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Autore: HeartBreath    17/10/2020    3 recensioni
[Crossover Give me your freedom/Black Sails]
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Red Crow rise sotto i baffi in una combinazione di stizza e ammirazione. Rivolgeva ancora gli occhi fissi sul ragazzo, quando disse: “Frank, oggi tuo figlio è particolarmente insolente”
Guardandolo, era evidente che Philip non intendesse tirarsi indietro ora che era stato sfidato al confronto. Chiuse il petto tra le braccia, imitando la posizione autorevole del capitano. “Papà, oggi tuo marito è particolarmente dispotico”
Ancora una volta costretto a mediare le discussioni tra Red Crow e l’ennesima persona poco incline a farsi comandare a bacchetta da lui, Frank alzò le mani in segno di resa. “Non mi ritengo responsabile di nessuna delle due cose, quindi evitate di mettermi in mezzo”
Genere: Avventura, Azione, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Frank Iero, Gerard Way | Coppie: Frank/Gerard
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Dai, in fondo lo sapevate che uno spin-off lo avrei scritto.
Ormai ho deciso che le one-shot di questa storia sono tutte crossover con Black Sails, che se non avete visto dovete recuperare - anche perché altrimenti non capireste molti riferimenti.

Buona lettura!


V













 
This is what it’s like when we collide
 





[Canale di Providence - 2 marzo 1745]
 
 
Il risveglio fu più brusco di quanto non fosse sopportabile. Non solo per le scarse – scarsissime – ore di sonno che aveva alle spalle, ma per la voce, squillante come se gli stesse urlando direttamente nel timpano. La voce che, là fuori, gridava una parola.
“Terra!”
Frank emise un lamento che sembrava uscire direttamente dall’Oltretomba, già appesantito dal mondo nei primi due secondi di coscienza di esso. L’aria del mattino era fredda, e lo poteva sentire perfettamente anche senza uscire dalla cabina per colpa del maledetto buco.
Un vascello aveva colpito in pieno il muro della cabina, nella speranza di far affondare la Flame Feather nell’inseguimento. Era successo due straziantemente freddi giorni prima.
Se c’era qualcosa di cui Frank era certo, era che non si sarebbe mai abituato al freddo. Aveva provato a coprire il buco con un lenzuolo ma non era minimamente sufficiente.
Si sfilò il cuscino da sotto la guancia per schiacciarselo sulla testa, ma la vita sul ponte arrivava anche là sotto – un’altra maledizione del buco. Era come dormire con la porta spalancata.
“Terra!”
“Abbiamo capito - cazzo!” si lagnò, consapevole che la vedetta non potesse sentirlo.
Lo raggiunse una risatina roca dall’altro capo del materasso. Poi la sua pelle, infreddolita dalla notte, venne toccata dal tepore di un bacio ispido all’altezza della spalla.
“Prima sbarchiamo, prima ripareranno il muro”
La sua risposta a quel commento ottimista fu un gemito di disperazione che il cuscino soffocò. Allora le labbra smisero di parlare e ricominciarono a lasciare scie di baci sulla sua pelle.
Per quanto piacevole, non bastava a dargli la forza per alzarsi dal letto.
Red Crow sembrò aver accolto la sfida lanciata dalla sua passività alle sue attenzioni: Frank avvertì suo peso spostarsi sopra di lui fino a infilarsi completamente sotto le lenzuola.
Il suo corpo era caldo quanto la sua bocca, e il marinaio assonnato si agitò sotto quel contatto per prolungarlo e così sfuggire al freddo.
Forse Gerard lo prese come un invito, perché lasciò un’altra scia di baci, stavolta sulla coscia.
Probabilmente si sarebbe dovuto aspettare di sentire il capitano lambire la sua erezione, ma era semplicemente troppo esausto per pensare.
Un pompino forse sarebbe stato sufficiente per convincerlo ad essere vivo, ma sentì il proprio corpo ribellarsi alla prospettiva di un quinto round nell’arco di sei ore.
Lanciò lontano il cuscino e respirò l’odore di sale e umidità che veniva da fuori. “Ti avverto, se vengo un’altra volta potrei prosciugarmi fino a ridurmi ad un cumulo di ossa aride”
L’espressione maliziosa di Red Crow fece capolino da sotto le lenzuola. “Ti ricordavo più vigoroso, dolcezza”
“Un tempo, forse” replicò, perdendo un istante le dita nella barba che gli stava solleticando lo stomaco. Adorava quella barba, ispida e dalle sfumature grigiastre.
Con uno scatto nervoso della testa, Gerard si scostò dagli occhi i ciuffi che erano sfuggiti all’elastico che gli legava i capelli.
“Mi stai chiedendo di darti una tregua?”
Frank alzò gli occhi al cielo. “Esatto” lo assecondò, sperando che così facendo lui non gli desse il tormento.
Purtroppo, restà deluso: “Dovrei sbatterti con più delicatezza, la prossima volta?”
Avrebbe dovuto essere abituato a quelle provocazioni. Ciononostante, una certa vena masochista lo spingeva sempre a rispondere come fosse la prima volta.
“Vorrei solo evitare che ti venga un infarto, inizi ad avere una certa età…”
Come si aspettava, Gerard gli piombò addosso repentino e minaccioso come un leone. Con la sua cassa toracica a premergli contro, Frank era sicuro di averlo sentito ringhiare ad un certo punto.
Ormai la sua mente non registrava neanche più il momento in cui polsi venivano bloccati in una morsa vicino alle sue orecchie. Accadeva e basta, era un automatismo della sua vita su quella nave.
Da irritato che era, lo sguardo del capitano diventò divertito. “Immagino che certe cose non cambino proprio mai”
Intrappolato, eppure in un certo senso vittorioso, Frank sfoggiò un gran sorriso. Dopodiché allungò il collo per violare quegli ultimi centimetri che lo separavano dalla bocca sospesa sopra di sé.
