vivere il loro momento di maggior splendore. Filippo, infatti, sembra essere sull'orlo dell'isteria  ed è solo il primo giorno di lezione. La sfiga, invece, sembra aver colpito Nicola o, per essere precisi, il suo telefono. E per finire, anche Pietro e Alessio stanno sperimentando i primi attimi di convivenza (e voi siete #TeamColazioneAlBar o #TeamLatteECereali?). Una giornata conclusasi in modo molto poco sobrio (vero Pietro?) … Come sarà il loro futuro?E il vostro ultimo primo giorno di liceo e/o primo giorno di università come è stato? Siamo tutte orecchie.
Ci rivediamo mercoledì 28 ottobre con un nuovo capitolo!

Kiara & Greyjoy

 

 
 

 
   
 
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