Gerard gli morse il labbro, prendendosi così una piccola vendetta. Doveva sempre avere l’ultima parola, anche senza dire nulla.
Non aveva mai smesso di essere sensibile riguardo alla sua età e questo dava a Frank tanti spunti per meritarsi la vendetta del capitano.
Quando aveva rimesso sulla Flame Feather, ormai vent’anni fa, Oliver lo aveva ovviamente aggiornato su tutto ciò che si era perso. Su Gerard aveva detto: “Non ha ancora accettato di aver passato i trenta, invece del suo compleanno dice di festeggiare l’anniversario dei suoi ventinove anni”
Frank ridacchiò, ricordando quella conversazione come fosse successo ieri, e calcolando mentalmente quanti anniversari Gerard avesse celebrato.
Ventisette, concluse la sua mente ancora un po’ addormentata.
Quando la pressione di quel corpo sopra di sé sparì, rabbrividì per il freddo con cui si scontrava la sua pelle quando Red Crow non lo stava toccando.
La prospettiva di uscire da quella cabina era opprimente. Frank si rigirò sul materasso in cerca di punti tiepidi che lo salvassero dal gelo del mondo.
Con la coda dell’occhio, scorse Gerard che si piegava per recuperare i vestiti dal pavimento. Quel corpo massiccio che aveva davanti, e che fino ad un minuto fa lo stava sovrastando, lo rese di nuovo conscio dell’erezione mattutina che continuava a esibire sotto le lenzuola.
Avrebbe voluto chiedergli di restare a letto, ma il capitano non poteva assentarsi quando la nave arrivava in porto.
Ma forse Frank invece poteva sottrarsi.
“Sono esausto” giurò. “Non potete fare l’attracco senza di me?”
“Non se ne parla” lo smentì subito il capitano, categorico. “Ho bisogno che mi accompagni in un posto, oggi”
Lui sollevò la testa, in cerca di altre informazioni. Lo osservò mentre si infilava il suo lungo cappotto, rubato al cadavere ancora caldo di un pirata di cui Frank non ricordava il nome.
 “Che posto?”
“Vedrai” tagliò corto Red Crow, chinato a infilarsi gli stivali.
Frank sbuffò, ma non obiettò oltre. Si liberò delle lenzuola come si sarebbe estratto un dente: in fretta, sperando che così fosse meno traumatico.
Non aveva idea del motivo per cui il capitano potesse aver bisogno di lui per gestire i suoi affari.
Di nuovo vestito e parte del mondo al di fuori della cabina, Frank scrutò la vivace località a cui la Flame Feather si stava avvicinando.
Nassau.
Non c’era mai stato personalmente, ma Oliver aveva raccontato così tante storie ambientate lì che gli sembrava di conoscerla già.
“Quante navi stanno approdando?”
Come fosse stato chiamato, il nostromo si aggrappò alla spalla di Frank. In qualche modo, anche solo da quella presa sapeva riconoscerlo.
“Cinque” gli rispose lui.
Era diventato una sorta di rituale, descrivere a Callaghan quello che voleva sapere sul porto di arrivo. Forse gli mancava poter assaporare appieno quel momento di euforia per la ciurma, Frank non glielo aveva mai chiesto. Si limitava a rispondergli ogni volta.
“Giornata fiacca” commentò infine Oliver, prima di andare a prenotarsi un posto sulla scialuppa.
Frank si accigliò: la baia era piena di marinai ansiosi di raggiungere terra, non l’avrebbe certo definita una giornata fiacca. Intuì che Nassau di solito fosse molto, molto movimentata.
Senza neanche accorgersene, si lasciò coinvolgere da quell’esaltazione generale, e cercò con lo sguardo Gerard per capire quando anche loro sarebbero scesi a terra.
Il capitano stava discutendo di qualcosa con il primo ufficiale. L’unica parola udibile era “muro”, quindi era probabile che Mikey fosse stato appena incaricato di accogliere il falegname che avrebbe riparato il buco nella cabina.
Nel mezzo della conversazione, si trovarono entrambi a gesticolare con la mano nello stesso identico modo. E questo per un istante li fece sembrare di nuovo simili come quando erano giovani, laddove la pancia che Gerard aveva messo su e quegli strani baffi che Mikey si era fatto crescere spesso riuscivano a mascherare la somiglianza.
Con una pacca sulla schiena, Red Crow lasciò lì il suo secondo in comando, a guardia della nave assieme a Milo Potter. Dopodiché reclamò il suo posto su una scialuppa e - naturalmente - Frank al suo fianco.
Il marinaio prima di salire a bordo, esitò. Si guardò intorno.
“Chi cerchi?” gli chiese l’altro, impaziente: aspettavano solo lui per calare la scialuppa.
“Philip sembrava così ansioso di attraccare, mi sorprende non vederlo”
“Forse è già sceso” ipotizzò. “Andiamo, se la sa cavare anche senza il suo morboso papà ad alitargli sul collo”
I marinai presenti sulla barca risero sotto i baffi per quel commento, e Frank incenerì il capitano con lo sguardo quando si sedette di fronte a lui. “Sei ingiusto. Gli ho permesso di venire con noi, mi pare”
Mentre la scialuppa veniva calata giù dal ponte, Gerard tirò fuori dal cappotto una sigaretta e se la infilò tra le labbra sottili. “Ti sei fatto supplicare solo per venticinque anni”
Frank attese appositamente che prendesse anche i fiammiferi e accendesse la sigaretta prima di rubargliela, più per godersi la sua espressione frastornata che altro.
“Puoi biasimarmi?” chiese tra un tiro e un altro.
Non ricordava precisamente quando avesse iniziato a fumare, ma di sicuro identificava quel momento come la prima volta in cui si era sentito davvero vecchio.
Nelle risaie, a prendersi una pausa dai lavori manuali erano solo quelli che lo facevano per fumare. Frank si era unito a loro un giorno come tanti in cui li aveva adocchiati da lontano, loro che ridevano di chissà cosa, e lui che ansimava con la schiena a pezzi.
In pratica, aveva chiesto una sigaretta per non dover ammettere di non poter più sgobbare per otto ore senza fermarsi di tanto in tanto.
E così aveva fatto anche il giorno dopo, e il giorno dopo ancora, spacciando la stanchezza per bisogno di nicotina - finché non diventò un bisogno sul serio.
Stava inspirando una generosa boccata di fumo quando il capitano si chinò su di lui. Prima che potesse espirare lo bloccò con la sua bocca, accogliendo l’aria di tabacco sul palato.
“Ti prendo in giro” gli disse a fior di labbra.
“Come se non lo sapessi” replicò il marinaio, mentre le sue dita strisciavano dietro la coda di cavallo di Gerard per spingergli la testa e farsi baciare di nuovo.
Il sole era rovente sopra di loro e illuminava la sabbia della baia in un modo accecante. Il capitano congedò Hobbes, Byme e le sorelle Stone – sulla scialuppa con loro – appena arrivarono a riva. Frank allora tornò a chiedersi cosa Red Crow dovesse fare di così urgente che richiedesse la sua presenza ma lontano dagli altri membri della ciurma.
Da vicino, Nassau sembrava ancora più caotica. Ovunque c’era gente che urlava, che offriva servizi o li ricercava, che litigava, che trattava. Ad una prima occhiata poteva sembrare una cittadina come tante, ma in effetti in quell’ambiente coesistevano un’atmosfera datata e un ritmo di progresso. Sembrava vecchia, eppure più moderna di qualsiasi posto in cui Frank fosse mai stato.
Ma forse era un’impressione data dal fatto che la sua unica meta fissa degli ultimi venticinque anni era stata un’isola sperduta in Indonesia.
Gerard fermò un ragazzo che spingeva un carretto e gli chiese indicazioni per Sugar Cane street.
Frank realizzò di non essersi ancora abituato a sentir parlare gli sconosciuti in inglese. Aveva lasciato Riau da tre mesi – per la prima volta con la prospettiva di non tornarci tanto presto – e ancora si aspettava che il mondo circostante comunicasse in indonesiano, la lingua che aveva parlato di più da quando aveva messo su famiglia.
Seguendo le indicazioni, attraversarono un’affollata piazza e svoltarono a destra.
Gerard faceva vagare lo sguardo in basso lungo il muro della via, come se si fosse perso dei soldi.
“Eccola, è qui”
Il marinaio stava per chiedere spiegazioni, quando notò un dettaglio in quell’angolo di strada. Sul gradino di un edificio coperto di piante rampicanti, brillava una piccola lastra di bronzo. Era una targa, ed era anche commemorativa a giudicare dalle date incise sotto un nome.
James Flint.
“Lo conoscevi”. Non era una domanda.
L’espressione con cui Gerard fissava quel nome era indescrivibilmente malinconica e, solo da quello, lui ebbe finalmente la sua risposta. Lo aveva portato con sé per supporto morale.
Lo vide prendersi il suo tempo, prima di rispondere. “Era un capitano che idolatravo quando ero ragazzo. Ho praticamente obbligato Oliver a farmelo conoscere”. Nel dirlo, gli sfuggì una risatina amara. La sua voce era roca, pesante, e quasi non si sentiva in mezzo alla folla. “L’ha assassinato a sangue freddo il suo quartiermastro. Sai che ho persino considerato di dare la caccia al bastardo? Purtroppo non ho la più pallida idea di chi sia né dove si trovi”
Parlava di quell’uomo, mai nominato a Frank in tutti quegli anni, come avrebbe parlato di Kenan, di Lacy, dei compagni caduti che avevano combattuto al suo fianco.
Non sapendo come altro essere di sostegno in quel momento di cordoglio, Frank infilò una mano nello spazio tra il gomito e la guaina della spada del capitano. Si aggrappò al suo braccio, accarezzando la spessa manica del cappotto. Di sfuggita arrivò a sfiorargli la mano sinistra, dove diciotto anni, tre mesi e venti giorni prima lui aveva accettato di portare un anello.
Il marinaio chiese distrattamente perché lì ci fosse una targa e non una lapide, si chiese dove fosse finito il corpo di Flint. In ogni caso, certo che quel pirata dovesse avere qualcosa di speciale per meritare la stima di Gerard, gli pose silenziosamente i propri omaggi.
“E’ una vita che mi riprometto di venire qui, ma continuavo a rimandare”
La data della morte del capitano Flint era 1721. Di quell’anno lontano ricordava poche, essenziali cose. Philip che imparava a camminare. Un uragano che per poco non sradicava dal suolo la loro casa. Setiawan che si presentava da lui per chiedergli, con non poco disagio, il permesso di corteggiare Marianne. La pungente invidia nel vedere lei costruirsi un futuro con l’uomo che amava, mentre Frank attendeva il ritorno di Red Crow.
“Però alla fine ci sei venuto” commentò, sperando di confortarlo. “Insomma, anche se ci hai messo tanto, ti sei deciso a farlo. Ricordo un uomo che non avrebbe mai elaborato un lutto a meno di essere costretto”
Il capitano colse la sottile presa in giro e gli rivolse una smorfia. “Non è per quello che ho rimandato, Frankie. E’ che… non ero sicuro di poter fare porto a Nassau”
“E perché?”
“New Providence non è più porto pirata, tecnicamente. E’ stata contesa tra fuorilegge e la Corona inglese per anni, finché non è tornata sotto l’amnistia di re Albert”
Era un peccato che Frank non potesse raccontare a nessuno di aver conosciuto di persona l’attuale sovrano inglese, di aver addirittura dormito sotto il suo tetto. Di certo non poteva dire in giro di aver messo incinta sua sorella. Sarebbe stata una storia divertente da condividere.
Facendo due più due, capì che quell’isola per loro poteva significare la forca. “Aspetta un attimo: se è così, non avrebbero dovuto arrestarci appena siamo entrati nella baia?”
Gerard inclinò la testa come a dargli ragione, ma in parte. “E’ quello che mi sono chiesto io per molto tempo, pianificando questo viaggio. Perciò ho preferito aspettare e vedere come si sarebbero evolute le cose. Ormai è chiaro che, nonostante non sia più meta di contrabbando illegale – almeno ufficialmente parlando -, quest’isola non sarà mai gestita da gente per bene. La maitresse locale conosceva Flint, sono mesi che ci scambiamo missive parlando di lui: le ho spiegato quanto fosse importante per me venire qui. Me la sono dovuta lavorare un po’, ma alla fine ho ottenuto il permesso di fare porto senza che la nave venisse registrata”
Frank gli lanciò uno sguardo provocatorio. “Hai dovuto penare, quindi? Credevo che essere Red Crow aprisse tutte le porte”
Lui stava per rispondergli per le rime, quando l’attenzione di entrambi fu catturata da due individui che gli passavano accanto. Parlavano con un certo entusiasmo.
“Corri, il nostromo dell’Achilles sta facendo il culo ad un pivello”
“Ci voleva uno spettacolo prima di pranzo!”
I loro sguardi si ancorarono l’uno all’altro. Avevano pensato la medesima cosa.
“Pensi che sia…”
“Il nostro pivello?” incalzò Gerard.
Prima di poterci riflettere oltre, erano già all’inseguimento di quegli uomini.
Per Nassau giravano migliaia di persone, non erano in pochi quelli che amavano ubriacarsi in pieno giorno e attaccare briga.
Eppure, Frank aveva un gran brutto presentimento.
Lo scontro attorno cui una gran folla si era radunata stava avendo luogo in un cortile. Una taverna. Oppure un bordello. In ogni caso, sembrava il posto perfetto in cui cercare guai, con alcool, donne nude e uomini sbraitanti.
Nell’istante in cui fecero capolino dall’ingresso aperto, si udì un tonfo sordo. Un ragazzo che veniva scaraventato sopra un tavolo, distruggendolo.
Frank impallidì.
Lip”. Un urlo nella calca che nessuno udì.
Gerard era andato avanti, scostando malamente gli spettatori. Appena se ne accorse, Frank guizzò dietro la sua schiena lungo il varco che si stava creando.
L’aggressore di Philip, più un orso che un essere umano, lo raggiunse a grandi passi e lo afferrò per la giacca.
“In piedi” ruggì.
Red Crow strinse tra le dita la spalla di Frank, come a volerlo tranquillizzare. “Ci penso io”
Conoscendo Frank, probabilmente si aspettava che restasse lì immobile. Succedeva spesso, di fronte a circostanze di grande impatto emotivo, che si paralizzasse e impiegasse molto – troppo – tempo per elaborare una reazione.
Tuttavia, con grande sorpresa del capitano, quello che fece fu scrollarsi di dosso la sua mano e scattare in direzione della rissa. Vedendo Philip sollevato da terra per il collo, smise semplicemente di pensare.
L’unica cosa che poteva fare era prendere di sorpresa quell’uomo: gli piantò un calcio ben assestato dietro il ginocchio e quel corpo mastodontico si contrasse come un albero sul punto di crollare.
Tutto ciò su cui si concentrò fu Philip che, a peso morto, veniva lasciato cadere a terra. Allora approfittò di quella frazione di secondo, prima che il nostromo dell’Achilless si riprendesse, per porsi tra loro. Con la coda dell’occhio poté scorgere Gerard afferrare Philip per il braccio e allontanarlo dalla traiettoria dell’aggressore, che intanto stava cercando di mettere a fuoco l’immagine di chiunque lo avesse colpito.
Quando gli venne rivolta un’espressione inferocita, l’istinto di sopravvivenza di Frank gli ricordò il coltello che teneva nello stivale.
Lo estrasse.
“Frank! No!
La voce di Gerard era lontana, nella sua mente l’uomo che gli si scagliava contro aveva già la gola tranciata di netto.
Poi, un rumore spense tutto. Al piano di sopra, una porta si era spalancata.
Sotto lo sguardo di Frank, il nostromo passò dalla furia al gelo nell’arco di un secondo. Così, preso dalla curiosità di chi potesse suscitare un tale terrore, sollevò il capo verso le scale.
Una donna  posata e ben vestita, che in quella stanza tutti sembravano conoscere tranne lui, stava scendendo la rampa.
Incrociò lo sguardo di Frank, e Red Crow scelse proprio quel momento per prenderlo dalla manica e farlo indietreggiare.
“Niente spargimenti di sangue, a Nassau” sibilò tra i denti al suo orecchio.
Una volta raggiunto il vivo dell’azione, la donna si sistemò lo scialle, chiuso al petto con una spilla che sembrava costosa. Si guardava intorno, seria e vagamente disgustata da ciò che le veniva presentato.
Poi, con totale calma, come se stesse facendo un’osservazione da nulla, disse: “Dovrei far tagliare una mano a ognuno di voi”. Per qualche motivo, dicendolo non guardò nessuna delle persone coinvolte nella rissa. Guardò Gerard.
Frank scorse nell’espressione del capitano una punta di malcelato nervosismo. “Desolato che siate dovuta intervenire di persona. Stavo per sedare la rissa io stesso: sono il capitano della Flame Feather” si presentò, e con il capo accennò un saluto cortese. “I due gentiluomini qui sono miei marinai”
Divaricò le braccia mentre lo diceva, come se avesse un lasciapassare speciale per parlare con quella donna e volesse far valere lo stesso privilegio per Frank e suo figlio. Oppure voleva dissociarsi dal comportamento violento del nostromo dell’Achilless, escludendolo dall’elenco di persone per cui avrebbe dovuto rispondere.
Lei affilò lo sguardo, appesantito da uno spesso contorno di trucco scuro. “Voi siete Red Crow, dunque. L’uomo che mi ha scritto una struggente lettera in cui chiedeva di fare porto, per piangere il capitano Flint… e che giurava di venire in pace”
Gerard si schiarì la gola con imbarazzo, e allora Frank capì che quella era la maitresse di cui lui gli aveva parlato poco fa. Aveva il potere di farli arrestare solo schioccando le dita, era ovvio che lui non volesse irritarla.
“Io vengo in pace, signora! Questa è stata solo una spiacevole parentesi in un soggiorno altrimenti senza scosse”
Lei quasi neanche attese che finisse la frase, per chiedere a voce altisonante: “Chi è stato a cominciare?”
Nella stanza calò il silenzio. Finché i presenti non indicarono all’unisono nella direzione di Philip. Qualche spettatore sembrava addirittura divertito nel fare la spia alla padrona di casa, come se lo stesse per condannare alla forca.
Solo allora Frank notò che Gerard era rimasto davanti a Philip tutto il tempo, per celarlo all’ira della donna. In quel momento, tuttavia, non poté che sospirare e forzarlo a farsi avanti.
“Chiedi scusa alla nostra ospite” ordinò.
Lo sguardo di Philip era schivo e imbarazzato, pieno di un orgoglio che odiava dover tacere. Seppur attendendo qualche istante, alla fine sollevò il volto dalla folta frangia bionda ed espose così un occhio pesto e uno zigomo arrossato. Il padre, al suo fianco, rabbrividì al pensiero di quello che gli sarebbe successo se lui non fosse arrivato. Lo osservò avanzare facendo attenzione ai suoi movimenti, per assicurarsi che non si fosse rotto qualcosa quando era volato su quel tavolo. Quel ragazzo era così magro che sembrava potersi spezzare in due come un rametto.
“Non volevo creare problemi, miss” mormorò. “Quell’animale ha colpito una delle… ragazze e io stavo solo-”
“Come vi chiamate?”
“Iero” rispose svelto. Poi probabilmente gli venne in mente di non aver detto il nome: “Philip”
“Signor Iero” riprese la parola lei, mentre era intenta a sollevarsi un lembo della sottana. Una piccola guaina le circondava la caviglia, da cui estrasse una due-colpi così compatta che non sarebbe riuscita a impugnarla se la sua mano fosse stata un po’ più grande.
Con tutta naturalezza, porse la pistola ad una giovane dal volto tumefatto, sembrò averla percepita alle proprie spalle anche senza voltarsi. Doveva essere quella che il nostromo dell’Achilless aveva picchiato.
“Ritenete che le mie ragazze non sappiano difendersi da sole?” domandò a Philip.
Con un tempismo calzante, la prostituta caricò il colpo e sparò alla gamba dell’uomo che l’aveva aggredita. Non batté ciglio mentre lo faceva, con la medesima espressione di pietra della sua padrona fissava Philip dritto negli occhi.
L’uomo cadde a terra in preda a strazianti urla, e tutti i presenti sobbalzarono di fronte alla scena.
Prima di essersene reso conto, Frank aveva allungato un braccio verso suo figlio, pronto a trarlo in salvo da qualche altro proiettile volante – d’un tratto profondamente consapevole dei guai da cui Gerard aveva tentato di salvarlo, poco prima. Il suo sguardo, come quello di chiunque, si inchiodò irrimediabilmente a quell’immagine, e non riuscì a non provare una sadica soddisfazione per la sofferenza dell’uomo.
La padrona di casa inarcò le sopracciglia scure, come a voler sollecitare una risposta che non arrivava. “Ve lo chiederò di nuovo. Signor Iero, cosa vi fa credere che una fanciulla aggredita abbia bisogno della vostra intromissione per difenderne l’onore?”
Disorientato, lui fece vagare lo sguardo dalla sua figura a quella di Gerard, in cerca di sostegno. Il capitano, dal canto suo, scrollò le spalle con l’aria di chi non poteva dargli la soluzione ad un indovinello.
Frank boccheggiò, anche lui confuso sulle intenzioni della donna. Si chiese perché avesse scelto proprio il termine “intromissione”, come se Philip avesse sbagliato a difendere la ragazza. Come se fosse colpevole quanto l’uomo che stava sanguinando a terra davanti a tutti.
Lo sguardo del figlio continuava a cadere sull’uomo sanguinante sul pavimento, ma si sforzava di distoglierlo subito e concentrarsi su come non finire nella stessa situazione. Non era una sorpresa che quella scena lo disturbasse, non aveva mai visto un essere umano atterrato da una pallottola prima.
Dopo una lunga pausa, parlò.
“Non… ritengo che una signora abbia bisogno del mio aiuto. Tuttavia, quando assisto ad una violenza non riesco a restare impassibile”
I grandi occhi di lei scrutarono a lungo il giovane. Poi Frank poté scorgere i muscoli del suo volto rilassarsi. Non sorrise, ma qualcosa nel suo volto comunicava compiacimento per ciò che aveva sentito.
Si voltò verso il nostromo, che nel frattempo era stato soccorso da due individui. Lo stavano prendendo sottobraccio per aiutarlo ad alzarsi.
“Jorge” vociò lei.
Un giovane con cravattino e occhiali rispose a quel richiamo avanzando di un passo.
“Ti dispiacerebbe seguire questi gentiluomini sull’Achilless? Ho un messaggio per il loro capitano”. Mentre parlava, Frank osservò la sua schiena perfettamente dritta, coperta dai folti boccoli bruni. “Ditegli che entro sera dovrà trovare un nuovo nostromo per la sua nave, oppure un nuovo porto dove vendere il carico che trasporta”
Jorge annuì. “Subito, Max”
L’uomo ferito digrignava i denti dal dolore. La fulminò, gli si leggeva in faccia la voglia di riversare su di lei tutta la ferocia che covava. Sotto quello sguardo, la donna - che rispondeva al curioso nome di Max – rimase impassibile, si limitò a dargli le spalle di nuovo e lasciare che lo portassero via.
Quando tornò a rivolgersi a Philip, Frank fu scosso da un brivido di nervosismo, come se avesse davanti una tigre pronta ad agguantare un topolino.
Poi, a sorpresa, per la prima volta Max guardò lui. “Stavate per uccidere quell’uomo”
Sbatté le palpebre. Non suonava come una domanda, ma Frank rispose ugualmente. “Sì, signora”
Lei li squadrò entrambi. “Avrei fatto lo stesso, per mio figlio”. Mostrò un mezzo sorriso sghembo. Quando non rappresentava una minaccia per Philip, era sicuramente una donna affascinante. “Tuttavia, la prossima volta evitate di farlo nel mio locale. Almeno potrò far finta di non vedere”
Per un breve istante condivisero un sorriso complice, dopodiché lei voltò le spalle anche a loro – evidentemente era il suo modo di congedare le persone. “Siete liberi di andare. Mi auguro che questo soggiorno sia privo di scosse come affermate, capitano”
Gerard, in disparte fino ad un attimo prima, spinse Philip e Frank fuori da lì, letteralmente li stava spingendo. Aveva paura che Max cambiasse idea?
“Parola d’onore! Vi auguro una buona giornata, signora”
Solo arrivati in strada, i tre ripresero a respirare. Il mondo al di fuori dalla taverna continuava ad andare avanti, noncurante di loro - anche se qualcuno si fermò un istante incuriosito dall’aria sconvolta che probabilmente avevano.
La prima cosa di cui si preoccupò Frank fu controllare le ferite sul viso di Philip.
“Come ti senti?” gli chiese, ansioso. “Ti fa male qualcosa?”
“Sto bene” mormorò lui, divincolandosi dalle sue attenzioni. Ma da come fece scrocchiare le ossa del collo e delle braccia, era chiaramente indolenzito.
Il capitano, dal canto suo, sospirò rumorosamente sfregandosi le mani sul viso. “A volte penso che lo scopo supremo degli uomini Iero sia rendermi la vita difficile”
Forse dipendeva da tutta la tensione che aveva accumulato, ma in quel momento Frank non riuscì a trattenere una risata. “Scusa, non volevo metterti nei guai. In realtà non so cosa mi sia preso-”
Gerard incalzò intrappolandolo tra le sue braccia. “Io lo so: papà orso farebbe a pezzi chiunque tocchi il suo cucciolo” gongolò. “Francamente è stato piuttosto eccitante”
Frank si sorprese a ridacchiare come una scolaretta.
Sarebbe potuto essere un momento molto dolce, se Philip non avesse lanciato un lamento inorridito. “Ragazzi! Eravamo d’accordo, basta fare certi discorsi davanti a me!”
In una frazione di secondo, l’umore del capitano mutò completamente. Sciolse la morsa in cui teneva Frank e raggiunse il ragazzo con studiata lentezza. “Perché, ti dà fastidio, soldo di cacio?”
Naturalmente Philip non aveva memoria della prima volta in cui un capitano pirata arrivato dall’altra parte del mondo l’aveva chiamato chiamarlo “soldo di cacio”. Allora era un bambino, come soprannome aveva senso. Nonostante adesso superasse in altezza chiunque conoscesse, Gerard non l’aveva mai chiamato in modo diverso. Come da copione, doveva sempre aggrapparsi a qualcosa per affermare la propria superiorità sugli altri.
“Vuoi sapere cosa dà fastidio a me? Venirti a ripescare in una zuffa un’ora dopo l’attracco”
“Ho chiesto scusa” berciò, stizzito. Era chiaramente in imbarazzo per il risvolto degli eventi: solo quando c’era un motivo di fondo parlava con un tale carico di irritazione nella voce. E spesso aveva a che fare con il suo orgoglio – se aveva un vizio, era di prendersi sempre troppo sul serio.
Continuava ad abbassare lo sguardo e porre una distanza tra sé e la persona con cui parlava, che fosse Gerard o Frank.
“Ti ho sentito chiedere scusa alla padrona di casa, sì. Ma che mi dici del tuo capitano? E di tuo padre, che ha impedito a quello scimmione di ammazzarti?”
Frank stava per incoraggiare una tregua – lui non voleva né scuse né altro, era soltanto sollevato che nessuno si fosse fatto troppo male.
Prima che potesse intervenire, Philip superò entrambi e fece per andarsene, alzando gli occhi al cielo. “E’ andato tutto bene, non fare la solita regina del dramma per cortesia!”
Il marinaio dovette dar fondo a tutte le sue forze per costringersi a non ridere. A volte avrebbe voluto tornare indietro e imporre più garbo a suo figlio nel rivolgersi agli adulti. Ma, per quanto fosse diseducativo, quel suo tratto irriverente lo divertiva.
Forse perché non sapeva cosa si provasse a sentirsi rispondere in quel modo: Philip non era mai maleducato con lui. Certo, discutevano di tanto in tanto, ma finché Frank parlava a Philip con rispetto, lui faceva la stessa cosa.
Dall’altra parte non si poteva certo dire che Gerard parlasse ai suoi sottoposti con lo stesso principio, ma in ogni caso tutti nell’equipaggio erano abituati alla prepotenza del capitano. Tranne Philip.
E questo era legato alla seconda ipotesi che forse spingeva Frank a non arrabbiarsi con il figlio. Quando Philip rispondeva a tono a Red Crow, per un istante, solo un istante, gli ricordava vagamente Bandit. Un pensiero che lo faceva sorridere come se potesse godere della stessa spensieratezza di ventisette anni fa.
Non osò guardare Gerard negli occhi, per paura che non sarebbe riuscito a trattenere le risate. Ciononostante, predette alla perfezione la sua reazione: affrontò di petto l’insulto rivoltogli.
Afferrò il ragazzo per il colletto della camicia e lo inchiodò lì dove si trovava. Notando il suo sguardo sfuggente, gli schioccò le dita davanti al viso.
“Guardami” ordinò. La sua bocca era aperta in un sorriso disteso e i suoi occhi brillavano di rabbia. “Posso anche far finta di non aver sentito nulla e lasciarti andare per la tua strada. Ma se devi dire cose del genere, fatti crescere i testicoli e dimmele in faccia”
Lo sguardo di Philip per poco non crollò di nuovo. Non era preparato a celare al capitano quanto, nel profondo, lo temesse. Era un ragazzo orgoglioso, sì, ma non aveva ancora imparato a sostenere con il giusto coraggio quell’orgoglio.
Ci volle qualche secondo, ma alla fine riuscì a dirlo di nuovo, guardandolo dritto negli occhi. “Regina del dramma”
Red Crow rise sotto i baffi in una combinazione di stizza e ammirazione. Rivolgeva ancora gli occhi fissi sul ragazzo, quando disse: “Frank, oggi tuo figlio è particolarmente insolente”
Guardandolo, era evidente che Philip non intendesse tirarsi indietro ora che era stato sfidato al confronto. Chiuse il petto tra le braccia, imitando la posizione autorevole del capitano. “Papà, oggi tuo marito è particolarmente dispotico”
Ancora una volta costretto a mediare le discussioni tra Red Crow e l’ennesima persona poco incline a farsi comandare a bacchetta da lui, Frank alzò le mani in segno di resa. “Non mi ritengo responsabile di nessuna delle due cose, quindi evitate di mettermi in mezzo”
Quasi fosse una reazione a quella risposta, le braccia di Gerard caddero lungo i fianchi. Se si fosse trattato di un’altra persona, Frank avrebbe anche potuto pensare che stesse chiudendo il discorso. Lasciando stare.
Ma Red Crow doveva sempre avere l’ultima parola.
Piantò le mani giunte nella barba arruffata e parlò lentamente, come faceva quando stava dando istruzioni ad un suo sottoposto. “Ecco cosa accadrà adesso. Tu farai dietrofront verso la Feather e dirai a Milo che per oggi ha finito di lavorare”. Sul suo viso comparve quel ghigno che stava a significare che la frase successiva avrebbe fatto infuriare il suo interlocutore. “Dopodiché prenderai il suo posto a guardia della nave e attenderai il mio ritorno”
La mascella di Philip crollò e Frank sapeva il perché: la partenza da New Providence non era prevista prima di due giorni.
“Il tuo soggiorno a Nassau è ufficialmente terminato”
“Ma-”
“Fossi in te, sceglierei con cura le mie prossime parole” lo minacciò il capitano. “Sei nel mio equipaggio solo da tre mesi e hai già rischiato di farci arrestare, sono a tanto così dal rispedirti a casa da mammina”
Fisicamente incapace di contenere il rancore, il giovane lo stava fulminando. Ma non osò obiettare oltre. “Vado” bofonchiò, e prese la sua strada verso il porto.
Frank poté scorgere con esattezza il momento in cui il capitano Way abbandonò quel corpo: Gerard scrollò le spalle, esausto, e si voltò verso di lui tendendogli la mano.
“Dopo aver messo in punizione tuo figlio, mi ci vuole subito un boccale”
“Non è neanche mezzogiorno, Gee” gli fece notare lui con una risatina. Nonostante l’obiezione, gli prese la mano e si fece tirare fino a tornare nel posto che gli apparteneva: vicino a Red Crow.
“Lo so, ma… volevo brindare a Flint”. Lo disse con il tono serio di chi aveva smesso di occuparsi delle ragazzate e adesso parlava di affari da adulti. “Mi accompagni?”
Sentendo di nuovo il peso dell’elaborazione del lutto nella sua voce, Frank decise che la risposta migliore era un bacio. Infilò le braccia sotto il suo soprabito e si godette quel tepore.
Ogni singola volta che abbracciava Gerard, si chiedeva come avesse fatto a sopravvivere fino a quel momento lontano dal suo corpo.
“Ti raggiungo, tu va’ avanti” gli disse.
Il capitano rispose con una smorfia delusa, ma probabilmente aveva già compreso il perché della risposta.
Frank sciolse l’abbraccio ma, prima di correre dietro a Philip, si portò la mano del capitano alle labbra.
Raggiunse il figlio alla spiaggia, diretto verso le scialuppe che portavano la firma della Flame Feather. Appena lui notò di essere seguito, sospirò.
“E’ in arrivo una filippica, vero?”
Frank rise tra sé, mentre faceva un ultimo scatto per prendere il suo passo. “So che non sopporti che lui ti dia degli ordini, ma credo che dovresti dargli un po’ di credito”
“Per favore, papà, risparmiatelo” sbottò lui. “Sei abituato a fare la parte dell’adulto perché lui si comporta sistematicamente come un ragazzino, ma non per questo io devo assecondarlo allo stesso modo. E’ il tuo matrimonio, come lo gestisci sono affari tuoi, ma non chiedermi di imitarti. Non è nella mia natura”
Ouch. Frank incassò il colpo.
Ogni volta che parlava con il suo formidabile figlio cercava di ricordare se anche lui fosse stato così brillante alla sua età. Ripensava ai suoi vent’anni come un periodo di immaturità, inutile moralismo ed eccessiva insicurezza.
Philip non sembrava possedere nessuna di queste caratteristiche. Le sue idee erano lucide, la sua etica concreta e senza boria. Per dirne una, neanche con cinquantaquattro anni alle spalle Frank avrebbe pensato alla risposta che Philip aveva dato a Max.
Probabilmente, al suo posto, Frank si sarebbe limitato a dire che se una donna viene colpita qualcuno deve intervenire per difenderla. Sembrava una verità così elementare, eppure la padrona di casa aveva dato l’impressione di considerarla un’offesa.
Frank non coglieva la sfumatura che rendeva la sua idea inaccettabile e quella di Philip corretta. Come non coglieva la differenza tra dare retta al suo capitano e assecondare quel bambino viziato che era suo marito.
Era difficile stare dietro a Philip in quei ragionamenti, così com’era difficile tenere il suo passo svelto sulla sabbia.
“Non ti chiedo di fare la parte dell’adulto, ma di comprendere il suo punto di vista” replicò. “E’ già successo che decidessimo di far entrare nella ciurma una giovane recluta inesperta, mossi dalla voglia di non dovercene separare”
“Lo so” annuì Philip, abbassando lo sguardo. Conosceva la storia di Bandit e dimostrava sempre un profondo rispetto per il ricordo che suo padre ne aveva.
La prima volta che aveva espresso il desiderio di essere un pirata, Philip aveva undici anni. A quei tempi vedeva il padre salpare sulla nave di Red Crow almeno una volta l’anno, quindi non c’era da stupirsi che l’ignoto e l’avventura a cui preclusi lo affascinassero.
Frank avrebbe voluto accontentarlo più di ogni altra cosa, più per egoismo che altro. Quando era a Riau con la sua famiglia, sentiva nostalgia di Gerard e della vita per mare. Ma quando prendeva il largo, Philip gli mancava come l’aria.
In un modo o nell’altro, c’era sempre un pezzo del suo cuore da cui aveva dovuto separarsi. Per un po’, era stato un prezzo accettabile da pagare. Di tanto in tanto era riuscito persino a convincere Gerard a restare a Riau con loro per qualche settimana.
Non che il capitano disdegnasse una vacanza assieme a lui in un paradiso tropicale, ma essere inserito in quel quadretto familiare – Frank, Philip e Marianne – non lo metteva esattamente a proprio agio. Preferiva infinitamente portare Frank dove potevano essere quello che erano sempre stati, quindi anche lui aveva visto subito un vantaggio nell’accettare Philip a bordo: Frank avrebbe sentito meno il bisogno di tornare a Riau così spesso. E poi si era affezionato al ragazzo, per quanto lo desse a vedere solo quando doveva difenderlo da uno scimmione violento o una maitresse incollerita.
Ma Frank non avrebbe mai lasciato che suo figlio di undici anni li seguisse in giro per il mondo. Era stato irremovibile su questo, anzi: aveva cercato di rimandare quel momento quanto più possibile. Finché Philip non gli aveva fatto notare che un uomo di venticinque anni non dovrebbe sottostare alle imposizioni dei genitori.
Venticinque anni. Philip era un uomo e Frank non poteva farci nulla.
Come se avesse intuito i suoi pensieri, lo sentì aggiungere: “Però io non sono un ragazzino. Ho l’età che avevi tu quando ti sei unito alla ciurma di Gerard”
Frank annuì, concedendogli un punto di vantaggio. “Vero. Ma io non attaccavo briga e non correvo inutili rischi” mentì. Probabilmente si sentivano così i genitori normali, che giuravano ai figli di non aver mai fumato un sigaro o fatto sesso fuori dal matrimonio. “Ti chiedo solo di valutare molto molto attentamente i pericoli a cui vai incontro. Questa non è la nostra isola, per un nonnulla le cose possono mettersi davvero male”
“Lo so”
“No, non lo sai” insistette. “E io mi auguro – davvero – che tu non debba mai scoprirlo, ma sappiamo entrambi che è un desiderio vano. Però una cosa è certa: non posso permetterti di affrontare il mondo impreparato”
“Tu mi hai preparato. Ho imparato prima a tirar di scherma che a leggere!”
Hmhm – e dov’è la tua spada, Philip?”
Il ragazzo era sul punto di replicare, ma accorgendosi di non avere una buona giustificazione in mano, decise di tacere.
Frank non pensava spesso che il figlio gli somigliasse – gli zigomi alti, le grandi iridi azzurre, quei ricci dorati e la sua innata testardaggine, tutto in lui urlava il nome di Marianne. Ma il talento nel trovarsi nella peggiore delle situazioni disarmato, Philip lo aveva preso da lui.
“Non allontanarti mai più da solo se non hai un’arma con te” gli disse. E, prima di potersi fermare a riflettere, aggiunse: “Ti servirà più spesso di quanto pensi, credimi: l’ho imparato a mie spese”
Philip si bloccò sul posto e gli puntò l’indice in segno di accusa. “Hai detto di non aver corso rischi stupidi, alla mia età!”
Frank si morse la lingua.
Merda.
Sì, suo figlio era un tipo brillante. Imbrogliarlo non era facile.
“Va’ a dare il cambio a Potter” tagliò corto, trovandosi improvvisamente a corto di risorse. “Se ti tieni lontano dai guai fino a stasera, forse posso convincere la regina del dramma a lasciarti scendere a terra prima che ripartiamo”
Philip si lasciò sfuggire una risata e riprese il passo verso le barche.
“E pulisci quei tagli”
“Sì, papà”
“Dico sul serio, altrimenti si infettano”
“Sto andando, papà”
Il padre stava per aggiungere qualcos’altro – c’era sempre qualche altra raccomandazione da fare, secondo la sua mente ansiosa. Ma decise di chiuderla lì, anche perché Philip era già lontano. Sapeva che lui non aveva bisogno dei suoi consigli, ma quando glieli dava si sentiva come se potesse spuntare una voce da un qualche elenco immaginario.
In pratica, quello che avrebbe voluto dirgli era “resta al sicuro fino alla prossima volta in cui sarò fisicamente lì per spezzare il collo a chi prova a toccarti”. Ma sarebbe stato folle dirglielo con quelle parole esatte.
Indugiò qualche secondo lì prima di girare i tacchi e raggiungere Gerard. Non dubitava che Philip si sarebbe diretto alla nave, voleva solo restare ancora un po’ su quella spiaggia, a guardarlo allontanarsi. A smaltire l’adrenalina che quella vita gli caricava nelle vene ogni giorno. A pensare che non avrebbe scambiato con nulla al mondo, quell’illusione di poter sfuggire a qualsiasi pericolo e tenersi stretto ciò che amava.
  
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